mercoledì 31 luglio 2013

LA "GRANDE SOCIETA'" E LE "TANTE" SOCIETA': PRIMA MODIFICANO LA COSTITUZIONE E POI COLPEVOLIZZANO...LA CORTE COSTITUZIONALE

Commentiamo oggi un articolo di Massimo Bordignon, apparso sul Sole24 ore:

Le organizzazioni che funzionano sono quelle in cui c'è qualcuno che decide e poi è punito o premiato. Se questo meccanismo non funziona, l'organizzazione non funziona. È vero sia per le imprese private che per le amministrazioni pubbliche. Ma in quest'ultimo caso le cose sono più complesse: non c'è un sistema di mercato che almeno in qualche misura disciplina gli amministratori inefficienti. E i decisori nell'ambito pubblico sono i politici, i cui obiettivi sono spesso di breve termine, mentre l'impatto delle decisioni è di lungo periodo. Per esempio, i politici italiani degli anni 80 sono stati bravi nel prendere decisioni che hanno massimizzato il consenso nell'immediato, scaricando, con l'enorme debito pubblico, gli oneri sulle generazioni future. Per gli enti locali il problema è ancora più complesso.

La premessa è condivisibile, trattandosi dei principi generali del diritto: che si tratti di regole organizzative o di regole "sostanziali", di norme pubbliche (diritto c.d. "positivo") o di regole dettate da organismi privati, la norma che pone un precetto (comando positivo o divieto) è "perfecta" solo in quanto dotata di sanzione. Altrimenti, è detta "minus quam perfecta" e può, in teoria generale, dubitarsi della sua stessa giuridicità (si tratterebbe di diritto informale, alla stregua di enunciazioni enfatiche o mere raccomandazioni).
Solo che si parte con una manifesta alterazione del dato reale: chi frequenta questo blog, ma non solo questo, sa perfettamente che il debito pubblico ha aumentato il suo peso a seguito dell'onere degli interessi conseguente al divorzio tesoro-bankitalia e al concorrente fenomeno di tassi di sconto reali positivi, connessi alla necessità di mantenere il livello di cambio "rigido" imposto dallo SME.

Certo i deficit degli anni '80 non erano quelli post-Maastricht: ma l'alternativa, per gli ambigui politici della parte finale della c.d. 1a Repubblica, sarebbe stata quella di mandarci in stagnazione e magari anche in recessione, prolungate come ora stanno facendo, in nome dell'Europa, i governanti attuali.
Le ragioni di ciò stanno nella necessità di mantenere un alto saldo primario, facendo venire meno repentinamente il sostegno della domanda pubblica al sistema, minando il livello occupazionale, e provocando la caduta generale di redditi, consumi e investimenti.
Dunque, la vera "colpa" del famoso "onere sulle generazioni future", in una corretta ricostruzione storico-economica, ricade sui politici che deliberarono in accordo con Ciampi il "divorzio" e, prima ancora, l'adesione allo SME. Cioè sui teorici del "vincolo esterno".

Prosegue Bordignon:
Se gli elettori degli anni 80 avessero capito le conseguenze delle scelte dei politici, forse sarebbero stati meno propensi a votarli. Nel caso delle amministrazioni locali, però, anche scelte irresponsabili possono essere sostenute dagli elettori, se il sindaco o il presidente di regione riesce a scaricarne l'onere sulla collettività nazionale.
Ci sono due modi per affrontare questo problema. Il primo è quello di lasciare che gli enti locali subiscano interamente le conseguenze delle proprie azioni. È in buona misura la scelta americana. Detroit fallisce, i creditori della città ci rimettono i soldi, i dipendenti pubblici vengono licenziati e le loro pensioni decurtate, i servizi non vengono più offerti, i cittadini che possono farlo scappano e si trasferiscono altrove
.

