1. Vittorio Feltri è considerato (da molti) un acuto commentatore. Tuttavia, rimane un pochino legato ai vecchi schemi, anche quando intenderebbe interpretarne il superamento. Constata che "destra e sinistra" si sono, rispettivamente, "sbriciolate", e poi ci definisce la situazione coi seguenti canoni:
"Cos' è la destra, cos' è la sinistra? Un gran casino. Nel quale non è
facile orientarsi.
La politica di Renzi è ambigua, ondivaga, il
presidente del Consiglio un giorno attacca i sindacati, e piace alla
destra, che vede in lui un Berluschino affidabile, giovane e
battagliero. Il dì appresso egli si lancia nel buonismo più dolciastro e
predica la necessità di soccorrere i migranti a costo di trascurare i
poveri italiani morti di fame, e in tal modo irrita milioni di cittadini
ex berlusconiani che si erano illusi fosse l' uomo della provvidenza.".
Anzi, da questo quadro trae poi la conseguenza:
"Ciò che manca all' Italia non lo possono recuperare né i progressisti né
i conservatori: scarseggiano le risorse e la volontà di trovarle. Il
Paese ufficiale tira a campare. Accetta i precetti europei, accetta l'
euro, accetta di essere stata mutilata della propria sovranità. Sta
agganciata al carro di Bruxelles e non ha il coraggio di distaccarsene.
Non è capace di reagire, ha paura di essere autonoma nel mondo
globalizzato. Lentamente si sta grecizzando."
2. Allora, poichè ci pare che qualchecosa gli sfugga, chiariamo che tutto quello che denunzia è l'applicazione del paradigma internazionalista dell'ordoliberismo, cioè della specifica forma di neo-liberismo "globalizzato", prescelta dall'Europa e che parte dallo SME e dall'Atto Unico, finendo a Maastricht e Lisbona (e al fiscal compact), passando per il divorzio tesoro-Bankitalia.
Evento, quest'ultimo che dà origine alla lamentata "scarsità di risorse", una volta che il "balance of payment constraint" venga per bene incastonato, in una Nazione caratterizzata da un vivace manifatturiero ad alto e medio valore aggiunto, mediante vincoli monetari. Che infatti Feltri menziona (nel caso l'euro), ma non riuscendo, ci pare, a coglierne il legame con le lamentele sul costo del lavoro, l'austerità, la disoccupazione e, per di più, l'immigrazione no-limits.
3. Insomma, se c'è di mezzo l'ordoliberismo dei trattati europei, lo capiamo, la questione semplice non è: e questo col contributo decisivo di 30 anni di slogan mediatici contro il comunismo della Costituzione italiana, che avrebbe consegnato il paese ai "sindacati"; cosa che poi, si dovrebbe pensare, avrebbe prodotto il calo dei redditi e delle retribuzioni italiane, unito ad un livello di precarizzazione e di disoccupazione senza precedenti nella storia della Repubblica...Mannaggia ma 'sti sindacati, col loro strapotere, a cosa servono? O no?
Insomma 'sti sindacati che dominano in lungo e in largo e non fanno altro che chiedere assunzioni di gente improduttiva, impedire i licenziamenti dei fannulloni e rivendicare assurdi aumenti salariali, da quando siamo nell'euro, avrebbero veramente esercitato un grande strapotere. Infatti...(notare che, a parità di potere d'acquisto,nel 2001 stavamo sopra: tutta colpa dei sindacati?):
4. E mica solo "i sindacati" hanno fatto peggiorare le cose con la Germania:
Sempre i sindacati hanno fatto calare la produzione industriale e quindi scatenato la disoccupazione...dando un magnifico esempio di "strapotere"?
5. A proposito di "mancanza di risorse", vediamo l'effetto del divorzio sul debito pubblico e sui conseguenti bisogni di copertura dell'onere degli interessi, abbondantemente superiori al deficit publbico italiano (annualmente e..notoriamente):
l’Italia ha pagato 3.100 miliardi di interessi in 3 decenni (198% del PIL)
6. Ma una cosa, sindacati e loro "strapotere-che-ha rovinato-l'Italia" a parte, vorremmo precisare.
Il "buonismo dolciastro" sugli immigrati non è affatto di sinistra: o meglio, lo è a livello "cosmetico" seguendo una tattica culturale che è tipica dell'€-ordoliberismo. Se in proposito avesse dei dubbi, potrebbe leggersi questi post (anche se dubitiamo che mai lo farà):
1) V€RSO LA SCHIAVITU': DALL'ORDOLIBERISMO AL LAVORO MERCE;
2) 1978 E 1992. PARTE II (1992: tra favolosi anni '80 e Maastricht)- Con precisazione aggiuntiva;
e anche leggersi questo simpatico articolo su come si "regolano", nello schierarsi pro-immigrazione, i governi Merkel e compagni non-di-sinistra (i sindacati in Germania hanno interessanti storie ma non c'entrano...Per dire: "Hartz ammette di avere corrotto i sindacalisti Vw ed evita 10 anni di carcere").
"Internet. Louez vos manifestants !"
7. Ma, già che ci stiamo, in tema di immigrati, ricordiamo che il "mercato del lavoro-merce" (locuzione utilizzata anche da Popper per contraddistinguere il capitalismo sfrenato che pareva sorpassato prima dell'avvento della magia €uropea), funziona tanto meglio quanto è più vasto "l'esercito industriale di riserva dei disoccupati", e Kalergy, uno dei più celebrati fondatori dell'Europa federalista, - un tipo tutt'altro che "comunista"-, lo sapeva benissimo, auspicandone una versione in "meticciato" (di schiavi, stile antico Egitto, distruggendo le identità nazionali europee, cosa che si realizza con la famosa "cessione di sovranità"...).
