mercoledì 12 febbraio 2014

IL VERO VOLTO DEI TRATTATI INTERNAZIONALI E LA CRISI DI RISULTATI DELLA "PRIVATIZZAZIONE DEL DIRITTO" IMPOSTA DAI MERCATI



1. Provo a mettere un po' di ordine in una serie di (indubbiamente complessi) concetti, recanti però dei risvolti alquanto pratici. Almeno per chi si volesse basare su una corretta comprensione dei fenomeni giuridico-economici della questione €uro-crisi e della stessa previsione "frattalica".
L'esigenza di chiarimento nasce proprio dallo straordinario livello di molte delle osservazioni documentate che provengono dai commentatori del blog e dagli interrogativi che essi stessi pongono.
Per non indulgere ad un approccio eccessivamente teorico (che a molti di voi appassiona, ma poi alla fine quello che è più sentito è l'aspetto previsionale, consapevolmente anticipatore di come si svilupperanno gli eventi), partirei proprio dalla focalizzazione degli snodi frattalici di cui ci siamo occupati negli ultimi tempi.

Cioè della questione Alan Friedman (...project).
Dice Luca Tonelli, in due interventi in cui cerca di riassumere l'essenziale "pratico":
- "...il libro "Ammazziamo il gattopardo", se è questo il titolo, serve fondamentalmente ad aprire l'ennesima operazione gattopardesca?
Quindi frattalicamente stiamo supponendo che Napolitano sia assolutamente prono a Berlino mentre un Prodi sia più aperto a influenze d'oltreoceano - o cmq a influenze provenienti da quella parte dell'elite europea che non ha perno in Bundesbank?"
"...rischia di andare a finire che faranno davvero l'unione dei (piccoli) trasferimenti pur di tenere in piedi il tutto. se il nemico di adesso è l'intransigenza tedesca e chi guida la "riscossa" è Prodi....mi sa che l'obiettivo è la sopravvivenza della moneta unica lo stesso."

2. Ovviamente non è che Luca abbia dedotto cose sbagliate: è che una semplificazione dei termini della questione di tale tipo non corrisponde alla oggettiva confusione di "linea" che regna sia nella politica italiana, che in quella europea e persino in quella statunitense
I links che avevo inserito nella parte finale del post stesso erano volti a cercare di rendere (senza dover ripetere il tutto) questa sorta di fase di "transito ondivago", di cui è vittima praticamente tutta la governance mondiale: una fase certamente dovuta al bilancio fallimentare di una serie di politiche che, pure, si sono finora affermate a livello planetario, e specialmente, con diverse sfumature e fasi di rispettiva realizzazione (aspetto non trascurabile), tra USA ed UE.
Quello che possiamo anticipare è che il momento è veramente particolare, perchè non è identificabile esattamente in quali contenuti debbano esprimersi i "rapporti di forza", proprio perchè i contenuti dell'esercizio della forza stessa non sono chiari a coloro che sono in posizione di predominanza.
Il che è un tipico problema di diritto internazionale e, al tempo stesso, ci conferma che la costruzione europea nasce, prosegue e vive sul piano del diritto internazionale.
La stessa apparente chiarezza delle linee perseguite dalla Germania, elemento che finora pareva risolvere ogni problema di "linea" in UE, perlomeno nei riflessi "italiani", è tale solo se non si considera che, - sul piano più ampio di rapporti che eccedono quello con l'Italia, e che si proietta sia sugli altri paesi "forti" dell'Unione, sia sui rapporti con gli Stati "forti" extra-UE-, la Germania, obiettivamente, non ha affermato in pieno quel rapporto di forza che corrisponde alla "chiarezza" delle imposizioni che intende affermare.
E, anzi, nello stesso "vedere" le cose con questa chiarezza, è isolata rispetto al resto del Mondo (quantomeno della famosa comunità delle Nazioni Civili...come già le è capitato in passato).

3. Prima di affrontare la risposta da me data a Luca, per una maggior chiarezza (che ricerco necessariamente  io stesso), precisiamo alcuni concetti.