Anche qui, l'esaltazione del sistema USA (e getta), appare inficiata, nella sua validità comparativa da una premessa erronea: prima di tutto, le autonomie locali negli USA, ricevono trasferimenti dallo Stato, esattamente come in Italia, per cui le "scelte irresponsabili" comunque sono un "waste" di pubbliche risorse statali. In secondo luogo, la insolvency delle città in USA è determinata da condizioni inesorabili di della struttura economica locale, legate alle trasformazioni geo-economiche tipiche di quella realtà fortemente caratterizzata dalla dinamicità del mercato interno (il caso di Detroit è eloquente, con una popolazione passata da oltre due milioni di abitanti a circa 800.000.
Quindi la valutazione di colpa" (irresponsabilità) con facilità addossata agli amministratori locali è già di per sè frutto di una ennesima "precomprensione", di un pregiudizio negativo presunto, senza attenzione alla realtà, verso tutto il mondo della pubblica amministrazione. Cioè una visione ideologica e non aderente a quanto evidenziano gli studiosi specialisti della materia.

Ma lo stesso vale anche per gli amministratori italiani: il grado di corruzzzzzione e di sprechi, nei meccanismi causativi delle insolvenze degli enti locali è del tutto sopravvalutato. La cause vanno individuate nella finanza post maastricht e nei tagli complessivi che, in clima euro, si sono sempre più imposti ai trasferimenti e al livello dei servizi (e il territorio italiano, disastrato come non mai, ne sa qualcosa...). Diverso se invece di cercare colpe gestionali, certamente compresenti, ma non caratterizzanti il fenomeno, si guardasse alle CAUSE STRUTTURALI DELLA COSTOSITA' DEGLI ENTI LOCALI, cioè a come il sistema risulterebbe politicamente ed insopportabilmente costoso anche se si seguissero i più rigidi criteri di diligenza gestionale. Cioè è la politicizzazione dell'organizzazione a livello istituzionale la principale causa del problema; ma a livello ordinamentale non di responsabilità individuali, come abbiamo analizzato e quantificato in questo post. Se responsabilità individuali vanno ritrovate, riguardano i politici che al governo e in Parlamento hanno congegnato il sistema, spesso con la giustificazione "lo vuole l'Europa", alla fine degli anni '90 e fino alla riforma del Titolo V della Costituzione.

Tralascio i passaggi intermedi dell'articolo, che potete leggervi agevolmente, per andare a verificarne alcune conclusioni, che chiamano in causa, stigmatizzandola, la Corte costituzionale:
...Con i decreti attuativi sul federalismo fiscale era stato introdotto l'istituto del «fallimento politico» per i politici locali rei di aver violato l'equilibrio di bilancio; la Consulta l'ha dichiarato incostituzionale, come ha dichiarato incostituzionali una serie di controlli sugli enti intermedi e le società delle regioni che il governo Monti aveva cercato di introdurre. Come conseguenza, si tornerà probabilmente alla situazione paradossale in cui in presenza del commissariamento di una Regione, sarà lo stesso presidente a essere nominato commissario di se stesso.
Ma c'è di più. Nel gennaio 2013 è stata approvata la disciplina del «pre-dissesto» (riequilibrio finanziario pluriannuale), voluta da tutti i partiti, il cui scopo principale sembra essere quello di consentire a un certo numero di Comuni, in specie meridionali, di poter accedere a fondi addizionali, senza doversi sottoporre alla perdita di sovranità e alle sanzioni previste dalla disciplina del dissesto. Infine, l'accelerazione dei pagamenti dei debiti della PA decisa dal governo, cosa buona e giusta, avrà anche l'effetto di garantire il pagamento di numerosi impegni presi da amministratori locali, in spregio a vincoli contabili e obblighi legislativi. È vero che in entrambi i casi si dovrebbe trattare di prestiti dello stato all'ente locale, che dunque il Comune o la regione dovrebbero restituire, ma il rischio che questo non succeda è elevato. Si tratta di segnali preoccupanti, anche perché non s'inseriscono in un progetto organico di riforma della finanza regionale e municipale
Paradossalmente, mentre a livello nazionale sembra che si parli solo di risanamento finanziario, a livello locale si rischia di aprire la strada al più clamoroso esempio di bailing out della nostra storia recente
.

