lunedì 23 ottobre 2017

L'ITALIA. E LA "SCARSITA' DI RISORS€".


http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DOSSIER/1021287/image31.png
http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DOSSIER/1021287/index.html?part=dossier_dossier1&parse=si&spart=si
Sì: il pareggio di bilancio viene, ad ogni Def annuale, spostato agli anni successivi. Ma, come vedrete, ci sono forti spinte "commutative" per anticiparlo al più presto...

1. Sul tema del federalismo in Italia, esiste la diffusa, quanto inesatta, convinzione che il nostro ordinamento (già de iure condito) sia meno federalista di altri, come ad esempio quello tedesco (stato federale per autodefinizione). Ma poiché sarebbe inutile discutere di diritto costituzionale e scienza delle finanze in termini comparati, in presenza di slogan pop come quelli che dominano il campo nel dibattito politico italiano, mi limito a riportare sue sintesi su informazioni utili in argomento, senza particolari commenti (solo qualche piccola nota esplicativa).

2. La prima fonte è l'estratto da un intervento di Pietro Nenni all'Assemblea Costituente, nella seduta del 10 marzo 1947, nella parte riferita alla realizzazione dell'unità e dell'indipendenza della Nazione italiana:
Nenni. Onorevoli colleghi, l'Assemblea troverà naturale che le mie prime parole siano per ringraziare l'onorevole Ruini e l'onorevole professore Calamandrei, per l'apprezzamento che essi hanno dato dei lavori delle Commissioni del Ministero per la Costituente, che hanno preparato il materiale di studio che l'Assemblea e le Commissioni hanno utilizzato nel corso dei loro lavori.
Desidero ricordare all'Assemblea i nomi dei presidenti delle tre principali Commissioni, perché penso che gli studi che essi hanno compiuto, così come hanno avuto una grande importanza per formare le opinioni nel corso di questa discussione, così avranno un'importanza eguale, e forse anche maggiore, nel prossimo avvenire, quando l'opinione pubblica, attratta dall'importanza delle nostre presenti discussioni, si interesserà ai fondamentali problemi costituzionali del Paese.
La Commissione economica è stata presieduta dal professor Giovanni De Maria, ed ha raccolto in 14 volumi i risultati dei suoi studi è delle sue relazioni. Non soltanto oggi, ma anche nell'avvenire, chiunque voglia studiare ed apprezzare la situazione economica del nostro Paese dovrà riferirsi ai lavori di questa Commissione.
La Commissione per la riorganizzazione dello Stato, presieduta dal professor Forti, ha chiuso i suoi lavori con tre volumi di relazioni delle quali il professor Calamandrei ha detto quale sia il grande valore scientifico.
La Commissione dei problemi del lavoro, presieduta dal collega professor Pesenti, ha raccolto, a sua volta, in quattro volumi i materiali di studio e di indagine da essa promosse sulla situazione ed i rapporti di lavoro.
Infine desidero di ricordare che una pubblicazione del Ministero della Costituente, il Bollettino di informazioni e di documentazione, diretto dal dottor Terenzio Marfori, ha certamente molto contribuito ad attirare l'attenzione degli studiosi, dei tecnici e degli uomini politici sui problemi costituzionali. Così pure credo sia doveroso rendere omaggio all'iniziativa di un editore privato, l'editore Sansoni, che, in accordo col Ministero della Costituente, ha promosso due collezioni: quella giuridica che si compone di 44 volumi e quella storica che si compone di 20 volumi, che hanno messo a disposizione di tutti gli studiosi un materiale prezioso di studio.
All'insieme di questo lavoro ha presieduto il giovane professore Massimo S. Giannini. Sono sicuro di essere l'interprete di tutta l'Assemblea rendendo a questi studiosi l'omaggio che essi meritano per avere contribuito col loro lavoro ed i loro studi a mettere tutta l'Assemblea in condizione di discutere i problemi costituzionali, ed a mettere il Paese in condizioni di apprezzare i risultati delle nostre deliberazioni.
...
Credo di non forzare l'interpretazione dello spirito del 2 giugno, dicendo che lo possiamo riassumere in quattro principî generali: gli elettori repubblicani il 2 giugno volevano uno Stato unitario, volevano uno Stato democratico, volevano uno Stato laico e volevano uno Stato sociale
In questo modo essi traevano le conseguenze logiche e naturali delle lotte, che si sono svolte già nel lungo periodo della dominazione fascista e poi, in una forma molto più positiva e concreta, fra il luglio del 1943, l'aprile del 1945 ed il giugno del 1946.
Una grande volontà unitaria ha animato tutti i combattenti della libertà: i reparti della marina, dell'aviazione, del corpo volontari della libertà, che, sulla base della cobelligeranza, hanno partecipato a fianco degli alleati alla guerra contro il tedesco; la resistenza all'interno fino dai suoi primi episodi, che si sono prodotti nelle fabbriche con gli scioperi della primavera del 1943, e poi le formazioni partigiane. Il significato profondo di questa lotta è stato il desiderio e la volontà di salvaguardare l'unità e l'indipendenza del Paese, sia nei confronti dello straniero, sia nei confronti di movimenti interni, che avevano profondamente preoccupato l'avanguardia democratica, e che andavano dal separatismo approvato nella Val d'Aosta a quello della Sicilia.
L'unità e l'indipendenza del Paese è stato l'obiettivo primo e in un certo senso, principale di tutto il movimento di liberazione. Che poi questo movimento, dalle giornate napoletane dell'ottobre 1943 fino alle giornate milanesi dell'aprile 1945, avesse come obiettivo la conquista di una democrazia repubblicana, ciò non ha bisogno di essere dimostrato.
... 
Esaminiamo la Costituzione dal punto di vista dello stato unitario
L'articolo 106 del progetto afferma che la Repubblica italiana è una e indivisibile, che essa promuove le autonomie locali ed attua un ampio decentramento amministrativo. Questo articolo è certamente in perfetta armonia con quello che ho chiamato lo spirito del 2 giugno
Non direi però la stessa cosa di quella specie di federalismo regionale, balzato fuori dalle improvvisate deliberazioni della Commissione che ha studiato l'attuazione del principio del decentramento amministrativo. 
Altri, prima di me, hanno ravvisato in questo federalismo regionale un elemento pericoloso per l'unità dello Stato, per l'unità della nazione. 
Certo, si può discutere, come ha fatto l'onorevole Orlando alcuni istanti fa, quale sia stato il valore del federalismo nel Risorgimento
In questo caso bisogna però tener conto che, nel Risorgimento, ci sono state due concezioni, federalista e regionalista, che non sono mai andate d'accordo tra di loro
C'è stata una concezione federalista e regionalista moderata, la quale era in fondo una forma di resistenza all'unità nazionale, diciamo la verità, di sabotaggio dell'unità nazionale; c'è stato il federalismo di Cattaneo e di Ferrari che, giudicato dal punto di vista dei principî, rappresenta non già un elemento regressivo, ma un elemento, progressivo nei confronti dell'unitarismo di Mazzini. Però, storicamente, aveva ragione Mazzini e l'Italia non poteva sorgere che come è sorta, cioè come stato unitario. 
Lo dimostrano le immense difficoltà che l'Italia ha incontrato dopo il 1860 ed anche dopo il 1870 per attuare lo stato unitario, giunto a maturazione soltanto attraverso le prove dure che la nostra generazione ha attraversato dal 1915 al 1918. Ciò dimostra che, quando si discute un problema di questa natura, non ci si può porre dal punto di vista di un principio astratto, ma bisogna considerare i principî in rapporto alla realtà politica e sociale. Per cui, citare gli Stati Uniti nei confronti dell'Italia, è come se citassimo la luna nei confronti della terra; delle entità che fra di loro non hanno una comune misura di confronto.
Per me è evidente che, come l'Italia non poteva formarsi se non attraverso lo Stato uno e indivisibile, così oggi sarebbe un errore politico e un errore economico voler attuare le autonomie locali e amministrative sotto forma di federalismo regionale. 
Sarebbe un errore politico, perché l'Italia è un Paese a formazione sociale, troppo diversa, perché una differenziazione legislativa nel campo regionale non metta la Regione in concorrenza con lo Stato
Non ci sarebbe nessuna difficoltà a ordinare l'Italia sulla base del federalismo regionale, se le condizioni della Calabria fossero identiche a quelle della Lombardia (Commenti al centro), se la Campania si trovasse allo stesso piano di sviluppo economico, e quindi di sviluppo politico, della Liguria o del Piemonte. Ma, in una Nazione dove all'antagonismo sociale fra poveri e ricchi si unisce il dislivello fra le regioni settentrionali e quelle meridionali, un simile esperimento non può essere tentato prima di aver operato una vasta riforma sociale. Si rischia in caso contrario di mettere in pericolo l'unità della Nazione. (Vivi applausi).
Il federalismo regionale è anche un errore economico.
Non è serio dire alle popolazioni del Mezzogiorno che attraverso un sistema regionalista esse potranno meglio salvaguardare i loro interessi economici di quanto non lo abbiano fatto nel passato con lo Stato unitario. Le regioni meridionali hanno il diritto di contare sull'assistenza di quelle settentrionali, ciò, che è possibile soltanto sulla base di una legislazione unitaria.
Signori, è mia profonda convinzione che, se la Sicilia, la Sardegna o altre regioni meridionali sono economicamente in ritardo, non è per un eccesso di centralismo, ma perché il loro legame col restante del Paese non è abbastanza intenso. La soluzione del problema meridionale non la si trova nella separazione ma in una più intima fusione del Nord col Sud, in una politica di solidarietà delle regioni più ricche verso le più povere."

