venerdì 25 settembre 2015

RELOADING: ONESTA', COMPETENZA, MERITOCRAZIA E CONFLITTO DI INTERESSI (la grande dissimulazione in salsa €urocratica).

 
La recente accelerazione della deriva ordoliberista e autoritaria che sta travolgendo l'€uropa, farebbe pensare che "resistance is futile". 
Ma anche nei momenti più oscuri, occorre predisporre le risorse per sopravvivere. Perchè ESSI stanno ponendo le basi per la loro stessa caduta.
Per questo, partendo dalle "basi" indispensabili della democrazia costituzionale, vi ripropongo,"reloaded" per una migliore comprensione di sintesi, - cioè inserendo titoli aggiuntivi di introduzione ai paragrafi -, il post ONESTA', COMPETENZA, MERITOCRAZIA E CONFLITTO DI INTERESSI (la grande dissimulazione in salsa €urocratica).
 


1. Onestà e competenza hanno qualcosa a che vedere con la capacità (giuridica, in quanto sia espressamente disciplinata da norme dello Stato) di essere rappresentanti dei cittadini nelle assemblee politiche legislative (di qualunque livello)?
Accostati i due termini la risposta non può che essere positiva, se non altro perchè risponde al senso comune, alla ragionevolezza più elementare, che non può accettare persone, prive di tali requisiti, che siano preposte alle più delicate funzioni di indirizzo politico (problema che dovrebbe però altrettanto valere per la capacità di essere parte del governo, che esercita un segmento di indirizzo politico di crescente importanza).

Tralasciando le enormi complicazioni giuridico-organizzative (della stessa società) che derivano dal voler poi precisare come si debba accertare preventivamente - in termini di incapacità all'elettorato passivo, ineleggibilità, incompatibilità, o, infine, incandidabilità- il possesso di questi requisiti espressi in termini generalissimi, il problema si pone quando si diffonda, nell'opinione pubblica, l'idea che un candidato, un potenziale rappresentante del popolo nelle istituzioni elettorali, debba solo "essere onesto".
2. Cos'è l'onestà e come la si accerta?
Questa idea si accompagna alla precisazione che sarebbe la mancanza di precedenti penali, cioè di sentenze in giudicato che accertino qualunque tipo di reato, ad attestare l'onestà. Si tratta cioè di una presunzione assoluta che avere avuto a che fare con la giustizia penale sia una qualificazione negativa tale da privare il cittadino, avente i requisiti generali di elettorato passivo, della possibilità di farsi eleggere.
Si porrebbero poi gli ulteriori problemi se ciò debba essere esteso non solo ad ogni tipo di reato, ma anche alla mera condizione di imputato e se questa, a tali fini, debba farsi coincidere con il momento del rinvio a giudizio; e, ancora, quanto debba durare questa incandidabilità non solo rispetto a ciascun titolo di reato per cui si è condannati, ma anche rinviati a giudizio.
Vi risparmio quindi le evidenti questioni di eguaglianza e ragionevolezza che deriverebbero da una preclusione indifferenziata e perenne, o comunque scollegata dal titolo di reato e dalla durata della pena, e del processo (nell'ipotesi di condanne nei vari gradi non ancora definitive).

3. La competenza ma anche l'eguaglianza sostanziale, secondo la Costituzione. E scusate se è poco...
Col d.lgs.n.235 del 2012 (che potete provare a leggere) il problema è stato in qualche modo affrontato dal governo Monti, portando alla soluzione di una incandidabilità (aggiuntiva a incapacità, ineleggibilità e incompatibilità) per una durata connessa a quella della pena (moltiplicata per due) e alla individuazione di reati che siano considerati in sè, per tipologia o ammontare della pena inflitta, sintomo di indegnità all'elettorato passivo.
Qui trovate una trattazione dei non indifferenti problemi di costituzionalità che già tale norma porta.