Il primo ha a che fare con l'internazionalismo e la sua reale natura politico-giuridica
Questa mi pare non del tutto chiara nella divulgazione, dato che si lasciano ancora molti margini ad una considerazione idealistico-ideologica che fa apparire frutto di propensioni apparentemente legittime l'auspicare la costruzione europea in contrapposizione o, nella migliore delle ipotesi, in continuità, con l'esperienza costituzionale e la sua, persino contestata, priorità come fonte suprema (cosa indubitabile per i tedeschi e, in certo modo, anche per i francesi).
Rammentiamo subito, allora, che il diritto internazionale è governato dai rapporti di forza che si affermano nei fatti: è cioè un modo di regolare conflitti ineguali, ed il cui esito è sostanzialmente già deciso, o comunque ben delineato, nella realtà politica internazionale, dando a chi sia in posizione di soccombenza un'occasione di limitare le perdite. Così ottenendo, come vedremo, "concessioni" che altrimenti non sarebbero state raggiungibili. 

I trattati internazionali, dunque, sono decisioni politiche (di apparato, cioè che assumono caratteristiche "tecniche") che conducono essenzialmente a forme transattive (intendendo come transazione l'accordo che, facendosi reciproche concessioni, le parti concludono per prevenire o porre fine ad un controversia tra di loro, cfr; art.1965 c.c.). 
Ciò vale anche per i trattati che creano organizzazioni internazionali, dato che gli stessi si risolvono in un sistema multilaterale di regolazione di conflitti, - spesso (ma non necessariamente) "prevenuti" tra le parti contraenti e "regolati" in modo comune alle parti stesse, rispetto a Stati terzi estranei al trattato (es; la Nato nella sua origine)-,  che non sfuggono alla base di forza prevalente, di alcune parti rispetto alle altre, che sottosta a tutto il fenomeno pattizio.

4. Quello che è certo è che il diritto internazionale vede come suoi soggetti solo gli Stati o le organizzazioni di Stati, e non ammette, se non in via riflessa (come considerazione del reciproco riconoscimento di "trattamento" dei rispettivi cittadini e aspetti simili)  la diretta rilevanza degli individui umani, cioè la loro soggettività c.d. normativa (intesa come titolarità dei diritti e dei doveri conferiti dalle norme di diritto internazionale).
Sono le Costituzioni, perciò attualmente, le massime fonti che si occupano degli individui umani; ciò che certe organizzazioni internazionali fanno, ad es; in termini di diritti umani, è riconoscere eccezionali legittimazioni ad agire di fronte a vari organi internazionali giurisdizionali, che affermano, tendenzialmente, responsabilità e obblighi degli Stati, cioè delle parti dei trattati, e, sempre eccezionalmente, delle persone fisiche riconoscibili, secondo le regole specifiche del diritto internazionale, come "organi" degli Stati (determinando delle responsabilità "funzionali", non estensibili al di fuori della sfera delle regole che riguardano gli Stati nella loro azione politica, cioè non riportabili alle regole puramente "etiche", se vogliamo, e volte astrattamente alla giustizia nella comunità degli individui umani).

Il FMI, ad esempio, funziona in base a delle regole conformi al suo "oggetto" specifico di trattato tra Stati, che disciplina la erogazione di crediti originariamente compensativi degli squilibri commerciali che si verificavano nell'ambito del sistema di Bretton Woods, e poi considerati rispetto alla situazione valutaria mondiale successiva, scontando perciò, quanto al criterio del "voto" deliberativo, il differente peso dei paesi che vi aderiscono in termini di contribuzione finanziaria. 
Quindi i paesi più ricchi contano di più e hanno un potere equivalente all'azionista di controllo delle società commerciali. Ma  esso non può che funzionare così.
E, in un certo senso, così funzionano, necessariamente, tutte le organizzazioni internazionali
Cioè, determinato il loro oggetto (invariabilmente assunto come di "cooperazione" in un settore socio-economico o in una pluralità più o meno ampia di settori), avranno sempre più peso coloro che apportano alla organizzazione il maggior contributo iniziale
Il maggior peso contributivo-organizzativo, sarà poi invariabilmente utilizzato per sfruttare, nella successiva applicazione del trattato, questa posizione di forza pre-giuridica, generalmente nata nella realtà contemporanea, sul piano economico-industriale-finanziario

La "maggior forza", ripetiamo, precede, nei fatti della politica, il trattato stesso, e si orienta, come modus operandi corrispondente alla intrinseca base dell'adesione ai trattati (cioè alla giustificazione della stessa loro conclusione, riflessa nel principio "rebus sic stantibus"): quindi si concretizzerà nell'imporre la prassi applicativa delle regole del trattato che più conviene ai forti, dopo che la stessa posizione di forza avrà naturalmente influito già nel dettare la formulazione delle norme pattizie.

5. Dunque, nelle organizzazioni internazionali "economiche", allo stato più puro che in altri settori (ma ormai quali?) del diritto internazionale, vige la regola: pacta sunt servanda...ut favor leonis.

