lunedì 9 novembre 2015

COME N€ USCIAMO? GIA' COM€? PR€PARANDOCI BENE AL CUPIO DISSOLVI (di ESSI)


http://www.thelibertybeacon.com/wp-content/uploads/2014/06/Understand-the-Globalization-of-Poverty-and-the-New-World-Order1.jpg

1. Ringrazierò sempre Smigol per la sua preziosa opera (svolta su twitter) di raccordo costante e di memoria storica del discorso del blog: l'attuale situazione, come mi ha rammentato con tempismo, appunto, Luca-Smigol, ci ha portato a questo riassunto schematico delle alternative disponibili alle comunità sociali, in precedenza organizzate intorno alla democrazia "sostanziale" (e ORA NON PIU'):

"Ci si aggira sempre intorno allo stesso problema: a livello inter-etnico che rinvia, in pratica, a quello interstatale, (supponendo la tendenziale omogeneità culturale degli Stati-Nazione; cosa che vale di più proprio nell'Europa occidentale e meno altrove), ricostruire una qualche forma di democrazia, è un percorso sempre "artificiale" e pretestuoso, se istituzionalizzato con un trattato economico, contrabbandato con idealismo utopico (e quindi senza operare attraverso i Poteri Costituenti che i popoli possono solo esprimere in base al proprio profondo e spontaneo impulso).
E' più facile che sia, questo disegno di fusione, in funzione distopica, cioè con fondato su democrazia idraulica e "doppia verità"; e certo tu rammenterai Kalergy...

Poi il discorso sui grandi Stati territoriali derivanti dalle ex aree coloniali (fenomeno extraeuropeo), è un po' diverso da quel che vale per l'Europa (come ben indica Rawls).
Peccherebbe anzi di un opposto schematismo accomunare la composita macroregione europea a queste realtà (si pensi agli anglo-sassoni aggregati continentali come USA e Australia) e cercare una soluzione unitaria "semplificante".

Oggi, il problema globale è se le comunità statali ESISTENTI, comunque assortite, siano o meno governate in nome del costituzionalismo, cioè quello democratico dei diritti fondamentali a epicentro "lavoristico-umanistico" (le due cose sono inscindibili e sinonimiche), ovvero dall'internazionalismo dei mercati.

Riportare verso il costituzionalismo democratico il baricentro della stessa comunità internazionale (di Stati; e senza doverli sempre assoggettare a "organizzazioni" create per i mercati) è la sfida dei nostri giorni.
Paradossalmente, la ancora permanente realtà storico-culturale europea, agevolerebbe questa rinnovata istanza democratica (sostanziale) proprio nell'area UEM. Cioè proprio laddove la distopia si è istituzionalizzata al più alto grado.
Non c'è niente di "meglio" di un fallimento della distopia "reale", di un respingimento di massa della realtà orwelliana istituzionalizzata, per riportare la coscienza collettiva verso la propria autonomia democratica di popoli: pacificamente conviventi nell' "armonia complessa" delle rispettive Costituzioni.
Eh sì, è emozionante vedere come questa aspirazione avesse trovato un alto grado di realizzazione in quel "raro" momento di illuminazione collettiva che fu la nostra Costituente..."

Questa risposta, datata 8 aprile 2015, era maturata di fronte alla discussione del modello empirico di descrizione del sistema attuale riassumibile nel trilemma di Rodrik."

2. Vale la pena di sottolineare la omogeneità, con questa appena riportata, della successiva risposta fornita in occasione dei commenti ad un ulteriore post, proprio di ieri, che affrontava il problema "sistemico" sotto il punto di vista della decifrazione dellla strategia del mainstream. 
Ne emerge, necessariamente, un'angolazione del problema più legata alla implacabilità della traiettoria che dobbiamo fronteggiare.
Quindi, una risposta (ad un interrogativo sempre presente nelle preoccupazioni di chi sia consapevole) implicitamente più drastica riguardo alle effettive soluzioni disponibili nell'attuale "realtà" (politico-istituzionale: globalizzata e, nello specifico, €uro-internazionalista): 

"Il problema dell'eliminazione dell' "impossibile" è presente in ogni campo cognitivo, (cioè è questione molto più complessa e incerta di quanto non implichi...Conan Doyle con la sua semplificazione apparente, cioè ad effetto): ma lo è maggiormente nelle previsioni economiche, comunque calibrate sul "probabile".

In concreto, i modelli stocastici mainstream, immettono regolarmente l'ipotesi di libera e piena concorrenza (su economie accentuatamente aperte, e considerando decisivo il lato dell'offerta, peraltro), come dato presupposto e/o come traguardo delle "riforme": ma data la consapevole artificiosità dell'assunto, tali modelli sarebbero di per sè nel campo dell'improbabile (non proprio dell'impossibile).

Tuttavia, storicamente, quando prevale tale modello ideologico (il mainstream), gli si accompagna invariabilmente un intenso controllo istituzionale (attualmente internazionalizzato): da qui, in sede di attuazione e di (scontata) correzione politico-economica dei risultati deficitari, i frequenti colpi di coda, propri delle banche centrali (in stretta consultazione coi grandi gruppi finanziari; veri "controllori" istituzionali sostanziali; BCE docet...).

Dunque, rispetto alla, pur auspicabile, realizzazione di una previsione probabile (cioè ragionevole), alternativa alle stime ideologiche del mainstream, occorre scontare, in controtendenza, i metodi per tirare un calcio alla lattina che autodifendono il mainstream stesso (o anche il tirare fuori il coniglio dal cilindro: incluso un QE-4, ad esempio). 
Metodi che oggi consistono anche nella diffusione del wishful thinking mediatico, per diffondere quel clima di "fiducia" che è un altro presupposto fondamentale dello schema ideologico mainstream.

Ma tutto ciò (politiche delle BC e "fiducia" indotta in via mediatico-informativa) non funziona "sempre", e non sempre con "tutti", nonostante il potere istituzionale enorme che hanno accumulato. ESSI."

Qui sta l'incertezza sistemica che viviamo attualmente: un potere costretto ad autoperpetuarsi, ma intrinsecamente fallimentare (come dimostrarono Keynes, Hansen e, in modo più storicamente connotato, Marx), nella sua fase di massima affermazione istituzionale, tende inevitabilmente al cupio dissolvi: cioè ad essere distruttivo ed anche autodistruttivo...Ma ciò dopo una lunga lotta, in definitiva, contro tutto e tutti, compresi i propri stessi interessi di lungo periodo".
.

3. La differenza riscontrabile tra queste due risposte deriva, ovviamente, dal contesto in cui sono state fornite.
Si tratta, rispettivamente:
- nella prima risposta, di un contesto originato da un approccio logico-sintetico, fornito di completezza dei rationalia su cui è basato (il trilemma di Rodrik, logicamente antitetico alla manipolazione selettiva del mainstream);
- nel post più recente, invece, di un contesto che muove dal cercare di capire lo stesso fenomeno sul piano della patologia, psicologica e cognitiva, che è intrinseca al "governo sovranazionale dei mercati". 
Sia che si tratti della patologia diffusa indotta nella massa (effetto Dunning-Kruger), sia che si tratti del vizio cognitivo e percettivo osservabile nell'approccio dei "controllori" (anosognosia).