3. Il secondo estratto riguarda invece un recente post tratto dal sito Lavoce.info che fornisce dati e informazioni economico-concettuali "di base" relativamente a come funziona, fisiologicamente, la distribuzione territoriale della spesa di uno Stato unitario, sempre tenendo presente, in premessa la distinzione tra:
a) "effetto redistributivo" strutturale proprio della universalità della spesa pubblica e quindi delle funzioni e servizi che essa tende ad assestare a un livello standard e che essenzialmente dipende dalla distribuzione demografica (staticamente considerata: il discorso in termini dinamici, come insegna la realtà attuale, si fa più complesso: si pensi alla scuola pubblica-distribuzione dei plessi e del personale scolastico o alla sanità, o, ancora, alla semplice dislocazione di uffici periferici dello Stato, primi tra tutti quelli delle forze di polizia);
b) vere e proprie politiche territoriali di infrastrutturazione e di incentivazione dell'impiego di fattori della produzione. Basti dire al riguardo, che l'unità d'Italia ha agito in senso inverso rispetto al sud, in questa ottica; e, in termini finanziari, qualsiasi IPOTESI al riguardo cessa con l'adozione del modello Maastricht (basti ricordare che i "patti territoriali", anche se percentualmente allocati al sud in maggior misura, derivano da fondi europei, rispetto ai quali l'Italia è in un deficit contributivo in media dai 6 ai 7 miliardi all'anno, elemento che, unito ai vincoli fiscali, non può che determinare tagli progressivi della spesa universale).

Anzi, il progressivo venir meno del minimo fisiologico di cui al punto 1), determinato dalla diminuzione in termini reali dei principali aggregati della spesa universale, al netto dell'invecchiamento della popolazione, aggrava la situazione strutturalmente: il sud si svuota considerando anche se, come evidenzia Cesare Pozzi, i residenti "ufficiali" sono in parte fittizi e corrispondono in realtà a popolazione-lavoratori già trasferitisi), sicchè diviene inevitabile la "revisione" del numero di scuole, ospedali, uffici di Bankitalia e postali, inclusi.
E' l'altra faccia della polarizzazione territoriale, incentrata su Roma e Milano, anzitutto, e in inarrestabile corso con deindustrializzazione effettiva e potenziale (cioè desertificazione dei fattori della produzione).
Preciso ancora che l'effetto redistributivo della spesa universale agisce anche in senso non territoriale Nord-Sud, anche se dovrebbe apparire ovvio, quindi anche in senso sociale localizzabile tout court: (cioè agisce via via su ogni decrescente livello di comunità territoriale, fino ad arrivare alla considerazione del singolo individuo); Belluno, ad esempio, presumibilmente avrà un residuo fiscale rimpolpato dal maggiore di Treviso; e a Treviso, operai, magari immigrati, avranno un trasferimento di utilità dai contribuenti più abbienti (a titolo di esempio, e residenti in determinate zone del centro urbano, identificabili come aventi un residuo fiscale anche notevole rispetto ad altri "quartieri"), quanto al mantenimento di strutture scolastiche, ospedaliere e di presidio del territorio.
E lo stesso, vale per gli effetti su un sistema previdenziale a ripartizione...]. E dunque, come prosegue il prof.Petraglia, con un passo che sottolineo:
Strumentalmente, la redistribuzione interpersonale tra contribuenti a diversa capacità contributiva viene confusa con la redistribuzione tra i territori di residenza degli stessi
3.1. Svolta questa premessa, riportiamo l'(ampio) estratto da Lavoce.info
[Va solo ulteriormente precisato che lo stesso concetto di residuo fiscale ha senso nella sua origine "federalista" statunitense, sulla base di un tentativo di  temperamento della giustizia commutativa applicata ai rapporti Stato-cittadino, temperamento reso necessario in un paese che, ove non lo avesse applicato, non avrebbe potuto superare i postumi di una tragica guerra civile. Il "residuo", infatti, diviene rilevante sulla base della visione esclusivamente etico-individualista del rapporto tra cittadino e governo. Logicamente, infatti, il "residuo" deriva dal calcolo di un saldo interno alla considerazione contrattualistico-individuale del rapporto con lo Stato, del tutto estranea alla nostra legalità costituzionale e, in genere, alle costituzioni - scritte e rigide- europee del secondo dopoguerra]:
"La stima del livello delle entrate e delle spese delle amministrazioni pubbliche a livello regionale consente di calcolare il saldo, noto in letteratura come residuo fiscale. Definito da James Buchanan come la differenza tra il contributo che ciascun individuo fornisce al finanziamento dell’azione pubblica e i benefici che ne riceve sotto forma di servizi pubblici, è uno strumento attraverso il quale valutare l’adeguatezza dell’azione redistributiva dell’operatore pubblico.
Il potenziale informativo dello strumento consente, infatti, di evidenziare in maniera chiara l’ammontare complessivo della redistribuzione tra le diverse aree del paese compiuta dallo Stato centrale.
...
Occorre sottolineare come il concetto di residuo fiscale fu introdotto per trovare una giustificazione etica alla necessità di operare trasferimenti di risorse dagli stati più ricchi a quelli meno ricchi degli Stati Uniti, in quanto Buchanan asseriva che l’azione pubblica, in base al principio di equità, doveva garantire l’uguaglianza dei residui fiscali dei cittadini di una determinata nazione.
In Italia, la redistribuzione delle risorse è data da tre diverse componenti: la necessità di garantire a tutti i cittadini i medesimi servizi connessi a diritti fondamentali (come salute e istruzione), la messa a punto di iniziative per lo sviluppo economico di aree a basso reddito, (ndr; v. però sopra, p.3 sub b))nonché l’utilizzo di meccanismi di ripartizione delle risorse basate su criteri storici.

