Questo è il contributo di kthrcds, che era intervenuto sull'argomento commentando "Aux armes citoyens".
In effetti aveva risposto a me. In un commento al post mi chiedevo se fosse possibile creare una "lobby dei cittadini" in grado di orientare le politiche europee, visto che siamo inascoltati e non contiamo granché, e constatavo che probabilmente sarebbe stata meno onerosa della folle austerity che ci stanno imponendo, visto che, pur non avendo la forza del potere economico che hanno i grandi gruppi abbiamo la forza del numero... Il contributo di kthrcds con gli interessanti links ci illustra come le decisioni europee, le norme che incidono sulle nostre vite, sottostanno alle pressioni dei grandi gruppi, per niente interessati alla democrazia, alla nostra salute, in definitiva ai cittadini. D'altra parte questa Unione Europea nasce dal sogno più nascosto di un "gruppo di banchieri", che sono riusciti a conquistare un intero continente e assoggettarlo al liberismo più sfrenato. Senza i carri armati come in Cile, senza lo scontro sociale come nella Gran Bretagna della Tatcher, con la sola forza del denaro. Il sogno del "gruppo di banchieri" è diventato l'incubo dei cittadini.
Le lobby, ci spiega kthrcds, potrebbero essere iscritte in un registro, ma si sottraggono per la maggior parte e nello stesso tempo dettano le leggi favorevoli agli interessi delle corporations.
Dovremo "comprarci" la democrazia?
(sil-viar)
Le lobby, ci spiega kthrcds, potrebbero essere iscritte in un registro, ma si sottraggono per la maggior parte e nello stesso tempo dettano le leggi favorevoli agli interessi delle corporations.
Dovremo "comprarci" la democrazia?
(sil-viar)
Ecco l'intervento di kthrcds.
Il presidente del Consiglio europeo è
Van Rompuy, un democristiano fiammingo belga, eletto non dagli
europei – che in maggioranza non sanno nemmeno chi sia -, ma
dagli amici suoi.
Van Rompuy non conta nulla e non c'entra nulla con la commissione, ma mi piace ricordarlo nel suo ruolo di ragazzo immagine dell'Ue: recentemente è stato nominato “Mister Euro”.
Il presidente della Commissione europea è Barroso, che da giovane era un leader della sezione giovanile del movimento clandestino maoista MRPP. Diventato adulto, Barroso si è prontamente riciclato nel Partito Social Democratico Portoghese, area centrodestra.
Uno degli otto vicepresidente della Commissione europea, nonché responsabile per l'Industria e l'Imprenditoria, è Antonio Tajani, ex monarchico, fondatore di Forza Italia e fedelissimo di Berlusconi. Una delle figure più incolori nel panorama politico italiano ricopre incarichi di primo piano in un'istituzione importante come la Commissione europea, titolare di un pressoché totale monopolio del potere di iniziativa legislativa.
Potrei andare avanti a lungo, ma era solo per dire che chi pensa che i politici europei siano più affidabili di quelli italiani non è ben informato.
Gli altri esponenti della Commissione per il periodo 2010-2014, quelli che la tv mostra ogni giorno mentre si incontrano spensierati e sorridenti nel corso dei loro inutili summit, mentre mezza Europa sprofonda dolorosamente in una crisi senza apparenti vie d'uscita, sono questi:
Catherine Ashton, Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza;
Van Rompuy non conta nulla e non c'entra nulla con la commissione, ma mi piace ricordarlo nel suo ruolo di ragazzo immagine dell'Ue: recentemente è stato nominato “Mister Euro”.
Il presidente della Commissione europea è Barroso, che da giovane era un leader della sezione giovanile del movimento clandestino maoista MRPP. Diventato adulto, Barroso si è prontamente riciclato nel Partito Social Democratico Portoghese, area centrodestra.
Uno degli otto vicepresidente della Commissione europea, nonché responsabile per l'Industria e l'Imprenditoria, è Antonio Tajani, ex monarchico, fondatore di Forza Italia e fedelissimo di Berlusconi. Una delle figure più incolori nel panorama politico italiano ricopre incarichi di primo piano in un'istituzione importante come la Commissione europea, titolare di un pressoché totale monopolio del potere di iniziativa legislativa.
