Tra twitter, messaggi da amici in apprensione, e l'eco della diretta televisiva, si percepisce lo sgomento relativo al fatto che tutto ciò stia accadendo veramente.
Il fatto è che la questione, come diceva Flaiano, è grave ma non seria. Ovviamente se la si vede nella sua dimensione italiana.
Un effetto è sicuro: nei "rimbalzi" dei talk in diretta, si percepisce la sorda eccitazione rabbiosa degli espertologi, rigorosamente giornalisti, che ora esigono severamente la "soluzione finale", impazienti di affermare il loro potere livoroso come principio supremo dell'ordinamento.
Questi ultimi, infarciti di ordoliberisti del tutto svincolati da qualsiasi consenso democratico, tendono ad affermare senza più mediazioni, l'incontestabile e inarrestabile sicumera delle loro soluzioni su "laqualunque", invertendo sistematicamente i rapporti di causa/effetto della crisi economica spaventosa in cui sono ansiosi di ributtarci con le loro pensose sparate di luoghi comuni, contraddetti dai fatti ma sostenuti da fantomatiche classifiche OCSE et similia (basta alla bisogna qualsiasi fantomatico osservatorio o centro studi o ong "internazionale").
Il Rizzo (o Stella, mah...non fa alcuna differenza) di turno, suggerisce, come ultima frontiera per misurare la "credibilità" del neo-premier, il licenziamento "libero" (e palla al centro) come misura disciplinare principale e unica per il pubblico impiego, sicuro come non mai che sia l'assenteismo il problema della crisi italiana.
Il premier alla ricerca di fiducia considera assurdo che un atto di un'autorità amministrativa possa essere sindacato da un giudice: prendiamo atto.
Nessun giudice deve poter verificare la conformità al sistema legale dell'azione della pubblica amministrazione, specie, a quanto pare, se il titolare della potestà amministrativa risulti eletto. Cosa che dovrebbe porlo, a prescindere dai contenuti dei suoi atti (anche ove occupi di traffico o di piani urbanistici, cioè di materia tipicamente esecutiva delle leggi), al di sopra delle leggi.
Ebbene, questa è stata l'enunciazione, di fronte ad un'assemblea legislativa elettiva (e non in una semplice intervista), per quanto tale assemblea sia stata contestualmente destinataria di una sentenza di liquidazione finale: l'esplicita dichiarazione della FINE DELLO STATO DI DIRITTO, quale teorizzato in trecento anni e oltre di elaborazione politica e giuridica.
L'essenza dello Stato di diritto, infatti, è che anche la pubblica autorità (e non solo i sudditi, privati cittadini) sia assoggettata a norme giuridiche imputabili al potere delle assemblee liberamente elette (the "rule of law"), norme che, in quanto "giuridiche", diano luogo a tutela giurisdizionale dei cittadini sottoposti al potere di tale autorità.
Se non ci fosse "un giudice a Berlino" (citazione che contiene oggi in sè un beffardo paradosso), quelle stesse norme non sarebbero giuridiche e competenze, obiettivi, discrezionalità, delle pubbliche autorità sarebbero autoregolate nel mondo pregiuridico del puro rapporto di forza politico di cui parla Calamandrei.
E ben sappiamo, oggi, a chi appartenga questa "forza", avulsa dallo stesso consenso democratico e dalla stessa sua necessitata radice nella comunità nazionale.
Una conquista non da poco, precondizione minima della democrazia, che evita che, di volta in volta, il Sovrano, l'Esecutivo, l'apparato politico, - che mira a controllare l'assetto sociale orientando l'azione degli organi amministrativi da loro dipendenti (dipendenza rivendicata a gran voce di questi tempi appoggiandosi sulle armi di innumerevoli poteri di licenziamento, rimozione, rotazione)-, rafforzi esclusivamente gli interessi dominanti che lo hanno sostenuto nella preposizione al potere istituzionale.
Senza la tutela giurisdizionale dei cittadini su tali atti, le istituzioni divengono, in fatto e in diritto, "cosa" di proprietà degli interessi socio-economici di fatto prevalenti, segnandone l'inarrestabile ed arbitrario rafforzamento ulteriore.
La sovranità, intesa come tutela istituzionale dei diritti sociali democratici al vertice della scala costituzionale di valori, non esiste praticamente più.
E' morta e sepolta sotto il cumulo delle macerie create dall'ordoliberismo mediatico che rinviene dogmaticamente ogni suo punto di riferimento in potenze estere, poteri sovranazionali, internazionalismo propinato come terrorismo devastatore di ogni resistenza democratica.
E senza la sovranità neppure lo Stato di diritto ha alcun senso: non avrebbe senso porre dei limiti alle stesse autorità e poteri pubblici quando questi non rispondono a coloro nel cui nome sono istituiti, quanto a istituzioni sovranazionali sostanzialmente "privatizzate".
Se questo sta avvenendo, con la conseguente riduzione della democrazia a "procedura idraulico-sanitaria", nell'esatta configurazione evocata da von Hayek come condizione per renderla "tollerabile", non deve stupirci.
Questa continua evocazione dell'ultima spiaggia, dell'ultima chance, è perfettamente conforme a tale ideologia: gli ordoliberisti, con l'estrema offensiva di tutta la loro forza mediatica, che li ha condotti fino a qui, in 30 anni di trionfale riduzionismo "pop" della odiata democrazia sostanziale, ci stanno semplicemente avvertendo.
L'ultima chance è la vostra, non la "loro".
Stanno semplicemente anticipando che o si fa come esigono "loro" e i loro padrini della finanza multinazionale impadronitasi del potere globalizzato, o la democrazia, anche solo ridottta a consultazione elettorale a opzioni predeterminate dal controllo mediatico, ve la potete anche scordare.