mercoledì 10 luglio 2013

BRAZIL E CRISI DA SVILUPPO. LA VIA DEL GAMBERO UEM

Riceviamo e volentieri (come al solito) pubblichiamo questo post di Flavio.
Ci aiuta a capire l''irrequietezza sociale che è emersa di recente in Brasile, rinfrescandoci la memoria su alcuni meccanismi che, nel diverso contesto italiano ed UE, sono comunque distruttivamente all'opera.
I consolidamenti di bilancio hanno sempre un costo. Gli investimenti "razionali" (quelli che esaltano la capacità formativa della forza lavoro e la innovazione tecnologica in un ambiente in grado di sfruttarla) sono di certo sfavoriti dalla realizzazione degli avanzi primari pubblici in fasi di crescita che non c'è o si indebolisce: specialmente se, appunto, non si pensa ad effettuare investimenti che siano realmente tarati sulle linee di sviluppo "opportune" per una data realtà economica.
Aggiungiamo che questo è un punto che esige un fondamentale chiarimento preliminare: chi o cosa decide "l'agenda" degli interessi socio-economici di un determinato paese? In un passato post abbiamo risposto "il modello costituzionale".
Il problema è quanto sia chiaro, nella cultura dominante di un paese, l'impatto culturale della stessa Costituzione. E' un fatto di "maturazione" politica e di dinamiche ideologiche che arrivano a far recepire la cultura del "programma costituzionale" in un modo piuttosto che un altro.
Cioè, aderente a teorie economiche che tengano conto della benedetta domanda e non solo di supply side policies spesso miopi e che gratificano solo la parte della società che riesce a "catturare" più facilmente i governi. Su questo tema il libro in gestazione si sta dipanando, nelle grandi difficoltà di conciliare il linguaggio giuridico con le "controverse" teorie economiche.
Insomma, un lungo cammino, che, in Italia, la nostra Costituzione ci aveva già consentito di fare in buona parte. Ma poi è arrivato il "vincolo esterno". Cioè la "restaurazione". Il proporsi di aspetti conflittuali che il Brasile, ad esempio deve ancora risolvere in un percorso che li conduce nell'ambito dei suoi rapporti di forza sociali: non esistono pasti gratis, ma nemmeno per le forze economiche prevalenti. Perchè poi i fatti li obbligano a fare i conti con le istanze sociali della schiacciante maggioranza dei cittadini.
La cosa più assurda è,- a differenza di realtà come il Brasile e i BRICS in generale, che devono comunque affrontare i risvolti sociali della crescita-, il dover "ritornare" a questa fase di "rigetto" della governance di pochi, quando in realtà il problema era stato già superato. Come in Europa...
E ora diamo spazio all'analisi di Flavio.



Andiamo un pochino off-topic rispetto alla linea degli ultimi post. Partiamo da un indizio. La Confederation’s Cup di calcio. Chi l’ha vinta? La nazione che rappresenta, nel mondo, il calcio. Bravi: è il Brasile. E chi è, in Europa, che parla la stessa lingua utilizzata in Brasile? Facile: il Portogallo, di cui il paese sudamericano fu colonia. Bene. Individuati i collegamenti necessari, focalizziamo i punti del nostro ragionamento: avrete ben sentito parlare dei gravi disordini scoppiati durante lo svolgimento della manifestazione calcistica organizzata in ottica pre-mondiale, a cui partecipavano tutte le nazionali vincitrici delle rispettive coppe continentali.

Avrete inoltre pure letto del picco raggiunto negli ultimi giorni dai titoli di stato portoghesi (guardate la chart inserendo i rendimenti da un anno a questa parte).
Due notizie importanti che, sotto sotto, nascondono dei perché che nessuno però ha voluto mettere chiaramente sul banco per capire, soprattutto in merito al paese sudamericano, le cause degli scontri nati proprio durante la manifestazione organizzata dalla FIFA, proprio nel paese in cui il calcio è la seconda divinità dopo Nostro Signore.