Potrei andare avanti a lungo, ma era solo per dire che chi pensa che i politici europei siano più affidabili di quelli italiani non è ben informato.
Gli altri esponenti della Commissione per il periodo 2010-2014, quelli che la tv mostra ogni giorno mentre si incontrano spensierati e sorridenti nel corso dei loro inutili summit, mentre mezza Europa sprofonda dolorosamente in una crisi senza apparenti vie d'uscita, sono questi:
Catherine Ashton, Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza;
Viviane Reding, Lussemburgo, Giustizia,
diritti fondamentali e cittadinanza; Joaquín Almunia, Spagna,
Concorrenza;
Siim Kallas, Estonia, Trasporti; Neelie Kroes, Paesi
Bassi, Agenda digitale; Maroš Šefčovič, Slovacchia,
Relazioni interistituzionali e amministrazione; Janez Potočnik,
Slovenia, Ambiente; Olli Rehn, Affari economici e monetari; Andris
Piebalgs, Lettonia, Sviluppo; Michel Barnier, Francia, Mercato
interno e
servizi; Androulla Vassiliou, Cipro, Istruzione, cultura, multilinguismo e gioventù; Algirdas Šemeta, Lituania, Fiscalità e unione doganale, audit e lotta antifrode; Karel De Gucht, Belgio, Commercio; Máire Geoghegan-Quinn, Irlanda, Ricerca, innovazione e scienza; Janusz Lewandowski, Polonia, Programmazione finanziaria e bilancio; Maria Damanaki, Grecia, Affari marittimi e pesca; Kristalina Georgieva, Bulgaria, Cooperazione internazionale, aiuti umanitari e risposta alle crisi; Günther Oettinger, Germania, Energia; Johannes Hahn, Austria, Politica regionale; Connie Hedegaard, Danimarca, Azione per il clima; Štefan Füle, Repubblica ceca, Allargamento e politica di vicinato; László Andor, Ungheria, Occupazione, affari sociali e integrazione; Cecilia Malmström, Affari interni; Dacian Cioloş, Romania, Agricoltura e sviluppo rurale; Tonio Borg, Malta, Salute e politica dei consumatori.
Nessuno li conosce, nessuno li ha mai eletti, e fra di loro, oltre al già citato Tajani, ci sono altre figure singolari. Il finlandese Olli Rehn, ad esempio, è membro del Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori. Rehn, che si è fatto un'idea della cultura italiana leggendo Guareschi - e se ne vanta pure -, ha studiato negli Usa, al Macalaster di Saint Paul in Minnesota; che è strettamente collegato con la Merril Lynch, ossia una delle grandi banche fallite e salvate dallo Stato. I docenti del Macalaster sono presi dalla Merril
e gli studenti vanno in Merril a fare gli stage. E purtroppo alcuni finiscono alla Commissione europea.
Attorno a loro si muovono i lobbisti.
Nell’Ue i lobbisti, o “consulenti in affari pubblici”, come preferiscono essere definiti, «sono accusati di fare la legislazione europea al posto della stessa Commissione, o di "comprare" i responsabili delle decisioni stesse, sono ora circa 15mila a Bruxelles, generando un fatturato stimabile tra i 60 e i 90 milioni di euro all’anno. Dispersi nei loro 2mila e seicento uffici nella capitale dell’Unione Europea, questi gruppi di pressione hanno un profilo finanziario più eterogeneo di quello dei funzionari europei».
Ovviamente, i lobbisti, promuovono gli intessi delle corporation che rappresentano.
Ad esempio, uno dei casi più recenti, rivelato dal settimanale Der Spiegel riguarda le pressioni esercitate dalla lobby del tabacco sulla Commissione europea. «Alcuni documenti a uso interno a cui Der Spiegel ha avuto accesso rivelano l’opposizione di molti collaboratori del presidente della Commissione a un giro di vite nella regolamentazione dell’uso del tabacco».
In sostanza è accaduto che la decisione di rendere più severa la regolamentazione europea sul tabacco abbia incontrato forti ostacoli ai vertici della commissione stessa, a partire da Catherine Day, segretaria generale della commissione europea, che “si è adoperata di persona a rallentare più volte l’iter in corso”. Ciò ha portato alle dimissioni del commissario alla salute John Dalli, e ha alimentato i dubbi sul ruolo del presidente Barroso e sull'Olaf (Ufficio per la lotta antifrodi) nella vicenda.