Se (mai) questo fosse chiarito, ecco come funziona la sostanza della cosmesi buonista, cioè la strategia internazionalista-ordoliberista, che, lo ripetiamo, è la restaurazione del liberismo tout-court, solo fatta, opportunamente mediante un ordinamento sovranazionale:
"...l'idea (originata da Nazioni Unite sempre più al servizio del governo mondiale ad impostazione liberista-hayekian-kalergico) della "migrazione di ricambio", - idea che sostanzialmente sta al fondo dell'€uro-tecno-cosmetismo-, presuppone
un sistema socio-politico che crei e protragga la crisi demografica
"autoctona" (cioè un grave fenomeno di denatalità e conseguente
"invecchiamento" della popolazione, delle cui cause non si parla
mai...senza enorme ipocrisia cosmetica).
E, quindi, presuppone l'avvenuto consolidamento del sistema di "costituzione materiale" neo-liberista globalizzato, che sancisca, (ordoliberisticamente in UEM):
a) la "durezza del vivere", (del cittadino, da privare delle sue parassitarie "sicurezze") come nuovo principio eticamente sano, da imporre extra e contra Constitutionem ai propri cittadini; non a caso tale durezza è implicitamente esaltata, come grund norm del nuovo "ordo", dalla corrente culturale €uropeista che discende da Ventotene.
Quindi smantellamento progressivo, e intensificabile, dello Stato sociale, mediante tetti al deficit e politiche monetarie deflazioniste, e, inevitabilmente, svuotamento del diritto al lavoro e all'abitazione, nonchè alla piena assistenza sanitaria pubblica, sanciti dalla Costituzione: artt.1, 4 32, e 47 Cost., elementi che non possono non essere alla base di una ben prevedibile crisi demografica, determinata
dall'obiettivo scoraggiamento della natalità (che, infatti, inizia a
manifestarsi proprio con l'affermarsi del vincolo esterno, all'inizio
degli anni '80);
DA NOTARE COME L'INCREMENTO "RELATIVO" DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE, cioè NON
DEI NATI DI CITTADINANZA ORIGINARIA ITALIANA, SI COLLOCHI IN PIENO IN
TEMPI DI EURO, CIOE' DI VINCOLO ESTERNO €UROPEO INTENSIFICATO, E QUINDI
DI ACCELERAZIONE DELLA DE-SOVRANIZZAZIONE DEMOCRATICA ITALIANA.
b) il senso di colpa per la non accettazione di quel grado di "durezza del vivere", mediante la comparazione ("tu sei un privilegiato, pensa a chi sta peggio di te") dello status di cittadino con la condizione dei migranti (cittadino,
naturalmente, anche reso colpevole dell'invecchiamento e della crisi di
denatalità, sulle cui cause ci si guarda bene dal fare la connessione
con la spinta ideologica sovranazionale alla "migrazione di ricambio");
c) la tenaglia, creata da contraddittori principi dei trattati applicativi UE, tra i fenomeni a) (durezza del vivere) e b) (senso di colpa "comparativo").
c) la tenaglia, creata da contraddittori principi dei trattati applicativi UE, tra i fenomeni a) (durezza del vivere) e b) (senso di colpa "comparativo").
Questa tenaglia mira a rendere accettabile e anzi moralmente dovuto sia l'inasprimento stabile della situazione occupazionale (disoccupazione strutturale "di equilibrio", al 10,5 assunta in UEM, per l'Italia, come pieno impiego) sia la deprivazione di risorse pubbliche
(tagli continui alle pensioni, alla sanità e agli enti locali,
riducendo il territorio ad una condizione di degrado infrastrutturale
para-bellico, oltre alla privatizzazione).
La "tenaglia" consolida e ci
rende assuefatti allo stato di necessità dell'austerità fiscale (passata dall'originario tetto insostenibile al deficit al distruttivo pareggio di bilancio "strutturale").
8. Dunque, ha ragione Feltri sì: ci stiamo "grecizzando" - nel senso che non siamo più in grado di capire le cause e le forze in gioco contro di noi e ci aggrappiamo ai nostri torturatori!-, ma "qualcosa di sinistra" (se assunta, come gli stessi "strapotenti" sindacati, come tutela dei lavoratori) non c'entra nulla.
A questo punto, dovrebbe essere chiaro.
Una cosa è la tattica cosmetica=apparente (ai cui fini la vulgata mediatica è essenziale), altra cosa è la spietata realizzazione di un disegno di restaurazione del liberismo che nulla ha a che vedere con la, ancorchè pallida, permanenza di una "sinistra". E non da oggi (v. post linkati sopra).
Se posso dire la mia; acquisito che Feltri è qui solo una occasione per sviluppare un discorso, non credo che Feltri non sappia e che dunque involontariamente manchi al suo ruolo di informatore.
RispondiEliminaFeltri è un grande giornalista ….... di destra. Fa magnificamente il suo lavoro, egli conosce i suoi polli; certamente può non avere intera la sequenza concettuale, ma il senso generale dell'attuale situazione italiana egli la conosce bene. Poi mente, ovviamente, ma sapendo di mentire, e però sapendo anche che, quelli che lo leggono, da lui questo vogliono, una doppiezza esteriore che occulta l'affinità profonda dell'appartenenza. Per capire che l'uomo di destra necessita della continua riconfema di questo legame di appartenenza originaria, deciso fin dall'inizio e una volta per sempre, e che una volta ritrovatolo egli si getterebbe nel suo nome e per il suo gruppo anche nel fuoco, Sartre lo ha chiarito in modo direi definitivo.
Detto questo, se adesso si rilegge la prima citazione di Feltri, essa vuole semplicemente dire: Renzi è bravino, forse anche simpatico, ma ….. noi siamo noi! Ed è questo ritrovarsi uniti nel profondo che i suoi lettori vogliono che lui dica, e lui dice. Dunque la menzogna sta nel fatto che la crisi dell'italiano c'è, ma non è la crisi dell'italiano di destra, è la crisi di quello di sinistra che non ha più orizzonti, che non sa che pesci pigliare; quello di destra ha sempre la sua appartenenza originaria e quella non è scalfita, e non può essere scalfita, per definizione. La scelta è già stata compiuta, dice Sartre, e non è revocabile. L'italiano di destra, che poi rappresenta la maggioranza degli italiani come testimoniato dalla storia, tollera Renzi come si tollera un giocattolino fastidioso nelle mani di una figlia piccola. Tanto ha i giorni contati.
