Dunque, con questo interessante post di Sofia, prosegue la "creazione collettiva" del nostro discorso. Perchè non solo questo è un blog "aperto" ma si crede fermamente che "un uomo solo al comando" (...e il suo nome è Fausto Coppi) sia una debolezza, non una forza. Tutti, ma proprio tutti sono chiamati a cercare di capire come stanno le cose e ad esprimere la propria scelta, e passione, per la Costituzione democratica, sociale e fondata sul lavoro.
Quanto a Sofia, è la "persona" che mi fa pensare, anzi gridare: W LE DONNE!
Le donne sono il più grande serbatoio per questa nuova frontiera della "liberazione democratica"
Le donne forti e coraggiose, e sono tante, che ci possono insegnare, a noi "uomini" (non uso il detestabile "maschietti", luogomunista insopportabile), non solo come ci si impegna senza dover "fare la ruota del pavone", ma anche come si si debba sempre rialzare quando si cade. E non darsi mai per vinti.
So quanto le sia costato fare questo post che è la rielaborazione di un più ampio lavoro che era "troppo", (un vero breve ma splendido trattato), per poterlo divulgare in questa sede.
Una seconda precisazione introduttiva.
Sofia ci spiega, con felice sintesi, la "Costituzione economica" democratica, concepita nel '48. Qui rammentiamo il problema della "abrogazione implicita" del dettato costituzionale operato dai trattati UE-UEM, senza però che ci sia mai stata alcuna seria riflessione sulla sufficienza della "copertura" apprestata dall'art.11 Cost per un tale effetto "modificativo" del patto fondamentale democratico Noi sappiamo come ciò non sia corretto secondo la più autorevole dottrina costituzionale.
Sofia ci spiega, con felice sintesi, la "Costituzione economica" democratica, concepita nel '48. Qui rammentiamo il problema della "abrogazione implicita" del dettato costituzionale operato dai trattati UE-UEM, senza però che ci sia mai stata alcuna seria riflessione sulla sufficienza della "copertura" apprestata dall'art.11 Cost per un tale effetto "modificativo" del patto fondamentale democratico Noi sappiamo come ciò non sia corretto secondo la più autorevole dottrina costituzionale.
Ma se il post evidenzia anche come proprio la "modifica" strisciante della Costituzione abbia alimentato sprechi di risorse pubbliche e prestazioni di servizi più costose e inefficienti in nome del "profitto", -e per noi non è una sopresa, anzi-, ciò non significa che questi "sprechi" e "profitti" contrari all'interesse pubblico "costituzionalizzato" (!) implichino che si debba procedere a tagli ulteriori della spesa pubblica.
E' anzi inammissibile che ogni inefficienza CAUSATA PROPRIO DALLA LOGICA UE DIVENGA UN PRETESTO PER...RAFFORZARLA!
E' anzi inammissibile che ogni inefficienza CAUSATA PROPRIO DALLA LOGICA UE DIVENGA UN PRETESTO PER...RAFFORZARLA!
Dice bene Piero Valerio su "tempesta perfetta": "In Europa i tecnocrati e gli oligarchi hanno stabilito dogmaticamente e arbitrariamente che l’emissione della moneta deve essere privata, autonoma, indipendente dalla politica perchè hanno decretato per trattato che la spesa pubblica dello Stato è un male assoluto e i “mercati” sono molto più efficienti nel processo di allocazione delle risorse finanziarie. Ora, senza entrare nel merito della correttezza scientifica ed economica della regola di cui ci sarebbe tanto da discutere, chi giudica se l’applicazione di questa regola sia effettivamente corretta? Chi dice se uno Stato sta usando bene o male la spesa pubblica? Un ente esterno e terzo ai due contendenti? Assolutamente no, ma i “mercati” stessi, che sono la controparte che si è avvantaggiata di più dall’introduzione di quella regola, e il loro metro di giudizio si chiama spread".
Questa felice sintesi impera anche nell'interpretare il fenomeno di "liberalizzazioni e privatizzazioni". Come vedremo, con non trascurabili svantaggi proprio in termini non solo di qualità e costo dei servizi, per i cittadini, ma anche di "efficienza" del sistema, quella che l'affidamento al "libero mercato" dovrebbe promuovere (anche se si tratta essenzialmente di monopoli naturali su cui ci si è stranamente affrettati a far..."volere l'europa"). E ciò nelle parole stesse della Corte dei conti, che, a differenza dei legislatori caotici e frettolosi degli ultimi venti anni, "i conti", (nell'interesse pubblico), li sa fare bene e senza nasconderne la realtà e il significato.
Liberalizzazioni e privatizzazioni sulla spinta di imposizioni comunitarie tese a “realizzare”il libero mercato: alcuni fatti e dati.
1. Cenni al fenomeno delle liberalizzazioni e privatizzazioni.
Il rapporto tra lo Stato e il sistema economico-produttivo è sostanzialmente contenuto in quella che viene definita la Costituzione economica italiana ossia gli articoli 41, 42 e 43.
Per quello che interessa in questa sede deve porsi l’attenzione al terzo comma dell’art. 41 “La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
Proprio sulla base di tale ultima disposizione si è basata la politica economica e industriale italiana dagli anni cinquanta alla fine degli anni settanta del secolo scorso. Si trattava di una politica economica imperniata sul concetto cardine di programmazione economica che poteva avvenire anche attraverso la limitazione o l’eliminazione della libera concorrenza affidando l’esclusività della produzione, in determinati ambiti del sistema economico, allo Stato (monopolio pubblico legale). Ciò anche sulla scorta dell’art. 43 che stabilisce : “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”.
Proprio sulla base di tale ultima disposizione si è basata la politica economica e industriale italiana dagli anni cinquanta alla fine degli anni settanta del secolo scorso. Si trattava di una politica economica imperniata sul concetto cardine di programmazione economica che poteva avvenire anche attraverso la limitazione o l’eliminazione della libera concorrenza affidando l’esclusività della produzione, in determinati ambiti del sistema economico, allo Stato (monopolio pubblico legale). Ciò anche sulla scorta dell’art. 43 che stabilisce : “A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”.
La costituzione, quindi non accenna alla libera concorrenza che comunque, sino agli anni 80, era di fatto limitata da molteplici elementi, tra i quali proprio la sussistenza dei monopoli e dal fatto che l’economia nazionale era un’economia parzialmente chiusa con limiti alla libera circolazione dei capitali e delle merci. La concorrenza non era considerata una forza da incentivare, perché ritenuta una forza destabilizzante, fonte di squilibri e disuguaglianze che andava incanalata in un’ottica di programmazione economica a sostegno dei fini generali.
A partire dagli anni 80 questa impostazione incomincia a subire cambiamenti sulla scorta dei mutamenti legislativi avviati dalla comunità europea che esercita una forte spinta, da una parte, per una liberalizzazione tra le diverse economie nazionali dell’UE e, dall’altro, per una liberalizzazione all’interno dei paesi.
La piena liberalizzazione dei mercati verso l’esterno è avvenuta sulla base di vari atti o accordi comunitari (l’Atto Unico del 1987 basato sul libro bianco del 1985 per il completamente del mercato unico; la Direttiva 88/361/CEE sulla liberalizzazione del mercato dei capitali; il trattato di Maastricht e di Roma; le direttive CEE sulla libertà di accesso e sulle garanzie di pari opportunità delle imprese pubbliche e private nell’ambito del mercato comunitario; la direttiva “Bolkenstein” 2006 che ha affermato la piena libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi).