Stime per le regioni italiane
Di seguito viene presentato l’aggiornamento al 2015 della stima del residuo fiscale delle diverse regioni italiane. L’analisi è stata realizzata utilizzando la metodologia di riparto su base regionale del conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche introdotta dal lavoro di Alessandra Staderini e Emilio Vadalà e poi aggiornata da Eupolis Lombardia.
Nella tabella 1 sono riportati i valori pro capite delle entrate, delle spese e il relativo residuo fiscale.

...
Il livello delle entrate si caratterizza per una apprezzabile variabilità, soprattutto per quel che riguarda il divario tra le regioni del Mezzogiorno e le rimanenti. Ciò conferma la circostanza che la capacità di sviluppare gettito fiscale è proporzionale al reddito prodotto dal territorio.
...
Sul fronte della spesa pubblica, il livello pro capite è più elevato nelle regioni a statuto speciale rispetto a quelle a statuto ordinario. Evidentemente le consistenti risorse finanziarie di cui beneficiano le regioni a statuto speciale hanno garantito livelli di spesa maggiori. Allo stesso tempo anche le regioni più piccole (Liguria, Umbria, Basilicata, Molise, Abruzzo) mostrano livelli di spesa pro capite maggiori, dovuti presumibilmente alla indivisibilità di alcuni beni pubblici e a diseconomie di scala. Le regioni del Mezzogiorno complessivamente mostrano un livello di spesa leggermente più basso rispetto alle altre.
Per quel che concerne i residui fiscali sono evidenti invece i flussi redistributivi verso le regioni con reddito pro capite più basso, verso quelle a statuto speciale e verso quelle di piccole dimensioni. Le regioni del Mezzogiorno sono tutte beneficiarie della redistribuzione.
La figura 2 mostra come la variabilità dei residui fiscali sembra essere riconducibile principalmente alle differenze di sviluppo economico del territorio, (ndr; il che dà ragione a Nenni, a distanza di 70 anni) con l’eccezione di un gruppo di regioni a statuto speciale (Valle d’Aosta, province autonome di Trento e Bolzano e Friuli Venezia Giulia) e di piccole dimensioni (Liguria).
 
 Fonte: elaborazioni Cnr-Issirfa su dati Istat e Cpt.

Sono, quindi, confermate le indicazioni di precedenti lavori (Carmelo Petraglia e Domenico Scalera) e cioè che i residui riflettono la redistribuzione tra individui con redditi in media più elevati al Nord e più bassi al Sud, (ndr; il che significa che ridurre/eliminare il residuo implica la radicale negazione dell'effetto redistributivo essenziale del sistema fiscale di cui agli artt. 3, comma 2, e 53 Cost.), mentre la spesa pubblica è distribuita in maniera abbastanza uniforme tra tutti i cittadini aventi gli stessi diritti (ndr; il che, simmetricamente, implica che ridurre/eliminare il residuo, differenzia il livello dei diritti fondamentali in ragione di differenze di sviluppo economico territoriale, facendo aritmeticamente corrispondere alla maggior "autonomia" di una parte della popolazione di uno Stato, la minor autonomia dell'altra, vincolata a non poter coprire - con risorse che non ha, e che, in aggiunta, non potrà mai più sviluppare-, il costo uniforme dei servizi pubblici essenziali. Ciò vale a maggior ragione all'interno della "scarsità di risorse" imposta dall'adesione alla moneta unica).
Allo stesso tempo i dati mostrati inducono ad affermare che i beneficiari della redistribuzione non sono solamente le regioni del Mezzogiorno ma anche quelle a statuto speciale e quelle di piccole dimensioni; e che il livello di spesa delle regioni meridionali è analogo e leggermente più basso rispetto a quello delle altre regioni e, dunque, il miglioramento dei residui fiscali di tali regioni non può che essere correlato a politiche di sviluppo dei rispettivi territori."

34 commenti:

  1. comunque a tutto c'è un "rimedio"

    "Sono un liberale?

    (...qui l'originale. Segue traduzione...)

    L'idea che per non farci mandare la troika usciamo dall'Eurozona e facciamo l'Italia federale, così poi mandiamo la troika in Calabria se questa non rispetta il pareggio di bilancio pubblico, può essere estremamente attraente per i gonzi, può costituire una sintesi politica di un discreto valore tattico per mettere temporaneamente a tacere i riottosi camuni o gli industriosi insubri, ma non sposta minimamente i termini del problema, che sono questi: oggi, solo un rigoroso keynesismo, come quello iscritto nella nostra carta costituzionale del 1948, può garantire la nostra libertà, e la vera libertà, prima ancora che quella di espressione (per la quale vedete cosa sta succedendo su Twitter, lo strumento delle varie primavere arabe e rivoluzioni colorate...), è quella dal bisogno (qui, p.6.4), come imparai da Lello, ex macchinista comunista che conobbi, quando avevo l'età di mio figlio, al Dopolavoro Ferroviario di ponte Margherita, lì dove conobbi anche Spartaco, Giuliano, persone alle quali fu possibile morire con dignità, perché avevano acquistato, lottando, il diritto di vivere con dignità."

    http://orizzonte48.blogspot.com/2016/09/la-costituzione-democratica-keynesiana.html?spref=tw

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    1. Pensiamo a cose più serie (queste sono solo gravi ma non serie).
      In che termini tutto questo verrà travolto nella totale incoscienza del popul (e in più votando elettronicamente)

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    2. si Presidente.... ho letto qualche tweet

      poi che dire… già eravamo messi male prima (il solito Bazaar):

      “Le elezioni sono in effetti una carnevalata manipolata in tutto il pianeta: prima nell'informazione, e poi nei seggi.

      Più genera catastrofi umanitarie, più accumula ricchezze immense per scatenarne altre ancora più grosse.

      Altro che "mano invisibile" del mercato: questa non è manco del legislatore, come sosteneva Robbins, ma è quella reliquia grinzosa del frontman del club degli psicopatici che si fa chiamare élite.

      Secondo: a leggere le mostruosità che combina - chiamandole "alchimia della finanza" o semplicemente "business" - vien da ridere in faccia a quelli che parlavano di "viaggi di potere" di Andreotti o a quelli che la menano con la mafia.

      La mafia non è altro che un embrione di capitalismo liberale: sono sicuro che Provenzano era favorevole alla "Società Aperta" di Popper.

      Terzo: non mi si venga a raccontare che Soros si muove indipendentemente.

      Chi lo sostiene? di chi è ciambellano?

      Può 'sto cadavere ambulante in trip da potere consegnare l'umanità al genocidio? Può l'essere abominevole che emerge dalla corrispondenza mail prendere decisioni personali su un futuro che non vedrà mai?

      Può un tiranno pazzo portare con sé nella tomba tutto il resto dell'umanità?

      Non ho mai letto una dichiarazione sensata di questa gente: le concentrazioni di potere e ricchezza sono una malattia degenerativa.

      E le élite sono esse stesse parte della sintomatologia.

      http://orizzonte48.blogspot.com/2016/08/lo-strano-caso-trump-la-fine-della.html?showComment=1471290568302#c2569101161460795325

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    3. La 'retorica' antimeridionalista, di cui in fondo la Lega non si libera, che vede nei trasferimenti fiscali il male del nord, attesta che, in fondo, non hanno capito molto dei meccanismi alla base di certi processi socio-economici.
      Forse gli servirebbe davvero, per certi versi, una meridionalizzazione forzata a colpi di Troika, ossia il futuro che i tedeschi hanno già scritto per loro e che già è in prima fase applicativa (ma a questo punto, nonostante la presenza di Borghi, non mi sembra lo abbiano pienamente compreso). Ossia ancora, come dice Celine, "gli devono capitare un sacco di cose e di molto crudeli". Fino ad ora, quello che è già successo non pare sia bastato.......