4. Vale la pena di rammentare che un simile approccio incentrato sulle motivazioni psicologiche è stato già operato, in modo magistralmente "asciutto" e diretto, da Galbraith
"La reazione degli imprenditori al Social Security Act segnò l'inizio di un mutamento nei rapporti tra gli economisti e il mondo imprenditoriale (rapporto oggi pienamente recuperato, peraltro ndr.); da questo momento in poi ci sarebbe sempre stato un certo grado di tensione. Gli economisti non sarebbero stati più la fonte di una benigna razionalizzazione in senso classico degli eventi economici...C'era stata un'indicazione di questo ruolo contrario nel caso dell'acquisto dell'oro da parte dello Stato; ora, con il sorgere dello Stato assistenziale, tale ruolo diviene manifesto. E, ben presto, con John Maynard Keynes, lo sarebbe diventato in modo lampante.
 

Si pone la domanda del perchè il mondo imprenditoriale abbia opposto resistenza a misure economiche così dichiaratamente volte a difendere il sistema economico, domanda che si sarebbe riproposta in modo insistente e pressante in rapporto all'azione keyesiana.

Questa resistenza è stata attribuita tradizionalmente alla miopia -o, nel modo di esprimersi di chi non si fa tanti problemi nella scelta dei vocaboli, alla stupidità- degli imprenditori, e in particolare dei loro portavoce influenti (in Italia assistiamo oggi alla loro unica voce come suprema istanza di giudizio su tutto, ndr.).

Questa però è una spiegazione limitata.

L'interesse pecuniario personale non ha un'importanza assoluta su questi problemi; anche la convinzione religiosa ha un ruolo

Per i protagonisti del mondo economico il sistema classico era - e rimane- qualcosa di più di un'organizzazione per la produzione di beni e servizi e per difendere la remunerazione personale.

Esso era anche un totem, una manifestazione di fede religiosa.  Perciò doveva essere rispettato e protetto. Imprenditori, dirigenti di società, capitalisti, si innalzarono al di sopra dell'interesse materiale per difendere la fede
E molti si comportano così anche oggi.
 

C'era ancora un'altra ragione per il loro atteggiamento.

L'attività economica non è solo una ricerca di denaro, ma è anche una ricerca di posizione sociale e della conseguente stima di sè. E' un fatto sgradevole ma inevitabile che, nel valutare se tali risultati siano stati o no conseguiti, i successi relativi siano più facilmente percepibili nella cattiva che nella buona sorte.

In periodi di generale avversità, l'uomo d'affari di successo può vedere chiaramente che cosa, grazie ai suoi sforzi (o a quelli di un predecessore di valore), sia stato compiuto e che cosa non sia stato coronato dal successo.

Se tutti avessero grandi doti, ovvero anche solo qualche dote per quanto modesta, quest'esercizio di autoapprovazione risulterebbe meno gratificante. 
Verrebbe infatti a mancare il pensiero remunerativo. "L'ho fatto io" o la possibilità che un'azione rifletta le qualità superiori che l'hanno resa possibile.

Attribuire a miopia intellettuale o a un angusto interesse pecuniario la resitenza del mondo imprenditoriale alle tendenze assistenziali della Social Security (e in seguito di Lord Keynes) significa fraintendere molte cose che sono importanti nella motivazione concorrenziale e capitalistica.

Qualcosa, forse molto, va attribuito anche al piacere di vincere in un gioco in cui molti perdono".

34 commenti:

  1. Sulla teologia del liberista sarei figlio d'arte: potrei dettagliatamente profilare l'individualedonigoticonarcisismo dell'archetipo... ma non è una seduta psicoanalitica.

    Mi rimetto semplicemente "all'uomo che si guadagna la dura pagnotta con il sudore della fronte" di Kalecki: il there is no free lunch almeno che non si nasca già ricchi....

    L'uomo che non deve chiedere MAI.

    Ma, oramai, credo che campione italico - dove la padoa-schioppana "durezza del vivere" che il vero uomo devrebbe bramare rimane un pallido simbolo - è diventato lui: il mitico Bognetti! con l'etica liberale "dell' alta, nobile e rigorosa VIRILITÀ".

    Un'espressione che mostra tutta l'alta intellettualità dietro l'europeismo e il mondialismo liberale.

    In breve: il concetto priapico a fondamento del liberismo.

    Jung Bazaar

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    1. LOL.
      Ammetterai che il versante comico dell'europeismo-mondialista è alquanto "sospetto": a ben vedere si tratta sempre di preoccupanti "sostituti" artificiali dell'attrezzo originario.

      Senza contare che chi non deve chiedere mai, generalmente, comunica attraverso esborsi di denaro.
      Da cui la diffusione (legge della domanda) delle m...otte e la proliferazione dei relativi "figli di..." (peraltro in sovraofferta, ormai).
      In pratica il sistema si perpetua con un'elementare ingegneria cultural-genetica.

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    2. Credo sia la chiave della filosofia gender e del malthusianesimo.

      Dobbiamo espiare le colpe di ESSI...

      Io passo: propongo una Legge Merlin per il sistema bancario...

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  2. Il pensiero religioso neoliberale si estrinseca anche attraverso la narrativa dell'uomo che si è fatto tutto da solo, e quindi senza l'aiuto di nessuno, nemmeno delle scuole pubbliche o del Welfare State, nella lotta serrata per la sopravvivenza contro tutto e tutti. Uno dei miti contemporanei di questa figura superomista è Steve Jobs; un mito creato apposta per propagandare questa Way of Life che dovrebbe essere fatta propria da tutti gli agenti del free market mondiale senza scuole pubbliche e senza stato (Steve Jobs andava fiero di non essersi mai laureato e di pensare "contro" le istituzioni stabilite). Ma, come hanno dimostrato studiosi come Mariana Mazzuccato, Steve Jobs non sarebbe potuto esistere senza uno stato nazionale (gli USA) impegnato pesantemente nello sviluppo delle nuove tecnologie che hanno reso così smart gli iphone, e senza gli incentivi economici che il governo USA dette alla sua Apple. Quindi tutta la retorica del "free market" e dell'individio isolato dotato di genialità sovrumana e spirito felino imprenditoriale è appunto una leggenda, un mito. Questa nuova mitologia contemporanea del gladiatore naturalmente ricompensa psicologicamente chi si trova, per sorte o per fortuna, ad interpretarne il ruolo di protagonista acclamato dalle folle esultanti. L'esaltazione mitologica del gladiatore imprenditore è ancor più intensa se la sua parabola si estrinseca in tempi avversi di crisi economica, come avvenuto con l'ultimo Steve Jobs.
    Ma vi è un'altra dimensione che andrebbe esplorata. Io penso che questa mitologia sia stata creata apposta come meme distruttivo da implementare nelle nazioni che si volevano sottomettere al "free market" internazionalista guidato dalle corporation USA assistite in tutto e per tutto dal governo americano. Ed infatti non è affatto un free market quello in cui siamo immersi a livello globale, ma ci sono degli agenti statali che possono condizionare o meno lo sviluppo di nuove corporation, così come nuovi mercati dove vengono commercializzate scoperte tecnologiche che, in primis, sono state finanziate dallo Stato, come internet.
    Io sono arrivato a pensare che il "free market" non sia diffuso solo da agenti stupidi, ma da enti e istituzioni consapevoli, al fine di distruggere ogni eventuale concorrente a livello mondiale che possa insidiare la leadership delle maggiori corporation multinazionali nate con l'aiuto di agenti statali. Infatti, se io propalo e diffondo la retorica del neoliberismo nelle nazioni che voglio colonizzare, cioè quella retorica che vede nell'individio isolato lasciato libero contro tutto e tutti e stimolato a creare per vivere e sopravvivere, come la via del progresso della società in generale, sto per l'appunto minando alla base la possibilità di sviluppo di queste nazioni; se nel mentre diffondo questa retorica io come governo colonizzatore aiuto però pesantemente le mie corporation nazionali (stimoli economici e pesante investimento in ricerca e sviluppo tramutati in prodotti commercializzabili) a competere nei mercati mondiali, saremo certi che poi saranno quest'ultime (cioè le corporation aiutate dallo stato imprenditore) a vincere all'interno del "free market" mondiale. L'ideologia del "free market" sarebbe da interpretare, in questo caso, come arma di guerra psicologica e brainwash di intere nazioni che si vogliono sottomettere e colonizzare. E qual'è il miglior posto dove diffondere questa religione del colonizzatore se non l'accademia e i mezzi di comunicazione del paese colonizzato, cioè noi?