Noterete che stiamo parlando dell'ottica in cui solo l'onestà sia requisito necessario e sufficiente per considerarsi candidabili.
Della "competenza" non abbiamo ancora parlato: mettere insieme competenza e elezioni, cioè captazione di numerosi voti, presuppone a sua volta l'irrisolvibile problema se ciò possa essere stabilito preventivamente per legge
La Costituzione non lo prevede e, a leggere ciò che ne dicono la dottrina e la Corte costituzionale, neppure potrebbe, a pena di precludere l'allargamento della partecipazione alla vita civile e poltica del Paese voluto dall'art.3, comma 2. Tale allargamento, in termini di capacità (generica) all'elettorato passivo, risulta fondamentale per avviare uno Stato democratico pluriclasse e, quindi, redistributivo della stesse capacità di decidere dell'interesse generale in sede politico-istituzionale.

4. La competenza come monopolio autoproclamato dei tecnocrati che dissimulano la propria ideologia.
Riassumendo sul punto, si può dire che una barriera legale in termini di "competenza" viene a prefigurare una tecnocrazia, cioè una forte limitazione della sovranità popolare esercitata nelle forme democratiche, che implicano il metodo elettorale, a favore di persone che abbiano dei requisiti che sarebbe molto difficile fissare una volta per tutte
Tali requisiti, in termini storici e necessitati, rifletterebbero l'orientamento ideologico di chi avesse, ancor prima che si svolga la competizione elettorale (punto importantissimo), il potere di individuarli
Ciò attribuirebbe un potere costituente anomalo a tali soggetti decidenti, perchè sarebbe un potere, per definizione, in contrasto con la sovranità indifferenziata del popolo e col principio di eguaglianza anche formale.

Non che questo porti a sostenere che la competenza sia irrilevante: ma, certo, un medico o un fisico teorico, pur potendo essere persone di altissimo livello intellettuale, non posseggono la competenza, ad esempio, giuridica od economica per comprendere al meglio gli assetti sociali su cui dovrebbero legiferare, neanche, per motivi intuitivi (relativi ad es; alla sostenibilità finanziaria, o alla interdipendenza tra loro delle politiche di settore,ed ai loro riflessi economici di lungo termine), nei rispettivi settori professionali.
5- Competenza e processo elettorale. La relatività della meritocrazia se non c'è l'eguaglianza sostanziale.
E' chiaro dunque che la competenza può essere legata alla "cultura" di un individuo, intendendola come comprovata (nei fatti "curriculari") espressione di un alto livello intellettuale
Ma questo, a sua volta, nulla può avere a che fare con l'attitudine a comunicare ed a "portare voti". E, punto anche più importante, non può misurarsi il merito in senso oggettivo, legandolo a un metro che consenta valutazioni tali da distinguere il possessore di un prestigioso curriculum da un cittadino meno titolato ma capace di testimoniare, con la sua stessa vita, un grande impegno culturale (si pensi ad es; ad un operaio che riesca a diplomarsi o a laurearsi come studente lavoratore; o anche soltanto a un operaio che sia politicamente attivo e impegnato strenuamente nel cercare di conoscere le dinamiche sociali in cui si trova a vivere).

In questo genere di valutazioni, entra infatti in gioco l'enorme importanza delle "condizioni di partenza" e della relatività della meritocrazia, la quale, se prescinde da questi aspetti, - che fissi o meno requisiti legislativi predeterminati-, diviene pericolosamente un modo per dissimulare, dietro alla "competenza", i rapporti di forza nella società.

6- I padri della Costituzione, Mortati e Basso: meritocrazia come "partecipazione pluriclasse". 
Contro questa minaccia, continua, e particolarmente suggestiva, data la tendenza di ognuno di noi ad acclamare e a delegare chi "ti risolve i problemi" senza farti preoccupare troppo - il che porta dritti agli artifici di chi ha il controllo dei media, che tenderà a presentare la realizzazione dei propri interessi come perseguita da politici encomiabili e ad attaccare chi li osteggia- si è pronunciata la nostra Costituzione.
E lo ha fatto, in un'indispensabile comprensione storico-sistematica, con la formula della democrazia pluriclasse "necessitata", di cui abbiamo tante volte parlato.
Il più evoluto e raffinato interprete di questa formula, a nostro parere, è Lelio Basso, uno dei costituenti più illustri proprio per la sua "competenza", che ci ha dato la formula della "democrazia partecipante", da realizzare progressivamente (certo), ma da subito, senza ritardi frapposti da impossibilità vere o presunte agitate, ovviamente, dalle classi economicamente dominanti.