Vi chiederete allora (forse), perchè mai i più deboli aderiscano ai trattati: tendenzialmente perchè gli Stati, che come abbiamo visto sono gli unici soggetti-parti del diritto internazionale, stanno già subendo, a livello pregiuridico, puramente socio-politico, il rapporto di forza che viene poi ratificato nel trattato; quest'ultimo, appunto, nella logica "transattiva", mitiga, o consente di offrire un risultato, quantomeno in termini di comunicazione politica, che "deve" essere fatto apparire come utile (o eticamente positivo), ai cittadini-elettori, da parte dei governi che sono gli organi che, per il diritto internazionale, negoziano e concludono i trattati.
In aggiunta all'azione tecnica dei governi, poi, le regole costituzionali interne, prevedono, normalmente, l'intervento parlamentare (cioè di un organo fortemente rappresentativo del libero orientamento politico della comunità nazionale interessata) di controllo-ratifica dei trattati stessi, sindacando, più o meno intensamente, l'operato politico dei governi stessi.

6. Molte altre cose di potrebbero aggiungere, ma, per quel che interessa in questa occasione, è rilevante sapere che il controllo del parlamento, teoricamente introduttivo di una barriera di tutela sostanziale della democrazia concepita in una certa comunità statale, è pur sempre soggetto ai rapporti di forza pregiuridici che riguardano una certa realtà sovrana statale (statale perchè altre, legittime, in rerum natura non ce ne sono al di fuori delle stesse organizzazioni internazionali).
In altri termini, se nei fatti bruti della realtà internazionale un certo Stato(comunità) è recessivo rispetto a una o più delle controparti di un trattato, ciò si riflette, ancor prima della conclusione di esso, nel fatto che la classe politica e dirigente in genere di tale Stato, (comunque selezionata: il discorso sarebbe troppo lungo) è già, in qualche forma e "misura", captured, cioè controllata da quella del Paese più forte.

Questo è un fenomeno essenzialmente inevitabile: e basti pensare a come, - dalle politiche delle cannoniere (che evidenziavano brutalmente la superiorità tecnologico-militare, che presupponeva, a sua volta, quella industriale), alle forme di controllo anche indiretto (cioè culturale) dei mezzi di comunicazione di una certa comunità statale, per passare per il concreto dell'erogazione di risorse finanziarie a questa o quella forza politica di un certo paese-, l'assetto politico-decisionale di uno Stato-paese possa tendenzialmente riflettere la influenza di un altro prevalente.

7. A posteriori, poi, dopo la conclusione di un trattato, queste forme di influenzamento da parte degli Stati più forti, - che naturalmente sono congegnate in modo da sfuggire ai singoli cittadini, i quali ancora ritengono di essere illusoriamente soggetti alla sfera politica delle leggi interne, al cui vertice ci sono le Costituzioni-, non possono che risultare rafforzate.
E non solo perchè il vincolo formale del trattato accelera i momenti giuridicamente obbligatori di interferenza tra le parti-Stato diseguali, ma anche perchè la prospettazione di una legittimità di tale interferenza è resa più facile dalla sua rispondenza, appunto, alla "giuridicità", cosa che viene per facile (ed ingannevole) metonimia, estesa alla stessa "giustizia" del vincolo in questione.

Vedete allora la ragione profonda per cui l'art.11 Cost si era assicurato che l'adesione dello Stato italiano alle organizzazioni internazionali, fosse subordinato, oltre che al ripudio della guerra (intrinseco alla stessa attività di conclusione dei trattati), alle clausole espresse delle "condizioni di parità" e del perseguimento di un "ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni" (attenzione: Nazioni! Non genericamente tra gli uomini). 
L'art.11 è dunque espressione di una altissima consapevolezza del problema del diritto internazionale e dei trattati, e nella sua perfezione tecnica, (storico-sociale e politico-giuridica), soffre semmai di una vena addirittura utopistica, presupponendo una democrazia vigile e mai assoggettabile al gioco dei più forti contrario agli interessi della Nazione.

E' chiaro che, se non se ne può pretendere una intransigente applicazione "eroica", almeno però ci si poteva aspettare una sua interpretazione prudente ed accorta
Se ciò non è avvenuto, come riteniamo sia evidente nel caso dei trattati europei (e come già evidenziava nel 1978, Luigi Spaventa), significa che la classe politica non voleva e non poteva, - per via dei rapporti di forza in cui si trovava, e che ha preferito assecondare- , curare l'interesse della comunità nazionale nella misura fino ad allora ritenuta conforme all'assetto democratico. E questo per le più varie ragioni, certamente e solo ascrivibili alle elites che sono coinvolte nella immediata percezione dei rapporti di forza stessi.