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    1. Argomenti intrecciati tra loro e già affrontati su questo blog, avendo sempre di mira che lo strumento specifico degli USA per l'Europa è l'Unione monetaria, avendo come acceleratore fondamentale la moneta unica:
      1) http://orizzonte48.blogspot.it/2014/01/lautoinganno-del-tecnicismo-pop.html
      2) http://orizzonte48.blogspot.it/2013/10/da-rawls-castaneda-per-la-liberazione.html
      3) http://orizzonte48.blogspot.it/2015/02/la-condizionalita-2-da-chang-rodrik.html
      4) http://orizzonte48.blogspot.it/2015/04/citta-globali-e-la-denazionalizzazione.html

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    2. Verissimo, e come ricorda Quarantotto, ampiamente dibattuto in questi spazi: dietro ai colossi tecnologici statunitensi non ci sono "imprenditori geniali", ma squaletti lautamente foraggiati dal governo che detiene il signoraggio sugli scambi internazionali.

      Lo stesso Facebook è notoriamente una creazione della governativa CIA.

      Come notava Braudel, il capitalismo è dall'origine "storia di monopoli assicurati dallo Stato".

      Gran parte della letteratura economica, come illustra bene Chang in "Bad Samaritans" o, vicino a noi, il prof.Pozzi al recente convegno, è dialettica tra economisti che servono o meno gli interessi delle classi dominanti del proprio Paese.

      La solita questione del "kicking away the ladder", il calciare la scala con cui ci si è arrimpicati sull'albero.

      Fate quello che dico, ma non fate quello che faccio.

      L'FMI, l'OCSE e tutte le organizzazioni simili, non fanno altro che insegnare come diventare ricchi... rimanendo poveri.

      La teoria dei "vantaggi comparati" su cui si basa il "libero scambio" - come ricorda Chang - è funzionale solo premettendo la condizione di "a tecnologia data".

      Da sempre. Ripeto: da sempre, chi ha il vantaggio tecnologico - e il relativo maggior valore aggiunto prodotto dal proprio sistema finanziario-industriale - ha convenienza a proporre trattati di libero scambio. Senza neanche prendere in esame la relazione tra tecnologia e settore militare.

      La Rivoluzione francese è fondamentalmente il prodotto dell'Eden agreement, finito, come al solito, con il sistema produttivo francese a gambe all'aria e le teste tagliate dei governanti al grido: "casta-corruzione-brutto".

      Chi ha il monopolio della tecnologia oggi, è colui che sta imponendo il TISA, il TPP e il TTIP.

      Pensa a quanto può essere ignorante uno che crede "veramente" alla liberismo, alla concorrenza perfetta, e al liberoscambismo....

      Non è altro che propaganda funzionale a conservare i rapporti di forza, il dominio, lo schiavismo implicito nel lavoro-merce e l'assoggettamento colonialista ed imperialista.

      Lo si sa da sempre, con rigore e chiarezza metodologica almeno dai tempi di List.

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  3. Il linguaggio umano non è mai un elemento neutro: è sempre il prodotto di una determinata ideologia, che il più delle volte sfugge al nostro stesso controllo perché, come si sa, ognuno di noi è inevitabilmente figlio del proprio tempo. Il singolo individuo influenza la società in misura enormemente minore rispetto a quella in cui è influenzato dalla società stessa dal momento in cui viene messo al mondo - adieu, Mme Thatcher - e il mezzo principale attraverso cui questo processo ha luogo è il linguaggio.
    Dunque, va da sé che il controllo dei luoghi di "cultura", cioè di formazione del linguaggio comune, e di "intrattenimento", ovverosia di diffusione del linguaggio comune, è essenziale per imporre i propri valori, quindi il proprio volere, su vasta scala.

    Anche noi siamo portatori di un'ideologia, che piaccia o meno, ed è bene prenderne coscienza:
    - noi valorizziamo il concetto di famiglia rispetto a quello del singolo (che, per l'appunto, diventa, nell'ottica liberista, "self-made" alla stregua di una creatura mitologica immanente e acquista la valenza di un'entità divina autogeneratasi in quanto cardine e garante del cosmo, pardon, del "free market");
    - promuoviamo il lavoro (inteso anche e soprattutto come luogo dove stare insieme e condividere esperienze che accrescano la consapevolezza di sé e degli altri) al posto della rendita (che è "statica", perché muove da e conduce a posizioni "isolazioniste" in cui solo le proprie esigenze hanno diritto di cittadinanza);
    - proponiamo un mercato che sia equo (che offra, cioè, ragionevoli garanzie e tutele a chi parte incolpevolmente da una posizione più svantaggiata) anziché libero (da ogni considerazione etica e dunque da una regolamentazione "scritta" ampiamente condivisa e rispettosa dei diritti inviolabili di tutti gli uomini quale può essere la nostra Costituzione; la qual cosa si traduce automaticamente nella "legge del più ricco");
    - siamo costruttori di comunità (consideriamo lo Stato il baluardo della sovranità, ergo della democrazia, ergo della libertà individuale) e non disgregatori di individui (aggrappati al mito della privatizzazione "salvifica" dei loro stessi averi e delle loro stesse coscienze e incapaci di soddisfare pienamente i bisogni primari che consentono all'uomo di superare la condizione di "bestialità" perché tutto il loro tempo e tutte le loro energie sono impegnate nell'arginare la "durezza del vivere" che caratterizza le loro grame esistenze).

    A volte mi chiedo cosa ci rende antitetici a ESSI e la risposta che mi convince di più, al netto di considerazioni neuroscientifiche e psichiatriche di circostanza, è una sola: il Caso.

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    1. Profonda e acuta osservazione: sarà un caso che ogni tanto qualcuno riscopre queste possibile alternative umanitarie e comunitarie dell'equilibrio sociale?
      O forse, disponendo di cultura e memoria, attivata alla situazione personalmente percepita, reagiamo alla distruttività dell'ignorare-eliminare il controllo sociale sentendoci minacciati?