7. Rawls: la cultura della complessità e della passione civile contro la "doppia verità" e il diritto "naturale" (hayekiano) delle elites liberiste.
Chi si è occupato di "giustizia" sostanziale nell'azione delle istituzioni, evidenziando il "velo di ignoranza" che ostacola la piena partecipazione alla vita pubblica di ogni strato della società - ignoranza non legata solo alle condizioni di miseria e di incultura, ma anche a quelle di "convenienza-utilità" della cultura della classe dominante, tipicamente il liberismo-, è stato John Rawls.
Egli tentò di conciliare pluralisticamente i differenti concetti di "giustizia" che possono formarsi nella società, e, quindi, il socialismo col il liberalismo; un capolavoro su una conciliazione considerata spesso impossibile, dato che i liberisti (la distinzione terminologica è in realtà più italiana che anglo-sassone e possiamo metterla da parte...per ora) sono programmaticamente e irrinunciabilmente ostili alla condivisione del potere politico (e qui si comprende pienamente Spencer: "La funzione del liberalismo in passato fu quella di porre un limite ai poteri del re. La funzione del vero liberalismo in futuro sarà quella di porre un limite ai poteri del Parlamento").

La conciliazione argomentata da Rawls, spesso geniale - ma che esige una cultura della complessità che coniughi passione civile, cioè un'attitudine psicologica "umanitaria", con profondità intellettuale-, ha dato luogo ad un visione dinamica non dissimile da quella di Lelio Basso.
In entrambi i casi occorre una "tensione morale", nei perseguitori di questa visione, quale implicito presupposto il cui mantenimento è molto difficile: una rarità che contrasta con la dura realtà storico-sociale per cui le elites economiche tenderanno sempre a teorizzare la unicità della "giustizia" da essi propugnata. E ciò avendo per di più i mezzi, finanziari e mediatici, per prevalere, non solo contro i "nemici di classe", ma proprio nel confronto con coloro che sono i portatori di questa tensione morale alla conciliazione di interessi in lotta fra loro, in un modo democraticamente istituzionalizzato.
La "doppia verità" liberista è dunque, in realtà, un modo di proiettare sul piano politico, e quindi del governo della società, la loro supremazia pretesamente "naturale" conquistata con una (più o meno effettiva) dura lotta sul piano economico; sicchè ogni azione strumentale a ciò, compreso il condizionamento mediatico dell'opinione pubblica e la cooptazione di falsi rappresentanti del "popolo" in realtà asserviti ai loro interessi in modo dissimulato (ai propri elettori), viene considerata espressione di una sorta di nuovo "diritto naturale".

8. La meritocrazia senza eguaglianza sostanziale come vulgata di controllo sociale neo-liberista: tra privilegio per nascita e strumenti illeciti di scalata sociale.
Quello che, per ora, ci importa sottolineare, tuttavia, è che il richiamo alla "meritocrazia" è una parte essenziale della vulgata di controllo sociale liberista, una simulazione di "giustizia nella società" che nasconde e contrasta la realtà dei diversi punti di partenza per gli individui, evidenziata dai pensatori pluralisti.
Insomma, la meritocrazia è una negazione del pluralismo ed una implicita affermazione della giustizia basata sui rapporti di forza economica.
Non a caso, infatti è propugnata da coloro i quali si guardano bene dall'evidenziare i criteri di selezione (darwinista) che avrebbero portato alla posizione personale da cui predicano tale sistema!
Mai è evidenziata l'influenza del privilegio per nascita, e meno ancora, ovviamente, la liceità e utilità sociale dei loro strumenti di scalata nelle gerarchie umane: tipica la posizione ereditaria o l'appartenenza a gruppi economici in posizione di monopolio o, ancor più insidiosamente, di oligopolio.

