Per fare un pò il punto, eviterò di spendere troppe parole "mie" (visto che, per la parte più autorevole della Scienza "infusa e "diffusa", sono un povero squilibrato dalla "prosa involuta").
Mi affiderò piuttosto ad una sequenza di citazioni. E neanche ritrovate da me, ma, per lo più, dai più attenti commentatori di questo blog "collettivo" (il mio squilibrio mentale non mi consente di individuare correttamente neppure dei "passi" significativi: d'altra parte, lo avete visto con von Hayek quanto non ci avessi compreso nulla e quanto, i fatti storico-politici degli ultimi 40 anni, mi stiano dando torto).
E mi perdonerete se oserò aggiungere qualche parola (involuta ed oscura, naturalmente) di raccordo.
Cominciamo allora proprio dal ribadire questo, caposaldo di von Hayek:
Hayek pensa ad una federazione di Stati, e la cosa davvero interessante è la
sua discussione, come dice appunto il titolo, delle conseguenze economiche di una tale federazione.
Con logica stringente, Hayek
dimostra che una federazione fra Stati realmente diversi porta
necessariamente all'impossibilità di un intervento statale nell'economia,
e quindi alla vittoria di politiche economiche liberiste (il che
ovviamente dal suo punto di vista è un bene).
Infatti una federazione
per essere stabile ha bisogno di un sistema economico comune e
condiviso, e quindi della libera circolazione di merci e capitali, e
questo porterà ovviamente a una perdita di controllo dei singoli Stati
sulle loro economie. Si potrebbe allora pensare che il controllo statale si sposti al livello federale.
Il nuovo super-stato federale si riprenderebbe quei poteri di controllo sull'economia che i singoli Stati avranno perso. Hayek risponde di no.
Perché l'intervento statale sull'economia presuppone la capacità di
mediare fra interessi contrapposti, di accettare compromessi
ragionevoli, che non ci sono, o sono più difficili, fra popoli di Stati
diversi. Come scrive Streeck riassumendo Hayek:
"...in una federazione di stati nazionali la diversità di interessi è maggiore di quella presente all'interno di un singolo stato, e allo stesso tempo è più debole il sentimento di appartenenza a un'identità in nome della quale superare i conflitti stessi (…). Un'omogeneità strutturale, derivante da dimensioni limitate e tradizioni comuni, permette interventi sulla vita sociale ed economica che non risulterebbero accettabili nel quadro di unità politiche più ampie e per questo meno omogenee (pagg.121-122 di The Economic Conditions of Interstate Federalism", F.von Hayek, 1929, cit. da Streeck)"
"...in una federazione di stati nazionali la diversità di interessi è maggiore di quella presente all'interno di un singolo stato, e allo stesso tempo è più debole il sentimento di appartenenza a un'identità in nome della quale superare i conflitti stessi (…). Un'omogeneità strutturale, derivante da dimensioni limitate e tradizioni comuni, permette interventi sulla vita sociale ed economica che non risulterebbero accettabili nel quadro di unità politiche più ampie e per questo meno omogenee (pagg.121-122 di The Economic Conditions of Interstate Federalism", F.von Hayek, 1929, cit. da Streeck)"
"Ripiegamento nazionale", in ogni
caso, è diventato il termine spauracchio, suscettibile, nella sua
genericità, di essere opposto a qualsiasi progetto di uscita dall'ordine
neoliberale.
Dal momento che, se quest'ordine in effetti si definisce
come sforzo di dissoluzione sistematica della sovranità dei popoli,
perché possa così dispiegarsi senza intralcio la potenza dominante del
capitale, qualsiasi idea di porvi fine non può avere altro senso che
quello di una restaurazione di questa sovranità. [...]
Pronunciare la
parola "nazione", come una delle possibili vie di questa restaurazione
della sovranità popolare, forse anche la più agevole o almeno la più
facilmente accessibile a breve termine - precisazione temporale
importante, visto che il jacquattalismo mondiale può aspettare -
pronunciare la parola "nazione", dunque, significa esporsi ai fulmini
dell'internazionalismo, o almeno della sua forma più inconseguente:
quella che, o sogna un internazionalismo politicamente vuoto, visto che non
indica mai le condizioni concrete della deliberazione collettiva,
oppure, indicandole, non si accorge che sta semplicemente reinventando
il principio (moderno) della nazione su scala più ampia!"
Su quest'ultima ipotesi, della "reinvezione" della sovranità, a giustificazione della prospettiva di una mai nata, e neppure seriamente ipotizzata, democrazia "internazionalista", abbiamo speso molte parole: a veder bene, peraltro, tratte dal più limpido pensiero su come oggi la sovranità sia inscindibile dalla tutela dei diritti fondamentali che costituiscono l'essenza della democrazia costituzionale (cioè oggi democrazia e sovranità nazionale, nei paesi occidentali almeno, sono concepiti come un unicum) .