La liberalizzazione all’interno è stata invece favorita dalle istituzioni europee tramite direttive specifiche per ciascun singolo settore che hanno imposto la liberalizzazione (con l’eliminazione delle imprese pubbliche ex monopoliste) e la privatizzazione totale o parziale delle stesse. A cui si è aggiunta una massiccia politica per la concorrenza che ha vigilato in tema di aiuti di Stato, concentrazioni, abuso di posizione dominante, intese e che sanziona ogni distorsione della libera concorrenza nell’ambito dei servizi di rilevanza economica (ossia pressoché tutti).
Emerge comunque, già da questi pochi assunti, un quadro che confligge in maniera stridente con il testo e lo spirito della Costituzione economica italiana che avrebbe dovuto porre all’attenzione delle istituzioni un serio problema di conflitti tra due fonti normative primarie: da un lato i trattati europei di ispirazioni univocamente e rigidamente liberista, dall’altro la Costituzione italiana che se pure è elastica ed aperta a molteplici soluzioni di politica economica e industriale, è esplicitamente sensibile alla centralità della programmazione.
La prima fonte ha finito per prevaricare sull’altra a tal punto che si è determinata una sorta di neutralizzazione della sostanza della Costituzione economica italiana a favore di un’acritica adesione ai trattati comunitari, senza che siano ancora del tutto chiari gli effetti di questa operazione.
Certo è che la legislazione comunitaria e gli imposti principi del libero mercato hanno avuto un ruolo fondamentale e determinante nel processo delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni, depotenziando fortemente le imprese pubbliche nazionali. Ed hanno portato ad una radicale modifica del sistema economico pubblico interno, in parte, facilitato dalle disposizioni di cui agli artt. 41 e 43 della Cost.
Infatti non vi sono limiti nella tipologia delle attività assumibili, sicché non si dovrà trattare necessariamente di servizi pubblici, fonti di energia o monopoli.
La materia, inoltre, non è soggetta a riserva di legge, per cui vi si può provvedere in via amministrativa.
In tal caso, occorre solo che l'assunzione sia giustificabile per un qualche interesse pubblico, alla pari di ogni altra azione amministrativa (anche se in concreto questa condizione è stata spesso superata autorizzando le assunzioni singolari direttamente con leggi).
Questo stato di cose (utilizzato in maniera distorta dal sistema politico italiano) insieme ai condizionamenti e alle forzature comunitarie, ha portato ad un progressivo cambiamento della forma giuridica dell'impresa pubblica verso assetti più flessibili ed adeguati all'esercizio di attività imprenditoriali ed, in particolare, la trasformazione delle aziende autonome e degli enti di diritto pubblico in società di diritto privato con risultati disastrosi per l’economia nazionale, di cui si forniscono solo alcuni dati e spunti di riflessione.
2. Le società pubbliche.
Le società pubbliche sono uno strumento utilizzato dalle amministrazioni, generalmente, per svolgere compiti istituzionali ad esse affidati per legge e allo scopo dichiarato di:
- voler perseguire una maggior efficienza economica nella gestione di servizi pubblici;
- realizzare opere attraverso l’utilizzo di strumenti privatistici;
- sostenere l’attività di impresa e l’occupazione.
A fronte di tali scopi, senz’altro pregevoli, ciò a cui si è assistito è stato una crescita esponenziale di soggetti di natura privatistica, che difficilmente è avvenuta sulla base di idonei studi preliminari di convenienza economica e di analisi del mercato nel settore di riferimento. Al contrario, senza alcuna indagine preventiva di necessità e opportunità, si è assistito alla costituzione di società o comunque di figure soggettive alternative agli ordinari uffici ed organi dell’ente, per ogni compito amministrativo.
Ma quel che è più grave è che, se pur nell’ottica di realizzare scopi significativi, si è avuta la proliferazione di società operanti sotto il controllo di forze politiche.
Sono queste, infatti, che incidono sui principali aspetti delle società pubbliche ossia:
- la loro costituzione, attraverso l’individuazione di programmi e finalità che vengono tacciati per essere assolutamente necessari alla realizzazione dei fini istituzionali e nell’interesse della collettività, ma che molto spesso rispondono a obiettivi “politici”, stabiliti discrezionalmente dalle istanze di governo;
- la loro gestione,attraverso:
i. nomine dirette di amministratori da parte dei rappresentanti politici che sono al governo (e che a loro volta subiscono le pressioni dei vari livelli territoriali su cui operano o da cui provengono) indipendentemente da qualunque idonea qualifica professionale e senza alcuna delimitazione quanto a cause di incompatibilità e conflitti di interesse;
ii. impegnando risorse pubbliche nell’assunzione di personale senza procedure concorsuali. Infatti, la forma giuridica prescelta sottrae queste imprese al regime legale di determinazione delle piante organiche e delle assunzioni mediante pubblico concorso, spostando di fatto il gioco clientelare delle assunzioni su questi soggetti.
iii. impegnando ulteriori risorse per acquisizione di beni e servizi spesso eludendo e aggirando le procedure pubblicistiche di derivazione europea nella contrattazione relativa agli appalti.
Ovviamente, tutto questo è stato possibile anche per il fatto che a livello legislativo è mancata la delineazione di principi fondanti, di finalità che fossero riconosciute meritevoli di essere realizzate attraverso la forma societaria, di modalità sia preventive che successive di verifica sull’operatività, la economicità e la convenienza di tali soggetti.
E’ mancato un sistema di controllo effettivo sugli atti di spesa, così di verifica\controllo della cessione\riacquisto delle partecipazioni rispetto a soci privati (si pensi all’abolizione generalizzata su tutta la p.a., del controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti sugli atti di gara per pubblici appalti).
A ciò deve aggiungersi che la proliferazione del fenomeno ha trovato ampi margini di manovra anche per l’irrompere delle nuove competenze legislative esclusive delle regioni che si sono servite dell’istituto societario allo scopo di voler sostenere la politica economica di asserito sostegno al “privato”.
Anche gli interventi legislativi, lontani dall’affrontare il problema in maniera sistematica e strutturale, si sono nascosti dietro diversi espedienti (prima la necessità di ristabilire equilibri concorrenziali, poi di ridurre la spesa pubblica) per apportare tagli in modo lineare, soprattutto a Regioni e enti locali che, lungi dal rivedere in termini di efficienza le proprie strutture societarie, hanno finito per tagliare i servizi spesso indispensabili per la collettività.
Le dimensioni del problema, acuite dalla sostanziale sottrazione alla concorrenza dell’attività di una parte di queste società, sono piuttosto oscure, in assenza di una trasparente ricognizione dei dati relativi a bilanci, profitti, ricapitalizzazioni in corso di attività e redditività degli investimenti.
L’entità delle dimensioni si percepisce soltanto dalle ricadute in termini di spesa pubblica dall’entità e disomogeneità degli interventi normativi nel settore; da ultimo le recenti norme sulla spending review che vanno ad interessare le società pubbliche, anche se è troppo presto per comprendere se gli interventi previsti saranno adeguati alla necessità di ripristino di situazioni di legalità, economicità ed efficienza di cui ci sarebbe bisogno.
3. Alcuni dati numerici sull'entità del fenomeno.
Rinvenire dati esaurienti sul numero e la tipologia delle società pubbliche e sullo stato di salute economico-finanziario delle stesse per riuscire quantomeno a comprendere se le amministrazioni sono riuscite a perseguire gli scopi di pubblica utilità che si erano prefissate con la loro costituzione, non è cosa agevole.