Innanzitutto, e va ribadito, il "rei" va riferito non a presunte politiche dissennate nell'erogazione dei servizi essenziali, in special modo di quelli "sociali", ridotti ormai da anni ai minimi termini, quanto piuttosto alla forma societaria sempre più assunta per ogni possibile segmento dell'attività pubblica: su questo punto vi invito a rileggere l'attenta ricostruzione di questo post di Sofia.
Inutilmente la Corte dei conti si sgola a enfatizzare le assurdità di tale sistema, che consente non solo vari, più agevoli, aggiramenti del sistema legale di evidenza pubblica nell'assegnazione degli appalti (facendo salire i costi dell'acquisto di beni e servizi), ma che ha dato luogo a una vasta "casta" di a.d., consiglieri di amministrazione, e super-manager (...!), che ha "efficientemente" e con grande "snellezza" provveduto a oltre 700.000 assunzioni senza alcuna selezione concorsuale. Con la grande felicità di tutta intera la classe politica, €uropeista e privatizzatrice.

In ogni modo: la Corte costituzionale non poteva che pronunciarsi così. Le autonomie locali costituzionalizzate (artt.104-133 Cost), non consentono quel grado di interferenza, e il "coordinamento della finanza pubblica", materia espressamente riconosciuta come "concorrente" dall'art.117 Cost., si deve arrestare alla previsione del "meccanismo", non potendosi reintrodurre forme di controllo-tutela, cioè di intervento sostitutivo della sostanza autonoma dell'amministrazione di tali entità.
La Corte, dunque, ha solo applicato le regole che doveva applicare; non le ha scritte certo lei, quanto piuttosto gli stessi teorici attuali della "moralizzazione" e del federalismo salvifico.
Ma quelli stanno sempre lì, pontificano su sprechi e corruzione, sulle colpe degli italiani indolenti e mai abbastanza €uropei, e, semmai, pensano a come "tagliare ancora il perimetro del pubblico". E anche il "fronte fisico" dei rapporti di questo con le imprese: solo così, senza più alcuna altra attività che non sia "costruire strade e provvedere alla relativa segnaletica" si risolve il problema degli sprechi e dei pagamenti arretrati...
Mica pensando alla revisione delle norme costituzionali e del testo unico degli enti locali che ci hanno messo in questo ginepraio, realizzando la ideona della "privatizzazione efficientatrice" delle forme.
Insomma, la "grande società" è stata presa in una, ancor oggi incontestata", accezione di "tante società": ma proprio tante....

10 commenti:

  1. Cito dall'articolo citato: "[...] non c'è un sistema di mercato che almeno in qualche misura disciplina gli amministratori inefficienti."

    Beh, per quanto riguarda i dirigenti di banca, non mi sembra che questo "sistema di mercato" che abbia funzionato bene.
    Anzi, considerato che le loro inefficienze le debbono pagare i correntisti (secondo la dottrina Weidmann), credo proprio che abbia funzionato malissimo.

    Ma ai giornalisti del "Sole", evidentemente, la cosa sfugge.....

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    1. Ho saltato in effetti quel passaggio per...sfinimento.
      Anche perchè la questione, in sostanza, è la stessa affrontata qui:
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/06/il-25-luglio-i-tagli-salvifici-alla.html

      "Misurare la costosità relativa dei consumi collettivi rispetto ai consumi privati è ambizione di tutti i sistemi statistici, anche se si tratta di una ambizione non facile da realizzare perché dei servizi collettivi si conoscono le spese sostenute dalle amministrazioni pubbliche, ma si hanno solo informazioni limitate sul volume fisico dei beni prodotti con quelle spese: nell’istruzione si conosce il numero degli studenti, ma non quanto è aumentato il valore del capitale umano; nella sanità si conosce il numero degli assistiti, ma non il valore della vita salvata; nella giustizia e nella sicurezza si conosce il numero dei giudicati o dei tutelati, ma poco di più...
      "...ATTENZIONE: LO STUDIO SA CHE QUELLI INDICATI NON SONO NECESSARIAMENTE DELLE CAUSE "RIMUOVIBILI" E IN SE' "INSANE", NE' FATTORI CHE "NON" SIANO CONFORMI AL DETTATO COSTITUZIONALE: PER QUESTO ESCLUDE ESPLICITAMENTE CHE QUESTE INDICAZIONI ABBIANO CARATTERE OPERATIVO! Cioè che possano servire da "guida" per procedere utilmente e vantaggiosamente a tagli della spesa in quela misura. Ovviamente questa essenziale e non equivoca precisazione metodologica non è recepita dai "tagliatori" tea-party. Per loro è scritta una certa cosa, la fonte è quella, e non ci sono esitazioni a procedere alla estrapolazione. ALTRETTANTO OVVIAMENTE "L'ESERCIZIO PARADOSSALE" POTREBBE ESSERE COMPIUTO NEL VALUTARE LA PRODUTTIVITA' DELLA SPESA PUBBLICA IN OGNI PARTE DEL MONDO, cosa che non dovrebbe sfuggire a un lettore "razionale".