In merito al Portogallo, ci limiteremo a dire una cosa soltanto, anzi, proponiamo un grafico, questo : chi mai sarebbe così pazzo da investire in titoli di uno Stato con una produzione industriale a picco? Nessuno.
Infatti per attrarre i necessari investitori – visto che Lisbona, come noi italiani, non ha un prestatore di ultima istanza essendo membro dell’UE ed è forse il più ligio ai “compiti a casa” decretati dalla BuBa/BCE – il Tesoro lusitano è costretto a mettere sul piatto interessi altissimi per conquistarsi i necessari capitali per far funzionare la sua macchina statale. Naturalmente lo “spread” è solo un indicatore, e l’effettivo tasso va misurato in asta e non di certo giorno per giorno, ma questo picco denota una sfiducia generale degli operatori che ben conoscono l’effettiva possibilità di un paese (stremato) di poter ripagare i propri creditori con una crescita negativa: vicino allo zero.

Passiamo ora al Brasile. Ricordiamo bene come il suo modello, negli ultimi anni sia col presidente Lula che con la presidente Dilma Roussef , sia stato un “esempio” a livello globale e come l’economia carioca sia stata uno dei giganti che hanno fatto da traino in questi anni; tanto da venir incluso di diritto all’interno dell’acronimo BRICS (Brasile Russia India Cina SudAfrica).
La sua performance economica è stata rilevante: tasso di crescita superiore al tasso medio di crescita del PIL degli altri paesi del continente (3% medio contro il 2,2%), surplus di parte corrente per buona parte del primo decennio anni 2000, spesa sociale “buona” che ha portato ad un elevamento degli standard qualitativi della vita ed alla riduzione della fame e della povertà.
Un paradiso? Non proprio. Così come per l’Argentina , molto del “non detto” ci aiuterebbe in qualche modo a capire il perché degli scontri di queste settimane.
Partiamo dal PIL: la crescita media del 3% rimane tuttavia un dato, appunto, nella “media” e, forse, troppo poco per poter creare tutti i necessari posti di lavoro per il considerevolmente numeroso popolo brasiliano. L’alternanza di anni di alta crescita (7% nel 2010) con altri di performance negative (- 0,2% nel 2003 e 2009) allargano la visione d’insieme dell’economia brasiliana: tassi di crescita così avvezzi ad alti e bassi denotano una certa dipendenza dai cicli economici mondiali ed una bassa “propensione” all’investimento ed alla ricerca per creare delle solide basi su cui poggiare le proprie aspettative e performances economiche e sociali future: dal 2000 al 2007 infatti ben il 51% dell’occupazione brasiliana era indirizzata verso i settori a basso salario e bassa produttività.
Nel 2011 invece la disoccupazione aveva raggiunto il 6% della forza lavoro. Un’economia in frenata, come lo stesso FMI riconosce.

I problemi del Brasile non sono finiti qui: durante gli anni ’90 un severo programma economico di moderazione salariale, consolidamento fiscale e una riforma monetaria (creazione del real agganciato al dollaro in sostituzione del cruzeiro) hanno permesso, a costo di enormi sacrifici, il taglio dell’inflazione da uno spettacolare 2400% al minimo storico del 5%, grazie ad un politica monetaria restrittiva fatti di alti tassi di interesse per attirare investimenti esteri ed all’adozione di un cambio sopravvalutato rispetto ai fondamentali paese.
Una cura da cavallo, che se da un lato domò le spinte inflattive, dall’altro generò un rapido deterioramento dei conti dell’estero, culminato con la crisi del 1998-’99 (seguente alla crisi asiatica del 1997 verso il cui Brasile esportava) da cui il governo uscì solo grazie agli aiuti internazionali, in cambio delle famose privatizzazioni e “riforme”.
Con l’avvento di Lula, accanto alle imposizioni stile “Washington Consensus”, Brasilia cerca in qualche modo di accompagnare a tali direttive l’obiettivo della giustizia sociale, le cui chiavi portanti furono la previdenza sociale, gli aumenti del salario minimo, alcuni importanti programmi di trasferimenti dalle fasce più ricche a quelle più bisognose.
L’impatto di queste riforme è stato buono (coefficiente Gini passato da 0,599 a 0,539 dal 1995 al 2009) ma, come per l’Argentina, non va esagerato.