      In sostanza, mi pare, una parte dei soggetti colpiti (cioè dalla parte sbagliata rispetto alle oligachie), dispone delle famose "risorse culturali" per opporre resistenza e, in fondo, evitare una impending tragedy collettiva.

      Ma solo una parte, forse troppo piccola, a quanto dobbiamo ORA constatare

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    2. Siamo "condizionati" dalle ideologie, ma non di per sé portatori.

      Un conto è il significato di "ideologia", che magistralmente Marx chiama "falsa coscienza": manipolazione indotta dalla struttura sociale oggettiva, e, simmetricamente, debolezza cognitiva soggettiva.

      Certo, un'ideologia intesa come sistema di idee e di aspirazioni ideali ha senso a livello "partitico" e di propaganda: ma non in senso culturale, di coscienza collettiva. Di etica.

      L'etica non è "falsa coscienza": è un codice morale, di prassi comportamentale, che nella stessa effettività in cui si esprime indica un sistema di valori acquisiti. Una verità oggettiva hic et nunc. La soggettività che entra in sublime relazione con l'oggettività: la sconfitta di relativismo e nichilismo.

      Almeno nel caso dei valori costituzionali che abbracciamo.

      La cultura, l'etica e i valori sostanziali, non sono "ideologia": sono coscienza.

      Bazaar Florenskij

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    3. Dal punto di vista operativo (cioè della pratica riconosciibilità dei valori umani e delle relative azioni) è corretto distinguere tra:
      a) ideologia=metodo di captazione del consenso uniformando l'opinione pubblica e di massa ai propri interessi (manifestazione conservativa del potere oligarchico o di sua riappropriazione)=> nasconde i "valori" tatticamente si basa sulla "doppia verità" (tipicamente liberista);

      b) ideologia come visione del mondo portata al livello dell'equilibrio e del benessere sociali: => ricognitiva di valori in base a ricerca razionale e dinamica della loro storicità, adattandoli senza negare i fondamenti dello spirito.evolutivo dell'Uomo.

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    4. I "valori acquisiti", l'etica, dovrebbero essere fenomeni spontanei o dovuti al caso?

      Per Marx l'ideologia era una falsificazione della realtà e la chiave per comprendere le dinamiche e gli sviluppi sociali era invece da ricercare attraverso la visione materialistica della Storia. Allora i rapporti di produzione non determinati dalla coscienza degli individui, ma dovuti (per ogni individuo) al caso, dovrebbero essere anche gli stessi fenomeni che formano i valori acquisiti e l'etica?

      L'ideolgia è ricercare i valori in base a una ricerca razionale della loro storicità adattandoli ai fondamenti dello spirito evolutivo dell'uomo. Ma da cosa derivano quest'ultimi?

      Le prassi comportamentali, l'oggettività, non sono anch'esse molte volte frutto di un'ideologia? Se per ideologia intendiamo anche il feudalesimo, le monarchie, le religioni.

      Io penso che la Costituzione abbia un forte carattere ideologico, perchè si pone di costruire una società nuova. I valori storici che fondano la nostra cultura hanno ispirato sicuramente molti degli articoli. Ma i principi fondamentali hanno secondo me un forte tratto ideologico.

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    5. Sono discorsi sempre possibili, e in parte condivisibili, nell'ambito della speculazione filosofico-politica e politologica (ma non altrettanto produttivi sul piano giuridico e istituzionale): ciò in quanto si tratta, nell'ottica che proponi, essenzialmente di fondare delle tassonomie.

      L'approccio che proponevo nel precedente commento di risposta, era sulla traccia di quanto giustamente detto da Bazaar: si tratta di un approccio fenomenologico.

      Per compiere il percorso relativo, devo costantemente attualizzare la "variabile" storica al presente proprio del "percettore-interprete": senza pretendere a priori, spiegazioni generali finali.
      Ma certamente gli strumenti interpretativi forniti dall'analisi marxiana sono incorporabili in gran parte dei processi definitori fenomenologici.

      La prima definizione fenomenologica di ideologia che fornisco, appunto, è in linea con quella marxiana.

      Nel secondo caso, lungi dal cercare un'oggettività ex se, priva di elementi, storicizzabili anch'essi, di "precomprensione", il carattere distintivo è la non strumentalità alla conservazione di un assetto comunque non condiviso dall'adesione convergente della comunità sociale; e, in conessione, essenzialmente legato alla non comprensione (almeno sufficiente) dell'assetto stesso da parte della "opinione diffusa" della comunità sociale stessa.

      In pratica, fenomenologicamente, si è in grado di operare una netta distinzione tra strumentalità contingente dell'ideologia (visione sociale globale del "dover essere" comunitario, assunta però "a priori": quindi mediaticamente etero-controllata) e ideologia fondata sulla coscienza sociale critica di un benessere raggiungibile in concrete condizioni storiche.

      La seconda implica una costante indagine e la razionale verifica della completezza dei presupposti, e, per l'appunto, non aspira a una tassonomia che si dichiari scientificamente assoluta e quindi defnitiva.

      Ed è questo l'approccio ermeneutico che qui si sostiene riguardo alla Costituzione, finchè rimane, sul piano delle fonti giuridiche (cioè organizzative dell'assetto sociale), al vertice delle fonti.

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  4. Personalmente non sono d'accordo nel definirci "ideologi". Sì, è vero, siamo portatori di concetti ed idee ben definite. Ma non li proponiamo come visione esclusiva del mondo: quei concetti e quelle idee nascono, anzi, da un esame critico della realtà, connotata dal (sempre più oggettivo), fallimento storico del liberalismo.

    Quella sì, al pari di tante altre, ideologia, e al riguardo non posso non citare testualmente la splendida sintesi di esso operata da R.Buffagni intervenendo in questo post (http://goofynomics.blogspot.it/2015/11/gli-indifferenti-la-replica-di-duccio.html): "il Liberalismo difende l'individuo dalla tracotanza della società, finchè c'è una società. Il problema è il dosaggio. Se prendi troppo Liberalismo, succede che la società non c'è più e restano solo individui. Quando restano solo individui, il Liberalismo SE LI MANGIA".

    Oggi su "Repubblica", il segretario generale dell'OCSE ci ricorda che "la riforma del Senato e la legge elettorale creano le condizioni per [...] una ripresa solida, quale era impossibile con un sistema politico incartato e farragginoso dove far passare una legge era un'impresa immane".
    Ora:con il Governo Monti e la maggioranza bulgara che lo sosteneva le leggi passavano €ccome. L'illustre segretario generale quindi ci avverte: se non c'è la maggioranza bulgara, serve una legislazione costituzionale fascista, altrimenti non si governa bene. "In claris non fit interpretatio".
    Ormai sono convinto che la democrazia parlamentare è sì, storicamente figlia del liberalismo, ma è chiaramente un figlio non desiderato. Rimanendo alla storia italiana, l'evoluzione del parlamentarismo consentita dalla flessibilità statutaria era cosa non gradita ai liberali puri già alla fine dell'800 (Dal "torniamo allo Statuto di Sonnino fino alle leggi liberticide di fine secolo). Nel '900, con i socialisti in parlamento e la nascita dei partiti di massa, divenne inaccettabile e dopo la Grande guerra si regolarono i conti: il fascismo fu sostenuto dai liberali: ricordiamoci il discorso di Salandra alla Scala...).
    Dopo il secondo conflitto mondiale nell'occidente si dovette però venire a patti con la necessità di un nuovo contratto sociale e il modello democratico parlamentare divenne nuovamente irrinunciabile. Ma a partire dagli anni '70 del secolo scorso, il liberalismo ha cominciato a mostrare -nuovamente anch'egli- insofferenza nei confronti del figlio degenere. Eccoci assistere quindi, in questo inizio di secolo, al nuovo fascismo bianco dei tecnocrati, che odia il parlamentarismo al pari, se non di più, di quello "vecchio stile".