Poi, anche il lamento sulla grecizzazione dell'italia, è un lamento estrinseco, infatti, come si dice appunto nell'articolo, esso in realtà nasconde solo una constatazione compiaciuta.
Non è la destra che è in questione. La destra non potrebbe stare meglio di come sta. Le sue riforme più reazionarie, i suoi sogni più spericolati, li sta realizzando la sinistra, sai dietro le risate?!
Il problema è questa stupida sinistra che nel modo più evidente ha tradito i suoi ideali, la sua missione, e da gran tempo (i sindacati sono stati cooptati, a volte anche corrotti, da tempo immemorabile, Feltri lo sa benissimo), nella ridicola speranza di conquistare l'affetto dei “moderati”, che però poi sono quelli di destra di cui parla Sartre, e dunque è una speranza mal riposta. Questo per quanto riguarda l'ipotetica strategia politica della sinistra. Altra questione è invece il chiedersi se esiste ancora la sinistra, o se si tratta, appunto, solo di una diverso taglio dell'essere uomo di destra semplicemente con una appartenenza profonda ad un gruppo diverso, a volte concorrente, ma comunque su faccende del tutto di secondo piano. Gli italiani sono molto più fascisti di quanto vorrebbero credere di essere. Naturalmente è inutile rammentare cosa è accaduto a questo paese quando ha creduto di poter camminare su una gamba sola. Questi principi liberisti, universalmente riconosciuti veri da tutte le attuali forze politiche di questo paese, quando applicati in altre circostanze applicati, storicamente hanno portato tutti alla fame, destri e sinistri. Vorrà dire che in questo caso sarà: destri e destri.
Devo dire che leggendo i grandi intellettuali di ispirazione marxista, da Sartre ai nostri Losurdo e Preve, sono rimasto piuttosto colpito nel constatare alcune "lievi carenze" in tutte le analisi che comportassero una sintesi funzionale alla prassi.
EliminaVoglio dire, la grande Sinistra di ispirazione socialista che ha dato un grande contributo alla nostra Costituzione e, in genere, ai provvedimenti di politica economica di matrice keynesiana del dopo guerra, aveva una caratteristica, a partire proprio da Marx: conciliavano filosofia politica e scienze sociali.
Il contributo che dà Marx alla filosofia della storia e alla sociologia, lo dà grazie all'approccio positivista, superando l'utopia pseudo-religiosa di promessa di "felicità" post-mortem: ribalta la dialettica hegeliana in funzione della prassi e riconduce un vago idealismo a "scienza": e come lo fa?
Tramite la sociologia e l'economia.
Ora, che Feltri sia il nulla della piccola borghesia asservita al padrone di turno non ne dubito: spara cazzate neoliberiste dal tempo de "l'indipendente". Cioè, non è che semplicemente mente, non sa proprio di checcazzo parla.
Lasciamo stare la destra o la "sinistra piddina" ordoliberista che nasce dal "liberalismo trotzkijsta", dai tempi del Manifesto: questi sono il peggio per una questione proprio antropologica.
Mi chiedo, come ci si fa ad aspettare della coscienza critica da un Feltri, anche se a differenza del piddino di turno non ha fedi ideologiche, quando i grandi della sinistra moderna non sanno pure loro di che cavolo parlano?
I grandi marxisti ortodossi erano tutti studiosi di economia, avevano un approccio multidisciplinare che includeva la ricerca scientifica, compresi Lenin e la Luxemburg.
A un certo punto un pensiero sociopolitico è diventato qualcosa al confine tra religione e metafisica, facendo esasperare i grandi post-keynesiani che Marx se lo studiavano, fornendo poi le "correzioni" teoriche utili, a tempo debito, a far star meglio le grandi masse lavoratrici.
Ma che senso hanno i discorsi di Preve e Sartre (grande amico di Basso) su destra e sinistra? Non dico a livello antropologico culturale, per carità: dico proprio a livello di prassi.
Non voglio bestemmiare: ma non servono praticamente a nulla.
L'unica destra e sinistra che contano sono quelle economiche: tutto il resto è sovrastrutturale. Cazzo, cosa c'è di più marxista e pragmaticamente condiviso al di là di qualsiasi etica di questa semplice asserzione?
Certo, una volta che il patto sociale si fonda sulla sinistra economica - ovvero sul lavoro! - è evidente che le differenze politiche tra destra e sinistra diventano per lo più cosmetiche: il programma è uno solo, quello costituzionale, piena occupazione e uguaglianza sostanziale. Lo stesso Keynes lo aveva preannunciato che, date l'effettiva realizzazione della sua politica economica, ovvero assicurati i diritti sociali, si sarebbe "litigato" solo sui "diritti civili". Certo, ma dopo aver realizzato la democrazia sociale!
Di che cavolo parlano questi intellettuali? Positivismo contro anti-positivismo? Da un estremo all'altro? Ma dove sta la coscienza critica? Si fa fatica a studiare economia, imparare a leggere grafici e analizzare dati?
Come si fa a pretendere che Feltri dica qualcosa di utile in tutta la sua vita quando per trovare un pensiero politico degno di questo nome bisogna rileggere ciò che veniva scritto un secolo fa?
Quando si legge Caffè si legge qualcuno che sa di cosa parla, quando si legge Sartre non lo so.
Infatti Caffè non lo conosce nessuno...
A proposito, mi fornisci gli estremi della interessantissima citazione di Keynes?