In base all'articolo 1 della Legge n. 296 del 27 dicembre 2006 (“Operazione Trasparenza”) le Amministrazioni devono comunicare al Dipartimento della Funzione Pubblica le partecipazioni in consorzi e società partecipate.
Accedendo al sito www.consoc.it–per l’anno 2011 si rinviene un file in excel(http://www.perlapa.gov.it/web/guest/partecip2011) che dovrebbe contenere le partecipazioni delle pubbliche amministrazioni in consorzi e società partecipate.
Accedendo al sito www.consoc.it–per l’anno 2011 si rinviene un file in excel(http://www.perlapa.gov.it/web/guest/partecip2011) che dovrebbe contenere le partecipazioni delle pubbliche amministrazioni in consorzi e società partecipate.
Da questo documento le partecipazioni in consorzi/società/fondazioni (non quindi il numero di società) ammonterebbero a 39.357. E si tratta comunque di dati relativi poiché la ricognizione è su base volontaria.
L’area di attività prevalente per le società sempre in perdita è quella dei servizi diversi dai servizi pubblici locali (con il 63,32% delle società sempre in perdita).
Nell’area dei servizi pubblici locali, il settore che mostra la percentuale più elevata di società in perdita è quello dei trasporti, seguito dal settore dell’ambiente – rifiuti. La Corte conferma che la costituzione e la partecipazione in società da parte degli enti locali risulta essere spesso utilizzata quale strumento per forzare le regole poste a tutela della concorrenza e sovente finalizzato ad eludere i vincoli di finanza pubblica imposti agli enti locali.
Ma anche il precedente documento n. 237 del 27.5.2011 della Camera dei deputati (http://documenti.camera.it/leg16/dossier/testi/bi0409.htm#_ftnref2), richiamando una ricerca dell’Assonime, parla di 5000 società a partecipazione pubblica.
Anche l’ANCI ha estratto dal sistema informativo del registro delle imprese i dati di tutte le imprese tra i cui soci al 31 dicembre 2010 figurava almeno un Comune.
Il risultato dell’estrazione ha dato 4.206 imprese (che si ribadisce sono solo comunali). Dall’esame dei bilanci depositati, inoltre, l’ANCI ha ricavato i seguenti dati: Valore della produzione complessivo 24.893.483.916, Costi del personale 7.254.217.511, Utile totale delle società in utile 824.662.289, Perdite totali delle società in perdita -581.216.033.
Un recente articolo pubblicato sul Corriere della Sera dell’8.10.12 (http://www.corriere.it/politica/12_ottobre_08/quelle-societa-in-rosso-finanziate-da-regioni-antonella-baccaro_83723228-110b-11e2-b61f-b7b290547c92.shtml) richiamando una relazione di agosto della Corte dei Conti, pubblicava dati ancora diversi in base ai quali risulterebbero censiti 394 organismi partecipati di proprietà delle Regioni e per questi le perdite ammonterebbero a 92 milioni di euro solo per le partecipate al 100% delle regioni a fronte di 780 mil versati a titolo di contributo in conto esercizio e corrispettivi (solo per avere dati di confronto numerici si ricorda che soltanto l’ultima manovra finanziaria ammontava a circa 10 milioni di euro).
Vista l’impossibilità di avere dati omogenei e certi con riferimento a tutto il territorio nazionale (e questo è già indicativo di una ingiustificata distorsione del sistema), i dati parziali su emersi servono comunque a comprendere l’entità del fenomeno in termini economici, a cui si aggiungono ulteriori e inammissibili alterazioni del sistema pubblico con riferimento al regime di concorrenza, alle assunzioni del personale, alle nomine degli amministratori ecc..
4. Considerazioni critiche conclusive.
Che il fenomeno societario si sia rivelato un autentico disastro per l’economia del paese non lo dice solo la scrivente, ma si rinviene in atti e documenti ufficiali che provengono anche dalle più alte cariche dello Stato.
Ad esempio il Documento della Camera dei Deputati n. 237 del 27.05.11 riporta: “Recentemente, il legislatore è poi intervenuto ulteriormente sul fenomeno della proliferazione delle società a partecipazione locale, con l’intento di rimediare alle distorsioni di cui tale fenomeno è foriero: distorsione della concorrenza ed aggiramento dei vincoli di finanza pubblica in capo agli enti territoriali” (http://documenti.camera.it/leg16/dossier/testi/bi0409.htm), ed il doc. 337 del 4.4.12 ha aggiunto che “A tale fenomeno distorsivo il legislatore ha ritenuto di dover porre rimedio attraverso l’adozione di specifici divieti alla costituzione e al mantenimento di società”
Nel discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario 2012 (http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/documenti_procura/friuli_venezia_giulia/relazione_perlx_inaugurazione_dellxanno_giudiziario_2012.pdf) il Procuratore Regionale della Corte dei Conti per il Friuli Venezia Giulia-Trieste ha dichiarato: “E’ quindi da chiedersi se il ricorso allo strumento delle società per azioni fornisca strumenti sufficienti e soprattutto adeguati ai bisogni propri del sistema pubblico, dove l’obiettivo principale non è il profitto, ma, al contrario, il conseguimento dell’efficienza e dell’economicità dell’attività.
Proprio in un periodo, in cui, come quello attuale, la situazione finanziaria ed economica sfavorevole rende drammaticamente indispensabili comportamenti gestori che assicurino ai cittadini i servizi necessari senza il pericolo di sprecare risorse, ormai limitate e, quindi, molto preziose, sembra proprio che il modello societario rappresenti per i contribuenti più un pericolo che un’opportunità” .
Ed aggiunge, mettendo in risalto una delle più importanti anomalie del sistema delle società pubbliche che “Lo strumento societario, che è previsto nel diritto civile come naturalmente preordinato a finalità di lucro, e che come tale risulta non sempre perfettamente aderente alle esigenze del sistema pubblicistico, comporta, laddove finanziato con capitale pubblico, l’ulteriore anomalia della non coincidenza della figura del socio finanziatore (i contribuenti) con quella del socio titolare dei diritti di partecipazione sociale (la pubblica amministrazione partecipante). In buona sostanza mentre nel caso del privato investitore la decisione di assumere il “rischio” di una partecipazione è diretta, nel caso delle partecipazioni pubbliche il contribuente finanziatore paga i tributi per avere servizi, scontando poi le conseguenze di decisioni di partecipazione societaria assunte, talvolta avventatamente, dai singoli enti”.
Ed ancora “Non possiamo esimerci dall’evidenziare che attraverso le società create dagli enti locali e dalla Regione possono verificarsi situazioni di dilapidazione del denaro pubblico, soprattutto quando i servizi, per i quali sono state create e giustificate, non vengono resi o vengono resi in maniera insufficiente e costosa. Una recente sentenza (n. 402/2011) della Sezione Prima Centrale di Appello della Corte dei Conti ha condannato gli amministratori di un comune e di una società controllata per la costituzione e la gestione antieconomica di una partecipata. Contrariamente a quanto affermato nello statuto e negli atti costitutivi, la società non sarebbe stata utilizzata per rendere più efficienti ed economici i servizi dell’ente locale, ma per perseguire scopi occupazionali…L’utilizzo di strumenti, di per sé legittimi, quali le partecipate, al solo scopo di eludere i vincoli di finanza pubblica e le regole di contenimento della spesa, costituiscono un comportamento gravemente colposo se non addirittura doloso che è produttivo di danni erariali e coinvolge la responsabilità degli amministratori locali e regionali da verificare nel giudizio davanti alla Corte dei Conti…
Difatti alcune inchieste di questa Procura hanno riguardato situazioni di turbative di aste pubbliche, di utilizzo indebito di finanziamenti pubblici, se non addirittura di appropriazione di denaro pubblico. I fatti accertati potrebbero essere solo la punta emersa di un grosso iceberg…La mancanza di effettivi controlli sia nelle procedure di scelta dei soggetti privati, cui affidare le forniture di servizi o gli appalti pubblici sia nelle fasi successive di esecuzione dei contratti di servizi e di lavori costituiscono situazioni di pericolo, in cui possono insinuarsi scambi di favori o dazioni di denaro”.