Ma abbiamo anche visto come proprio von Hayek, questa ridislocazione internazionalista della sovranità, la consideri a realizzazione strutturalmente improbabile, se non impossibile, e su questo conta molto, tanto da teorizzarne la "dispersione" (che è poi dispersione della democrazia entro il quadro, qualsiasi quadro, internazionalista): questa stessa concezione (della ridislocazione, tipica dei desiderata apparenti della "costruzione europea"), consente però di propinarne l'idea tatticamente, per far digerire, ai popoli coinvolti, una trasformazione che abbia la parvenza di una "cosmetica" continuità.
Non a caso, in un altro mitico passaggio, rivelatore dell'ordoliberismo nella sua radice di attacco strategico allo Stato nazionale "interventista", von Hayek fa la sua precisazione politico-metodologica con riguardo all'uso, ingannevolmente allusivo alla sovranità democratica in quanto trasposta in un contesto internazionalista, del "termine sociale" accostato al vero precetto normativo "liberista" che si intende addossare alle comunità (in precedenza democratiche). Questo uso è "plasticamente" rinvenibile proprio nell'art.3, par.3, del Trattato UE (che riprende la stessa locuzione del Tr. di Maastricht). E von Hayek può ben affermare:
"Non mi piace questo uso [dell'aggettivo "sociale" per qualificare ogni
azione "pubblicamente consigliabile"; tra gli esempi: "economia sociale
di mercato", a cui la nota si riferisce], anche se grazie ad esso
alcuni miei amici tedeschi (e ultimamente anche inglesi) sembrano
riusciti a rendere appetibile a circoli più ampi il tipo di ordine
sociale che difendo". E' lui o non è lui? Certo che è lui! :-) F. A. von
Hayek, Legge, legislazione e libertà, EST (Il Saggiatore), Milano,
2000, pag. 283, n. 26.
A questo punto, ci riallacciamo direttamente al post di ieri ed a come, nel pianificare l'avvento strategico e tattico del neo-liberismo, il Colloquio Lippman ci fornisca questa ulteriore precisazione, che ben spiega la apparente contraddittorietà della lamentata iperattività normativa "internazionalista" della UE-UEM, avversata da miopi oltranzisti del liberismo "tea-party" (che desiderano "tutto e subito", incuranti delle conseguenze sociali che, invece, devono essere rese accettabili con la dovuta gradualità):
"..Miksch, dice: “in
questa politica neoliberale è possibile che gli interventi economici
siano tanto ampi e numerosi quanto in una politica pianificatrice, ma
sarà la loro natura a essere differente."
Ovviamente, nel secondo dopoguerra, si era ben coscienti della disattivabilità solo graduale dell'assetto sociale generato dalle Costituzioni democratiche (viste come una necessità obtorto collo in contrapposizione ai famosi carri armati di Stalin).
Per superare l'ostacolo si doveva raggiungere il controllo integrale della cultura e dei mezzi di informazione, dato che (come ci segnalò un altro ottimo commentatore):
«Il controllo economico non è il semplice controllo di un settore della vita umana che possa essere separato dal resto;
è il controllo dei mezzi per tutti i nostri fini. E chiunque abbia il
controllo dei mezzi deve anche determinare quali fini debbano essere
alimentati, quali valori vadano stimati […] in breve, ciò che gli uomini
debbano credere e ciò per cui debbano affannarsi».
(F. von Hayek da "Verso la schiavitù", 1944).
(F. von Hayek da "Verso la schiavitù", 1944).
Questo assunto, tattico e prima ancora strategico, era perfezionato su una lungimirante fede nella capacità di "spezzare" (intimamente, eticamente, psicologicamente, come ci additò poi Padoa Schioppa), le resistenze dei portatori degli ingiusti privilegi concessi dalle "legislazioni"- inclusive delle Costituzioni (pur sempre inferiori alla Legge superiore e naturale, metasociale, come in definitiva predicano gli europeisti nel sostenere la superiorità incondizionabile dei Trattati su ogni fonte nazionale), e condensato nella seguente pragmatica enunciazione dello stesso von Hayek:
“Penso fermamente che lo scopo principale del teorico dell’economia o del filosofo politico sia di agire sull’opinione pubblica per rendere politicamente possibile quello che forse oggi è politicamente impossibile, e quindi l’obiezione che le mie proposte sono attualmente impraticabili, non mi scoraggia assolutamente a svilupparle.”
“Penso fermamente che lo scopo principale del teorico dell’economia o del filosofo politico sia di agire sull’opinione pubblica per rendere politicamente possibile quello che forse oggi è politicamente impossibile, e quindi l’obiezione che le mie proposte sono attualmente impraticabili, non mi scoraggia assolutamente a svilupparle.”
Naturalmente "l'oggi" consente, ormai (e certo non per caso), ben altri spazi di manovra ai neo liberisti di cui ci parla Lordon.