8. Insomma, i rapporti di forza iniqui non si cambiano, come invece accade solo nell'immaginario della comunicazione mediatico-culturale che ha preparato e seguito i trattati europei, e certamente non lo si fa dando dignità di regole giuridiche "giuste" e riferibili ai soggetti umani, a quelle di un qualunque trattato.
E neppure attribuendo eccessiva rilevanza a ciò che, contrastando le Costituzioni, opprime i popoli come comunità di individui, che dei trattati non sono certo le "parti".
E quindi propagando l'idea che le regole delle O.I. (non solo l'UE, ma il FMI, l'OCSE, il WTO) si trovassero sullo stesso piano delle regole giuridiche delle comunità democratiche dei popoli (cioè gli Stati nazionali). 
Confondere questi  due diversissimi piani, sia di soggettività naturale che di funzione-legittimazione delle rispettive serie di norme, fa molto comodo alle elites (tecniche ed economiche) che, in definitiva, tendono a rivestire il ruolo di "percettori delle concessioni" che i trattati elargiscono agli Stati più deboli.
Aspetto fondamentale che ci rende conto del perchè i rapporti di forza, - anche nei residui di convenienza che costituiscono la base del trattato per lo Stato "debole" che vi aderisce- tendano, sul piano della comunità sociale degli individui, a distribuirsi in modo ineguale e concentrato.


A questi aspetti (che vi parranno forse complessivamente "deprimenti" in proporzione alla loro veridicità),  se ne aggiungono altri.
Evidenziati nell'intervista rilasciata all'Antidiplomatico. In particolare possiamo richiamarci a questo passaggio:
In un mondo che sostanzialmente vede la diffusione del modello capitalista (liberoscambista) a livello praticamente planetario, i rapporti di forza della comunità internazionale, che una volta erano legati alle cannoniere, sono oggi sul piano esclusivamente economico e legati sempre più alla capacità di penetrazione dei grandi gruppi finanziari internazionali. Non si tratta più di indagare la prevalenza degli Stati in sé, ma il modo in cui gli stati collimino, nelle loro scelte, con la classe dirigente mondiale, la famosa oligarchia mondiale, e quindi non più con l’interesse nazionale in senso democratico. E su questo il professore coreano di Cambridge Chang nel suo libro “Bad samarhitans” credo offra il punto di vista più lucido.

Molte organizzazioni internazionali sono di fatto oggi dominate dai gruppi economici che utilizzano gli stati per la loro legittimazione formale
. In sede UE, WTO, Banca mondiale, FMI, gli Stati non vanno a rappresentare gli interessi delle componenti sociali che danno luogo all’investitura elettorale, ma sono presenti in quelle sedi con elites definite tecniche, che in realtà sono emanazione diretta di quei gruppi economico-finanziari che sempre più controllano le istituzioni. Lo stato che entra nell’alveo di tale tipo di organizzazione internazionale riflette quindi una scelta quasi irreversibile compiuta da chi ha acquisito una rappresentatività di diritto internazionale fuori dal controllo democratico. Lo stesso Stato nazionale fa sfumare la sua soggettività nell'ambigua, e spesso nascosta,  investitura della multinazionale, del grande gruppo finanziario
."

9. Nell'ambito delle organizzazioni internazionali a crescente rilevanza economico-finanziaria del loro esplicito oggetto, e tra esse l'UE-UEM campeggia in un ruolo assolutamente "di punta" (un esperimento senza precedenti), la sostituzione delle stesse classi politiche, quelle tendenzialmente legittimate sul piano elettorale, tende a amplificarsi di fronte a questa nuova natura economico-privatistica delle forze prevalenti: perchè poi a queste ultime, dato il crescente carattere tecnico delle regole che inevitabilmente dovranno essere formulate, basta controllare i tecnici istituzionali (e non) che preparano tali regole, formalmente imputabili agli Stati, per controllare questi ultimi. Senza doversi neppure sobbarcare del compito di "catturare" l'intera classe politica prevalente o auspicabilmente tale, del paese interessato
E in tal modo, costruendo un nuovo "codice di legittimazione", si può distruggerne il sub-strato democratico in modo inavvertito e anzi, culturalmente legato a quella intenzionale confusione tra regole internazionali, dettate in origine per gli Stati come entità politiche impegnate nella negoziazione-applicazione dei trattati, e regole "tecnico-economico-privatizzate"; una confusione che permette di offrire queste regole come nobili espressioni di ricerca della "giustizia", teorico scopo del diritto, sullo stesso piano del diritto costituzionale.
Insomma, abbiamo non solo un modo più efficiente di cristallizzare i rapporti di forza, ma la stessa derubricazione degli Stati, come entità soggette alle regole costituzionali interne, dal loro ruolo di negoziatori-determinatori del contenuto dei trattati: cioè un fenomeno di destatalizzazione de facto del diritto internazionale.
E da ciò deriva l'importanza assoluta, "etica" nel senso più nobile, della difesa delle Costituzioni.