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    4. E infatti se lo vanno a cercare con inflessibile "volontà":
      a) "Il 28 luglio, la Commissione europea ha lanciato ufficialmente la strategia dell'UE per la regione alpina, con una comunicazione e un piano d'azione.

      Questa strategia macroregionale riguarda cinque Stati membri (Austria, Francia, Germania, Italia e Slovenia) e due paesi terzi (Liechtenstein e Svizzera), coinvolgendo un totale di 48 regioni. Per quanto riguarda l’Italia, come si vede dalla mappa, coinvolge le regioni di Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia.

      La Commissaria per la Politica regionale Corina Cretu, presentando la strategia ha ribadito l’importanza del “coinvolgimento attivo di tutti i partner regionali e nazionali per sfruttare pienamente il potenziale di questa strategia”.
      http://www.confindustria.eu/it/item/6834-Strategia_UE_per_la_Macroregione_Alpina:_sette_le_regioni_italiane_coinvolte

      b) "Se si pensa all’età e alle vicissitudini giudiziarie di Silvio Berlusconi, o alla non facile digeribilità di Matteo Salvini per i più moderati di Forza Italia, Zaia diventa un perfetto smazzacarte.
      Lui si nasconde e non lo confermerà neppure sotto tortura, eppure un pensierino ce lo fa, anche se ha sempre dichiarato di rispettare le gerarchie del Carroccio e la leadership del suo segretario. Ma in questa occasione ha dimostrato stoffa di grande tessitore, soprattutto con il modo con cui ha ricompattato quasi tutti i partiti e le componenti sociali sul referendum. Ad esempio, già a marzo faceva i patti con Matteo Zoppas, segretario regionale di Confindustria, rassicurandolo che le materie economiche avrebbero avuto gli industriali come interlocutori. Poi ha costretto il Pd a piegarsi all’ondata autonomista, schierandosi a favore, seppur con qualche mal di pancia. Altrimenti il centrosinistra sarebbe finito con le spalle al muro, un alfiere del centralismo votato a sicura sconfitta".
      https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/10/23/referendum-autonomia-la-vittoria-di-zaia-paladino-del-federalismo-leghista-e-un-big-bang/3929520/

      c) DUE ITALIE - CI SAREBBERO DUE POSSIBILITÀ PER EVITARE UN LENTO SVILUPPO CATALANO DI VENETO E LOMBARDIA: RESTITUIRE PIÙ SOLDI AL NORD OPPURE DIVENTARE IMPIETOSI CON GLI SPRECHI DEL SUD - OGNI LOMBARDO DEVOLVE OLTRE 5 MILA EURO L'ANNO, OGNI CALABRESE E OGNI SARDO NE RICEVE 3 MILA - SAREBBE LOGICO SE LE REGIONI DEL MERIDIONE AVESSERO RISOLTO I PROBLEMI MA...
      http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/due-italie-ci-sarebbero-due-possibilita-evitare-lento-159269.htm

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    5. Beh....l'analisi di Feltri è di un pressapochismo sconcertante. Attesta -e in modo drammatico, anche- quanto sia caduto in basso il giornalismo di oggi.

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    6. Vabbè… Feltri:

      Bazaar29 settembre 2015 19:22

      “Devo dire che leggendo i grandi intellettuali di ispirazione marxista, da Sartre ai nostri Losurdo e Preve, sono rimasto piuttosto colpito nel constatare alcune "lievi carenze" in tutte le analisi che comportassero una sintesi funzionale alla prassi.

      Voglio dire, la grande Sinistra di ispirazione socialista che ha dato un grande contributo alla nostra Costituzione e, in genere, ai provvedimenti di politica economica di matrice keynesiana del dopo guerra, aveva una caratteristica, a partire proprio da Marx: conciliavano filosofia politica e scienze sociali.

      Il contributo che dà Marx alla filosofia della storia e alla sociologia, lo dà grazie all'approccio positivista, superando l'utopia pseudo-religiosa di promessa di "felicità" post-mortem: ribalta la dialettica hegeliana in funzione della prassi e riconduce un vago idealismo a "scienza": e come lo fa?

      Tramite la sociologia e l'economia.

      Ora, che Feltri sia il nulla della piccola borghesia asservita al padrone di turno non ne dubito: spara cazzate neoliberiste dal tempo de "l'indipendente". Cioè, non è che semplicemente mente, non sa proprio di checcazzo parla.

      Lasciamo stare la destra o la "sinistra piddina" ordoliberista che nasce dal "liberalismo trotzkijsta", dai tempi del Manifesto: questi sono il peggio per una questione proprio antropologica.

      Mi chiedo, come ci si fa ad aspettare della coscienza critica da un Feltri, anche se a differenza del piddino di turno non ha fedi ideologiche, quando i grandi della sinistra moderna non sanno pure loro di che cavolo parlano?

      I grandi marxisti ortodossi erano tutti studiosi di economia, avevano un approccio multidisciplinare che includeva la ricerca scientifica, compresi Lenin e la Luxemburg.

      A un certo punto un pensiero sociopolitico è diventato qualcosa al confine tra religione e metafisica, facendo esasperare i grandi post-keynesiani che Marx se lo studiavano, fornendo poi le "correzioni" teoriche utili, a tempo debito, a far star meglio le grandi masse lavoratrici.

      Ma che senso hanno i discorsi di Preve e Sartre (grande amico di Basso) su destra e sinistra? Non dico a livello antropologico culturale, per carità: dico proprio a livello di prassi.

      Non voglio bestemmiare: ma non servono praticamente a nulla.

      L'unica destra e sinistra che contano sono quelle economiche: tutto il resto è sovrastrutturale. Cazzo, cosa c'è di più marxista e pragmaticamente condiviso al di là di qualsiasi etica di questa semplice asserzione?

      Certo, una volta che il patto sociale si fonda sulla sinistra economica - ovvero sul lavoro! - è evidente che le differenze politiche tra destra e sinistra diventano per lo più cosmetiche: il programma è uno solo, quello costituzionale, piena occupazione e uguaglianza sostanziale. Lo stesso Keynes lo aveva preannunciato che, date l'effettiva realizzazione della sua politica economica, ovvero assicurati i diritti sociali, si sarebbe "litigato" solo sui "diritti civili". Certo, ma dopo aver realizzato la democrazia sociale!

      Di che cavolo parlano questi intellettuali? Positivismo contro anti-positivismo? Da un estremo all'altro? Ma dove sta la coscienza critica? Si fa fatica a studiare economia, imparare a leggere grafici e analizzare dati?

      Come si fa a pretendere che Feltri dica qualcosa di utile in tutta la sua vita quando per trovare un pensiero politico degno di questo nome bisogna rileggere ciò che veniva scritto un secolo fa?

      Quando si legge Caffè si legge qualcuno che sa di cosa parla, quando si legge Sartre non lo so.