Proprio in un periodo, in cui, come quello attuale, la situazione finanziaria ed economica sfavorevole rende drammaticamente indispensabili comportamenti gestori che assicurino ai cittadini i servizi necessari senza il pericolo di sprecare risorse, ormai limitate e, quindi, molto preziose, sembra proprio che il modello societario rappresenti per i contribuenti più un pericolo che un’opportunità” .
Ed aggiunge, mettendo in risalto una delle più importanti anomalie del sistema delle società pubbliche che “Lo strumento societario, che è previsto nel diritto civile come naturalmente preordinato a finalità di lucro, e che come tale risulta non sempre perfettamente aderente alle esigenze del sistema pubblicistico, comporta, laddove finanziato con capitale pubblico, l’ulteriore anomalia della non coincidenza della figura del socio finanziatore (i contribuenti) con quella del socio titolare dei diritti di partecipazione sociale (la pubblica amministrazione partecipante). In buona sostanza mentre nel caso del privato investitore la decisione di assumere il “rischio” di una partecipazione è diretta, nel caso delle partecipazioni pubbliche il contribuente finanziatore paga i tributi per avere servizi, scontando poi le conseguenze di decisioni di partecipazione societaria assunte, talvolta avventatamente, dai singoli enti”.
Ed ancora “Non possiamo esimerci dall’evidenziare che attraverso le società create dagli enti locali e dalla Regione possono verificarsi situazioni di dilapidazione del denaro pubblico, soprattutto quando i servizi, per i quali sono state create e giustificate, non vengono resi o vengono resi in maniera insufficiente e costosa. Una recente sentenza (n. 402/2011) della Sezione Prima Centrale di Appello della Corte dei Conti ha condannato gli amministratori di un comune e di una società controllata per la costituzione e la gestione antieconomica di una partecipata. Contrariamente a quanto affermato nello statuto e negli atti costitutivi, la società non sarebbe stata utilizzata per rendere più efficienti ed economici i servizi dell’ente locale, ma per perseguire scopi occupazionali…L’utilizzo di strumenti, di per sé legittimi, quali le partecipate, al solo scopo di eludere i vincoli di finanza pubblica e le regole di contenimento della spesa, costituiscono un comportamento gravemente colposo se non addirittura doloso che è produttivo di danni erariali e coinvolge la responsabilità degli amministratori locali e regionali da verificare nel giudizio davanti alla Corte dei Conti…
Difatti alcune inchieste di questa Procura hanno riguardato situazioni di turbative di aste pubbliche, di utilizzo indebito di finanziamenti pubblici, se non addirittura di appropriazione di denaro pubblico. I fatti accertati potrebbero essere solo la punta emersa di un grosso iceberg…La mancanza di effettivi controlli sia nelle procedure di scelta dei soggetti privati, cui affidare le forniture di servizi o gli appalti pubblici sia nelle fasi successive di esecuzione dei contratti di servizi e di lavori costituiscono situazioni di pericolo, in cui possono insinuarsi scambi di favori o dazioni di denaro”.
Sconcertanti, poi sono anche i dati giudiziali che emergono dal discorso. Il Procuratore (e si evidenzia che i dati riguardano il solo territorio del Friuli) riferisce che “Le citazioni emesse nel 2011 contengono richieste di risarcimento danni per un importo complessivo di euro 10.372.902,05…Deve essere, comunque, osservato che, a seguito degli atti istruttori e degli inviti a dedurre formulati da questa Procura Regionale, sono state recuperate somme per un importo complessivo di euro 11.701,24” .
La sintesi su riportata sulle società pubbliche induce ad un atteggiamento assolutamente critico nei confronti di questo fenomeno che ha determinato enormi perdite per la finanza pubblica ma che soprattutto induce a forme di avversione e repulsione per un sistema che palesemente favorisce clientelismi, favoritismi, compravendita di voti politici e quant’altro.
Nonostante il legislatore si sia avveduto della gravità del fenomeno e abbia tentato di porre rimedio stabilendo anche limiti alla costituzione di nuove società e alla dismissione di alcune di esse si è ancora ben lontani dal raggiungimento di risultati soddisfacenti.
Invero anche le nuove disposizioni introducono importanti deroghe che confermano la volontà del legislatore di mantenere in vita il modello della società a partecipazione pubblica strumentale, quando invece negli ultimi tempi (v. Rapporto Assonime, ma anche il Rapporto CER) alcune riflessioni avevano auspicato il superamento della forma societaria per il ritorno a modelli pubblicistici coerenti con la natura delle attività svolte[1] oppure avevano suggerito sistemi di risanamento rimasti inascoltati (rapporto dell’OCSE sulla governante delle State Owned Enterprises - SOE[2]).
Così come il legislatore non ha previsto meccanismi preventivi per la valutazione della convenienza e dell’opportunità di costituire società, non ha previsto la ricognizione di quelle già costituite al fine di verificarne la convenienza; non sono state introdotte norme che predeterminino i requisiti di nomina degli amministratori; non sono stati introdotti i controlli preventivi di legittimità della Corte dei conti sugli atti ed in particolare su quelli di avvio della contrattazione relativa agli appalti per tutti i soggetti tenuti all’osservanza delle regole dell’evidenza pubblica, inclusi quelli societari.
In conclusione, anche l’ultima riforma, per la necessità di ridurre la spesa pubblica sulla spinta di propulsioni europeiste e pressioni comunitarie (ancora una volta), sembra aver perso un’altra occasione per rivedere un impianto in cui principi e norme pubblicistiche e privatistiche convivono in un connubio improbabile e per questo difficilmente gestibile, ma che per converso si presta a facili elusioni, distorsioni, giochi di potere e clientelismi che hanno quale unica conseguenza lo sperpero di ingenti risorse economiche pubbliche e il disfacimento del sistema dei servizi pubblici in danno della collettività.
[1] http://archive.forumpa.it/forumpa2006/convegni/relazioni/1347_giuseppe_labarile/1347_giuseppe_labarile.pdf
[2]Cfr. OECD, Corporate Governance of State-Owned Enterprises – A survey of OECD Countries, 2005, dove sisottolinea, nelleannotazioni al Cap. 1 “Ensuring an Effective legal and Regulatory Framework for State-OwnedEnterprises”, che “When streamlining the legal form of State-Owned Enterprises, governments should base themselves as much as possible on corporate law and avoid creating a specific legal form when this is not absolutely necessary for the objectives of the enterprise”.
Bravo vedo che riconosci la funzione sociale svolta dal genere femminile...