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  2. Il mio commento prende spunto dall'articolo di Enrico Moretti, linkato nel post. Devo premettere che non lo ho nemmeno letto tutto, quando ho deciso di scrivere queste parole. Quindi è molto alta la probabilità che il significato esca dalla lettura limitato e parziale; ne sono consapevole come lo sono che il mio intento è quello di rappresentare lo status quo, o meglio quello che sta 'realmente' avvenendo (ancora).

    Ora, San Francisco, San Jose, e le città dell'America bella, sono posti che oltre ad essere quello che sono, così come lo studioso ce le fa conoscere attaverso la sua rappresentazione, le vedo come un terreno fertile in cui sono state piantati i semi di 'ricerca', di 'creatività' e di 'capitale umano'. L'autore ci racconta di frutti belli e gustosi nati e cresciuti da quelle piante: e questi frutti sono i posti di lavoro dell'indotto (in aggiunta a quelli qualificati e qualificanti); addirittura questi frutti crescono a gruppi di cinque per ogni pianta cresciuta e produttiva. A chi non piacciono?

    Sul palco e negli studi del PUDE viene rappresentato il processo all'agricoltore, e anche questo processo monopolizza l'attenzione di tutti. Non c'è niente di male nell'appassionarsi al genere legal drama, ma lo strumento dell'attenzione è come uno 'spot' illumina benissimo un punto preciso del palco, lasciando però necessariamente nella progressività dell'ombra tutto il resto. E tra questo resto, nella totale (?, mi domando) oscurità c'è questo: la terra, e la sua qualità.

    Sì, perchè anche la terra, come per i semi e l'agricoltore (con i suoi attrezzi e macchinari, e le conoscenze, e le euristiche e l'esperienza), è condizione necessaria non sufficiente per 'assicurarsi' QUEL raccolto. Meglio di uno svissero, il mio amico Giorgio di Ferrara saprebbe argomentare quanto è importante la terra. So già cosa mi direbbe, pur direttamente collegate, la terra ha bisgono del giusto clima. Già.

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  3. 2/2

    A questo punto, le città dell'America che tanto piace (ribadisco a chi non piace?) hanno un clima che è molto più simile all'Italia che a qualunque altro paese 'core' d'Europa. Quindi l'Italia ha la terra e ha il clima, ma ha anche i semi perchè ce li ha sempre avuti (non ha bisogno di nessuna Monsanto distributrice di semi standard di piante di 'creatività' e di 'capitale umano').

    Cosa centra il processo all'agricoltore in onda sulle frequenze ('antiche' anch'esse come antico è descritto il modello dell'America 2 quella di Detroit, di stampo fordista) del PUDE? Centra perchè assistiamo alla rappresentazione di un incapace e sprecone (ed è per questo che è chiamato a rispondere in giudizio). Gli spettatori si sono tanto immedesimati nella parte (fenomeno ricorrente quante più volte gli attori sono bravi a recitare una parte) da sentirsi anch'essi sotto giudizio. Sono tutti agricoltori incapaci e spreconi, i 'personaggi' e l''audience'.

    Allora mi domando, solo 'qui' (in senso ampio, eh) ci accorgiamo che si finisce per accettare la sentenza al punto che non ci si accorge che non è nel 'destino' o nel 'DNA'....no no il film è un altro: questa è solo una transazione economica nella quale l'Italia vende la sua terra, svende la sua terra (ma anche il clima, i semi e il diritto di proprietà sul raccolto, i frutti). Anzi, la stiamo difatto regalando.

    In questa confusione di metafore, di ipotesi e di ricostruzione, voglio pensare che il 'fallimento' dell'agricoltore può essere solo quello di aver voluto sedersi ad un tavolo da gioco che ha delle regole fatte da altri, senza consapevolmente conoscerle nel dettaglio, ma solo un pochino.