Non si tratta di un'eccezione ma della della regola dal momento che la sola «industria del tabacco ha a disposizione a Bruxelles un esercito di circa 100 lobbisti, che lavorano con un budget annuale superiore ai € 5 mln. Almeno secondo i dati ufficiali.
Questi numeri sono però sicuramente parziali perché la Commissione europea non obbliga i lobbisti che hanno rapporti con l’istituzione a registrarsi. [...]
Non a caso il 62% degli incontri con lobbisti, tenuti dal vice-presidente della Commissione responsabile per gli Affari economici e monetari, Olli Rehn, sono avvenuti con persone non presenti nel Registro».
Anche in questo caso scopriamo che i tedeschi non sono così virtuosi come vogliono fa credere. Ad esempio, «la tedesca Reemtsma, branca della Imperial Tobacco, uno dei maggiori produttori europei, non si è mai registrata, eppure l’anno scorso, secondo il rapporto del Ceo, ha assunto una lobbista proprio per influenzare la Tobacco Products Directive (Tpd)».
La commissione europea è sostanzialmente un comitato d'affari ai massimi livelli: “Il popolo ha il voto, gli industriali le lobby. Gruppi di pressione che indottrinano gli eletti e influenzano la Commissione europea...”.
Inizia così un articolo del giornalista francese François Ruffin apparso su Le Monde Diplomatique del giugno 2010, che riprende le dichiarazioni del presidente della Commissione europea Jacques Delors nel 1993: "i dirigenti dell'Ert (European Round Table of Industrialists) sono stati all'avanguardia nel sostenere la mia idea".
L'idea di Delors, “padre nobile” di questa Ue che sta dimostrando tutti i suoi difetti e svantaggi, mentre ancora attendiamo di individuarne i benefici, non era altro che quella di affidare ad un pool di “capitani di industria” le sorti dello sviluppo economico europeo, scavalcando i Parlamenti nazionali, e senza curarsi troppo delle conseguenze che avrebbe avuto su centinaia di milioni di
europei.
Circa 20 anni dopo, mentre da ormai 5 anni la crisi che si è abbattuta sull'EZ continua a mietere vittime e non accenna a risolversi, Jacques Delors, in un'intervista al Daily Telegraph del dicembre 2011 ripresa dal Sole24Ore, spiega serafico che «“L'euro è partito male sin dall'inizio” anche per colpa di leader che “hanno fallito”. “Tutti devono farsi un esame di coscienza” perché “i ministri delle Finanze non hanno voluto vedere quello che avrebbe potuto far sorgere dei problemi”. Il colpevole? “La combinazione fra l'ostinazione tedesca sull'idea del controllo monetario e l'assenza di una visione chiara da parte di tutti gli altri Paesi”».
Visto come sono andate le cose, uno dei primi a dover fare un esame di coscienza sarebbe Delors, ma questo è un altro paio di maniche; e comunque non staremo a sottilizzare, visto che la preoccupazione maggiore dei nostri giorni è quella di evitare che il crollo imminente del “sogno” europeo ci travolga tutti, ponendo le premesse per un futuro di incertezze, rancori e voglia di rivalsa su scala continentale.
Nel frattempo occorre rilevare che in Europa i paesi che adottano leggi e regolamenti per disciplinare l'attività di lobbisti sono più l'eccezione che la regola. «Il più recente rapporto OCSE Lobbyists, Governments And Public Trust: Building A Legislative Framework For Enhancing Transparency And Accountability In Lobbying (2008) rileva che solo 5 Paesi membri della UE hanno adottato un regolamento. [Ne consegue che] le lobby restano attori che agiscono sotto il “velo impenetrabile che avvolge la fase di composizione di interessi contrapposti durante i processi decisionali pubblici”».
Con l'avvento della crisi economica il velo si è fatto meno impenetrabile, lasciando intravedere con sempre maggior chiarezza i reali interessi che costituiscono la vera ragion d'essere della Commissione europea, a partire da quelli delle lobby bancarie, che hanno imposto dolorosi piani di salvataggio (della finanza privata) facendoli gravare sui bilanci pubblici, e quindi sull'intera
collettività.