RispondiEliminaBellissimo post di Sofia:), l'argomento Privatizzazioni è un mio pallino sono anni che soffro per le privatizzazioni scellerate e colpevoli dell'IRI per ora vi ringrazio e vi lascio questo dedica della Corte dei Conti riguardo il regalo di Prodi:
Con un documento pubblicato il 10 febbraio 2010[12], ormai ultimata la stagione delle privatizzazioni che prese il via quasi 20 anni prima, la Corte dei Conti ha reso pubblico uno studio nel quale elabora la propria analisi sull'efficacia dei provvedimenti adottati. Il giudizio, che rimane neutrale, segnala sì un recupero di redditività da parte delle aziende passate sotto il controllo privato; un recupero che, tuttavia, non è dovuto alla ricerca di maggiore efficienza quanto piuttosto all'incremento delle tariffe di energia, autostrade, banche, etc ben al di sopra dei livelli di altri paesi Europei. A questo aumento, inoltre, non avrebbe fatto seguito alcun progetto di investimento volto a migliorare i servizi offerti.[13] Più secco è invece il giudizio sulle procedure di privatizzazione, che:
« evidenzia una serie di importanti criticità, che vanno dall'elevato livello dei costi sostenuti e dal loro incerto monitoraggio, alla scarsa trasparenza connaturata ad alcune delle procedure utilizzate in una serie di operazioni, dalla scarsa chiarezza del quadro della ripartizione delle responsabilità fra amministrazione, contractors ed organismi di consulenza al non sempre immediato impiego dei proventi nella riduzione del debito[14] »
Diamine Sandrina, mi hai visto sempre e quasi soltanto circondato da "genere femminile" è dubiti che ne riconosca la "funzione sociale"? Mi fai torto: le donne sono i miei "migliori amici" :-) e in esse ripongo grandi (e sempre più fondate) speranze
EliminaMa dai che scherzavo, era per ribadire il concetto (hai fatto un'elogio della donna:), solo che mi sono dimenticata lo smile:)
RispondiEliminaSempre? Una volta ti ho visto:) mo' non millantare dati scientifici a tuo vantaggioo:))))
L'incipit col "diamine" era chiaramente scherzoso e pure il "sempre" ("iperbole ironica", cioè implicante l'inverso per allusione manifesta). Ma che il "dato" sia a mio "vantaggio" lo dici tu. E poi non millanto, non ne ho bisogno di certo, se non altro perchè non ha le implicazioni che gli conferisci tu :-) :-) (ce ne metto due altrimenti lo prendi come un addebito di incomprensione, ari:-)...) Le mie amiche sono veramente amiche...
EliminaTi ricordo che questa querelle è sorta perchè volevo ringraziarti del tuo tributo alle donne:))):))) e beccate 'sti smile:)))
EliminaSandrina, tra uno smile e l'altro, tienti pronta alla sustained action, che altrimenti ci..."distraiamo" :-) :-)
EliminaManco la convalescenza mi fai vivere serenamente:) nazista tetesco :)) ti dico soltano che le pressioni stile bce con me non fungono:)
EliminaSustained action c'est moi:)
Allora siamo in due...in convalescenza (me tocca lavorà pure col febbrone se no la deflazione salariale e la flessibilità mi mettono sotto l'occhio arcigno dei professori piddini che discettano di produttività...degli altri (la loro, "universitaria", non esattamente "massacrante" non la misura mai nessuno)
EliminaIl mondo è pieno di piddini che giudicano senza capire, se cominciassero a produrre invece di parlare di produttività degli altri non avrebbero tanto tempo per fare danni ...Pure te sei malato? E perchè non ti bevi un succo d'agrumi e ti riposi? (poi te trattano da piig di la verità?)
EliminaMoi dopo una vita da tetesca da grande voglio fare la pigra:)Prima però dobbiamo salvare l'Italia:)
Complimenti a Sofia per la sua relazione, sintetica ma molto efficace e chiara. Se mi è concesso, noi siamo i soci finanziatori di queste società, senza voce in capitolo, e l'unico vantaggio che abbiamo avuto ( invece degli utili in qualità di azionisti) sono stati gli aumenti delle tariffe a l'abbassamento della qualità dei servizi erogati. Anche qui nel Veneto, per quanto concerne la Sanità, stanno proliferando i cosiddetti project financing, con le conseguenze di riduzione di posti letto, sovraccarico di lavoro per il personale medico e paramedico ridotto,aumento dei costi ( per pagare i privati) aumento esponenziale degli errori; tant'è che nelle strutture sanitarie girano agenti assicurativi che sollecitano gli operatori a coprirsi con polizze per eventuali danni arrecati ai pazienti. Insomma nell'europa della libera concorrenza ormai è vietato anche ammalarsi.
RispondiEliminaSì ed è esattamente la "soluzione finale", di liquidazione della Costituzione democratica, a cui miravano fin da Maastricht.
EliminaIl punto è: cosa siamo disposti a fare per "reagire" e quindi per il ripristino della legalità costituzionale? (non è solo per te, ovviamente: già il fatto che qualcuno intervenga qui è segno di un "impegno" alla consapevolezza :-))
Bisognerebbe tornare a modelli giuridici che i nostri avi avevano già ideato, come le aziende speciali che, pur agendo con modalità privatistiche, conservano natura di ente pubblico come il Consiglio di Stato mi pare abbia più o meno recentemente stabilito.
RispondiEliminaBravo! Questa è una delle chiavi di volta del recupero dell'interesse generale nella gestione della "cosa pubblica". Ma come fare a farlo capire alla massa urlante dei "debitopubblico.castacorruzione.spesapubblicaimproduttiva.brutti"?
EliminaThat is the question! To be or...not to be in a real democracy...:-)
Se vuoi scrivere un post di commento, "contestualizzato" all'analisi economica qui accolta, della decisione del CdS, sei benvenuto. Basta inviarlo a Sil-viar alla mail (per ora) sil-viar@virgilio.it
Anche io formulo i complimenti più vivi per questa interessante (e veritiera) analisi, della cui veridicità anche l'uomo della strada -senza particolare cultura- può rendersi conto leggendo i giornali sullo scandalo delle assunzioni all'ATAC di Roma. L'azienda, mentre assorbiva (tra parenti e amici di Tizio o Caio), personale non voluto senza alcuna prodecura di concorso, lasciava infatti il 30 per cento degli autobus in deposito per carenze manutentive. Miracolo della privatizzazione!
RispondiEliminaPer quanto attiene, nello specifico, alle gare della pubblica amministrazione, mi permetto di segnalare un ulteriore e specifico punto di approfondimento nel cosiddetto fenomeno dell'"in house providing", anch'esso figlio dell'Europa (e in particolare della giurisprudenza della corte di Giustizia), e che ha dato luogo alla creazione di società "spurie", interamente partecipate dall Stato, che dovrebbero gestire gli approvvigionamenti della P.A.. Enti di diritto privato, che -tuttavia- non devono distinguersi da un'articolazione pubblica! Un esempio su tutti: la tanto chiacchierata CONSIP.
Mi domando oggettivamente il perché queste funzioni non possano essere esercitate dai centri di responsabilità amministrativa degli enti pubblici........
Per via delle assunzioni di personale fino a ieri effettuabili senza particolari problemi e oggi assoggettate a una pallida logica selettiva che, comunque tende a sfuggire ai limiti del turn-over, come evidenzia la Corte dei conti...e per via degli appalti molto meno controllati dei già poco controllati appalti delle p.a. in senso formale
EliminaCara Sofia e caro 48, la mia età mi rende un testimone oculare del fenomeno che descrivete.
RispondiEliminaA partire dagli anni ’80 in Italia il vento ha cominciato a girare e tutti, chi più ci meno, chi prima chi dopo, mi sembra si siano messi a veleggiare in un’unica direzione.