Anche perchè la tendenza del diritto internazionale, economicizzato e quindi "tecnicizzato" è quella di negoziare ed imporre standards e parametri che si impongono come adeguamenti automatici, necessariamente "dovuti" ed  applicativi di assetti insindacabilmente ritenuti come efficienti e razionali
Cioè le norme del diritto internazionale, sempre più, divengono autoapplicative, dettagliate e vincolanti per gli Stati (es; regola del deficit o del pareggio di bilancio) e soprattutto per i cittadini, che non sono parti del trattato (es; politica agricola o standards per la preparazione e confezionamento di un certo alimento, fino a giungere alla modalità di erogazione di servizi pubblici o delle prestazioni sanitarie)

10. La commistione indifferenziata dei due piani normativi, non a caso, è uno dei grandi inganni ordoliberisti dell'€uropa, che è successfully riuscita a non far comprendere più quali regole siano internazionali, nell'etica settoriale intestatale loro propria, e quali destinate a vincolare, anche moralmente (anzi, moralisticamente), gli ignari cittadini.
Se non si capisce bene questo punto, è un pò come guidare sul ghiaccio una moto da corsa...

A suggello di questa parte, auspicando che la precedente spiegazione sia risultata intelleggibile (per molti "so" che lo era già), vi propongo quanto dice Habermas (eminente studioso tedesco), così come citato da Cristina Capra, in un passaggio che, a questo punto, vi dovrebbe risultare ancor più chiaro e significativo:
"...il diritto internazionale destatalizzato si trasforma in un ordinamento privatistico su scala mondiale, che istituzionalizza il traffico del mercato globalizzato. Il dominio delle leggi che si autoeseguono non avrà più bisogno di alcuna sanzione statale, perché le funzioni di coordinamento del mercato mondiale bastano a una integrazione pre-statale della società mondiale (Habermas, 2005, pp.188-189)".
Ma, come abbiamo accennato all'inizio, questa tendenza privatizzante e derubricatrice degli Stati e della loro sovranità democratica, inizia a mostrare la corda, sotto i colpi dei fallimenti del mercato, conditi dalla stessa impresentabilità di ciò che, a livello di controllo finanziario e culturale delle stesse istituzioni politico-elettorali, questa linea può presentare come risultato: dopo essersi fatta paladina della "efficienza" e della razionalità.

11. Per non estenuarvi con troppe questioni, vi riporto infine, con qualche aggiustamento, la risposta data alle questioni poste da Luca e menzionate all'inizio del post (in una linea di interpretazione frattalica che speso essere ora chiarita nelle sue premesse):

"Quando ricostruisci un quadro, non puoi veramente sapere le cognizioni che altri soggetti considerano rilevanti per assumere le proprie decisioni: anche perchè non conosci con certezza gli interessi materiali che devono realizzare queste decisioni. I decidenti non te li fanno conoscere realmente, ma li puoi, tutt'al più, dedurre. 
Ad es; l'Italia è guidata dal monetarismo sul piano del sistema bancario e dalle supply side-export oriented-deflattivo-salariali sul piano delle politiche economico-fiscali, da circa 30 anni. E questo è applicato con una gradualità - che a loro sfugge in termini di strategia per obiettiva insufficienza culturale, rispetto a un disegno dominante di cui sono meri esecutori- che fa sentire i nostri "politici" sempre non abbastanza capaci di "fare"; fino al punto che vogliono "fare" anche quando, nel tempo, tali approcci si stanno rivelando inadeguati agli stessi originali propugnatori, cioè in una certa linea politica USA che è è inevitabilmente influenzata dalla pressione "privatizzata" dei grandi gruppi economico-finanziari. 
Questa sfasatura, USA-UE, e sicuramente USA-Italia, relativa al grado di ripensamento e di "praticabilità" del diritto de-statalizzato e del modello economico neo.liberista fondato su deflazione e supply side, costituisce un punto essenziale di "dissonanza" politico-cognitiva a carico del PUDE; ok?