EliminaRecentemente mi hanno proprio domandato quali differenti programmi (o "ideologie"...) avrebbero potuto connotare l'attuazione della Costituzione, in termini di "parti" politiche contrapposte (ma all'interno del quadro costituzionale).
In realtà, una prima risposta sta nelle diverse intensità di utilizzo dei vari strumenti di politica economica previsti nella Costituzione (appunto) "economica": non è però sicuro che la correzione dei cicli economici sia così "multipla" e discrezionale, una volta che, nelle linee keynesiane, si sia intrapresa una cornice che attui e preservi la piena impiegazione.
Infatti, l'output gap - e quindi la potenziale deriva della sottoccupazione - sono per definizione derivanti dalla liberalizzazione-internazionalizzazione dell'economia: quando ti trovi a correggere squilibri economici di questo genere, trovandoti con un rilevante "balance of payment constraint", vuol dire che hai già deragliato da politiche keynesiane.
E, ancor peggio, che avrai normalmente già apportato modifiche istituzionali che impediscono gli strumenti di intervento keynesiano. Come sappiamo questa funzione (de)istituzionale è stata svolta dai trattati.
Ergo: un equilibrio keynesiano (tentato) è una scelta economicamente e politicamente molto forte, con una discrezionalità tecnica alquanto delimitata.
L'unico limite è che, politicamente, come evidenzia Galbraith, è facile applicare politiche economiche keynesiane espansive, ma molto più difficile farle in funzione anticiclica di "raffreddamento". E da lì, da questo trend (anti)inflattivo che si sono insinuati i revanchismi neo-liberisti.
Con successo, come sappiamo, ma sempre rendendo irreversibile la loro applicazione (cioè politiche deflazioniste in ogni caso: ed eccoci ai giorni nostri...)
Scusa: nello scrivere di fretta ho fatto una crasi (inconscia) tra "impiego" e "occupazione" ed è venuta fuori "impiegazione", neo-logismo dadaista....
EliminaRispetto a quanto detto da Bazaar, condivido il concetto centrale dal punto di vista politico: “L'unica destra e sinistra che contano sono quelle economiche.” E se si vuole anche che, da questo punto di vista: “tutto il resto è sovrastrutturale”. Ma la sovrastruttura ora è diventata uno strumento di distruzione di massa, dunque qualche attenzione specifica non è inutile.
EliminaNon sono in grado di dare un giudizio su Preve e su Basso, non li conosco sui testi e non so nulla dei loro destini. Su youtube ci sono parecchi interventi di Preve, a volte in coppia con Fusaro, e riguardo a questi e a quanto vi si dice, ho una sensazione di disorientamento, uguale a quella di giudicare gli ingredienti dal sapore di una marmellata, ma non insisto, non conosco i testi e le impressioni volanti possono essere devianti.
Per Sartre invece mi pare che il giudizio sia ingeneroso. Ci troviamo di fronte ad un maestro del pensiero, indipendentemente dal condividerne la filosofia o le posizioni politiche di risulta; le sue analisi sono profonde, illuminanti. Sono analisi tecniche anche quelle sue, per dire.
Caffè non è totalmente sconosciuto, è conosciuto dai giusti, e le sue analisi e il suo pensiero sono un continuo conforto.
Per tornare alla potenza della sovrastruttura, e alle sue vie traverse di imposizione della visione funzionale alla struttura dominante, ho appena visionato, sempre su youtube, un programma americano di celebrazione di von Hayek, dove si può apprezzare in tutta la sua forza la mentalità gregaria, quella stessa che costituisce la materia prima del far giornalismo di Feltri, sul quale però io mi sento di fare una valutazione morale.
https://www.youtube.com/watch?v=gU8rQnKN_uo
al minuto 59:00, un certo Gissurarson, dice una cosa iperbolica, nel solco degli altri interventi di giaculatoria ridicoli fino alla parodia, che però ha una sua verità di sintesi interessante, e contiene anche però un lapsus quando riassume il novecento in politici ed economisti, creando un parallelo involontario e dunque producendo una confessione evidentemente del tutto non percepita.
Ah!, quando si chiede: cos'è la destra e cos'è la sinistra?!
Ma infatti il fatto che si condivida formalmente un'etica sulla carta costituzionale, non significa che i suoi valori siano effettivamente condivisi dai gruppi sociali che accettano di accordarsi tramite gli eletti: gli interessi e i programmi continueranno ad essere conflittuali ma, possibilmente, risolti nelle discussioni di un parlamento sovrano che deve sviluppare il "codice stradale" funzionale alla "strada" che è stata concordata.
EliminaIl disgelo costituzionale avviene infatti solo quando "Confidustria" viene "messa all'angolo": fosse stato per quel gruppo sociale la "segnaletica" l'avrebbe messa in modo tale da far finire sessanta milioni di Italiani in uno sterrato nel deserto o in una paluda. Come poi sul finire dei '70 ha proprio fatto...
Einaudi e i suoi han fatto la figura dei cinici fessi tutta la Costituente ma, subito dopo, ci siamo trovati il nostro Hayek italiano alla BdI e come Presidente della Repubblica.
Poi, diciamocelo: quella dello shock petrolifero è stata una delle solite ciniche e sociopatiche pagliacciate... altro che politica anticiclica per raffreddare l'economia... Si è, guarda a caso, creata ad arte la situazione pochi anni prima paventata da una delle figure più eminenti della Mont Pelerin: ovvero inflazione e recessione insieme. Non c'era da raffreddare un bel niente, se non solo la finanza angloamericana che, tirato il pacco con la convertibiltà in oro, si è assicurata comunque il signoraggio della Fed che, invece di convertire i dollari in oro giallo, ha cominciato "a convertirli in oro nero".
Infatti gli "einaudiani" se ne sono usciti con "l'austerità"... con il supporto della sinistra ormai in massa coartata.