Il trattato di Maastricht sancisce storicamente questo passaggio, che prima che giuridico era però stato politico e culturale. Mi sbaglio?
Se la fiducia cieca nel libero mercato come strumento ultimo di regolazione delle vicende umane (tutte) è una cornice dalla quale dobbiamo liberarci, per farlo credo sia necessario anche un’analisi condivisa di come questa egemonia culturale liberista sia maturata nel tempo.
Una visione di classe suggerirebbe che l’ideologia di un epoca corrisponde a quella delle sue classi dominanti. L’affermarsi del Washington Consensus come esito di uno scontro con vinti e vincitore mi sembra un’ipotesi plausibile, no? Il famoso esaurirsi delle spinte propulsive…
Ciò nonostante credo che sia interessante anche capire come delle idee, diciamo top-down, tendano poi a riverberare con grande efficacia un po’ a tutte le altezze della piramide sociale.
Le modalità con cui pezzo a pezzo è stato smontato lo Stato Italiano (e poi lasciato un pezzo qui e là sul pavimento dell’officina…) è ormai noto. Sul perché ampi settori sociali e politici si siano prestati a questo gioco possiamo fare molte ipotesi. Ma c’è anche un altro punto su cui io mi interrogo da tempo e mi piacerebbe capire come la pensiate.
Gli anni ‘80 si aprono con la marcia dei 40.000 ma anche con la diffusa consapevolezza dell’inefficienza che caratterizza l’intervento dello Stato e che non può più essere esclusivamente attribuita ai 40 anni di mal governo democristiano (avete presente il pezzo di Ecce Bombo in cui si ironizza su questo luogocomunismo antelitteram?). L’Italia stava diventando la 5° potenza economica mondiale. Io studiavo in un Liceo che cadeva a pezzi con dei programmi formativi “risorgimentali” ed un personale docente di pessima qualità e nessuna motivazione. Il livello delle infrastrutture italiane, a tutti i livelli, era già pessimo se confrontato ad altri paesi europei con PIL analoghi (ad eccezione delle autrostrade). A fronte di un intervento dello Stato nell’economia in molti settori economici, per qualunque cosa, che fosse lo sport o la casa, i sussidi di disoccupazione o il credito, i cittadini italiani, diversamente dagli altri cugini europei del nord, erano "individui" senza nessun aiuto efficace da parte dello Stato. Mi ricordo bene di quale fosse già all’epoca la crisi di legittimità di magistratura, carceri, polizia, esercito. La macchina dello stato era già GUASTA quando fu portata nell’officina di cui sopra (dove è certo gli sia stato assestato il colpo di grazia).
Ad un certo punto si è fatta strada l’idea che il guasto fosse da ricercare proprio nella Costituzione ed ai superati equilibri politici che l’avevano partorita:fuori definitivamente dalla Repubblica le esauste idee anticapitaliste di comunisti e cattolici. L’argomento più potente era: è roba vecchia che non funziona più. E’ da allora che si parla di riforme strutturali, ovvero quel modo di esprimersi per cui si parla a nuora perché suocera intenda. Si dice riforma strutturale per non dire nuova costituzione su nuove basi e valori. Meno Stato e dunque meno Costituzione. Non mi sembra di ricordare che castabruttocorruzione, debitopubblicobrutto e spesapubblicaimproduttiva siano categorie del pensiero degli ultimi anni “Neuropeisti”. Condivido che gli strumenti del "più Europa" abbiano determinato l’amplificazione del problema (un nesso di causalità negativa, dunque). Ma da giuristi ed esperti dell’amministrazione, lo Stato dell’epoca pre UE non faceva già acqua da tutte le parti? E se sì, perché?
Concordo su "Ecce Bombo" :-). Concordo sullo "smantellamento". E pure sulla connessione tra questo e la crisi del "socialismo reale", che ha consentito la revanche. Ma "tutto" HA INIZIO coll'adesione allo SME e col connesso "divorzio" Bankitalia-tesoro. Il libro di Bagnai "Il tramonto dell'euro" e il vlaro di goofynomics sono fondamentali per capire questo aspetto, dati alla mano e senza l'incertezza delle retrospettive in chiave socio-politica. Sempicemente, la redistribuzione, consentita dai tassi reali "negativi" precedenti ha iniziato a "pesare" insopportabilmente sul capitalismo, che senza più timore di dover bilanciare i carri armati russi (in smobilitazione per implosione interna alla "cortina") ha pensato di riguadagnare il terreno perduto a partire dal new deal roosveltiano.
EliminaE ciò ha fatto controllando i media (scrupolosamente e ben prima di B.)e creando progressivamente una "mistica" ormai indubitabile nella mente del cittadino comune: statobrutto-spesapubblicaimprodduttiva...fino ai "pogrom" anti-stato attuali e al governo "diretto" delle oligarchie.
E ciò richiedeva la critica "a prescindere"- da fondate e razionali ragioni economiche (accuratamente falsificate dai media) - alle Costituzioni democratiche e "sociali" (nel nord europa peraltro il welfare non è vero che sia mai stato più debole che da noi: erano solo in anticipo su politiche deflattive, e sulla logica "mercantilista".
Ma su questo ti possono aiutare le letture citate sopra e i post di questo stesso blog).
Parto da un assunto: la responsabilità personale.
RispondiEliminaCiò che si evince dall'articolo è propriamente tale assenza.
Pur restando fermi i ns principi costituzionali, quali fondanti del ns stato di diritto, rimane centrale la figura etico-culturale della responsabilità nell'assunzione di ruoli di determinazione sociale. Per chiarirci: la nascente Repubblica Italiana basava le sue necessità sulla ricostruzione post bellica, perseguendo politiche di rilancio attraverso l'espansione (principalmente) del settore pubblico, pertanto nell'ottica di un disegno di riedificazione del costrutto sociale su basi di più ampio respiro ed integrazione geopolitica occidentale, veniva assecondata dal potere (finanziario e militare) internazionale..dominante. Passata la sbornia della spesa pubblica, ossia il rilancio industriale del sotto strato (incredibilmente, efficientemente, eccellentemente, originalmente) manifatturiero ed intellettuale del paese, si è perseguiti il secondo step dell'integrazione occidentale: l'egemonia continentale eurocentrica nordeuropea.
In altro scritto ho sostenuto la centralità del pensiero politico tedesco, ciò non toglie che qui non si tratti di etnie o nazionalismi o altro di similare od assimilabile (a mio avviso). Piuttosto la centralità si situa in quell'area grigia della tecnocrazia auto-celebrativa dell'efficienza "astratta", ossia priva di reali connessioni con le esigenze del viver comune. A partire dagli anni '80 (come superbamente dimostrano, a mio giudizio, le pellicole cinematografiche di "fantozziana" reminiscenza) la deriva della corruttela politica ha assunto contorni emblematici. Contorni che, grazie alle ampie maglie "discrezionali" della nascente e pervasiva legislazione europea, hanno permesso il costituirsi di entità ibride rispetto al mercato: Le municipalizzate.
Maglie discrezionali ed entità ibride.. che hanno concesso ampio spazio all'opportunismo dei singoli individui, dietro il paravento di "movimenti" politici di varia natura come di consolidata espressione popolare. Grazie al collaudato sistema della "clientela" si sono sviluppati ed articolati meccanismi di drenaggio della ricchezza reale verso lo spreco istituzionale. Elemento cardine della diatriba tra pubblico e privato. Favorendo la divinizzata efficienza del secondo in nome della presunta inefficienza del primo. Quando il tutto, altrimenti, potrebbe spiegarsi nell'assoluta dissoluzione dell'arroganza, supponenza ed ingordigia umana.