    Nel frattempo, il contesto internazionale di questo inizio di XXI secolo somiglia sempre di più a quello dell'inizio del XX. Anche sulla stampa ortodossa si cominciano a leggere preoccupanti articoli in ordine alla possibilità di un nuovo conflitto globale (ad es.lo storico Z.Ciuffoletti,su "Italia Oggi"...di oggi.). Insomma, mi pare di vivere in un sistema politico e (soprattutto) economico le cui crisi, si potrebbe dire che 'tendono istitntivamente alla guerra', per trovare una soluzione. Non proprio il massimo (e con buona pace della "pace" tanto predicata a parole).

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    1. Grazie per aver riportato il discorso alle sue precedenti vicende storico-politiche, che avevamo già affrontato, ma che ri-semplifica un quadro teorico altrimenti troppo...algidamente tassonomico :-)

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    2. Quanto afferma il segretario OCSE è la solita predica "riformista": fate i compiti e arriverà la ripresa... se non arriva non li avete fatti bene, e via all'infinito.
      Sorprende tuttavia lo specifico delle "riforme" che, invece dei soliti obiettivi economici (taglio del costo del lavoro e del welfare), hanno un obiettivo politico: sempre più potere all'esecutivo.
      Per inciso, questo mi pare corrisponda al programma di Renzi, barattare grosse riforme costituzionali con un allentamento momentaneo dei vincoli esterni.
      La necessità di un esecutivo molto forte viene giustificata così: "Ma ci sono anche altri fattori da considerare, anche questi dovuti al peso del capitale, della società globale, da un'Europa confederata, guidata dai ventotto paesi che la compongono. Questi fatti richiedono governi che decidano rapidamente, dotati pertanto di poteri forti" (Scalfari domenica scorsa).
      Ma cosa mai occorre "decidere rapidamente", visto che le decisioni "vere" sono tutte affidate al vincolo esterno (governane europea, mercati, ecc.)?
      Si può pensare ad una ostilità radicale per qualsiasi costituzione democratica, e c'è un campo in cui un esecutivo forte può essere chiamato a prendere decisioni rapide, incisive e limitate: l'ordine pubblico.

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    3. Ennesimo CVD (stucchevole direi)
      http://orizzonte48.blogspot.it/2014/05/il-tragicomico-discorso-finale-di.html

      http://orizzonte48.blogspot.it/2015/10/riforma-costituzionale-i-problemi-che.html P.4

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    4. Scalfari è diventato veramente un soggetto unico nel suo genere, che, quando assume la droga europeista, quasi si dimentica di quello che scrive (anche solo qualche mese prima):

      http://www.repubblica.it/politica/2015/08/12/news/troppi_poteri_in_mano_al_premier_ecco_perche_la_riforma_va_cambiata-120835095/?refresh_ce

      Insomma, lamenta che la riforma costituzionale ha pericolosi accostamenti col periodo fascista, ma poi, quando c'è di mezzo la parola "Europa", allora ogni accenno di spirito critico scompare: ogni mezzo, anche il più abietto, pare lecito, pur di conseguire il fine.
      Ma se questo è il metodo (e il principio), se ogni argomentazione critica deve per definizione cedere il passo di fronte alla verità rivelata che stabilisce in maniera ineluttabile e immodificabile il futuro, allora non si sfugge: l'Europesimo è anch'esso un'ideologia (e tra le più pericolose, anche).
      E la smettesse, l'Eugenio, di definirsi "non credente": ideologie e religioni, in privato, sono molto più sorelle di quanto non vogliano apparire in pubblico. Lui crede solo in un dio diverso da quello cattolico (ed anche meno giusto), ed il manifesto di Ventotene è per lui quello che la Bibbia è per il (tanto criticato) credente.

      E noi saremmo alla fine della storia? A mio avviso, noi siamo pericolosamente indietro, nella storia: altro che secolo breve, non esiste un secolo più lungo del '900, che si sta pericolosamente clonando in questo inizio del nuovo millennio........

      Scendendo di un gradino, sembrerebbe che tra Renzi e istituzioni internazionali (UE, OCSE, Troika etc,..), ci sia una specie gioco al gatto col topo. "Loro" sventolano la bandiera della flessibilità chiedendo riforme involutive, probabilmente per "blindare" un preciso assetto economico-sociale. Lui converge sul metodo, ma il fine preminente è di "blindare" se stesso.
      Qualora "Lui" dia per scontato di essere il futuro "governatore generale" di questo nuovo territorio occupato, farebbe, secondo me, un grosso errore. Per "Loro", uno Tsipras vale un Samaras, l'importante è il fine. Ed anzi, per far funzionare il metodo idraulico della (non)democrazia hayekkiana, le facce 'devono' cambiare. "Lui", invece, per rimanere in sella deve dare al popolo anche del "panem" oltre che garantire i "circenses".
      Già con l'attuale legge di stabilità si iniziano a profilare delle divergenze: l'Europa vuole proseguire su un certo binario, lui, che invece ha bisogno di consenso per rimanere in sella, si sta orientando verso atteggiamenti molto "berlusconiani".
      E' una partita aperta.......... ma molto squallida.

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  6. @Ruggero
    Tra l'altro, Arturo mi faceva notare che l'incipt "sociale" nella "causazione circolare e cumulativa" nel rapporto individuo-società, risale almeno a Tommaso Moro: «nella sua Utopia Moro sosteneva che gli uomini, perfino i delinquenti, non sono intrinsecamente malvagi, ma tali diventano a causa della povertà e di cattive leggi legate a interessi privati (le enclosures che riducono alla miseria i contadini che ne vengono colpiti). Scrive Spini (Le origini del socialismo, Torino, Einaudi, 1992, pag. 8)

    Politicamente, a livello "oggettivo", "essenziale", non è l'individuo a creare l'ambiente sociale in cui vive, ma è l'ambiente sociale in cui vive a creare l'individuo.

    Stando con Marx: «Non è la coscienza degli uomini che determina la loro vita, ma le condizioni della loro vita che ne determinano la coscienza. »

    Stando con Chang: «Non è che nei paesi arretrati non c'è lavoro perché la gente è pigra. Nei paesi arretrati la gente è pigra perché non c'è lavoro».

    Stando con Winston Smith :-) «Il singolo individuo influenza la società in misura enormemente minore rispetto a quella in cui è influenzato dalla società stessa dal momento in cui viene messo al mondo.»