E' chiaro che su questi presupposti, la conservazione della moneta unica, mediante la mera facciata di una sua maggior flessibilità, è un obiettivo, allo stato delle cose, perseguito da Confindustria e sistema bancario.
E' chiaro che questa acritica esigenza "interna" (dominante da 30 anni) aveva trovato alimento e cerca tutt'ora di appoggiarsi nel liberismo intrinseco della governance economica USA.
Ma quest'ultima, a sua volta, ha obiettivi propri e non vive di formule preconcette rigide, altrui, per realizzarli. Se non altro perchè corrisponde a un sistema molto più dinamico, non legato, IN RIGIDO "VINCOLO", a trattati concepiti, in sostanza negli anni '70, e rispetto ai quali NON HA FATTO "L'ENORME INVESTIMENTO POLITICO" che coinvolge una classe dirigente italiana che tende ad essere immutabile, perpetuando se stessa (in un gioco dei 4 cantoni più o meno tacitamente accettato).

Quindi lo sviluppo degli eventi non PUO' seguire una programmazione lineare, come una pianificazione aziendale.
Linee di interessi non coincidenti, e facenti capo a realtà geo-politiche che hanno diverse "strutture" e velocità di evoluzione, guidano tendenze di azioni che cercano di adattarsi e non coincidono necessariamente e, certamente, rischiano di divaricarsi per svolte inaspettate: cioè queste sono potenzialmente, e in modo crescente, determinate da acquisizioni cognitive, cioè dal ripensamento predittivo, in base ai fatti ed ai risultati economici effettivamente registrati, che rivelano come la massimizzazione di un interesse - imperfetto, mal stimato: quello ordoliberista €uropeo-, altrui, offerto come coincidente, possa invece portare a un assetto sub-ottimale per l'attore "principale".

Prodi è un attore interno e la sua potenzialità di azione è chiaramente orientata, da decenni, tanto più che ha un problema sostanziale, ovviamente non mediatico, di giustificare macroscopici errori precedenti, determinati da limiti di comprensione nell'aderire all'ordoliberismo; quindi non necessariamente potrà proporsi, e più ancora mantenersi a lungo, come l'interlocutore ideale per realizzare un rilancio della domanda interna e dell'occupazione, una volta che questo rilancio fosse visto come un obiettivo di medio termine.

Insomma, se temperano o addirittura abbandonano l'approccio supply side gli attori principali, la governance italiana, nel suo complesso, rischia di essere vista come inadeguata e disfunzionale all'interesse principale. Se maturerà, per necessità delle cose, un quadro del genere
..." 


14 commenti:

  1. Letta presenta "Impegno Italia".

    Indicativo presente (v. impegnare) : Dare un oggetto in pegno, a garanzia cioè del debito che si contrae ottenendo un prestito (s’intende, per lo più, al Monte di pietà).

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    1. Ma come no! Tanto poi passa Renzi a fare l'imbonitore alle aste al ribasso.
      Ci aspettano mesi movimentati: mica è così scontato che con la Reichlin e Boeri e la conseguente inevitabile riforma del lavoro, unita al taglio selvaggio di pensioni e spesa pubblica, possano reggere l'urto delle recessione reinnescata per più di qualche mese...
      Il popolo italiano è alquanto stanco...e la sicurezza di vedersi massacrati in nome delle riforme indispensabili, col dilagare della disoccupazione, non porterà grande consenso

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    2. Allora forse è per questo che nel PD danno sfogo alla "foga governativa" di Renzi? Per farlo "bruciare"???

      Potrebbe essere.......

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    3. Decisamente indicativo delle intenzioni di "impegno Italia" (indicativo presente verbo impegnare) e naturalmente sempre in linea con gli obiettivi del nostro folle batt€rio pop! Prima Monti con "salva-Italia", "cresci-Italia", ora Letta con "destinazione-Italia", "impegno-Italia" e via con gli slogan pop-pubblicitari ammazza Italia! Diventeremo anche noi un Paese di espropriati:

      http://www.festivaldelleterre.it/schede/la-lotta-contro-laccaparramento-di-terre-in-sardegna

      http://chiapasbg.com/2014/01/28/allarme-privatizzazione-terre/

      p.s.: chiedo scusa, non mi sono riusciti i link attivi

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    4. Ma il Sole24h., infatti, l'aveva detto "Fate presto!"..."prima che se ne accorgano".
      Però devono accorgersi anche del "perchè", se no continuano a pensare che sia la finanza brutta anglosassone e a sognare l'€uropa salvifica...
      Il problema è tutto qua (altrimenti modi ed esiti di questa crisi di governo non sarebbero stati possibili)