Tralasciando, però, grandezze di ordine filosofico.. l'accento sul proliferare delle entità miste societarie lo ritengo sacrosanto ed ineludibile. E' nello spreco, ossia nel sistema parassitario che la credibilità italiana si è giocata il suo gettone di soggetto affidabile agli occhi dell'opinione comune. E, ferma restando la riluttanza ad accettare il dickat europeo e l'euro quale gestore della ns diligenza ed intelligenza emotiva, l'opinabilità della coscienza critica del singolo rispetto alle sue effettive possibilità di riscatto individuale e collettivo resta, per mia pessimistica opinione, relativamente alta (o bassa, a seconda dei punti di vista interpretativi).
Un saluto,
Elmoamf
P.S.: So' di espormi, in quanto non tecnico e ci tengo ad affermarlo, a facili controversie. Non di meno ritengo che la centralità del comportamento umano sia l'origine ed il principe dei sistemi di organizzazione sociale. Se ci si distoglie da tale centralità astraendo in teorie o sistemi o funzioni o statistiche (pur valide e pertinenti) ci si allontana, a mio strettissimo avviso, dal cardine stesso, confondendo l'astrazione teorica con la realtà stessa, fatta spesso di puro e semplice spiro di adattamento, che nel caso dell'odierna unione "pseudo monetaria" continentale oserei definire regressivo, giusto per mia umile conclusione.
Elmo,
Eliminaquelo che dici è un pò..."schematico".
La corruzione è un elemento insopprimibile della correlazione impresa-Stato. Ovunque nel mondo. Quindi non è che manchi o sia mancato in altri paesi. E trlasciamo le "classifiche" OCSE o altro in materia: lasciano il tempo che trovano (fondandosi spesso su "corruzione percepita" cioè su un condizionamento mediatico che non aiuta a fare COMPARAZIONI ATTENDIBILI TRA DIVERSE REALTA').
Quello che si è verificato in Italia, è che la "cronaca" (MEDIATICA) della corruzione sia stata sfruttata come occasione istituzionalizzata per costruire un sistema che la legalizzi!!!
Ciò agendo sul clamore mediatico suscitato ad arte da coloro che volevano assicurarsi il bottino della ricchezza pubblica senza essere veramente disturbati.
NOn dobbiamo colpevolizzarci per un presunto "tasso di corruzione" anomalo rispetto a presunti paesi "civili".
E', in definitiva, anche qui, un problema di assetti di potere: dove l'oligarchia finanziaria detta le "leggi" (dello Stato), espropriando la democrazia, le autorità non possono perseguire (perchè la legge, ad hoc, copre il comportamento affaristico)
Piuttosto, le stesse autorità si trovano a essere inibite a colpire i "veri" grandi operatori della depredazione perchè questi siedono direttamente al posto di comando e controllano le istituzioni (di fatto e anche formalmente).
Questo schema nel nord europa si è affermato prima: ora lo stanno esportando da noi a tappe forzate a partire da Maastricht.
Se leggi con attenzione il post "la corruzzzione, il fogno e lo strano caso del doctor Petiot" ti parrà più chiaro come.
Anche il fenomeno delle soc. pubbliche rientra in questo "disegno" e i "batman" sono solo i più sprovveduti epifenomeni del grande patto tra politica e "affari-finanziari" che si riassume nel "lovuolel'europa"...
Perdonami Quarantotto,
EliminaProbabilmente nella mio essere criptico, non si è sufficientemente evidenziato lo stesso fattore da te ripreso. Ossia che la corruzione è umana e quella stessa corruzione viene cavalcata da chi, alle più alte leve, può trarne ancor maggior vantaggio. Nella mia disamina (semplicistica ne convengo) le radici di una certa fortificazione del potere risalgono ben prima degli anni ottanta e ben oltre il trattato di Roma. Sono fermamente convinto (e per questo condannabile alla stregua di un Toto nel "Medico dei Pazzi") che l'entità Europa sia stata pianificata in modo certosino e che nulla sia frutto del caso. Così come la corruttela dovuta a certi sistemi ibridi imposti o volutamente avallati. D'altronde, nell'anno della mia maturità scolastica, si vaneggiava di internazionalizzazione bancaria e di apertura all'Europa. L'Italia dovette adeguarsi pena espulsione dal sistema. E questo perché? Poiché la solidità della coscienza e conoscenza umana rasenta spesso il ridicolo. Mi scuso della terminologia poco consona. Tant'è! Le Istituzioni le creano gli uomini e da quelle ne traggono forza e potere o più auspicabilmente coerenza ed autorevolezza. Il mio era un accento volto alle seconde peculiarità che tali purtroppo rimangono, rispetto alla soverchia delle prime.
Ciò che scrivi, perdonami ancora, non fa che riaffermare il mio stesso concetto: Sono gli Uomini a creare le istituzioni e non le istituzioni a creare gli Uomini. E se questi ultimi ne divengono vittime e poi carnefici, giustamente non si può additare l'istituzione come colpevole. Quindi, rigetto tutti coloro che additano lo Stato come colpevole della miseria umana come tutti coloro che esaltano il liberalismo come panacea di tutti i mali. Rigetto, altresì, la tesi che contrappone la libera imprenditoria alle pubbliche finalità definite socialdemocratiche. Rigetto ogni presa di posizione di parte che per sua tesi escluda l'esistenza di una controparte. La soluzione giace nel condividere, cosa che, da svariati punti di analisi, risulta effimera ed utopica..ma che pur sempre rimane (per me) l'unica sostanziale. L'uomo è cardine della sua disciplina e non vi sono sistemi che tengano se al contempo non è l'uomo a sostenerli.
Mi rendo conto di esser giunto fuori dai margini!
Me ne scuso.
Un saluto, questa volta con il mio appellativo completo,
Elmoamf Massimo Paglia
Scusami ancora Quarantotto,
Eliminaad integrazione di quanto personalmente espresso, rimando ad un odierno intervento su Vocidallestero mi in relazione al seguente articolo:
http://vocidallestero.blogspot.it/2012/12/roger-bootle-sul-telegraph-leuro-non-ha.html#comment-form
Giusto per intenderci sul ruolo che si gioca sui mercati internazionali. Poiché la "nomea" assunta presso ogni opinione pubblica internazionale rimane un'etichetta dalla quale è difficile staccarsi, soprattutto quando la capacità di discernimento critico del singolo è mera disquisizione intellettuale!
Elmoamf Massimo Paglia
Caro Massimo,
Eliminalo so che tu "sai". E' che la nomea..."presso ogni opinione pubblica internazionale" è una grande bufala se correttamente assunta come il riflesso mediatico che SI VUOLE OFFRIRE APPOSTA PER CREARLA.
Elmo, però, proprio perchè sei tu e ti voglio bene, una preghiera: 1) non fare commenti "a puntate"; 2) cerchiamo di essere più sintetici nei commenti. Gli altri ti leggeranno con più piacere e io potrò seguire di più le "cose". Grazie :-)
Hai ragione, non posso negarlo, quando lascio prendermi dalla foga vado a ruota libera e divento prolisso. Ne faccio ammenda, con la promessa di prestar maggior attenzione per il futuro.