Capire ora cosa siano sostanzialmente "destra e sinistra", cosa implichi difendere la rendita da oligopolio o il reddito da lavoro, potrebbe essere lievemente importante: proprio perché è da quasi trentacinque anni che abbiamo abbandonato progressivamente la strada "asfaltata" della Costituzione. Parlare ora di destra e sinistra non è più una questione "cosmetica"...
Non mi ricordo come mi è finito in zucca quella citazione: comunque, in Economic Possibilities for our
EliminaGrandchildren, Keynes esprime sostanzialmente il medesimo concetto:
«The pace at which we can reach our destination of economic bliss will be governed by four things-our power to control population, our determination to avoid wars and civil dissensions, our willingness to entrust to science the direction of those matters which are properly the concern of science, and the rate of accumulation as fixed by the margin between our production and our consumption; of which the last will easily look after itself, given the first three.»
Tradotto in bazzarrese: «più si interviene politicamente con politiche sociali (che per Keynes sono piena occupazione e stato sociale), più si coopera internazionalmente per la pace (che per noi è l'art.11 cost.), più le politiche industriali sono supportate da un reale progresso scientifico, prima ci si libera dal disagio economico e sociale.
L'obiettivo viene perseguito tramite questa precisa volontà politica che porta naturalmente all'equa ripartizione degli aumenti di produttività tra capitale e lavoro.»
La soluzione "borghese" al conflitto di classe, in una logica win-win. È razionale che le classi dominanti cedano progressivamente diritti sociali alla classe lavoratrice... per un "ottimo paretiano".
«When the accumulation of wealth is no longer of high social importance, there will be great changes in the code of morals. We shall be able to rid ourselves of many of the pseudo-moral principles which have hag-ridden us for two hundred years, by which we have exalted some of the most distasteful of human qualities into the position of the highest virtues. We shall be able to afford to dare to assess the money-motive at its true value.»
Tradotto in bazzarrese: «quando le tre grandi classi sociali tenderanno a convergere al benessere della borghesia, il codice etico subirà un mutamento, scardinando l'etica "nicciana" che ha accompagnato i primi secoli del capitalismo industriale (da trent'anni tornata su tutti gli schermi....), e lasciando uno spazio a valori diversi dal potere e dal denaro: arte, nuova religiosità, esoterismo, ecologia, "coppie aperte" - conoscendo Maynard, ecc...).
«But beware! The time for all this is not yet. For at least another hundred years we must pretend to ourselves and to every one that fair is foul and foul is fair; for foul is useful and fair is not. Avarice and usury and precaution must be our gods for a little longer still. For only they can lead us out of the tunnel of economic necessity into daylight.»
Tradotto in bazzarrese: «Ma attenzione! il tempo dell'appagamento economico in una società equa non è ancora arrivato (non viviamo in una democrazia sociale compiuta, anzi...), per almeno altri 100 e non più 100 anni, sbattetevene dei panda, dell'inquinamento, dell'energia pulita, delle quote rosa, dei matrimoni gay. ecc. ecc.
Non siate piddini!
Rivendicate sfrontatamente begli stipendi e lauti servizi sociali, mandate a stendere il vostro padrone e diventate voi imprenditori, riproducetevi e consumate, comsumate, consumate... tenete vorace la domanda aggregata perché è meglio morire di colesterolo che suicidarsi in anticipo per non surriscaldare troppo il pianeta.
Andate in pace.»
@Matteo
EliminaCerto che, date queste particolari considerazioni, rimarrebbe un'immagine "ingenerosa".
Ma infatti, da progressista, voleva anche essere una "autocritica".
I nomi che ho fatto appartengono a ciò che ritengo il "meglio" intellettuale ed umano della modernità.
Ciò non toglie che una osservazione di questo tipo, oggi, possa essere d'aiuto.
(A Basso questa critica, nonostante storicamente gli si siano mosse delle accuse di "scarsa concretezza" politica, non la si può proprio fare: primo perché, oltre a conoscere il keynesismo, è stato un esperto di scienze giuridiche di fama internazionale, secondo perché chi ha criticato i suoi scarsi risultati nella politica "politicante", non ha capito il contributo a livello di "prassi" che ha dato con il secondo comma del terzo Articolo: tanto che lo ritengo il Lenin della democrazia)
Attendevo questa tua precisazione su Basso :-)
EliminaBasso VA conosciuto e capito (non sempre è facile perchè presuppone conoscenze multidisciplinari non scontate, "di questi tempi").
E direi che Preve o Sartre possono essere punti di riferimento solo rinunciando a voler studiare le scienze sociali perchè...la filosofia è una forma di conoscenza generale (esattamente ciò che disarma la coscienza della democrazia basata su piena occupazione e eguaglianza sostanziale, facendone delle formule come tante, praticamente "filosofiche")
Perdonate le citazioni multiple.
EliminaPrima trovo questo da Quarantotto :
"Recentemente mi hanno proprio domandato quali differenti programmi (o "ideologie"...) avrebbero potuto connotare l'attuazione della Costituzione, in termini di "parti" politiche contrapposte (ma all'interno del quadro costituzionale)."
Questa è nuova per me, ma in qualche modo complementare di quella che, invece, mi pongo (e cioè : perché mai subito la promulga non si è potuto votare per le regionali ed eleggere quindi il Senato secondo la Carta ; avere il referendum ; avere la Corte costituzionale ;....)
Poi trovo questa da Bazaar (il cui motore gira fluido e rotondo ...) :
"Einaudi e i suoi han fatto la figura dei cinici fessi tutta la Costituente ma, subito dopo, ci siamo trovati il nostro Hayek italiano alla BdI e come Presidente della Repubblica. "
Che è la risposta alla mia domanda, ma non ho sufficienti dati di realtà in proposito. Per buttarla in caciara potrei concludere : perché siamo per lo più di destra. Ma non aiuta a far luce ne a conoscere per evitare :)
Il che, se ci pensi bene (facendo qualche sviluppo deduttivo) ci dice perchè quello della "alternanza" delle "maggioranze", come valore (seguito all'abbattimento della DC), sia un'altra bufala ordoliberista...