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  2. Vorrei sottolineare, però, il ruolo dell'ideologia nel tenere in piedi queste dinamiche.
    Laddove fosse chiaro - come lo era 30 o 40 anni fa - dove stia la differenza tra il pubblico e il privato, e come l'interesse generale confligga necessariamente con interessi privati, una simile impalcatura non si potrebbe reggere; perché presupporrebbe un controllo diretto su un numero di persone troppo ampio.
    Queste, infatti, dovrebbero essere selezionate da principio sulla base della loro connivenza e della loro scarsa moralità, oppure corrotte in seguito senza lasciare traccia: il che è di fatto impossibile.
    Ma questa ingenua visione 'complottista' - propagandata dai media proprio per poter essere agevolmente negata - non ha alcun senso, perché è ormai completamente inutile.
    Nel momento in cui si afferma l'ideologia del libero mercato, e dunque si accetta il principio che la libera ricerca del profitto individuale conduce all'esito migliore possibile, il singolo attore economico è deresponsabilizzato.
    Gli Stati non hanno alcun diritto di porsi obiettivi specifici, perché ciò altererebbe lo 'stato di natura' della libera accumulazione della ricchezza.
    Gli individui non devono interrogarsi sulle conseguenze del loro agire, perché la mano invisibile alla fine metterà a posto tutto.
    E ovviamente in questo quadro il benessere del mondo industriale e finanziario non crea impedimento al benessere dei cittadini: al contrario ne è il presupposto; e dunque può essere attivamente promosso anche dai rappresentanti dei cittadini stessi, senza che questo conduca a rimorsi o scrupoli di coscienza.
    La 'cattura' dei decisori politici, dunque, è impossibile senza una 'cattura ideologica'.

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  3. Post definitivo. Andrebbe messo in calce al manifesto di Ventotene e a qualunque manifesto politico internazionalista. :)

    Approposito di rapporti di forza, alcuni stanno notando la svolta atlantica di Parigi, già sottolineata qui... E non sarebbe la prima volta che i francesi chiamano gli USA contro i crucchi... ;)

    Ma forse questa volta si potrebbe verificare una triplice alleanza in chiave antitedesca, con gli usa a tirare le fila per richiamare all'ordine il riottoso suddito alemanno...

    Suona di tempismo molto sospetto questo premio:
    http://www.romanoprodi.it/strillo/la-francia-premia-prodi-europeo-convinto-uomo-di-stato-cittadino-del-mondo_8166.html

    Che ne dite di un prodi pdr che , visti i suoi recenti riposizionamenti, critica la moneta unica, si allea ufficialmente con la francia e eterodiretto dagli usa induce:

    -o la germania all'uscita e tutto resta come prima altrove
    -o un'uscita concordata dall'euro, che però non mette in discussione liberoscambismo e soprattutto il TTIP caro agli USA.

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    1. MI paiono tutte ipotesi compatibili ocn le premesse. Il cui comune punto debole è l'idea di "conservare attenunando", rallentando (peer poi accelerare).
      In mano a simili personaggi, si tratta sostanzialmente della prosecuzione di un paradigma che non può garantire comunque una ripresa, dato il grado di compromissione della domanda cui non pone alcun rimedio...
      Ma forse sarà proprio il ripensamento (USA) dei presupposto del TTIP a innescare l'inversione di rotta..."forse" e in modo contraddittorio, ma quanto basta per mettere fuori gioco ogni vecchio arnese dell'ordoliberismo