      Infatti Caffè non lo conosce nessuno... “

      http://orizzonte48.blogspot.com/2015/09/feltri-e-la-grecizzazione-italiana.html?showComment=1443547322536#c950807294196737676

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  2. Il nostro Stato Democratico viene svuotato del "kratos",della sovranità,verso l' esterno con i trattati europei e dall' interno con la sussidiarietà e la concorrenza tra i territori.La sovranità dovrebbe essere esercitata per conseguire il fine della Repubblica :l' uguaglianza sostanziale .Il "federalismo regressivo" ha come scopo proprio la negazione del fine della Repubblica ed è ,quindi,eversivo.Tutti i territori più sviluppati ,nell' ue ,cercano di sovvenire alla mancata uscita dalla moneta unica ,con l' uscita dallo Stato nazionale ,per diventare "marche periferiche"di una riedizione del XXI secolo del Sacro Romano Impero.

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  3. Io continuo a non capire il perché di trasferimenti a Trento e il perché del sostanziale pareggio di Bolzano.
    Non lo capirò mai.

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    1. In che senso? Potrebbe riformulare meglio, per favore?

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  4. Il problema che si posero i nostri Costituenti, già durante la lotta di Resistenza e all’indomani della liberazione, fu quello del decentramento amministrativo e delle autonomie locali, mai però mettendo in discussione l’unità nazionale.

    Meuccio Ruini nel 1924 così scriveva: “… Per non aggirarsi nel chiuso cerchio di ritocchi burocratici, la riforma amministrativa deve far capo al più ampio problema delle autonomie locali; e – poiché sul Carso e sul Piave si è collaudata l’anima nazionale - cadono le preoccupazioni che trattennero vecchi partiti, ed è necessario avviarsi a radicali ordinamenti che – rispondendo alle basi storiche ed alla struttura economica del paese – ne difendano un sano sviluppo produttivo. …occorre promuovere un decentramento istituzionale vero e proprio…e deve svolgersi con precise attribuzioni, di servizi e di fonti sufficenti d'entrata, senza interferenze e confusioni con i compiti statali. E’ forse possibile innestare qui, sul tronco del decentramento, un altro tentativo di rappresentanza di interessi, foggiando sovr’essi organi che diano alla vita italiana l’ente-regione…

    La rappresentanza di interessi…non incute timore agli spiriti liberali, quando concerne la collaborazione tecnica a fianco dell’amministrazione… ed anche quando coinvolge l’esercizio delle funzioni legislative…Non ci spaventa che, in luogo dei decreti legge…si ascoltino e lascino deliberare gli interessi organizzati; il limite è che non si tocchino i cardini democratici e liberali della suprema podestà del parlamento…e che PER INSEGUIRE CONFUSI FANTASMI DI STATI SINDACALI NON SI FACCIA GETTO DELLA SOLIDITÀ DELLO STATO MODERNO, TORNANDO AI DISSOLVIMENTI DEL MEDIOEVO
    ” [M. RUINI, La democrazia e l’unione nazionale, Milano, Ed. Corbaccio, 1924, 286-287].

    Al I° Congresso dei C.L.N. Alta Italia dell’agosto 1945 (cui parteciparono tutti i rappresentanti dei Comitati del nord e del centro-meridionale), nel numero unico dal titolo suggestivo “Unire per costruire”, che raccoglie i resoconti dei lavori, il “problema del decentramento” venne evocato più volte. Ne parla Parri citato a pag. 28, affermando “… Non vi può essere altra soluzione che quella di trasferire il governo sul posto. Bisogna, quando si può, governare sul posto sfruttando le iniziative che sorgono localmente. IL GOVERNO DEVE DARE I MEZZI, DEVE EQUILIBRARE E DISTRIBUIRE ARMONICAMENTE I MEZZI secondo una veduta superiore che esso può avere, in misura delle disponibilità sue e dei suoi fini: questo spetta a lui, è il suo compito…”.

    Ed a pag. 44 si legge in modo riassuntivo “… la nuova organizzazione dello Stato italiano dovrà – lo dicono tutti, dai liberali ai comunisti, dal partito d’azione ai repubblicani, dai democristiani ai socialisti – avere un volto decentrato…Questo significa libertà vera, fondamentale, rinnovamento democratico. Noi quindi dobbiamo preparare i C.L. alla funzione nuova, di pura amministrazione…vi saranno nuovi organi che troveranno la loro ragion d’essere nello Stato decentrato”.

    Le ragioni per le quali era così sentito il problema del decentramento, nell’ambito del futuro Stato unitario, le ha spiegate per tutti Lelio Basso (v. punto 3) . Decentramento (che verrà attuato su base regionale), non federalismo. (segue)

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  5. E ciò perché – passando alle Commissioni citate nel post – nella relazione della I Commissione, allorché si studiava il problema della nuova organizzazione dello Stato e delle autonomie locali, a pag. 13 si legge: “La soluzione più radicale è quella di un’Italia federale, un’Italia cioè dove le singole regioni o gruppi di regioni formino degli Stati (cantoni) a sè provvedendo esse stesse a tutte le loro necessità interne e lasciando allo Stato unitario soltanto alcune funzioni essenziali come i rapporti con l’estero, la difesa militare, la formazione dei codici e l’amministrazione della giustizia…QUESTA SOLUZIONE PERÒ, RISCHIEREBBE, non si può nasconderselo, di far si CHE LE REGIONI PIÙ RICCHE D’ITALIA DIVENISSERO SEMPRE PIÙ RICCHE E LE PIÙ POVERE SEMPRE PIÙ POVERE... ”.

    Connesso al problema del decentramento amministrativo, anche la Commissione economica si pose, come ovvio, quello del decentramento finanziario, giungendo alla seguente conclusione:

    … un totale decentramento delle finanze locali è accettabile solo di fronte ad un minimum di decentramento dei pubblici servizi, per cui rimanga caricata alle risorse locali solo una piccola entità di servizi, di utilità esclusivamente locale e comunque di importanza secondaria e di attuazione facoltativa. Superato questo minimum, il finanziamento almeno in parte centralizzato dei fabbisogni locali diviene una esigenza tanto più evidente quanto più si spinga il decentramento amministrativo verso la zona dei servizi più importanti e generali. Diversamente, se si vuol circoscrivere entro l’ambito delle sole risorse finanziarie locali il carico di spesa dei pubblici servizi localmente amministrati ne viene che per fronteggiare una medesima spesa di pubblici servizi, a parità di popolazione, i singoli enti saranno costretti a ricorrere ad aliquote tanto più elevate quanto più povere saranno le risorse locali e più basso il livello dei redditi individuali.

    D’altra parte alla maggiore povertà di risorse e al più basso livello di vita degli abitanti corrisponde di regola una tanto maggiore urgenza ed un tanto maggior costo per abitante dei servizi più necessari alla vita e a ll’esistenza dei cittadini (ordine pubblico, assistenza spedaliera, istruzione dei poveri, ricovero dei vecchi, degli orfani e abbandonati, prevenzione delle m alattie infettive, ecc.). I due fattori - del più basso imponibile medio e della più elevata spesa pro capite - sommandosi fanno sì che i medesimi servizi (e per avventura proprio i servizi più indispensabili ed urgenti) dovrebbero essere pagati dai contribuenti di località diverse con aliquote ingiustificabilmente sperequate a danno delle località più povere … QUESTA CONCLUSIONE, sopra tutto per quanto attiene ai servizi indispensabili per un minimum di vita civile, sembra difficilmente conciliabile, innanzi tutto, CON LE ESIGENZE DI QUELLA STESSA UNITÀ E SOLIDARIETÀ NAZIONALE, in nome della quale si sono pure indiscriminatamente chiesti a tutti i cittadini estremi sacrifìci di sangue e di affetti
    …” [Rapporto della Commissione Economica all’Assemblea Costituente, Vol. V, Finanza, I, 1946, 133-134].