9. I mandatari dell'oligarchia meritocratico-darwinista e la dissimulazione del conflitto di interessi nella "tecnocrazia".
Nei momenti più difficili, di "sollevazione" della base sociale, si servono di appartenenti indiretti a tali posizioni di disutilità o illiceità- cioè di "loro" mandatari con rappresentanza, remunerati a tal fine- da far eleggere, o comunque preporre alle istituzioni di governo. Facendo nascere l'immenso problema del conflitto di interessi; di cui parleremo in seguito, ma la cui caratteristica è sempre quella di essere strategicamente reso non riconoscibile.

Una versione considerata accettabile (sempre mediaticamente) della meritocrazia autoproclamata e strategicamente in conflitto di interessi (occultato) è la tecnocrazia, basata appunto sull'idea che la complessità della società moderna - cosa in parte vera, ma proiettata posticciamente sulle dinamiche dell'invariabile conflitto sociale- possa essere governata solo dai "tecnici". E che questi possano farlo in modo più efficiente e quindi utile per l'interesse generale della democrazia.

Questa è esattamente la forma della governance dell'Unione europea, così esplicitamente teorizzata e praticata nelle parole dello stesso Barroso (The EU is an antidote to democratic governments, argues President Barroso). Che, ovviamente, non è altro che il tipico rappresentante-mandatario delle elites economiche e del loro disegno antidemocratico. Che, condiviso tipicamente dalla schiera degli eurocrati, rende la sua ammissione così "normale", surrogabile dalle dichiarazioni di qualunque altro componente della governance europea e dei governi dei singoli Stati che di essa fanno un punto irrinunciabile.

10- Rawls e il "consumismo senza senso" come prodotto della tecnocrazia in conflitto di interessi.
Tale è questa realtà, della meritocrazia tecnocratica, che Rawls, come abbiamo visto, riconobbe a prima lettura il disegno di Maastricht e dell'euro (Una domanda che gli Europei dovrebbero porsi, se mi è consentito azzardare un suggerimento, è quanto vincolante dovrà diventare la loro unione. Si perderebbe molto, credo, se l’Unione Europea diventasse un’unione federale, sul modello degli Stati Uniti. Qui esiste un linguaggio politico comune e una certa disponibilità a spostarsi da uno Stato all’altro.
Non vi è conflitto tra un mercato esteso, libero e aperto che comprende l’intera Europa e i singoli Stati-nazione, ognuno con le proprie istituzioni sociali e politiche separate, le proprie memorie storiche, e le proprie forme e tradizioni di politiche sociali. Di sicuro si tratta di valori significativi per i cittadini di questi Paesi, valori che danno un senso alle loro vite.
Il mercato aperto europeo è tra gli obiettivi dei grandi gruppi bancari e dei più grandi gruppi capitalistici, il cui scopo principale non è altro che aumentare il profitto.
L’idea di una crescita economica, continua e marcata, senza alcun obiettivo specifico all’orizzonte, si addice perfettamente a questi gruppi. Se parlano di distribuzione, lo fanno quasi sempre in termini di effetti a cascata o ricadute favorevoli.
Il risultato di lungo periodo di tutto questo – già manifestatosi negli Stati Uniti – è una società civile immersa in un qualche tipo di consumismo privo di senso.
Non posso credere che questo sia quello che volete)
.

11- La "competenza", in democrazia (vera), è saper riconoscere il conflitto di interessi dei tecnocrati che espropriano la democrazia.
Allora, se la società democratica è aperta e pluriclasse, ma è resa praticamente (utilitaristicamente) impraticabile dalla doppia verità della tecnocrazia in uno specifico conflitto di interessi, e se quest'ultimo agisce in quanto non sia riconoscibile programmaticamente dai popoli, a che serve un "onesto", con la fedina penale immacolata che sia concretamente incapace di fare tale riconoscimento, nella complessità delle decisioni da prendere, o, peggio, che sia mandatario delle elites portatrici del conflitto?
Questa domanda ci dà la risposta operativa al perchè sia necessaria la "competenza" e, al tempo stesso, in cosa debba consistere quest'ultima nella tensione alla realizzazione di un'effettiva democrazia.
E ci dà anche un semplice regola pratica: non votare chi non riscuota la nostra fiducia nel saper riconoscere il conflitto di interessi. Sapendo, ovviamente, che tale conflitto esiste e quali ne siano le radici inevitabili, finchè saremo in una società capitalista.