Per poter ovviare a queste “riforme” (tra cui la riforma agraria), le necessarie coperture sono state finanziate in toto dalle tasse. Oramai l’imposizione fiscale in Brasile è al 36,2% del PIL. Una percentuale vicina alle nazioni “sviluppate”, ma con servizi quali sanità, educazione, trasporti ancora da terzo mondo. A livello fiscale, il governo brasiliano predilige la generazione di ampi avanzi primari: lo scorso anno il surplus ha sorpassato i 53 miliardi di $, pari al 2,3% del PIL, una cifra impressionante ma al di sotto del target prefissato del 3%. La tassazione inoltre è tutt’altro che progressiva: come in moltissimi altri paesi, tra cui l’Italia, la zavorra del ricarico è tutto sulle spalle della classe media ed a reddito basso ed inoltre il peso delle imposte indirette è abnorme: il 48% del gettito deriva infatti da questa tassazione regressiva (l’entrate IVA ad esempio sono pari al 12% del PIL).

Accanto a questa politica fiscale, l’altra nota dolente dell’economia sudamericana è il settore delle esportazioni. Circa il 55% di esse infatti derivano dal settore primario agricolo, con costi sociali ed ambientali considerevoli. Ad esempio l’espansione della soia transgenica nel Cerrado, sta provocando ed ha provocato danni irreparabili alla biodiversità di quelle zone, ma il fatto che questa coltivazione negli scorsi anni abbia fatto le fortune delle aziende nazionali impedisce una riconversione a colture sane e bio compatibili. Nonostante ciò, il Brasile promuove questo modello agricolo anche a paesi africani come il Mozambico.

Il punto debole di una economia export-led incentrata sui prodotti agricoli è presto detto. La volatilità dei prezzi di questi beni porta a rapidi boom ma altrettanto veloci cali, di cui il Brasile ha risentito molto negli ultimi anni: non a caso, nel 2012 si registrato è stato il peggior deficit commerciale dell’ultimo decennio. Sommiamo a questi due fattori - prezzi agricoli sgonfiatisi durante la crisi e alte tasse che colpiscono i percettori di redditi medio bassi - alla brutta performance dell’industria brasiliana nel 2012 dovuta al rallentamento globale, aggiungiamoci il contorno dei salari ancora bassi e dei servizi pubblici latenti, mettiamo vicino il fatto che gli avanzi primari sono serviti anche a finanziare i nuovi stadi da approntare per il mondiale prossimo venturo, - in cui far giocare calciatori patinati e stra-miliardiari, invece di coprire i bisogni sanitari e scolastici della popolazione brasiliana,- ed abbiamo il corollario delle possibili cause della “sorprendente” rivolta andata in scena sui nostri schermi nelle scorse settimane.
La morale è presto fatta: non basta dire di “essere di sinistra” per dichiararsi vicini al popolo. Bisogna agire in tale senso. In Brasile, a Vostro avviso, ciò è accaduto? A nostro modesto parere no. Ma siamo favorevoli ad aprire il dibattito su questi ed ulteriori aspetti.









16 commenti:

  1. a questo punto mi manca la posizione netta sull'estero...direi ci potrebbero essere sorprese(comunque mitico flavio!)


    una nota a margine (molto ) a prescindere dai datieconomici : gli episodi violenti - in un accezione ampia del termine- presenti nella societa' brasialiana non sono lontamente paragonabile a nessuna societa' europea...

    quindi gli episodi di contestazione durante la confederation cup a mio avviso sono stata enfatizzati perchè stridevano con una manifestazione sportiva internazionale (era una novita' che una protesta 'entrasse' in una manifestazione sportiva...)
    se li paremetriamo alla realta' brasialiana sono paragonabili agli scontri secondo me si diluisce molto la loro intensita'...


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    1. Ecco una NIIP europea aggiornata, se non erro, direttamente da Eurostat. Qui trovi una lista spiegazioni in base al rapporto NIIP/PIL (e capiamo così pure gli scontri in corso in Turchia), questa invece lista "nuda e cruda" però oramai un po' datata. Come vedi il Brasile, oltre ad un essere una nazione che primeggia per "avanzi primari" ha pure una non poco invidiabile posizione netta sull'estero negativa... a maggio inoltre la Banca Centrale aveva alzato i tassi per "frenare" l'inflazione... cambi emisfero ma il tutto il mondo, purtroppo, è paese...