E siccome in Italia si tende a volte ad esagerare, si è fatto di più che adeguarsi al volere delle varie lobby europee, si è messo direttamente al governo uno dei loro maggiori esponenti: Mario Monti.
servizi; Androulla Vassiliou, Cipro, Istruzione, cultura, multilinguismo e gioventù; Algirdas Šemeta, Lituania, Fiscalità e unione doganale, audit e lotta antifrode; Karel De Gucht, Belgio, Commercio; Máire Geoghegan-Quinn, Irlanda, Ricerca, innovazione e scienza; Janusz Lewandowski, Polonia, Programmazione finanziaria e bilancio; Maria Damanaki, Grecia, Affari marittimi e pesca; Kristalina Georgieva, Bulgaria, Cooperazione internazionale, aiuti umanitari e risposta alle crisi; Günther Oettinger, Germania, Energia; Johannes Hahn, Austria, Politica regionale; Connie Hedegaard, Danimarca, Azione per il clima; Štefan Füle, Repubblica ceca, Allargamento e politica di vicinato; László Andor, Ungheria, Occupazione, affari sociali e integrazione; Cecilia Malmström, Affari interni; Dacian Cioloş, Romania, Agricoltura e sviluppo rurale; Tonio Borg, Malta, Salute e politica dei consumatori.
Nessuno li conosce, nessuno li ha mai eletti, e fra di loro, oltre al già citato Tajani, ci sono altre figure singolari. Il finlandese Olli Rehn, ad esempio, è membro del Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori. Rehn, che si è fatto un'idea della cultura italiana leggendo Guareschi - e se ne vanta pure -, ha studiato negli Usa, al Macalaster di Saint Paul in Minnesota; che è strettamente collegato con la Merril Lynch, ossia una delle grandi banche fallite e salvate dallo Stato. I docenti del Macalaster sono presi dalla Merril
e gli studenti vanno in Merril a fare gli stage. E purtroppo alcuni finiscono alla Commissione europea.
Attorno a loro si muovono i lobbisti.
Nell’Ue i lobbisti, o “consulenti in affari pubblici”, come preferiscono essere definiti, «sono accusati di fare la legislazione europea al posto della stessa Commissione, o di "comprare" i responsabili delle decisioni stesse, sono ora circa 15mila a Bruxelles, generando un fatturato stimabile tra i 60 e i 90 milioni di euro all’anno. Dispersi nei loro 2mila e seicento uffici nella capitale dell’Unione Europea, questi gruppi di pressione hanno un profilo finanziario più eterogeneo di quello dei funzionari europei».
Ovviamente, i lobbisti, promuovono gli intessi delle corporation che rappresentano.
Ad esempio, uno dei casi più recenti, rivelato dal settimanale Der Spiegel riguarda le pressioni esercitate dalla lobby del tabacco sulla Commissione europea. «Alcuni documenti a uso interno a cui Der Spiegel ha avuto accesso rivelano l’opposizione di molti collaboratori del presidente della Commissione a un giro di vite nella regolamentazione dell’uso del tabacco».
In sostanza è accaduto che la decisione di rendere più severa la regolamentazione europea sul tabacco abbia incontrato forti ostacoli ai vertici della commissione stessa, a partire da Catherine Day, segretaria generale della commissione europea, che “si è adoperata di persona a rallentare più volte l’iter in corso”. Ciò ha portato alle dimissioni del commissario alla salute John Dalli, e ha alimentato i dubbi sul ruolo del presidente Barroso e sull'Olaf (Ufficio per la lotta antifrodi) nella vicenda.
Non si tratta di un'eccezione ma della della regola dal momento che la sola «industria del tabacco ha a disposizione a Bruxelles un esercito di circa 100 lobbisti, che lavorano con un budget annuale superiore ai € 5 mln. Almeno secondo i dati ufficiali.
Questi numeri sono però sicuramente parziali perché la Commissione europea non obbliga i lobbisti che hanno rapporti con l’istituzione a registrarsi. [...]
Non a caso il 62% degli incontri con lobbisti, tenuti dal vice-presidente della Commissione responsabile per gli Affari economici e monetari, Olli Rehn, sono avvenuti con persone non presenti nel Registro».