Dei modi e delle multiformi ragioni e manifestazioni del conflitto di interessi "sociale", quello che sospende la democrazia costituzionale (che per fortuna ancora possiamo rivendicare) ci occuperemo prossimamente.


14 commenti:

  1. La soluzione a ciò,secondo il mio parere,è la democrazia diretta.

    Salvo

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La democrazia diretta è un indefinibile - indefinibile!- processo decisionale ove i poteri di fatto tendono a prevalere inesorabilmente verso risultati che sfuggono inevitabilmente alla comprensione dei decidenti, facendo prevalere istinto autoritario delle oligarchie.
      Però di questo abbiamo tanto parlato qui: e in base a quanto, da secoli, hanno elaborato e escogitato coloro che hanno posto le basi della democrazia sostanziale. E nessuno di questi ha mai predicato la democrazia diretta.
      Che, invece, riscuote, non poche nascoste simpatie nelle elites che si strofinano le mani al pensiero di come, a livello pre-elettorale, sono in grado di formare l'opinione pubblica, rendendo il voto un PROCESSO IDRAULICO. Cioè a esito predeterminato (dall'assetto mediatico e culturale controllato dalle oligarchie) ove la democrazia scolora nel SONDAGGISMO (che dissimula assetto oligarchico).

      Elimina
    2. Per questo che bisogna iniziare a pensare un sistema per evitare grossi accumuli di beni e proprietà privati la formazione di oligopoli e la manipolazione mediatica.

      Elimina
    3. Purtroppo il popolo non è in grado di fare il proprio interesse coscientemente perché, come spiegava marx, chi è troppo impegnato a sopravvivere non può sviluppare una consapevolezza piena.
      Ci vuole gente che abbia una di queste 3 cose almeno: cultura, tempo o reddito tali che consentano di porsi domande di un certo tipo e di trovare le risposte: ovvero la classe media.
      Difatti il problema del nostro tempo è proprio la pochezza dei ceti medi che non stanno lottando. Loro potrebbero guidare il popolo come accaduto in passato. Ma questo non succede.
      Come dice Fraioli facendo il paragone con la fattoria degli animali: il popolo sono le pecore (che infatti acclamano il maiale Stalin quando prende il potere), la classe media sono cavallo e asino...che si guardano dubbiosi.
      Ecco la rinuncia della classe media ad opporsi ai potenti, probabilmente perché ubriacata da passate promesse di maggior ricchezza e dalla propria auto soddisfazione derivante dai successi del trentennio d oro, sta portando tutti quanti compongano il 99% alla rovina.
      Chi soccombe prima e chi soccombe dopo...ma il destino è quello. E come ci ha detto anche 48 di ritorno dalle vacanze sulla base delle proprie impressioni personali, la classe media (coloro che ancora vanno im vacanza solitamente ne fanno parte) non accenna assolutamente a questa presa di coscienza.

      Elimina
    4. Bisognerebbe riflettere bene su chi e come, soprattutto nel Novecento, si è richiamato alla democrazia diretta. Per dire: "La forma naturale della manifestazione diretta di volontà di un popolo è il grido della moltitudine riunita che approva o respinge, l'acclamazione. Nei grandi Stati moderni l'acclamazione, che è una naturale e necessaria manifestazione vitale di ogni popolo, ha mutato la sua forma. Qui si manifesta come « opinione pubblica » (infra, § 18, p. 323). Ma sempre il popolo può dire in generale solo si o no, approvare o respingere, ed il suo sì o no diventa tanto più semplice ed elementare quanto più si tratta di una decisione fondamentale sulla propria esistenza complessiva. In tempi di pacifico ordinamento queste manifestazioni sono rare e non necessarie. Che in simili casi non si manifesti visibilmente nessuna particolare volontà, significa appunto una approvazione permanente della costituzione esistente." (C. Schmitt, Dottrina della costituzione, Milano, Giuffrè, 1984 (1928), pag. 120).