Elimina@AP
EliminaNon ho ben capito l'osservazione.
Credo che Quarantotto semplicemente facesse notare la particolarità di una democrazia moderna, che, per essere tale "nella sostanza" - come faceva notare Mortati - necessitava un ordinamento lavoristico con una forte Stato sociale. Ovvero, si fondava l'intero ordinamento, con convergenza di tutte le forze politiche, sulla Sinistra economica: sinistra economica che propugna la necessità della giustizia sociale affinché la democrazia possa essere chiamata tale.
I liberali - ovvero la destra economica - oltre alla "giustizia commutativa" storicamente non chiedono altro: anzi.
Quindi, la domanda che sorge spontanea consiste in: « ma se tutti convergono sui caposaldi storici "socialisti", che legittimità e che spazio hanno nel panorama costituzionale le "istanze liberali"»?
Risposta: tendenzialmente nessuna.
I liberali alla Einaudi avrebbero dovuto difendere gli interessi di classe in una dialettica che avrebbe dovuto escludere la radicalità sostanziale della ideologia storica, risultata definitivamente screditata dalla crisi del '29 e dalla seconda guerra mondiale: avrebbero dato un eventuale contributo nel "come" raggiungere gli obiettivi. Non più "quali" obiettivi.
Infatti, a differenza degli stati liberali "classici" come USA e UK, che avevano adottato le politiche keynesiane nel trentennio d'oro senza "obblighi costituzionali", smantellando tutto lo stato sociale in breve tempo e senza troppi problemi (Reagan e Thatcher), per l'Europa il vecchio ordine (a vertice USA) ha tenuto "un piede nella porta" con la Germania ordoliberista, e, tramite i trattati di libero scambio dipinti di rosso da Spinelli, Rossi e utili geni del caso, tramite il "vincolo esterno", ovvero il "balance of payment constraint", ovvero tramite SME ed euro, la classe dominante internazionale, con il capitale internazionale "vassallo" e per definizione collaborazionista, si sono avviati a "ricordarci la durezza del vivere".
Perché la democrazia è tale se, e solo se, esiste lo Stato sociale con le sue protezioni. (v. Mortati).
Il fatto che nonostante la scelta unanime verso il keynesismo Einaudi potesse godere di tali "riconoscimenti", potrebbe essere proprio considerata come il segnale della scelta EXTRA-istituzionale di un determinato gruppo sociale di influenzare la politica nazionale al di fuori della legalità costituzionale. Obiettivo poi effettivamente perseguito a livello "tecnico" a fine anni '70.
Arturo ha recentemento riportato a riguardo il discorso a Londra di Agnelli prima dell'entrata nello SME: dovevamo abituarci ad avere "più disoccupazione"... con buona pace dell'art.1 cost. e seguenti.
Ma il "livello tecnico" è proprio quello che ha permesso di far percepire solo le conseguenze all'intellighenzia "democratica", che ne ha potuto descrivere le derive politiche e culturali - magari in modo "illuminante" - senza, però, saper distinguerne le cause e promuovere delle soluzioni a contrasto.
Contrasto che, infatti, non c'è stato. Testimone la colossale sconfitta di classe che rappresenta lo sbriciolamento delle democrazie occidentali.
Quindi, ripeto, dire che "gli Italiani sono di destra", che sono "fascisti", disquisire sulla psicologia dell'appartenenza fine a se stessa, e tante altre analisi di ordine più pseudo-antropologico o pseudo-sociologico, come generalmente vuole la vulgata che va dal bar dello sport all'intellettuale "di area" passando per gli utili Feltri, è il tipico segnale dell'assoluta inconsistenza di capacità di analisi e, in ultimo, di indirizzo politico di chi ha un'etica più o meno "democratica".
In una società complessa le scienze sociali sono indispensabili e vanno studiate.
(Certo, poi si potrebbe anche imputare a un Caffè o a un Graziani di non "divulgare" come Keynes o Stephen Hawking... ma non mi sembra il caso)
EliminaQuesto versante del dibattito mi pare così importante da meritare una traslazione in apposito post: qua teoricamente eravamo delimitati dal discorso sulla (pseudo)sinistra che Feltri si ostina a definire nel favor per la immigrazione.
EliminaMa il punto della "destrosità" ontologica della massa italica mi pare da chiarire: non ne sarei così sicuro, se non accertando che quando parlano di "tagliare la spesa pubblica", in massa (appunto), gli italiani, siano disposti a buttare a mare pensioni e sanità pubbliche.
Ma è un punto, ripeto, da riprendere, date le sue intere implicazioni.
Per cui, anche a Bazaar dico di lasciare le cartucce "pesanti" per l'ulteriore seguito del dibattito in sede dedicata (tendenzialmente: poi se vi va di disquisire qui, be my guest and no problem...)
@Bazaar: concordo che stai seguendo una pista molto interessante. Mi riservo anch'io di intervenire più avanti. Per il momento mi limito a un'osservazione. L'impiego "tecnico" del vincolo esterno non è una novità di fine anni '70: la novità è stata il suo irrigidimento fino all'attuale cementificazione (che non è differenza da poco, s'intende). Se si guarda alle celebri strette creditizie della Banca d'Italia, quella del '47, quella del '63 e poi quella del '74-'75, e agli argomenti che le hanno accompagnate, non è difficile scorgere un fil rouge che percorre tutta la storia repubblicana. Citiamo pure Caffè («I consigli», rivista della Flm (1977)): "Di fronte a gravi disavanzi della bilancia dei pagamenti soprattutto per la ingiustificata riluttanza ad applicare razionamenti e misure restrittive delle importazioni, i provvedimenti deflazionistici sono inevitabili. Proprio in questi giorni il professor Modigliani ha affermato secondo notizie di stampa che «è discutibile se la politica restrittiva sia stata condotta per eccesso, cioè se non ci si sarebbe potuto permettere un disavanzo maggiore e se non si sia ecceduto nella deflazione». Di questa osservazione in primo luogo va rilevato che si parla finalmente in modo esplicito di deflazione, in secondo luogo questo «eccesso» è tipico della politica economica italiana perché lo si ebbe, sia nel 1947, sia nel 1963. Questo andare al di là del segno non è un fatto fortuito o un errore ricorrente: dipende sistematicamente dalla minore importanza che si dà ai problemi dell’occupazione rispetto a quelli dell’incremento delle riserve valutarie. È sempre mancato il controaltare: chi cioè avrebbe dovuto più energicamente difendere le ragioni dell’occupazione rispetto a quelle del grado di disavanzo della bilancia dei pagamenti, della credibilità esterna o del fatto che il Cancelliere tedesco, il fondo monetario ci dicono che siamo bravi e così via."