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  4. Salute!
    Innanzitutto complimenti: ti seguo da poco ma la ricostruzione delle dinamiche e degli eventi di cui sei autore è la più lucida che io abbia mai letto finora.
    Ho tuttavia una perplessità: ma tu sei veramente sicuro che gli autori di questo disastro neo liberista si trovino difronte ad un bilancio fallimentare e stiano cercando una qualche forma di correzione della rotta? No perchè a me parrebbe il contrario: una cambio di tattica con funzioni rabbonitrici, tutt'al più, ma non certo di strategia. Quest'ultima anzi mi pare vada a gonfie vele: profitti tedeschi che aumentano, consumo oramai non solo europeo e americano ma orientato anche su altri continenti, un interscambio sempre più massiccio che ha reso l'Europa e nel futuro anche gli USA, dal punto di vista della produzione materiale di beni e del relativo consumo, sempre più marginali...
    Mi parrebbe insomma tutto secondo programma: si produce dove costa meno, si vende dove emergono nuovi ceti medi (Brics, e credo che a breve si partirà pure con l'Africa)...come si sarebbe detto in altri tempi: è il capitalismo, bellezza!
    Tu poni il problema del malcontento dei popoli...ma è davvero così rilevante? In Italia il tessuto sociale non ha finora saputo esprimere un ceto dirigente alternativo in grado di contrapporsi, con competenza, a quello attuale che si è venduto alle multinazionali. In USA è forse diverso? Anche il popolo francese non mi pare molto reattivo in questo senso, e la cosa è doppiamente grave perchè se c'era una nazione europea che aveva ben presente, in forza dei suoi trascorsi rivoluzionari, la rilevanza degli interessi nazionali e la potenzialità di un popolo in armi (la Comune di Parigi, etc) era proprio quella!
    Ti chiederei di chiarirmi questi punti, quando potrai.
    Grazie.
    Maurizio

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    1. Se spulci tra i post di un anno fa (gennaio-febbraio) troverai i dati e le analisi relative alla supposta ripresa USA, alla decisione di pareggiare il proprio CAB mediante rilancio del manifatturiero interno e investimenti pubblici, e via dicendo. Stiglitz fa proprio un'analisi in proposito qui più volte linkata, in tempi recenti. Persino Cameron è su una linea del genere, sempre nell'alveo di una prevalente politica monetaria e creditizia.
      Anche recenti post riprendono il tema: in realtà non c'è una ripresa sufficientemente univoca, sostenuta e sospinta dalla domanda interna e, anzi, mettere l'accento su "interscambio" e saldi esteri è, ora più che mai, un esercizio che lascia insoddisfatti sia dal punto di vista del consenso che della crescita di medio periodo.
      Certo gli "ordoliberisti" (in questo però isolati) si sentono più che mai trionfanti, ma dietro una facciata di devastazioni che non sono in grado neppure di guardare in faccia...con tutte le conseguenze del caso, in termini sociali: Prossimamente, molto...

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  5. Ohhhhh... magguarda... sull'asse USA-Francia-Italia ancora non si sa, ma su prodi al quirinale...

    http://www.wallstreetitalia.com/article/1665828/politica/piano-renzi-alleanza-con-m5s-e-prodi-al-quirinale.aspx

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    1. Sull'"asse" con la Francia, sfido, specie se FN diventerà il primo partito; quanto alle nostre risorse istituzionali, si ragiona placidamente come se ai prossimi mondiali potessimo schierare Baggio e Baresi (che almeno erano davvero capaci)...Peccato che non ci sia un campionato del "più €uropeo" perchè avremmo vinto sempre e senza aver rinnovato la nazionale (se non nei "portatori d'acqua")

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  6. Continuo a non capire. Cioè dovrei credere che von Hayek e allievi erano veramente convinti di agire per il bene dei loro popoli, tanto da dolersi delle macerie da loro stessi determinate!?! E quindi lo stupore per l'insuccesso delle loro cure è sincero!? Monti, Amato, Prodi...tutti stupiti e imbarazzati dal disastro!?!? La mia idea, ma ti chiedo di smentirmi, e che fossero assolutamente consapevoli e che anzi su stiano fregando le mani con voluttà. Non so quale siano i principi che guidano le scelte di vita di un economista, ma mi verrebbe da dire che o sono imbecilli (e NON LO SONO) o sono in malafede, e dunque solerti esecutori di interessi che hanno tutto da guadagnare..
    Ti chiedo di spiegarmi questo punto. Grazie.

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    1. Ne abbiamo lungamente discusso su questo blog, per la verità.
      "Loro" stanno ottenendo esattamente ciò che avevano programmato. E si sentono trionfanti: solo che i conti non tornano - e non potevano tornare- e si danno a rinfacciamente interni, mentre altri, meno zeloti dell'ordoliberismo (se non altro) perchè lo consideravano strumento e non fine, già pensano a come uscirsene (senza dover ammettere le proprie responsabilità, ovviamente)
      Ex multis (con rinnovato invito a leggersi il blog)
      http://orizzonte48.blogspot.it/2014/01/le-contromosse-dellordoliberismo-2-il.html

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