    Seguendo questo filo rosso, che corre dalla fase resistenziale e passa per il lavoro di studio predisposto dalle Commissioni del Ministero della Costituente, si approdò in quest’ultima, dove il tema venne affrontato in seno alla Commissione dei 75 e, in modo specifico, nella II Sottocommissione (Ordinamento costituzionale dello Stato, presidente Terracini, relatore Mortati). Le discussioni si protrassero dal 26 luglio 1946 al 30 gennaio 1947 e – se si ha la pazienza di leggere tutti i lunghi resoconti - confermano in pieno quanto sopra esposto: bisognava decentrare, ma non perdendo mai di vista l’unità dello Stato ed il senso di solidarietà nazionale cui fa riferimento Nenni. (segue)

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  6. Proprio con riferimento al principio di “solidarietà” (che poi sarebbe stato sancito nell’art. 2 Cost.), è altresì interessante il dibattito che si ebbe nella I Sottocommissione (Diritti e doveri dei cittadini, presidente Tupini, relatori La Pira e Basso).

    Durante la seduta del 9 settembre 1946, nel corso della quale si dibatteva di diritti sociali e di rapporto individuo-Stato, Dossetti (di concerto con Basso) presentò un ordine del giorno che così recitava “La Sottocommissione…ritiene che la sola impostazione veramente conforme alle esigenze storiche cui il nuovo statuto dell’Italia democratica deve soddisfare, è quella che a) riconosca la precedenza sostanziale della persona umana…rispetto allo Stato e la destinazione di questo a servizio di quella; b) riconosca ad un tempo la necessaria socialità di tutte le persone, LE QUALI SONO DESTINATE A COMPLETARSI E PERFEZIONARSI A VICENDA MEDIANTE UNA RECIPROCA SOLIDARIETÀ ECONOMICA E SPIRITUALE…”.

    I relatori La Pira e Basso concretarono poi la discussione abbozzando quelli che sarebbero stati (dopo alcune modifiche) i futuri artt. 2 e 3 Cost., parlando di una Costituzione che promuovesse la “necessaria solidarietà sociale”. Insorse però l’on. G. Lombardi, sostenendo che “non si può sottoscrivere l’affermazione che la legge debba promuovere la solidarietà sociale [perché] contraria alla storia, salvo che il mondo non diventi una classe sola. Nel 1700, in un’epoca cioè anteriore alla Rivoluzione francese, fu scritto da F. Bastiat un libro sulle armonie economiche, ma egli non può sottoscrivere un errore storico o sociologico di tale importanza…”.

    E Basso dovette replicargli “… L’on. Lombardi ha fatto riferimento a Bastiat, ma errò nel collocarlo prima della rivoluzione francese, essendo questo autore vissuto nei primi dell’ottocento. Le sue espressioni sono di un liberismo che negava questo concetto…Ritengo che parlando di “solidarietà sociale non si dice un’ingenuità. Non intendo affermare che in concreto non ci saranno lotte di classe, ma il dovere della Costituzione è quello di mirare ad un massimo sforzo di solidarietà sociale. Vi sono dei diritti che derivano dal principio di libertà ed altri che derivano dal principio della uguaglianza e della solidarietà sociale. Si tratta di uno sforzo verso la solidarietà sociale in senso anti-individualista. Se si toglie questo, si rompe l’equilibrio che deve esservi tra l’esercizio degli antichi diritti della persona e l’esercizio di questi diritti in senso sociale, accompagnati cioè dallo sforzo di creare una solidarietà sociale…”.

    Quella riportata in sunto è la parola del Potere Costituente, che però non mi pare goda di molta popolarità tra le fila di certi sovranisti. La Costituzione si abbraccia in blocco, soprattutto i suoi principi fondamentali. Altrimenti è meglio lasciar perdere.

    Per tutto il resto, ovviamente, c’è Hayek, il quale insegna ai nipotini che: “Una società aperta, pacifica è possibile soltanto SE RINUNCIA A CREARE SOLIDARIETÀ. Il tipo di ordine astratto su cui l’uomo ha imparato a fare affidamento … non può basarsi su sentimenti come l’amore...” [F. HAYEK, Legge, legislazione e libertà. Una nuova enunciazione dei principi liberali della giustizia, il Saggiatore, Milano, 361]. Il mercato

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    1. La reinvenzione della ruota è uno sport popolarissimo in misura direttamente inversa alle "risorse culturali" disponibili.
      Se, per inconsapevolezza dell'economia e della storia, si accettano scarsità di risorse e "rinuncia alla solidarietà" (in quanto affidata alla benevolenza di nuovi "padroni" delle risorse scarse), la conseguenza, implicata da Hayek, è una società aperta...al modello pinochettiano

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  7. Post cristallino.

    D’altra parte, se le risorse non ci sono…

    Mi domando quanto sarà alto il cumulo di macerie al risveglio da questo (ennesimo) incubo del contabile.

    Intanto:

    Con la sospensione della convertibilità, la moneta è potenzialmente disponibile in quantità illimitata. Tuttavia, anziché rinunciare alla caratteristica di risorsa scarsa, si è costruita una scarsità artificiale, attraverso il monopolio della moneta e il suo contingentamento, al fine di conservare anche la funzione di riserva di valore. La moneta fiduciaria contemporanea può essere riserva di valore in quanto è risorsa scarsa. La scarsità è assicurata dal monopolio della Banca centrale e, a livello internazionale, dal Fmi.” (Fantacci, La moneta, Marsilio, Venezia, 2005, pag. 238).

    Chissà, magari se lo dice uno che insegna alla Bocconi…

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    1. Caro Arturo, il cumulo sarà altissimo. E tutti si stanno impegnando per darcene la certezza.

      Non ci sono le risorse culturali per uscire dalla crisi. Anzi: stanno diminuendo a vista d'occhio

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    2. A ben rifletterci Fantacci "omette" ingrediente fondamentale: non il mero monopolio della BC, ma la sua "indipendenza" dallo Stato, vero emittente. Insomma, l'istituzionalizzazione di un NON TESORIERE captured dai sistemi privati vigilati.

      L'alternativa al monopolio assunto in sè, a prescindere dalla funzione di tesoriere (dello Stato), sarebbe invece l'emissione hayekiana di moneta privata tra banche in concorrenza, che farebbero a gara per accenturare la "scarsità" per raggiungere l'effetto gold standard...

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    3. Lo Stato, nella forma che conosciamo, monopolizza la produzione di moneta e sostituisce la moneta merce con la propria moneta fiduciaria. In tal modo, infatti, la banca centrale dello Stato (monopolista della produzione della moneta) può manipolare il tasso di interesse, spingendolo verso il basso e rendendo il finanziamento delle uscite statali per il tramite dell’emissione di debito sempre più allettante.

      Il controllo della produzione di moneta, inoltre, permette allo Stato di inflazionare artatamente e furtivamente il suo valore, arricchendosi così a danno dei detentori di moneta. In effetti, il monopolio sulla produzione di moneta aumenta la forza finanziaria dello Stato ben oltre il livello reso possibile dal normale gettito delle imposte. Il controllo della produzione di moneta, quindi, si avvicina ad UN POTERE FINANZIARIO ILLIMITATO.

      Ciò permette allo Stato di finanziare l’espansione del proprio potere…In altri termini, il monopolio della produzione di moneta rappresenta un fattore essenziale per eliminare ogni ostacolo restante al potere dello Stato. Questo mi porta al mio ultimo punto, nel quale sosterrò che non è stato tanto il keynesismo che ha pervertito l’idea di “buon governo”, bensì che la forma di Stato che conosciamo oggi ha deliberatamente propagato e rafforzato il keynesismo…
      ” [T. POLLEIT, in R.E. Wagner, Il debito pubblico e la corruzione delle promesse, perché occorre estirpare il cancro keynesiano, IBL Libri, 2017, ed. EBook].