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    2. '.. ha pure una non poco invidiabile posizione netta sull'estero negativa'

      ad 'orecchio' lo sentivo (anche senza guardare i dati...)e ci avrei scommesso...

      il punto è che si tratta comunque di paesi 'in via di sviluppo' o comunque un mezzo gradino o un gradino sotto l'italia ...in certo senso -per loro - meglio un niip negativa che niente industrie niente tecnologia...(il brasile comunque ha investito molto nell'areospaziale 'di stato' e gli aerei che produce sono usati anche da air france tanto per fare un esempio ...) mentre l'italia l'hanno costretta a queste politiche...a politiche da paese in via di sviluppo ...non è cosi' ovvio comprenderlo ma è molto umiliante ugualmente

      purtroppo chi dovrebbe fare questi ragionamenti sulla politica economica è in malafede o prezzolato o infami traditori tout court (non facciamo nomi ma si fa prima a dire chi non lo sia ...) senza dimentare quello che 'facciamo un lattodotto fra la baviera e l'italia ' e facciamo gli 'use' perchè c'è la cina...

      ps: non vorrei essere cosi' acido ...ma il motivo per cui
      ho iniziato a interessarmi del caso è proprio per evitare che l'italia diventi come un paese sudamericano (senza averne le risorse naturali tra l'altro) è una cosa intollerabile .

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    3. nella parte finale del primo messaggio mancavano alcune parole^^^: sono paragonabili agli scontri fra tifosi negli stadi italiani quindi secondo me si diluisce molto la loro intensita'...

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    4. Mah guarda, come ben dici il problema non è avere una posizione negativa, il dato di per sè va raccordato ad altro, a come si cresce, a come è ripartita la ricchezza, come e dove si vada ad investire... in Brasile ad esempio gli industriali premono per una riforma del lavoro e chiedono ulteriori sgravi fiscali a quanto pare...ed i lavoratori vedono ciò, vedono dove il governo spende (mondiali) e chiedono più equità sociale, come giusto che sia. In merito all'Italia, segnalo se interessa questo rapporto, solo per dare qualche dato sui nostri primati... E' il rapporto della fondazione Symbola, giusto per far capire a chi denigra il Suo paese che si sbaglia, e di grosso.

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    5. Ancora una volta, come ho cercato di evidenziare nell'introduzione a complemento del tracciato di Flavio, è essenziale distinguere tra profitti di breve termine, fondamentalmente ricercati sul bench mark del rendimento finanziario (fenomeno irresistibile in epoca di liberalizzazione dei capitali e di banche players sull'investimento-strumento derivato), e profitti programmati su solide basi tecnologiche e non meramente repressive dei salari (strumento quest'ultimo che tende ad essere radicalmente alternativo alle prime). Cioè fondandomi sull'avanzamento dell'intero blocco sociale nazionale (cosa che è implicita nelle Costituzioni moderne e nella sovranità democratica e che certamente implica una minor attenzione "ossessiva" all'inflazione).
      Su questi elementi in gioco, si innesta la politica del governo: posso avere una posizione netta sull'estero negativa perchè importo beni strumentali che però mi consentono, nel medio-lungo periodo, effettive innovazioni di processo e posso, con la indispensabile politica di spesa pubblica, creare maestranze dotate delle adeguate expertise.
      Oppure posso caricare un paese di capitali stranieri che intervengono a impiantarmi elementi strutturali tutti realizzati e gestiti nel controllo estero (compresa la riesportazione dei profitti).
      E' chiaro che non posso a lungo sostenere questa seconda opzione solo contando su export trainato dall'industria primaria (agricoltura e materie prime). A meno che non sia un emirato arabo e finchè dura la civiltà del petrolio...

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    6. Una carrellata a questi articoli (scegliendo quelli sul Brasile ovviamente) del Sole24Ore aiuta a capire anche meglio la situazione...

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    7. Lo studio di Symbola e' una vera chicca antiluogomunista.
      Ho iniziato a leggermelo, veramente una miniera di VERI dati
      Grande Flavio !
      Ma come cavolo fai a essere sempre cosi sul pezzo. Caschi sempre a fagiolo e becchi sempre il link perfetto.
      Va detto che per chi frequenta il paese reale non c' e' nulla di sorprendente e la REALTA' della manifattura italiana non e' nemmeno una lontana parente della "decadente produzione di calzini di spugna" che "l' euro ci salva dalla Cina" che descrivono i (molto) presunti "espertissimi" in tv....
      E non e' nemmeno una novita':
      http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2010-06-16/lexport-tradito-italia-080400_PRN.shtml

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    8. Flavietto è il miglior analista-reporter economico in Italia (ma sarebbe apprezzato anche su FT o WSJ).
      Un asset di cui non possiamo evitare la "privatizzazione" (è già "privatizzato"), ma di cui possiamo auspicare la "pubblicizzazione"...nel pubblico interesse dell'informazione :-)