    Mi azzarderei con: il primo comma dell'articolo 3 Cost. è l'ideologia: il secondo comma dello stesso articolo è l'etica, nel senso effettivo di prassi.

    Il significato negativo assegnato da Marx all'ideologia (in tedesco rimane comunque il sostantivo Weltanschauung), permette quella sottile ma dirimente distinzione tra morale e moralismo: il "passaggio" dal secondo alla prima dovrebbe essere parte della crescita spirituale dell'uomo.

    La dialettica "forma-sostanza" è potentissima, e sicuramente utile nell'ermeneutica e nei rapporti segno, significante, significato: «Quando gli uomini non possono cambiare le cose, ne cambiano il nome», a memoria, Jean Jaures

    Soggettivamente, a livello "esistenziale", il problema è simmetrico: non esiste il caso. Non dovrebbe essere difficile dimostrare che la soggettività, nell'impianto etico da cui nasce l'ordine sociale democratico sostanziale, prevede ciò che credo essere un principio cardine dell'etica umanistica: il libero arbitrio.

    Caso e determinismo - a livello soggettivo, esistenziale - sono due facce della stessa medaglia che escludono il "libero arbitrio": a livello oggettivo - essenziale - il problema è simmetrico: caso e determinismo lo permettono.

    La tradizione in gran parte "empirica" da cui nasce il liberalismo, è determinista: così come il "protestantesimo" che possiamo definire sovrastruttura del liberismo economico e dei rapporti di produzione che rende effettivi. Entrambi - liberalismo e protestantesimo - negano il "libero arbitrio". La teologia del mercato è fondata su questo concetto di deresponsabilizzazione. Da cui la necessità di Ubermenschen "a guardia del creato", e "dell'Arte", ovvero dell'atto creativo in potenza.

    Quindi alla domanda di Winston Smith, e spero a cascata alle tue, la risposta che darei non è univoca: l'antitesi ad ESSI è socialmente da imputarsi al Caso. Soggettivamente è un atto di "libero arbitrio".

    Per il resto mi rimetterei alle efficaci considerazioni di Quarantotto.

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    1. Determinismo ovviamente conservatore: da sempre (come ci ricorda Cesare Pozzi sulle teorie economiche mainstream).
      E come ci rammenta Lorenzo parlando del figlio indesiderato, cioè il parlamentarismo delle assemblee elettive, che addirittura finisce nel suffraggio universale e nella conseguente esigenza assoluta di controllare in ogni modo questo pallido nucleo del libero arbitrio (nel campo sociale, ma non è poco).

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    2. Verissimo: infatti nel liberalismo, come più volte emerso, i valori sono proprio invertiti.

      Tantoché il libero arbitrio viene negato all'individuo (comune... l'Untermensch), rispondendo alle leggi della fisica classica che regolano i rapporti economici e sociali: la meccanica delle preferenze o, in seguito, delle "aspettative razionali".

      Ogni cosa che accade non può non accadere: se è successa una catastrofe non ne sono responsabile, io ne sono sono solo il messaggero (Soros, a memoria, in rif. degli attacchi speculativi a Lira e Sterlina del '92)

      Se "abbassi la guardia", io non posso non colpirti: "è nella mia natura".

      "Mia natura" che per ESSI, è La Natura: la Legge.

      Il salto logico è evidente: nell'individualismo assoluto del liberalismo, non esiste tra l'insieme complesso "individuo", e l'insieme complesso di ordine superiore "collettività", quell'insieme di relazioni (e attributi) per cui la somma degli elementi è diversa dal tutto, per cui questo "tutto" ha identità distinta (e attributi distinti): per il liberale la collettività non è una società.

      L'unica istituzione che rappresenta l'Ubermensch - e che è dotata di un libero arbitrio per cui il rapporto con il resto della natura è di genere teodiceo - è il Mercato.

      L'inversione dei valori - che necessita la nietzschiana "trasvalutazione dei valori" - consiste innanzitutto assegnando un libero arbitrio alla "natura", all'oggettività, negandola all'individuo.

      A cosa vuoi che serva il Parlamento?

      Una burocratica ed inefficiente perdita di tempo.

      «The administration of the great system of the universe ... the care of the universal happiness of all rational and sensible beings, is the business of God and not of man.» Adam Self-command Smith

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    3. Sono molto d'accordo con quello che ha scritto Bazaar. Per sviluppare meglio l'argomento, molto interessante, ritengo che ci sia un periodo in particolare, fra i tanti significativi da lui prodotti, in grado di fungere da complemento perfetto nei confronti della mia "massima" - ecco affiorare i "privilegiimmoralibruttidellakasta" derivanti dall'essere ironicamente accostati per un nanosecondo a Marx e Chang (:P) - e di fornirci i cardini su cui poggiare l'indagine, quindi cito entrambi:
      I) "Caso e determinismo - a livello soggettivo, esistenziale - sono due facce della stessa medaglia che escludono il "libero arbitrio": a livello oggettivo - essenziale - il problema è simmetrico: caso e determinismo lo permettono".
      II) "Il singolo individuo influenza la società in misura enormemente minore rispetto a quella in cui è influenzato dalla società stessa dal momento in cui viene messo al mondo".
      È proprio nello spazio concesso dalla determinazione quantitativa ("in misura enormemente minore") che si va a collocare il libero arbitrio, ossia quella scelta soggettiva che può (e deve? Ma così non rientreremmo forse nel campo del fatalismo? Quindi può!) essere esercitata nel momento in cui le condizioni oggettive del Caso ci mettono nelle condizioni di farlo.

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    4. Come si verifica un simile processo? Proviamo a dirlo con una storia...

      In una terra remota e anche vicina, c'è un "piddino" - inteso, nell'accezione classica fornitaci da Bagnai, come "qualsiasi essere umano dotato di un unico neurone" -, il quale, leggendo settimanalmente Scalfari e con zelo piegandosi ritualmente ai colpi inferti al suo spirito da quelli che io chiamo i "quattro dell'Apocalisse" (Rizzo, Stella, Travaglio, Santoro), crede allo stesso tempo di vivere nella migliore Europa possibile e di meritare i castighi, severi eppur giusti, del Dio Mercato, in quanto reo del più ignominioso dei crimini: l'aver vissuto al di sopra delle proprie possibilità; con l'aggravante di aver irresponsabilmente lasciato un fardello troppo oneroso sulle spalle delle generazioni future, che in segno di protesta si rifiutano di venire al mondo, sgomente, tra l'altro, per il mancato raggiungimento del target di inflazione al 2% a cui protezione è stato posto un infaticabile Draghi sputa-QE; costretto a lottare incessantemente con i governi "fascio-nazionalisti", "FATE PRESTO", egli urla, ma niente: pur facendole, suddetti governi a quanto pare non ne vogliono proprio sapere di fare le tanto agognate riforme strutturali. Per fortuna, i popoli africani e medio-orientali sono disposti ad accorrere cavallerescamente in soccorso dei privilegiati europei e a pagare di tasca propria, con i soldi che non hanno a causa delle guerre imperialiste dell'Occidente, le loro sudate pensioni e il loro inefficiente sistema sanitario nazionale: in cambio, chiedono solo il lavoro sotto-pagato e sotto-tutelato che al nipote del piddino non è permesso avere perché "i diritti costano" e "c'è la crisi". La situazione è drammatica: file compatte di nazisti si affacciano in Ungheria, orde di leghisti si accampano in Padania e cercano di invadere ancora una volta Roma, gruppi sparsi di sinistre radicali in Grecia e Portogallo minacciano senza pietà di "cambiare l'Europa", marce di fascisti hanno luogo in Francia, destre estremiste si impossessano della Polonia: costoro si rifiutano proditoriamente di fare i necessari sacrifici. Tutto sembra oramai perduto. Il "sogno di Spinelli" sta per infrangersi proprio adesso che "ci sono Russia e Cinaaaaa". Dove rifugiarsi, in un'Europa senza frontiere, senza esercito comune? L'arma segreta, l'euro, è spuntato dai vincoli, dall'austerità: è colpa della Germania! Andrà ancora una volta tutto in frantumi a causa loro...