Anche in questo caso scopriamo che i tedeschi non sono così virtuosi come vogliono fa credere. Ad esempio, «la tedesca Reemtsma, branca della Imperial Tobacco, uno dei maggiori produttori europei, non si è mai registrata, eppure l’anno scorso, secondo il rapporto del Ceo, ha assunto una lobbista proprio per influenzare la Tobacco Products Directive (Tpd)».
La commissione europea è sostanzialmente un comitato d'affari ai massimi livelli: “Il popolo ha il voto, gli industriali le lobby. Gruppi di pressione che indottrinano gli eletti e influenzano la Commissione europea...”.
Inizia così un articolo del giornalista francese François Ruffin apparso su Le Monde Diplomatique del giugno 2010, che riprende le dichiarazioni del presidente della Commissione europea Jacques Delors nel 1993: "i dirigenti dell'Ert (European Round Table of Industrialists) sono stati all'avanguardia nel sostenere la mia idea".
L'idea di Delors, “padre nobile” di questa Ue che sta dimostrando tutti i suoi difetti e svantaggi, mentre ancora attendiamo di individuarne i benefici, non era altro che quella di affidare ad un pool di “capitani di industria” le sorti dello sviluppo economico europeo, scavalcando i Parlamenti nazionali, e senza curarsi troppo delle conseguenze che avrebbe avuto su centinaia di milioni di
europei.
Circa 20 anni dopo, mentre da ormai 5 anni la crisi che si è abbattuta sull'EZ continua a mietere vittime e non accenna a risolversi, Jacques Delors, in un'intervista al Daily Telegraph del dicembre 2011 ripresa dal Sole24Ore, spiega serafico che «“L'euro è partito male sin dall'inizio” anche per colpa di leader che “hanno fallito”. “Tutti devono farsi un esame di coscienza” perché “i ministri delle Finanze non hanno voluto vedere quello che avrebbe potuto far sorgere dei problemi”. Il colpevole? “La combinazione fra l'ostinazione tedesca sull'idea del controllo monetario e l'assenza di una visione chiara da parte di tutti gli altri Paesi”».
Visto come sono andate le cose, uno dei primi a dover fare un esame di coscienza sarebbe Delors, ma questo è un altro paio di maniche; e comunque non staremo a sottilizzare, visto che la preoccupazione maggiore dei nostri giorni è quella di evitare che il crollo imminente del “sogno” europeo ci travolga tutti, ponendo le premesse per un futuro di incertezze, rancori e voglia di rivalsa su scala continentale.
Nel frattempo occorre rilevare che in Europa i paesi che adottano leggi e regolamenti per disciplinare l'attività di lobbisti sono più l'eccezione che la regola. «Il più recente rapporto OCSE Lobbyists, Governments And Public Trust: Building A Legislative Framework For Enhancing Transparency And Accountability In Lobbying (2008) rileva che solo 5 Paesi membri della UE hanno adottato un regolamento. [Ne consegue che] le lobby restano attori che agiscono sotto il “velo impenetrabile che avvolge la fase di composizione di interessi contrapposti durante i processi decisionali pubblici”».
Con l'avvento della crisi economica il velo si è fatto meno impenetrabile, lasciando intravedere con sempre maggior chiarezza i reali interessi che costituiscono la vera ragion d'essere della Commissione europea, a partire da quelli delle lobby bancarie, che hanno imposto dolorosi piani di salvataggio (della finanza privata) facendoli gravare sui bilanci pubblici, e quindi sull'intera
collettività.
E siccome in Italia si tende a volte ad esagerare, si è fatto di più che adeguarsi al volere delle varie lobby europee, si è messo direttamente al governo uno dei loro maggiori esponenti: Mario Monti.
Il quale, come si può vedere vedere qui, a
pag. 6:
dal dicembre 2005 è stato consigliere internazionale
di GS, e membro del Advisory Research Council del Goldman Sachs
Global Markets Institute.
Per dieci anni Monti ha rivestito la carica di membro della Commissione europea, responsabile per il mercato interno, servizi finanziari e tributi dal 1995 al 1999, e poi alla concorrenza dal 1999 al 2004. Inoltre è membro del Senior European Advisory Consiglio di Moody's, del Consiglio di Amministrazione della Institute forInternational Economics di Washington, DC, del Comitato direttivo delle riunioni del Bilderberg, della Commissione Trilaterale e del Comitato Esecutivo di Aspen Institute Italia.