      Ha ragione, mi pare, Azzariti, nel suo commento al passo in questione (Critica della democrazia identitaria [si tratta dell'"identità"così come teorizzata da Schmitt], Roma-Bari, Laterza, 2005, pag. 41): "In tal modo però si realizza la perdita del soggetto. Il popolo viene scarnificato nella sua realtà materiale e privato della sua soggettività. L’essenza politica del popolo, che viene continuamente evocata e posta a fondamento del potere (costituente), riesce ad emergere solo nel «plebiscito reale», dunque unicamente se eterodiretta. Solo rispondendo ad una «domanda loro posta»,formulata da altri, il popolo può aspirare ad essere.
      Sono allora «altri» i veri detentori del potere, non il popolo, bensì colui - o coloro - che interrogano e al tempo stesso interpretano la volontà popolare, permettendo così di dare a questa una forma politica."

      Si ricorda infatti spesso l'appoggio di Schmitt al nazismo, ed è certo giusto farlo, ma meno che in nome delle sue teoriche sul potere "democratico" giustificò i decreti con cui Hindemburg imponeva l'austerità a colpi di decreti scavalcando il Reichstag. D'altra parte riteneva anche che i diritti sociali non fossero veri diritti e il proporzionale un attentato all'"omogeneità" di un popolo, evidentemente immaginario e utile solo a defraudare dal peso politico quello reale.

      Elimina
    5. Se tanto la rappresentanza è un inganno o una finzione (anche Kelsen purtroppo è caduto in questa trappola), la questione della sua *qualità* diventa irrilevante. E invece il punto mi pare sia proprio questo. Per dire, secondo Crisafulli (di cui non credo abbiamo mai parlato...questo passo sta in La sovranità popolare nella Costituzione (note preliminari), 1954, ora in Stato popolo governo. Illusioni e delusioni costituzionali, Milano, Giuffrè, 1985, pp. 132-133) "in tanto lo Stato moderno può dirsi realmente rappresentativo, in quanto esso sia organizzato in modo da dar vita ad un collegamento stabile ed efficiente tra lo Stato medesimo e la collettività popolare: in quanto cioè, sia dato rinvenire nella struttura di esso uno o più organi appositi, destinati specificamente a rappresentare il popolo (organi che esistono infatti storicamente in tutti gli Stati moderni e che sono, di regola, formati mediante elezione dei loro titolari). Il carattere rappresentativo dello Stato moderno può dunque essere una mera finzione giuridica, nell’ipotesi che lo Stato manchi di tali organi appositi, oppure che questi vi siano ma non abbiano poteri determinanti; ed un largo margine di finzione sussiste altresì quando, pur ricorrendo tali condizioni essenziali, l’ordinamento giuridico discrimini poi i cittadini in attivi e passivi, in base a criteri politici o di classe, attribuendo i diritti politici a una ristretta aliquota di privilegiati. La finzione, viceversa si attenua, sin quasi a scomparire del tutto, quando: a) lo Stato sia fornito di detti organi; b) questi abbiano poteri determinanti; c) i diritti politici spettino a tutti i cittadini naturalmente capaci; d) sia garantita nel modo più ampio la libertà dei partiti politici ed esistano, in fatto, le condizioni concrete di una organizzazione dei partiti stessi, tale da inquadrare la maggioranza della popolazione attiva, realizzando una effettiva saldatura tra gli elettori e le masse dei non elettori."

      L'accusa di insufficienza rivolta alla democrazia rappresentativa e allo stato sociale in nome di superiori virtù democratiche di immaginari "io" comunicativi paritariamente interagenti (ogni riferimento ad Habermas è puramente voluto) sa di truffa da molto lontano.

      Elimina
    6. Luca Tonelli25 settembre 2015 19:28

      "(che infatti acclamano il maiale Stalin quando prende il potere)"

      Senza alcun giudizio di merito vorrei ricordare Stalin come positivo difensore dello Stato sovietico (in quel momento c'era quello) dal tentativo di rovesciamento da parte di Trotsky.

      Elimina
    7. Se sistema proporzionale e, in genere, democrazia rappresentativa - magari progressivamente sostanzializzata dall'intervento economico e sociale delle istituzioni politiche - sono tanto aborrite dalle élite, si dimostra per assurdo, con ogni evidenza, che chi propugna la lotta alla "partitocrazia", che delegittima gli "eletti" in funzione di "mani pulite" e "trasparenza", ha obiettivi reazionari.