      L’allievo di Von Mises è chiaro. Meglio che il “potere finanziario illimitato” rimanga in mano ai privati (che non sono corrotti)

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    4. Una volta affermato che la moneta non è una merce ma un'istituzione pubblica al servizio della società, l'essenziale, soprattutto in un lavoro di storia, è detto, mi pare. Per il resto, ci siamo noi. ;-)

      Certo, Hayek e gli austriaci questa idea l'han sempre sostenuta. A me però lascia assai perplesso: senza una qualche garanzia pubblica, almeno di ultima istanza, perché mai qualcuno dovrebbe accettare il debito di un privato come moneta? Il meccanismo dipenderebbe, come dicono Goodhart et alii (The future of central banking: the tercentenary symposium of the Bank of England. Cambridge, UK, Cambridge University Press, 1994, pag. 88) “on the convertibility commitment being honoured at all times and on all occasions.” Ma, aggiungono subito, “this is problematic.”.


      Non dimentichiamo che la parità metallica fissa inizia con una garanzia statale, sotto forma di debito pubblico, dell'attività di emissione della Bank of England: ricordo la citazione di Amato e Fantacci che avevo già riportato.

      Torniamo a Bagehot, la cui “Hayekian facet”, sempre per citare Goodhart (The Evolution of Central Banks, The MIT Press, Cambridge-London, 1991, pag. 18), “has been largely forgotten”: anche lui avrebbe preferito il free banking, ma si rendeva perfettamente conto che la banca centrale era insostituibile.

      Mi sbaglierò, ma mi pare che siamo di nuovo alle prese con quell'aspetto del neoliberismo diagnosticato, inter alios, da Mirowski: l’antistatalismo che dello Stato non ha nessuna intenzione di fare a meno.

      In effetti, quale altra istituzione ha le risorse per spremere fuori dalla società le varie forme di profitto finanziario?

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    5. Il federalismo wannabe mercantilista in ambiente free-trade, con pareggio di bilancio? :-)
      (Lo so: è solo un altro modo di definire lo stesso fenomeno)

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  8. "Non ci sono le risorse culturali per uscire dalla crisi. Anzi: stanno diminuendo a vista d'occhio."

    Una idea circa le risorse culturali la può dare il numero di visite e di commentatori di questo blog (non conosco i dati ma mi pare che si debba trattare di pochissimi volenterosi).

    Nel convegno di sabato scorso a Roma (dal titolo "L'Interesse nazionale") Claudio Borghi Aquilini ha ammesso candidamente che il suo pensiero (e quello di Marco Zanni, il "meglio del meglio" che la Lega di Salvini e' riuscita a produrre finora) e' condiviso si e no da un terzo dell'elettorato leghista.

    Ha anche osservato che la politica è fatta di pragmatismo e che i due referendum erano stati messi in cantiere da diverso tempo (cioè, mi è sembrato di capire, PURTROPPO prima della sua nomina a responsabile economico).

    Per pragmatismo (ha spiegato poi) intende che alle prossime elezioni occorre fare di tutto per prendere la maggioranza (insieme ovviamente a Berlusconi e la Meloni, sottintendendo, come corollario, insieme a tutti quelli che, come i due terzi abbondanti dei leghisti, non hanno capito un tubo della vera posta in gioco e che si masturbano ancora con i referendum consultivi ed il 'daje al neger'), perché solo così c'è almeno una speranza di convincere gli alleati a fare le cose giuste.

    A me l'idea che tutte le speranze di un qualche risultato politico in senso Orizzonte 48 siano legate alla possibilita' che, vinte le elezioni, Borghi e Zanni riescano a far prevalere la linea 'populista' all'interno di uno schieramento di ordoliberisti di lungo corso, appare debole, ma appunto, ripeto, è veramente tutto li' quello che abbiamo, non c'è altro.

    Personalmente mi accontenterei che sparisca almeno il PD, ma temo che al momento del voto prevarrà di nuovo il 'maicoismo' ed il'permeismo'.

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    1. Le visite al blog sono molto di più di quello che si possa pensare.

      Il problema è lo scarto con chi legge esclusivamente Alberto.

      Perché, come puoi constatare, la differenza di coscienza c'è ed è... dirimente.

      Il "pragmatismo" spesso non fa altro che mascherare il vuoto culturale.

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    2. Personalmente da quando ho scoperto Orizzonte48 il blog di Bagnai lo leggo sempre meno.
      Non è una critica a Bagnai, ma non so, trovo che qui si spazi tra più argomenti e quindi è culturalmente più completo.
      Comunque anche io temo che le risorse culturali per uscire dalla crisi non ci siano (almeno da quello che vedo in giro), tra i gggggiovani sopratutto, classe di cui anche io faccio parte.
      Ho notato infatti, che i giovani sono quelli che si interessano meno ai temi politici, eppure sono i più colpiti da questo meccanismo infernale; mentre sembrano porsi qualche problema in più i meno giovani, anche quelli che sono (relativamente) più tranquilli da un punto di vista economico.
      Questa cosa proprio non la capisco.
      Comunque, dicevo: forse il "pragmatismo" (pur nascondendo, probabilmente, un certo vuoto culturale) è davvero l'unica speranza che abbiamo al momento, se non altro se riusciamo a farci traghettare dai "pragmatici" almeno fuori dall'Euro, può essere che lo shock porti anche qualche altra politica a riflettere e rinsavire magari.
      Questa è l'unica speranza che ho al momento...

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    3. Siamo nelle mani di Soros molto ma molto di più di quanto non si supponga di sapere...

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    4. @Lellu Go

      Il "pragmatismo" è fondamentale, perché è riferibile all'atto concreto intenzionato a realizzare l'obiettivo: Keynes è stato un pragmatico in tutto. Lenin è stato addirittura un "filosofo della prassi".

      Ma un conto è analizzare e comprendere una situazione complessa e agire di conseguenza con ben in mente gli obiettivi: un altro conto è dimostrare ex-ante che certi "principi" non si sono acquisiti.

      Il "pragmatismo" può divenire assolutamente ininfluente, perché a cattiva teoria segue cattiva prassi.


      (Poi ci si affida a quel che c'è e lo si sostiene nei limiti della esiziale critica: la "critica" peculiare di questi spazi, in questo caso, verte sul senso dello Stato che si dovrebbe acquisire studiando le istituzioni di diritto costituzionale)

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    5. Dai, tanto per non deprimerci troppo: leggere su Social Europe (!) che "the sovereign state, far from being helpless, still contains the resources for democratic control of a nation’s economy and finances – that the struggle for national sovereignty is ultimately a struggle for democracy." non dispiace affatto.

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    6. Articolo invero interessantissimo...per dati e indicazioni "politiche"

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    7. Sì, proprio niente male (ma Mitchell è bravo e Fazi si è "redento"). Intendo segnalarlo a Voci se non ci arrivano da soli (ma ci arrivano...:-)).

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    8. è molto lungo...ma se glielo segnali non sarà inutile (sempreche abbiano la voglia di affrontare poi il linciaggio leghista...).