EliminaSaluti e buon lavoro,
Elmoamf Massimo Paglia
Sono d’accordo con te e Alberto. Tutto inizia con il divorzio. Inizia anche il metodo del vincolo tecnico utilizzato per surrogare la formazione del consenso (di cui altrimenti non si disporrebbe e poi non la vogliamo chiamare congiura? Vabbè siamo laici e tolleranti).
RispondiEliminaLa domanda che ti ponevo, è: perché “la mistica” ha attecchito così rapidamente in Italia.
Forse è una domanda pedante e mi sto facendo una pippa mentale…il mio sospetto è che le prove che lo Stato aveva dato sino ad allora erano state pessime e questo, da testimone imparziale, permettimi non era affatto il risultato di una campagna mediatica. Piccola autodifesa personale: non ho mai sostenuto che il welfare nordico fosse minore di quello nostrano. Al contrario. Ti risulta che gli alloggi sociali siano mai stati una concreta e diffusa possibilità di accesso all’alloggio principale per le familgie italiane? Ti risulta che sia mai esistito una qualche forma di reddito di cittadinanza che non sia la borsetta di mammà? Ancora complimenti per il blog.
La risposta (alla rapidità dell'attecchire della mistica) sta nel controllo mediatico.
EliminaCorsera, Sole 24h, repubblica, rainew24, sono gli esempi più eclatanti, ma non esaurienti. La TV pure, nel suo complesso, ambiguamente, certo, B. pont max.
Ma a Ballarò non è mai cambiato nulla.
Comunque basti vedere le reazioni entusiastiche al divorzio sulla stampa coeva
A proposito di quella che può essere considerata in un certo senso l'anomalia italiana, che giustificherebbe la "presa immediata" della manipolazione anti-stato cui fa riferimento il commento di podiani, forse posso aggiungere qualche spunto.
EliminaFaccio riferimento ad uno studio di Aldo Barba, in cui si evidenzia come il nostro paese durante gli anni 60 e 70, quindi "prima" che si compisse il delitto, avesse un livello di spesa primaria ben inferiore a quello degli altri stati europei, ma soprattutto un livello di entrate fiscali assolutamente al di sotto della spesa stessa.
Barba mostra con dati come lo stato sociale degli anni 70 in Italia si sia costruito in sostanza col ricorso ai bot, acquistati dai detentori del famoso risparmio italiano accumulatosi grazie ad una pressione fiscale mal distribuita e gravante soprattutto sul lavoro.
In sostanza una sorta di "redistribuzione al contrario", garantita e legalizzata dalla collusione tra classe politica e ceti sociali più benestanti - e fonte di una scarsa coesione sociale.
Chiaro che poi col divorzio e con la libera circolazione dei capitali il processo di concentrazione della ricchezza si approfondisce in verticale e travalica i confini del paese...
Certo, ma con la piccola differenza (rispetto agli anni 60 e 70) che dal divorzio "sorgono", come funghi velenosi sul cadavere dei principi costituzionali, gli interessi reali positivi e crescenti che sono i maggiori protagonisti della redistribuzione al contrario...
EliminaPop-corn, birra, rutto libero e Ultima Parola su Telenova :-)
RispondiEliminaCara Sofia,
RispondiEliminaGRAZIE per il post, per la chiarezza e perfino per la "ricercata" semplicità.
Mi sarà molto utile...lo diffondo! (Nel senso che proprio lo stampo e lo diffondo).
Salve, a proposito del "divorzio", volevo segnalare questo brano che ho trovato di recente:
RispondiElimina"Al tempo stesso l’adesione dell’Italia allo SME e il “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia mettono in crisi il modello che aveva consentito, grazie all’imposta inflazionistica e a tassi di interesse reali negativi, di tenere assieme tra gli anni ’70 e gli anni ’80 una crescita di spesa primaria di 6 punti di PIL e una pressione fiscale inferiore di 10 punti alla media europea. Il risultato di tale assurda dissociazione tra la politica fiscale e politica monetaria fu l’esplosione della spesa per interessi e del debito pubblico che infatti sale dal 57,7% del PIL, del 1980, al 124% del 1994. Va osservato che, al contrario, la spesa primaria si stabilizza negli anni ’80 su percentuali del 37-38% del PIL non dissimili da quelle attuali. "
Vincenzo Visco, La politica economica europea, 2003
links:
http://www.fondazionecespe.it/Conv-economico/index.html
http://www.fondazionecespe.it/Conv-economico/13-Visco.doc
Ai link trovate gli atti, farciti di propaganda eurista, ma il brano qui segnalato mi è parso che avvalorasse il vostro discorso.
Le ammissioni "fuori onda" (cioè guardandosi bene dal prendere posizione in sede UE in tal senso, quando è al governo, e dimettendosi se il resto del governo non lo segue) di Visco sono sempre tragicamente divertenti. E ti ringraziamo per la segnalazione.
EliminaPerò gli "anonimi" non dovrei pubblicarli. Fare un account google o comunque registrarsi non credo sia così difficile...
ma alla fine della fiera la tassazione era al 31% mentre ora siamo al 52%!
RispondiEliminavi rendete conto della differenza?
dico, da allora lo Stato Sociale si è ingrandito e forse il 10% di aumento era doveroso ma il resto chiamasi "ce lo chiede l'€uropa!"
alla fine, mi pare che l'89% delle famiglie avessero una casa, i figli degli operai sono andati all'Università e hanno fatto pure carriera.. tutta questa iniquità io non la vedevo!
dipingere un paese perfetto è sbagliato (tanto che abbiamo avuto il terrorismo e la mafia imperversava) ma nemmeno STOLTO!
il discorso è che abbiamo cambiato una mafia con un'altra
Ecco bravo Val...e pensa senza quel 10%, in sostanza, di pressione fiscale aggiuntiva quale crescita e quale diversa competitività di costi avremmo avuto.
EliminaE quanto PIL aggiuntivo e che diverso rapporto debito/PIL.
Ma come è potuto accadere? COME?
Te lo chiedo con lo spirito "collettivo" che mi porta a farlo con tutti: perchè su questi specifici temi non "organizzi" il tuo pensiero (non sei certo "pigro" a scrivere e a approfondire :-)), e non mi mandi un bel post?
Basta spedirlo poi a sil-viar@virgilio.it.
Te la senti?
Non mi voglio dilungare, dato che l'argomento è introdotto in maniera incidentale.
EliminaSull'aumentare le tasse in periodo di recessione e per gli scopi ben noti, credo siamo tutti d'accordo. In generale, tuttavia, è di un certo rilievo avere dati su chi paga quanto di tasse.
La figura 7 a pag 10 del documento linkato fornisce qualche dato storico (USA)
ci penso e ci studio!
RispondiEliminaper martedì prossimo mi hanno chiamato a discutere di crisi presso un'associazione culturale (del mio paese).
ho preparato le slides ma devo dire che questo tema filosofico mi appassiona!
ci lavorerò meglio allora per una relazione.
PS: sino all'altro ieri pensavo allo Stato come una sovrastruttura e non come una questione feudale.
Penso che le due visioni debbano essere riviste e contestualizzate perché non dobbiamo permettere che gli insegnamenti del passato vengano persi
Ottimo, così mi piaci!
EliminaE sullo Stato mi permetto di rinviarti all'idea dello Stato che finisce per comportarsi come "monopolista privato" (massimizzando la "rendita" contro gli interessi stessi che dovrebbe curare e che lo legittimano), come espressa nel post "la produttività e i tagli,e poi ancora i tagli..."
...sempre a causa dell'europa :-9