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    9. Grazie Marco, grazie 48 per i complimenti, ora arrossisco :)
      In merito al luogocomunismo: pagina 162, grafene, pag. 201, il surplus estero della nostra cultura (dove addirittura si cita il moltiplicatore pari a 1,7!!!!!!!!!!!!!!!!!), le biotecnologie, la robotica automobilistica (primi davanti la Germania), maxi telescopi, meccanica strumentale (secondi esportatori dietro la Germania), i problemi dell'Italian sounding (mancata tutela dei marchi) che causa danni all'export pari a circa 50mld l'anno, turismo (dove battiamo la Spagna nell'attirare turisti extra-UE), cito testuali parole pag. 48 (sarà un caso? ;) ) "Nel 2011 l’Italia ha surclassato la Germania per attivo con l’estero nelle macchine per imballaggio, nella refrigerazione commerciale, nella rubinetteria, in varie tipologie di pompe, nelle macchine industriali per i prodotti da forno e la pasta, nelle macchine per la lavorazione del legno,
      della carta, dei metalli, delle ceramiche e delle pelli, negli yacht, negli elicotteri e nei satelliti aerospaziali, nella grande caldareria, nei laminatoi per metalli, nelle turbine a gas, nonché in numerosi prodotti della siderurgia e dell’industria dell’alluminio", mobili (il danno maggiore ad esempio viene dalla bolla immobiliare USA o dalle cure di cavallo imposte a Spa, Irl, Gre piuttosto che dalla "Cina"), 235 i prodotti, nel 2011, per cui l'Italia si è posizionata ai primi posti per surplus commerciale, 390 al secondo posto, 321 al terzo cioè siamo ai primi posti al mondo 946 prodotti (fatturato 183 miliardi di $). Ma io dico: ma se uno odio l'Italia (i luogocomunisti livorosi) che vada a vivere in Germania no? Dove stanno tutti bene.

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  2. Sempre bravo Flavio.
    La situazione del Brasile è paradigmatica.
    Scusate se vado OT ma in questi giorni ho poco tempo, e vorrei capire cosa accade in questo nostro martoriato Paese. Che ne pensate della proposta di Savona?
    http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/prepariamoci-a-un-sacrificio-volontario-se-non-si-abbatte-il-debito-pubblico-di-400-59269.htm

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    1. Sulla proposta Savona è già pronto un nuovo post... :-)

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    2. Ma dai!!!! Ho letto a grandi linee...mi viene da ridere... ma si vendiamo tutto, che ce frega!!!! Quindi il problema dell'Italia è lo stock di debito pubblico per Savona?!?! Cioè secondo lui si calcola gli interessi sullo stock?!?!?! Ma dai, come se non sapesse che le aste, su tot. miliardi di titoli a tot. scadenza, prezzano il rischio paese nella tendenza oggi/data scadenza in base alla solidità economica (leggi: parte corrente, redditi, risparmi, profitti imprese). Sono basito, inorridito da tali affermazioni semplicistiche e fuori dalla realtà: anche se noi abbattiamo lo stock, non abbassiamo di certo lo spread. Certo, verrebbe tagliato qualche punto , ma a costo di enormi sacrifici che farebbero risalire i rendimenti in un batter d'occhio. Che cialtronata. A proposito di cialtronate, non so ricordate che fino a qualche mese fa si evadevano 180 miliardi l'anno...oggi sul Sole invece ci dicono che se ne sono persi 545 in 12 anni, quindi all'incirca 50 l'anno...Passare da 180 a 50 però ce ne vuole... che pena che mi fanno sti giornalisti/politici prezzolati... per non parlare di Savona... in che mani siamo...

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    3. :) grazie. Immaginavo che codesta notizia non poteva esserti sfuggita.:)

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    4. Poi, oltretutto, vendiamo 400 miliardi di € (e chi c'ha i soldi ora per comprarsi le caserme e le carceri italiane, e perchè?) per restare nell'euro e tenerci il gap di competitività estera. Tra 2 anni i debiti li abbiamo ripresi tutti, avendo un patrimonio di 400 miliardi inferiore.

      Ci vogliono proprio far fare la fine della Grecia.

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    5. Savona non sa che lo spread è calcolato sul debito estero privato e pubblico ?
      agendo solo sul debito pubblico (tutto) è inutile

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