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  9. E molto probabile che a condividere il pensiero di Borghi siano anche meno di un terzio dei leghisti, e certamente sono pochissimi fra i dirigenti della Lega. D’altra parte, le dichiarazioni di Zaia post referendum nei confronti degli italiani sembrano quelle che abbiamo spesso ascoltato dai vari Schauble e Juncker verso italiani, spagnoli e greci, ed esprimono al meglio l’autentico spirito leghista: stato ladro e corrotto, meridionali parassiti ed assistiti, meglio prendere ordini da Berlino che da Roma. Detto questo, anch’io mi auguro alle prossime elezioni una sconfitta epocale del PD, per le infinite ragioni che i lettori di questo blog conoscono bene, ma ovviamente mi guardo bene dal riporre una sia pur minima speranza che un eventuale governo di centro destra possa anche solo ipotizzare iniziative di recupero della sovranità costituzionale e monetaria del nostro paese.

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  10. https://www.academia.edu/31261068/Il_Mezzogiorno_dalla_fine_dellintervento_straordinario_alla_Grande_Recessione

    è inelegante auto-citarsi, ma chi vuol trovare qualche dato inserito in prospettiva storico-politica della questione meridionale può dilettarsi: da nenniano convinto, ringrazio Quarantotto per aver scoperto l'ennesima perla costituzionale (e socialista)

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  11. "Siamo nelle mani di Soros molto ma molto di più di quanto non si supponga di sapere..."

    Sono curioso ma so anche aspettare.
    E poi non e' neanche detto che tutti i Soros vengano sempre per nuocere (eterogenesi dei fini).

    Il nome Soros (che nel 92 'shortò" la lira e guadagnò una fortuna a seguito dell'uscita dell'Italia dallo SME) mi ha infatti ricordato questa notizia di pochi giorni fa (che non ha riscosso apparentemente grande interesse).

    La notizia è questa:
    "Ray Dalio, manager of the world’s biggest hedge fund, is shorting, placing large bets against, anything Italian."

    http://www.zerohedge.com/news/2017-10-18/ray-dalio-shorting-entire-eu

    Ma la cosa ancora piu' interessante (dal mio punto di vista) è che nel contenzioso EU-UK si sta minacciando 'apertis verbis' Clearstream (anche se non se ne è fatto il nome), la cerniera europea tra offshore ed inshore (cioe' l'entità che gestisce i fondi neri di tutti i potenti europei, multinazionali incluse), in passato più volte accusata di riciclaggio e controllata da DB.

    https://en.wikipedia.org/wiki/Clearstream

    Si può quindi ragionevolmente supporre che ci sia una faida in atto all'interno di ESSI....

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  12. Post da incorniciare. Grazie come sempre per renderci partecipi e "consapevoli" del nostro essere cittadini di un paese con la Costituzione, appunto, con la C maiuscola, tanto vituperata e degrata (da ESSI) ma sempre attuale.

    Ad uno sguardo veloce, il mantra dei leghisti su cui fondano ogni loro discorso (Borghi a parte) è che sono stufi di finanziare il Sud e che vogliono tenersi le tasse a casa loro e non vedere che i loro soldi sono spesi in Sicilia, Calabria, Basilicata... Ora, vediamo il grafico TAB.1.

    Vediamo i valori medi di spesa, che sono 13175euro pro capite. Si certo, sono da dividere per la popolazione ma tralasciamo questo dato per semplicità. Bene, facendo la classifica chi spende di più, se proprio vogliamo controbattere con risposta immediata alle loro argomentazioni sono VdA, PATrento, PABolzano, Liguria, FVG etc. Tenendo ben presente il fatto della popolazione di queste regioni, vediamo che la classifica Pro Capite di spesa va proprio al Nord.
    Se diamo uno sguardo, tutte le regioni del Sud sono sotto la media, eccezion fatta per la Sardegna. La Sicilia spende 11257, la Lombardia invece 11999 . Vediamo invece dal lato entrate.

    E' qui che si crea il vero divario fra Nord, industrializzato, e Sud, dove le entrate fotografano bene, come ben sottolineato nel post, un Sud altamente SOTTO la media di quasi il 50%. Allora i leghisti che parlano a fare? Credo quindi concludendo che questo post fornisca dati che possano confutare agevolmente le argomentazioni del Sud vs Nord e della deriva secessionista che taluni vogliono imprimere al nostro Paese...

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  13. "Non ci sono le risorse culturali per uscire dalla crisi. Anzi: stanno diminuendo a vista d'occhio."

    Credo che il Presidente intenda più o meno questo:

    “Insomma, si può pure ironizzare sull'attuale governo, come sul suo inquietante accostamento a quello Monti, ma la consapevolezza mediatica non cresce; ci si appaga, al più, di lotte politiche intestine, mentre (basta vedere un Ballarò qualsiasi) la confusione e le discussioni relative a problemi malposti e, tra l'altro, peggio ancora risolti, campeggiano in un'orgia che può riassumersi nel triste spettacolo della disunità dell'italian tea-party .
    Se ci pensate un paradosso che le stesse forze politiche totalitarie potrebbero risolvere facilmente, se non fosse che non avendo capito nulla, la ragion d'essere della politica si è ridotta alla corsa alla presa di distanza dalla corruzione e dalla pressione fiscale. Cioè i metodi più sicuri per non risolvere nulla ma per raggiungere un facile consenso che, al più, può portare a un reverente implorare all'Europa una flessibilità di facciata, ed in quanto, comunque, "a noi piace fare quello che stiamo facendo e non perchè ce lo chieda l'Europa".

    Tutti sono dunque convinti di aver capito che il problema è tagliare la spesa pubblica e si rinfacciano, semmai, di non aver propinato dosi sufficienti di tale veleno.
    Persino i 350 dipendenti delle società immobiliari che perderanno il posto a seguito della possibile disdetta degli affitti d'oro per conto della Camera dei deputati, non viene vista come ovvia conseguenza di tale atteggiamento, che, pure, fa capire con immediatezza che tagliare il reddito nazionale, cioè la spesa pubblica non è una soluzione che garantisca la crescita, semmai la disoccupazione (=deflazione salariale): perchè questa è l'unico strumento a disposizione per non finire di nuovo in crisi di indebitamento estero. Salvo poi rendere incorreggibile la posizione netta sull'estero, dato che l'euro è un processo inesorabile che deve ridisegnare, scatenando un conflitto generazionale dove tutti perderanno, la società italiana... possibilmente con il suo stesso plauso!

    L'euro sta lì, senza legame cosciente con questa idea tea-party che probabilmente gli sopravviverebbe. Perchè non è pensabile che sia sradicabile dal senso comune degli italiani, tutti assorti nella rabbiosa indicazione della corruzione come il primo dei loro problemi.
    E basta leggersi questo articolo sul Brasile per rendersi conto che i mali (coincidenti semmai con le politiche di correzione adottate da istituzioni neo-liberiste dalla facciata "progressista"), vengono sempre fatti ricadere su questo splendido format (corruzione-spesa pubblica improduttiva), che la World Bank e il FMI hanno messo a punto, con tanto di classifiche incredibili (ma molto credute), in base alle quali risultano meno corrotti i paesi più liberisti: quelli cioè in cui le lobbies dei poteri economico-finanziari sono talmente potenti da catturare totalmente il processo decisionale normativo, alienando lo Stato da ogni residua funzione democratica, e quindi minimizzando la deviazione di ciò che è conforme a legalità da quanto coincide con gli interessi affaristici dell'oligarchia economica.
    In tali casi, infatti, si verifica in radice "il difetto di fattispecie sanzionatorie applicabili ai meccanismi di appropriazione disparitaria della ricchezza, che vengono simultaneamente legalizzati dalle norme".”

    http://orizzonte48.blogspot.com/2014/06/e-il-popolo-acclama-i-tea-party-anche.html?spref=tw

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