EliminaLe altre cartucce per ora le tengo nella giberna. ;-)
Solo una battuta: questo "eccesso" ricorre pure nella coesistenza, nel programma di Corbyn, tra pareggio di bilancio e ripubblicizzazione-controriforma del mercato del lavoro.
EliminaPer dire (come sta l'Occidente europeo da...sempre?)
In effetti questo è il mio dubbio, se possa esistere una destra costituzionale che non differisca dalla sinistra solo per una diversa posizione sui diritti civili. Forse la diversità può risiedere nelle diverse risposte alle domande che seguono? O nel fatto stesso di porsele?
Elimina"In una situazione di piena occupazione può impedirsi una spirale crescente dei salari e dei prezzi se la contrattazione collettiva, con il diritto di sciopero, rimane assolutamente libera? ...
E’ possibile in una società libera in tempo di pace limitare in generale il diritto di sciopero?
Da un altro punto di vista, la libertà di scelta delle occupazioni fa sorgere anche la questione della disciplina del lavoro...
In una situazione di piena occupazione, se gli uomini sono liberi di passare da un impiego all’altro e non temono licenziamenti, non possono almeno alcuni di essi diventare così irregolari e indisciplinati da ridurre sensibilmente l’efficienza dell’industria?...
La contrattazione dei salari deve essere fatta con senso di responsabilità, mirando non a transitori vantaggi particolari, ma al bene permanente della collettività.
La scelta dell’occupazione significa la libertà di scegliere tra occupazioni che sono disponibili; non è possibile che uno scelga di diventare arcivescovo di Canterbury, se quel posto è già occupato da un altro.
Lavorare significa fare ciò che è richiesto, non già fare quel che piace. Ogni libertà comporta delle responsabilità. Ciò non significa che si debba rinunziare alle libertà stesse. Esse devono essere mantenute." http://gondrano.blogspot.it/2013/06/la-piena-occupazione-in-una-societa.html?m=1
Quelle domande sono molto simili, se non identiche, a quelle a cui hanno dato risposta, con una Costituzione, in sede di Assemblea Costituente.
EliminaUna risposta probabilmente migliore di quella che diede Lord Beveridge e in cui si indovina la preoccupazione del filantropo anglosassone (non casualmente di alto lignaggio) di essere lui stesso la fonte e anche il limite (se non altro logico-razionale ex machina) del "diritto" che concede.
Non a caso, in un non lontano post, si è parlato di "concessione" Beveridge...
Ma ne riparleremo...
Se a Basso deve accreditarsi la paternità dello sconvolgente secondo comma dell'articolo 3, che appare a me, alla luce però di una limitata competenza specifica, più profondo e radicale dell'articolo 1 e 2, e primo comma del 3, che mi sembrano rappresentare “solo” l'eredità delle conquiste storiche, allora onore a lui. In quel comma, mi pare di scorgere il progetto ancora irrealizzato della modernità e della democrazia.
EliminaQuesto progetto è rimasto non solo un mito, esso viene irriso come la pietra d'inciampo del progresso. Cosa vuol significare se no, la necessità del ritorno alla durezza del vivere?, e l'accoglimento, il successo e la celebrazione degli scritti di von Hayek da 40 anni a questa parte?
Se quarantotto è stato richiesto di un esercizio apparentemente ozioso: trovare quali differenti programmi ideologie avrebbero potuto connotare l'attuazione della Costituzione, in termini di parti politiche contrapposte, questa richiesta racchiude tutto il dramma dell'Italia.
Da qualche giorno è morto Ingrao, che può essere arrivato alla stessa domanda. Più volte ha riconosciuto, con coscienza sofferta ma obiettiva, che il percorso storico della sinistra era una catena di costanti, continue e reiterate sconfitte. Se fosse arrivato anche a chiedersi: “Come mai solo sconfitte?”, per rispondere avrebbe dovuto affiatarsi col pensiero, altrettanto sofferto, di Caffè, che in maniera esplicita, plateale ed insistita, rimproverava alla sinistra di non fare la sinistra. E Caffè parlava così perché si sentiva mancare una sponda tecnica, non perché sentisse la nostalgia di ideologie cavalleresche. Ebbene questa sponda non c'è ora, perché non c'è mai stata, e temo che questo non possa essere derubricato a semplice problema pseudo-antroposociologico, perché esso è un elemento strutturale, come intuì Caffè forse per primo.
Il presunto partito del lavoro italiano, al contrario, è venuto saccheggiando la politica dei diritti civili, bandiera di Pannella, alla faccia delle raccomandazioni di Keynes ricordate da Bazaar.
Pannella si spendeva per la difesa delle minoranze e degli emarginati: prostitute, drogati, omosessuali, carcerati, ecc., mentre il “partito del lavoro” sembrava discutere solo a partire dalle questioni della struttura, accusando Pannella addirittura di fascismo. E' un caso che le preoccupazioni per l'evoluzione della struttura abbiano lasciato il campo alla cura a tempo pieno delle questioni della sovrastruttura?