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    5. Quando, in una giornata cupa, dopo un amaro pasto a base di pane raffermo e vino inacidito, per puro Caso, guardando sconsolato TgCom24, il virtuoso piddino si imbatte in una creatura misteriosa, tale Alberto Bagnai, professore associato di politica economica all'Università G. D'Annunzio di Pescara. Be', questo Bagnai dice che le cose non stanno proprio così, che i nazisti si trovano in Ucraina e non in Ungheria, che i fascisti in Italia e in Francia sono già al governo anziché all'opposizione, che in Grecia e in Portogallo è tutto sotto controllo, che la Polonia non vuole l'euro perché non è vero che l'euro dona la pace. E non si ferma qui: dice anche che la spesa pubblica italiana in pensioni e sanità non è affatto insostenibile e che la Commissione Europea lo certifica, che anzi "Italy has one of the lowest public expenditure per person in Europe" - si sa che l'inglese dà autorevolezza - , che organismi transnazionali e indipendenti affermano che il SSN italiano (che nulla ha a che vedere con "die Schutzstaffel der NSDAP") è una delle eccellenze mondiali nel settore, che non sono Russia e Cina a essere "kattive", ma che è il blocco NATO a cercare lo scontro per interessi economici e geopolitici...
      Insomma, incredulo e un po' stordito, il piddino inizia a porsi delle domande, ad avere dei dubbi, a pensare che delle plausibili spiegazioni alternative ai suoi problemi possano esserci. Tuttavia, non sa bene cosa fare, ma ecco che il Caso, ancora lui, si manifesta e gli ricorda che quel Bagnai aveva anche precisato di tenere un blog in cui documenta tutto; qual era il suo nome? Ah, già: Goofynomics! E così il piddino si precipita al PC, trova il blog, lo legge e si ritrova in un vortica: scopre Orizzonte48, inizia a vedere video delle conferenze di Luciano Barra Caracciolo e Cesare Pozzi su Youtube. Insomma, si accorge, platonicamente, che la caverna non rappresenta la complessità del mondo, che un'alternativa c'è. Ora, però, gli si pone davanti una scelta: che fare con questa rinnovata consapevolezza di sé e del mondo? Ecco, questo è il libero arbitrio, ed è sempre stato lì, dentro di lui, in attesa di essere "sbloccato". Solo che prima, addomesticato e confuso dall'affluire ipertrofico della propaganda verso di sé, non ci aveva mai fatto caso.

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    6. Urca, che ventata di positività aperturista (so che è una brutta parola)!
      Mi conforta, anche perchè vengo dalla Fondazione Lelio Basso dove Mineo presentava il suo ultimo libro e i conferenzieri non erano...rassicuranti (uno diceva: "la crisi economica non esiste, è un'invenzione linguistica degli economisti: sarebbe una crisi politica intesa come...trasformazione!!!").
      E, udite, udite, l'editore mi ha consegnato delle copie del mio nuovo libro.
      Prossimamente su questo schermo.

      Ma meriterò, meriteremo, tutto questo conforto?

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    7. Winston praticamente hai descritto il mio 2012.
      Paro paro.

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    8. @ Quarantotto: dalla preview del dibattito che ci hai fornito qualche malpensante potrebbe supporre che lo spirito di Lelio Basso abbia abbandonato la Fondazione scuotendo la polvere dai propri calzari. Quindi sì, tutto sommato direi che ce lo meritiamo (il conforto).

      Domandina: presenterai il nuovo libro al goofy4, giusto?

      @ Luca Tonelli: ovviamente per te, con riferimento al "piddino" dell'exemplum, vale la regola latina "absit iniuria verbo". :)

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    9. Caro Winston, non credo sia stato un "caso" che Bagnai sia finito in TV, nè che Quarantotto abbia iniziato a scrivere libri, né che tu sia qua: il Fato c'entra e non c'entra... O meglio, c'entra nella "forma" ma non nella "sostanza". :-)

      Se si ha un approccio umanistico.

      Portare il "locus of control" all'interno, tra l'altro, è anche un importante passo di liberazione e crescita spirituale... giusto per non andare OT.
      Inoltre si potrebbe sostenere che, senza identificare chiaramente cosa sia il "libero arbitrio", non è possibile comprendere cosa sia la libertà individuale, e, forse, la libertà tout court. (Che, ovviamente, non ha nulla a che fare con il liberalismo...)

      E, se non si conosce "l'oggetto del desiderio", è difficile appagare le proprie brame: "l'asfissia" (cit. Calamandrei) da mancanza di libertà necessita un termine di paragone, nel passato o in altri contesti sociali. Bisogna conoscere bene cosa si vuole.

      Concordo, come già argomentato, che la dialettica soggettivo-oggettivo porti ad una sintesi per cui il "libero arbitrio" - strutturalmente - sia limitato da un "vincolo esterno".

      D'altronde, come mi faceva notare Arturo recentemente, l'unica libertà che nasce illimitata è quella del Mercato...

      Certo, il "libero arbitrio" di cui stiamo parlando è qualcosa che trascende la legislazione, ed ha veramente a che fare con la Legge: d'altronde la corporeità stessa a cui è ancorata l'anima è già di per sé "vincolo esterno".

      (Per risolvere il problemo "etico" che a livello "escatologico" porta questa constatazione, gli Orientali propongono il concetto di Karma e di reincarnazione, ad esempio)

      Ma per comprendere come il "libero arbitrio" - a livello soggettivo! - sia in proporzione opposta a ciò che lasci intendere, suggerirei di definire cosa si intende per "arbitrio" e, inevitabilmente, di conseguenza, per "libertà individuale".

      Lasciamo stare il processo decisionale come comunemente inteso, squisitamente logico e razionale (come vorrebbero i neoclassici), come nelle ottimizzazioni di organizzazione aziendale o nelle analisi di marketing. Ovvero, lasciamo perdere il "processo decisionale" così come concepito dalle neuroscienze che, per come è definito, non può che non essere deterministico, negando qualsiasi libertà nell'arbitrio.

      Prova a considerare l'arché di ogni decisione: la risposta non si trova nelle neuroscienze: "alzo il braccio o non alzo il braccio?"; "vado alla Coop o all'Esselunga?" Impulsi elettrici e ragionamenti.