    E' opinione condivisa e generale che ogni decisione dei soggetti pensanti è reversibile nel senso di natura politica. E' il libero arbitrio, una gran fregatura. Ma ce lo abbiamo e lo possiamo usare ancora e ancora e ancora. Anche per andarcene. Oppure si aspetta fino ad aver dato via tutto per una chip. Capisco che 'one chip, one chair', ma fino ad un certo punto.

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    1. La fenomenologia della natura, che l'agricoltore deve conoscere, implica, seguendo la metafora, di vedere la società come "organismo" e le città come suoi organi. Se si estingue una città-organo, o meglio l'insieme precedente delle stesse, l'organismo non sopravvive. Avrò attestato il passaggio a un nuovo modello di società; ovviamente, passaggio preceduto da una fase di malattia (cioè di disfunzionalità graduabile dell'organo).
      Siccome una città è un agglomerato umano, l'ipotesi di colpa collettiva attribuita a questo intero agglomerato è, per definizione, una mistificazione. Somministrata da chi ha interesse alla estinzione di quel modello di società. Il PUDE è solo la "quinta colonna" che apre le porte della città a chi la vuole distruggere e instaurare un nuovo tipo di società...
      Sempre che abbia compreso il punto che sollevi :-)

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  4. Leggendo l'ultima parte del post mi è venuta in mente questa domanda: ma poi perché non tenere in considerazione i costi transattivi di un sistema di bail out del genere? La 'sanzione' del bail out, presumo, avrebbe dovuto richiedere un'intervento governativo o del Parlamento. Si sarebbe dovuto nominare un commissario straordinario, il quale, forse, con la sua deroga avrebbe nominato altri co-amministratori, etc., etc... Questo avrebbe costituito un costo in termini di cash, tempo e intasamento istituzionale. Vaglielo a dire ai mercantilisti che equiparano lo Stato ad un'azienda o alla famiiiiiiglia.

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    1. Indubbiamente questo elemento è rilevante; e infatti lo è stato nelle vicende di commissariamento prefettizio in precedenza vissute nel nostro paese (nel periodo ante-euro ben più rarefatte delle attuali).
      Ma poi, sai, la questione è relativa; se fallisco nell'identificare le cause strutturali dei dissesti, non ponendomi neppure il problema del "come e perchè" della loro compresenza, intensità e "cronologia" di manifestazione, mi accanirò naturalmente su epifenomeni non decisivi.

      E questo è un vizio logico condiviso compattamente da tutta la "cultura" economicistica mainstream italiana...

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  5. "Le organizzazioni che funzionano sono quelle in cui c'è qualcuno che decide e poi è punito o premiato."

    Poco altro da evidenziare nel delirio emetico di M Bordignon racchiuso in quei "qualcuno" e nella dualità "punito/premiato": manca il giogo della riforma calvinista, della totale "depravazione" della creatura umana, dell' "elezione incondizionata" e della "redenzione limitata" ai "giusti" avvolti nella grazia e perseveranza dei "santi", non la redenzione la sempre l'espiazione della colpa/debito, del schuld.
    Singolari parallelismi con la "grande società" dei nipotini di von H., sinistri i presagi che evocano e questi "sentieri" non riportano certamente verso consapevolezze democratiche di comunità umane.

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  6. "Se responsabilità individuali vanno ritrovate, riguardano i politici che al governo e in Parlamento hanno congegnato il sistema, spesso con la giustificazione "lo vuole l'Europa", alla fine degli anni '90 e fino alla riforma del Titolo V della Costituzione."
    Grande quesdto passagio è una grande ammissione e una presa di coscienza! Si il cambio fisso non è successo! E' colpa o meglio DOLOdi quei farabutti!? Cosa aspettiamo ad accusarli di attentato alla libertà della repubblica?! Sono tutte accuse da corte marziale militare....aspettiamo fiduciosi la resa dei conti.

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    1. Ammissione? Presa di coscienza? Attenzione: non dirlo a me...
      Se guardi la lista dei 10 post più letti di questo blog, il passaggio è soltanto la sintesi di quanto illustrato in quello che, letto ormai da molte migliaia di persone, figura attualmente al 2° posto.
      E non solo: ma si tratta di cose affermate dalla critica giuridica di cui mi onoro di far parte dagli anni '90....

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