Ora, se tecnicamente non può esistere la rappresentanza del lavoro, siamo nelle mani di Hayek (a meno che quarantotto non ci illumini su una alternativa). E Hayek è uno che è in grado di scrivere: “il fallimento degli economisti nel guidare con maggiore successo la politica è strettamente connesso con la propensione a imitare il più possibile le procedure delle scienze fisiche che hanno grande successo", cioè farfuglia senza averne coscienza.
Un ultima cosa, Hayek ci teneva a sottolineare di essere un liberale, Friedman più modestamente diceva di sentirsi un liberale. Ora non li si può incolpare di doversi esprimere in inglese, e pare che in quella lingua non esista la parola liberista.
Ebbene in Italia questa parola esiste con la distinzione che l'accompagna e la separa dalla parola liberale. L'unità anglosassone non può essere ricomposta qui da noi, perché, tra diverse altre cose, ci separano da essa e definitivamente le legnate prese da Gobetti. Anche Einaudi scriveva su Rivoluzione Liberale, ma le legnate le prese Gobetti. Esse furono date non senza un preciso senso e furono raccolte non senza una precisa consapevolezza, segnano la differenza e pongono un confine invalicabile. Quel sacrificio consapevole ci chiama, anzi ci impone, di rimarcare dovunque necessario la distinzione tra liberismo e liberalismo. È sgradevole veder riconosciuto l'appellativo di liberale a gente che semplicemente difende interessi di parte, e che lo condivide con Gobetti che se lo guadagnò in ben altro modo.
In realtà gran parte dei dubbi che poni sono stati in questa sede già dibattuti e chiariti.
EliminaSulla eguagliaza sostanziale (problematica ma non completamente inattuata), che è poi un modello generale (necessitato) di risoluzione democratica del conflitto sociale:
http://orizzonte48.blogspot.it/2013/10/da-rawls-castaneda-per-la-liberazione.html
http://orizzonte48.blogspot.it/2014/07/napoli-11-luglio-2014-riscossa-italiana.html
Su liberismo e liberalismo (pseudo-distinzione):
http://orizzonte48.blogspot.it/2015/03/liberismo-e-liberalismo-la-liberta-non.html
http://orizzonte48.blogspot.it/2015/02/il-contro-vincolo-esterno-e-lipotesi.html
Ma, come ho detto, cercherò di mettere ordine alle questioni sollevate e far ripartire, in apposito post, una riflessione che ci dica veramente come e perchè siamo nelle mani degli hayekiani e, - punto attuale-, se ciò sia dovuto a una cosciente anima di destra degli italiani o meno (su ciò nutro forti dubbi e non solo perchè è una vulgata dominante, cosa che in sè è però già indicativa)
Per scrivere cose sensate occorre proprio partire da un tale personaggio?
RispondiEliminaE questi destri, così concreti, realistici e disincantati come si vedono, quando riusciranno a farsi due righe di conti e a far caso ai risultati?
RispondiEliminaPerché mi pare che in questo regime entrambe le parti abbiano la loro grossa soddisfazione morale: gli uni vincono perché il governo è "di sinistra", gli altri perché trionfano le loro idee "di buon senso".
Ed entrambe le parti vanno a perderci di brutto.
Se il paese fosse "ostaggio" dei sindacati, come dicono i vari Feltri, ma pure i vari Squinzi e Renzi, e si volesse avere prova controfattuale di ciò, basterebbe prendere un dato solo. La quota salari su PIL. Se essa in questo trentennio è aumentata, avrebbero in un certo senso ragione... Ma visto che così non è, mi chiedo: ma perchè non esiste 1 giornalista che sappia leggere le seguenti righe (che non sono così difficili da trovare): "E’ opportuno osservare che L’Italia ha sperimentato tra il 1975 e il 2000 una caduta drammatica della quota dei salari sul reddito, molto più consistente che negli altri paesi, (dal 66% al 51%). Negli anni dal 2000 al 2009 la quota è risalita fino al 54%, restando peraltro sensibilmente più bassa che nella media europea, e poi ha ripreso a diminuire. Questa caduta, alla luce della correlazione vista sopra, non ha certo favorito gli investimenti in Italia, per usare un eufemismo.". Ma essi sono soldati, perchè sono "al soldo" del padrone...
RispondiEliminaCredo che questo "odio per i sindacati", sia un feticcio di cui la destra dovrebbe liberarsi. Innanzitutto guardando bene "cosa" è diventato, oggi, il sindacato.
RispondiEliminaPer capirlo, basta, dopo aver letto, anche in via di massima, questo blog e quello del prof.Bagnai, domandarsi quale dovrebbe essere un'efficace politica sindacale. Beh, provo ad abbozzare: fossi un sindacalista, i miei parametri di riferimento sarebbero: a) quota salari rispetto al PIL (tanto più è alta, tanto più i salariati stanno bene); b) disoccupazione sotto il 6% (in tanti lavorano); c) garanzie sul posto di lavoro (stabilità del reddito percepito).
Andiamo -pur sommariamente- a vedere invece i parametri di riferimento dei sindacalisti di oggi. La CGIL ha in testa solo una cosa: la patrimoniale e le tasse sulla casa (anche quella comprata, con tanti sacrifici, da molti dei suoi iscritti), e continua -formalmente- ad avere come referente politico un partito (PD), che ha fatto proprio e realizzato l'obiettivo -cui Berlusconi ambiva- di neutralizzare lo statuto dei lavoratori. Essendo questo il sindacato "più a sinistra", posso anche fermarmi qui.
"La colpa è dei sindacati", allora? Di colpe ne hanno, certo. Una è quella di essere diventate delle strutture auto-referenti che non fanno più, ormai da tempo, gli interessi dei lavoratori (al massimo, si limitano a tutelare quelli dei loro dirigenti). Ma sul fatto che sia quello il problema del Paese, io, al posto di Feltri, guarderei verso altri lidi (a Bruxelles, per esempio).