      La LN pare avesse, dopo la raffinata sovversione di una delle maggiori democrazie occidentali (poco prima delle stagione stragista che portò a Maastricht) un buon numero di "attivisti" nelle file della nota ONG Transparency International".

      Poi si pensa a un noto comico italiano fissato con la corruzione, e si sospetta cosa fosse andato a fare sul Britannia insieme ai Draghi poco prima della grande svendita...

      Pel sondaggismo, l'onestismo, l'antiparlamentarismo livoroso, il decrescismo depressivo, la e-dictatorship, e demagogie "arancioni" di vario genere, sintonizzarsi su beppeggio.it...

      Lo stesso Lelio Basso, citato per la statura umana e il contributo intellettuale, fu proprio uno dei costituenti che diede l'apporto maggiore alla formulazione dell'art.49 Cost. (magari da mettere in relazione con gli artt.18 e 98 terzo comma).

      Elimina
    8. Interessantissimo il primo link: ed eravamo nel 1997! La generalità degli slogano PUO erano esattamente prestabiliti. Mi domando con quali modalità concrete li abbiano fatti imparare a memoria alla totalità dei giornalisti italiani.

      Elimina
    9. @Bazaar: questa ti piacerà: "E interessante esaminare l’ideologia di cui si nutre la campagna contro i partiti organizzati: essi sono accusati di coartare il «franco sano individualismo» (Bognetti [proprio lui!! Sul Sole 24 Ore], 1992); data l’«insopprimibile differenza esistenziale di ogni individuo», assurda è la loro pretesa o aspirazione a rappresentare classi o interessi (Flores d’Arcais,1990 [notare l'habermasismo di "sinistra"]). L’abbiamo visto, si tratta dei medesimi argomenti di cui per lungo tempo le classi dominanti si sono servite per vietare le coalizioni operaie (cfr. supra, cap. 4, § 5). Rifiutandosi di procedere a qualsiasi distinzione, la campagna contro i partiti dichiara di voler colpire la corruzione. E' la parola d’ordine che, alla fine dell’Ottocento, presiede in America al movimento sfociato in una de-emancipazione di neri, immigrati e bianchi poveri (cfr. supra, cap. 1, § 9). A suo tempo, Tocqueville (1968, p. 209), certo tutt’altro che favorevole ai partiti ideologici e fortemente strutturati al loro interno, attribuisce alla loro assenza un effetto positivo sulla «felicità», ma non.certo sulla «moralità». E nell’America di fine Ottocento, il depotenziamento dei partiti, propagandato come la risposta al fenomeno della corruzione politica, finisce col sancire il crescere vertiginoso dell’intreccio e dello scambio di favori tra mondo degli affari e mondo politico e lo strapotere delle lobbies delle quali persino un critico conservatore dei partiti sottolinea «la cinica audacia con cui esse usano la loro ricchezza per corrompere funzionari e legislatori e distoglierli dal sentiero della virtù» (Bryce, 1888, vol. 3, p. 668)." (D. Losurdo, Democrazia e bonapartismo, Torino, Bollati Boringhieri, 1993, pag. 303).

      Elimina
    10. Bognetti somiglia a Monti per l'estroversione "confessoria" che lo portava a dire cose ben oltre il metodo della "doppia verità".
      Noto peraltro che lo scritto cit. è del 1993: solo poco più tardi analisi di questo tipo iniziano a rarefarsi, insieme con la sovranità (cioè proprio con il manifestarsi di quanto paventato), e persino menzionare l'euro in termini critici diviene un tabù.
      Ed eccoci qua, come possiamo constatare in questa sede ogni giorno...

      Elimina
    11. @48
      Il Movimento Solidarietà ha generalmente una Weltanschauung molto vicina a quella che emerge dal nostro quotidiano confronto: certo, capire come vent'anni fa potessero esprimere analisi così centrate, supportate spesso da riferimenti culturali - anche se solo abbozzati - ma pertinenti e, in genere, in un quadro ideologico coerente, credo sia spiegabile solo attraverso l'accesso privilegiato ad informazioni di "intelligence" a cui il mitico Lyndon pare abbia sempre avuto accesso. Senza nulla togliere, appunto, al centro studi da cui attingono gli autori della storica rivista.