Nel 2005 è stato co-fondatore e, fino al 2008, Presidente del Bruegel, un think-tank europeo di economia internazionale, guarda caso con sede a Bruxelles, «il cui gruppo di comando è composto da esponenti di spicco di 28 multinazionali e 16 Stati (per l'Italia oggi vi siede Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro). I loro nomi? Microsoft, Google, Goldman Sachs, Samsung, il gruppo bancario italiano Unicredit, il colosso energetico Gdf, la Borsa di New York (Nyse). Molti coincidono con le poltrone di Bilderberg».
Monti è anche un estimatore di von Hayek, tanto che nel 2005 fu insignito del Premio internazionale assegnato dalla Hayek Foundation per essersi distinto nel promuovere il libero mercato. Può essere utile ricordare che negli anni 80 Friedrich von Hayek era divenuto un “modello” per Margaret Thatcher, con la quale condivideva l'apprezzamento per Pinochet, perché secondo lui il liberalismo non è in contraddizione con l’autocrazia, e quindi considerava liberale anche una dittatura.
Ora, secondo von Hayek il modello di stato sociale si riduce alla necessità di “fornire agli indigenti e agli affamati qualche forma di aiuto, ma solo nell’interesse di coloro che devono essere protetti da eventuali atti di disperazione da parte dei bisognosi”.
Il che spiega meglio di tanti dibattiti in tv quali sono le finalità della famigerata “Agenda Monti”, e perché nella Ue fanno il tifo per il nostro supermario. E spiega anche perché martedì scorso, facendo riferimento alle prossime elezioni politiche in Italia, l'inopinatamente commissario europeo agli Affari economici Olli Rehn ha dichiarato che “ci sono impegni da rispettare a prescindere da chi le vincerà”.
Per dieci anni Monti ha rivestito la carica di membro della Commissione europea, responsabile per il mercato interno, servizi finanziari e tributi dal 1995 al 1999, e poi alla concorrenza dal 1999 al 2004. Inoltre è membro del Senior European Advisory Consiglio di Moody's, del Consiglio di Amministrazione della Institute forInternational Economics di Washington, DC, del Comitato direttivo delle riunioni del Bilderberg, della Commissione Trilaterale e del Comitato Esecutivo di Aspen Institute Italia.
Nel 2005 è stato co-fondatore e, fino al 2008, Presidente del Bruegel, un think-tank europeo di economia internazionale, guarda caso con sede a Bruxelles, «il cui gruppo di comando è composto da esponenti di spicco di 28 multinazionali e 16 Stati (per l'Italia oggi vi siede Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro). I loro nomi? Microsoft, Google, Goldman Sachs, Samsung, il gruppo bancario italiano Unicredit, il colosso energetico Gdf, la Borsa di New York (Nyse). Molti coincidono con le poltrone di Bilderberg».
Monti è anche un estimatore di von Hayek, tanto che nel 2005 fu insignito del Premio internazionale assegnato dalla Hayek Foundation per essersi distinto nel promuovere il libero mercato. Può essere utile ricordare che negli anni 80 Friedrich von Hayek era divenuto un “modello” per Margaret Thatcher, con la quale condivideva l'apprezzamento per Pinochet, perché secondo lui il liberalismo non è in contraddizione con l’autocrazia, e quindi considerava liberale anche una dittatura.
Ora, secondo von Hayek il modello di stato sociale si riduce alla necessità di “fornire agli indigenti e agli affamati qualche forma di aiuto, ma solo nell’interesse di coloro che devono essere protetti da eventuali atti di disperazione da parte dei bisognosi”.
Il che spiega meglio di tanti dibattiti in tv quali sono le finalità della famigerata “Agenda Monti”, e perché nella Ue fanno il tifo per il nostro supermario. E spiega anche perché martedì scorso, facendo riferimento alle prossime elezioni politiche in Italia, l'inopinatamente commissario europeo agli Affari economici Olli Rehn ha dichiarato che “ci sono impegni da rispettare a prescindere da chi le vincerà”.