      Questo "arché" si evidenzia bene, invece, in psicologia: è il Caso che ti ha fatto nascere in Italia e non in Francia. Vero: se tu fossi francese difficilmente leggeresti questi blog e ascolteresti il TG5. Ma questa rimane la "forma" in cui si esprime la tua "etica", il tuo percorso di crescita e di coscienza.

      L'etica, e i valori che sono stati effettivamente acquisiti, possono essere ben descritti come frutto di un processo decisionale per cui si esemplifica: "vinco o non vinco la paura di cambiare?", "domo o non domo la rabbia di venire contraddetto?", "sopporto o non supporto la frustrazione di studiare economia e diritto invece che guardare la Letizzetto in TV? "Accetto o non accetto la solitudine di non conformarmi al mio secolo?".

      Qualsiasi sia la tua estrazione sociale, quele sia la tua etnia, quale sia il tuo stato di salute, hai la possibilità di scegliere di essere coraggioso, moderato, perseverante, integro... nei limiti accennati all'inizio di questa argomentazione... abbondantemente OT. :-)

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    10. (Non tutti coloro che nascono in situazioni di degrado sociale diventano criminali.

      Insomma, sono stati Alberto e Quarantotto a creare un "contesto storico-sociale" che ti ha permesso di "sbloccarti".

      Ma sei stato TU a scegliere di viverti la "fatica emotiva" che ti ha permesso di "cercare" e, in fine, di aprirti e cambiare).

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    11. @Winston: sì, verrà presentato a Pescara-Montesilvano all'imminente Goofy-4: sarà anche l'occasione per un acquisto in anteprima, dato che il libro sarà effettivamente disponibile solo circa un mese più tardi in libreria (se, appunto se, ci saranno ordini da parte degli interessati...vedremo: faremo qualche annuncio sul web e speriamo nel potenziale del libero arbitrio...senza stare troppo a sottilizzare sul concetto :-)

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    12. @ Bazaar: siamo d'accordo e lo dimostrerò in maniera un po' contorta (disclaimer: il commento seguente è caratterizzato da una sovrabbondanza di incidentali e potrebbe provocare crisi epilettiche nel professore di italiano).

      Nella storia che ho precedentemente elaborato (fittizia - ci tengo a precisarlo per correttezza - ma sicuramente plausibile, nel suo "parossismo" narrativo (o meglio, proprio a causa di esso) - come tutte le favole che si raccontano allo scopo di sottolineare un concetto, del resto - come il "nostro" Luca, ad esempio, ha testimoniato), ho volutamente scelto di concludere nel momento stesso in cui il "piddino" protagonista si trova davanti ad un bivio che presuppone una scelta sia "logico-deduttiva" (rispondendo alla domande: quale versione dei fatti aderisce maggiormente al livello di realtà che ho avuto modo di esperire? È quella tutta la realtà o c'è dell'altro che non ho ancora avuto modo di esperire?) sia, soprattutto a livello filosofico, "etica" (rispondendo alle tre domande fondamentali: cosa fare? Con chi farlo? Perché farlo?).

      Così facendo, l'intento iniziale era quello di sottolineare, per l'appunto, la soggettività di quell'arbitrio, sia nelle sua più puntuale definizione, sia nelle sue dirette e indirette conseguenze. È un modo come un altro da parte del Caso (che sarebbe l'autore ideale del contesto in cui il "piddino" si trova - e qui potremmo anche discutere su cosa significa davvero "creare" un personaggio e una storia, cioè su come agisce il Caso, ma divagheremmo ulteriormente) di affermare lo spazio decisionale proprio del singolo (il personaggio che "sfugge al controllo" dell'autore nel momento in cui la storia termina).
      In pratica, sì, si può dire che il libero arbitrio è, usando le tue parole, "la possibilità di scegliere di essere [ampio spettro] nei limiti accennati all'inizio di questa argomentazione". Dunque, è partendo dall'analisi sistematica di quei limiti che ognuno di noi può arrivare a dare una risposta che sia soddisfacente alla domanda. Potrebbero, pertanto, esserci tante risposte quante domande (ovverosia persone che le pongono): le differenze fra ciascuna risposta sono anch'esse manifestazioni di libero arbitrio.

      @ Quarantotto: grazie per la risposta. Che dire: a me una copia! :-D

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    13. Perdonate l'intervento.
      Il bipede implume non è la misura di tutto. Dare troppa importanza ai limiti che "ci" inventiamo attraverso l'etica, la morale, la religione, la giustizia e via inventando, implica dare un analogo peso a tutti i limiti di questo genere (palesemente inventati). Questa attività distoglie sempre più dal riconoscimento dei limiti oggettivamente esistenti (a titolo di esempio : che la forza di gravità fa cadere le cose in basso, che il calore migra spontaneamente da temperatura più alta, che tutte le corde prima o poi si spezzano....)

      Se sono intervenuto a capocchia, mi appello alla vostra pazienza....

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  7. Grazie delle risposte! Devo ammettere però di fare un po' fatica a comprendere tutto bene.Quindi non vorrei porvi domande a cui avete gia rispoto. Ma procedo.

    Ma mi sembra di aver colto che quindi il Liberalismo classico espresso nel primo comma dell'articolo 3 sia ideologico nel senso che falsifica i rapporti di forza esistenti nella società. Mentre il secondo comma è invece espressione dell'etica sociale formatasi nel nostro territorio durante la nostra storia?

    E' anche vero che il secondo comma è espressione di un volere delle classi subalterne. E che se fosse applicato davvero porterebbe nel tempo a un forte riassestamento dei rapporti di forza all'interno della società. Arrivando quindi a delineare un modello sociale nuovo, a cui si arriva non per mezzo di una rivoluzione armata, ideologica, ma per mezzo del naturale sviluppo di quei valori fondanti la nostra società e l'etica che ne deriva?

    Questo dimostrerebbe però anche come l'etica e i valori acquisiti siano diversi per ogni classe sociale. Penso che Einaudi abbia dovuto mandare giù un bel rospo alla stesura dei primi 4 articoli.

    Vuol questo quindi dire che la tendenza delle classi subalterne è rivolta a una socializzazione e un'uguaglianza sostanziale che viene invece privata da una visione ideologica, falsificata, che pone ESSI al vertice della società?

    In poche parole, la Socialdemocrazia è naturale espressione dei rapporti che regolano la vita degli uomini mentre il Liberismo e le altre ideologie sono frutto di una falsificazione della realtà che persegue l'emergere di una classe rispetto alle altre?

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    1. Grosso modo implichi correttamente. Ti consiglio di farti giratine esplorative sui precedenti post in materia facendo attenzione ai commenti...

      Una precisazione: il primo comma dell'art.3 non è espressione del liberalismo, se lo leggi tutto fino in fondo e se consideri che presuppone il suffragio universale.

      Quanto ai "rospi" di Einaudi in sede di Costituente: il mio ultimo libro ne dà un ampio resoconto, e spero che qualcuno si svegli, da qualche parte.

      Ma i rospi non gli rimasero a lungo sullo stomaco:
      http://orizzonte48.blogspot.it/2015/10/la-democrazia-sovrana-la-condizionalita.html
      http://orizzonte48.blogspot.it/2015/10/la-democrazia-sovrana-la-condizionalita_7.html

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