      @Arturo
      Grazie per le citazioni.
      Quando sento parlare di "morale", nel senso di condanna e giudizio del comportamento altrui, mi irrigidisco. Figuriamoci in politica...

      Il giudizio morale, in quanto tale, presuppone che chi lo esprima abbia acquisito il sistema di valori di cui denuncia la deficienza nel prossimo, generalmente rispetto a quella che Nietzsche definisce l'etica giudaico-cristiana. Etica che non può appartenere a chi "scaglia la prima pietra"...

      È logicamente evidente, data questa semplice premessa, che "moralismo" e "moralizzazione" non hanno - nella maniera più assoluta - alcuna cittadinanza in chi l'etica "giudaico-cristiana" tendenzialmente la osserva: la classe lavoratrice.

      La morale "non si fa": la si agisce. I valori sono acquisiti se - e sole se - l'etica è prassi.

      La morale, intesa etimologicamente come "costume", ha quindi questa ambivalenza tra "l'apparire pubblicamente decenti", il "conformarsi al proprio secolo" - tipica dei salotti buoni - a quella esattamente opposta all'intelaiatura valoriale "giudaico-cristiana".

      Con buona pace di cleri e aristocrazie varie.

      (Contraddizione che 48 potrebbe farmi notare esistere dal principio: bé, ripeto, mi rifaccio all'etica storicamente "divulgata" tra i proseliti, quella che schifa Nietzsche ne "La genealogia della morale")

      Se questa argomentazione è logica, è reale anche che "l'azione moralizzante in politica" non possa che essere reazionaria. Insomma, l'etica democratica comporta che sia immorale far la morale.

      L'etica - stando con Hobbes - viene "concordata" con il processo costituente: da quel momento esistono solo le norme giuridiche e le istituzioni legittimate a farle rispettare.

      Il giudizio morale soggettivo si trasforma in una sentenza di un pubblico ministero; lo Stato di diritto prende il posto al moralismo di scribi e farisei.

      (Tra l'altro, in una democrazia compiuta, data la missione rieducativa della pena detentiva, non dovrebbe essere ammissibile costituzionalmente nemmeno l'ergastolo... ma non vorrei andar a far della "filosofia del diritto" in casa di giuristi)

      Elimina
  2. Non so se sono fuori tema, ma oggi, su Vocidallestero.it, si trova un articolo tratto da Bloomberg sulla nuova legge in corso di lettura al Bundestag sulla sorveglianza bancaria. Essa è in aperto conflitto con la normativa vigente europea. Dobbiamo allora essere coerenti e dire con aperta franchezza ed a voce alta che gli interessi della Germania vengono prima di qualunque costruzione "europea" e regolarci di conseguenza.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. In realtà la Germania lo ha affermato a voce alta da anni (sentenze-Urteilen "Lutz" e "Lissabon" della sua Corte costituzionale; la ricostruzione di tale giurisprudenza è nel libro "Euro e(o?) democrazia costituzionale in apposito paragrafo).

      L'esito di ciò è che l'Unione bancaria - e il bail-in per azionisti e più che altro correntisti-, debba valere solo per i paesi con forte debito estero=PiGS e, sempre più, in prospettiva, Francia: cioè, recidendo il legame tra Stati e moneta bancaria "nazionale", e dunque privatizzando selettivamente l'emissione monetaria sui paesi che abbiano sistemi bancari non a rischio estero; cfr; http://orizzonte48.blogspot.it/2013/12/riflessioni-sulla-unione-bancaria-tra.html.

      E' poi logico che tale sistema, in quanto conveniente al paese maggior creditore (target-2) si possa reggere solo se la vigilanza bancaria, rimanendo nazionalizzata, eviti ogni pericolo di accertamento "pericoloso" sulla solvibilità e sui bilanci del sistema bancario di tale paese creditore.
      Ma è una posizione unilaterale non nuova e, in fondo, scontata nei rapporti di forza instaurati a colpi di deflazione salariale in violazione delle clausole cooperative dei trattati).

      Elimina