I tempi sono maturi per ben altre pretese molto più esplicite. E
non a caso, JP Morgan, in un arcinoto "report", e successivamente il WS
Journal, hanno indicato le Costituzioni europee dei paesi continentali
come il vero ostacolo al preteso "aggiustamento" dell'area UEM.
Ma JP Morgan, coi suoi "analisti finanziari" dediti alla teoria generale degli Stati democratici, sono solo "nani sulle spalle dei giganti" come Hayek e Attali.
Si spiega allora molto bene come, consapevoli della direzione che stavano prendendo le "cose della democrazia", fin dagli anni '70 del secolo scorso, si indicassero alcune perplessità circa gli effetti del progredire del "meraviglioso mondo di von Hayek", pianificato fin dalla sequenza programmatica della moneta unica dal rapporto Werner (come abbiamo visto qui, nel modo stigmatizzato nel 1974 da Maiocchi).
Così Guido Carli (riferendosi all'idea, contenuta in tale "rapporto", di far partire la moneta unica senza un sistema federale di trasferimenti, lasciando poi alla seguente e ipotetica maturazione "politica" dei paesi aderenti questa realizzazione successiva ed eventuale):
"Se in questo momento la lotta all’inflazione appare l’obiettivo
prioritario, l’Unione monetaria europea non può tuttavia essere
imperniata su un meccanismo che tenda a relegare verso il fondo della
scala gli obiettivi dello sviluppo e della piena occupazione, cioè ad
invertire le scelte accettate dalla generalità dei popoli e dei governi
in questo dopoguerra".
Il complesso degli sviluppi apportati da Maastricht, proprio in termini di internazionalismo, era paventato, già nel 1978, e in occasione dell'adozione dello SME, da Luigi Spaventa, in un modo che rivela tutt'ora la sua impressionante attualità e che pare collimare in modo impressionante con le osservazioni di Lordon sopra riportate (solo che lui le fa oggi, e Spaventa non risultò più..."pervenuto" su questi temi):
"si ritiene che l’edificazione del sistema
monetario rappresenti il primo sussulto dell’idea europea dopo anni di letargo;
l’occasione non può e non deve essere persa...Obiettare a questo argomento è
pericoloso - si badi - perché si rischia di essere marchiati di
antieuropeismo, si rischia di essere marchiati come nazionalisti, come
retrogradi, perché esiste anche una sorta di terrorismo ideologico
europeistico...Sono, quelle
del sistema monetario, imperfezioni
tecniche o non piuttosto i difetti di una creatura nata politicamente male e
politicamente malformata? Non derivano,
queste imperfezioni, dagli egoismi
nazionali degli altri paesi più forti della Comunità? Perché mai, altrimenti, i costi che ci si chiede di sopportare
dovrebbero essere solo i nostri, mentre non paiono esservi costi per i paesi più
forti? Queste domande
io vorrei porre agli amici europeisti, insieme a tante altre..."
E la traumaticità degli effetti economico-sociali (di SME, divorzio tesoro-bankitalia, liberalizzazione dei capitali, Maastricht e ovviamente, UEM), che pure non scosse mai molto i costituzionalisti italiani, apparve chiara ad un illustre economista come Graziani (unitamente ad Acocella e Brancaccio), che ci dice (come ci ha segnalato Flavio):
"...Personalmente, non vedo con
favore l'approvazione di questa Costituzione europea, almeno nel testo del
Progetto finora divulgato. E questo, prima di tutto, perché intravvedo un
pericolo, anche se non sono in grado di valutarlo nella sua portata effettiva:
e cioè che la
Costituzione italiana possa essere messa - in parte o in
tutto - nell'ombra.
Mi riesce difficile capire quale potrà essere il valore
della nuova Costituzione europea; ma se davvero la Costituzione europea
dovesse in qualche misura prevalere, per i paesi che la accettano, sulle
singole Costituzioni nazionali, questo significherebbe per noi rinunciare in
tutto o in parte a una Costituzione che a me sembra frutto di una stagione
politica particolarmente felice, che poi non si è mai più ripetuta. È per
questa ragione che essa è tra le più avanzate sia sul terreno politico che
sociale: e noi dovremmo tutelarla nel modo più rigoroso.
Si tratta, infatti, di
norme costituzionali non immediatamente applicabili ma particolarmente aperte,
che lasciano intravedere anche la possibilità di ammettere i lavoratori alla
partecipazione nella gestione dell'impresa.
Tutto questo nel progetto di Costituzione europea è rigorosamente soppresso e cancellato, poiché la Costituzione europea in questo ordine di problemi, come si è detto, si occupa soltanto della stabilità monetaria e della Banca centrale europea, che ha questo come obiettivo preminente.
Tutto questo nel progetto di Costituzione europea è rigorosamente soppresso e cancellato, poiché la Costituzione europea in questo ordine di problemi, come si è detto, si occupa soltanto della stabilità monetaria e della Banca centrale europea, che ha questo come obiettivo preminente.
E mette incredibilmente in
secondo piano - subordinandoli alla stabilità monetaria - tutti gli altri
obiettivi (livello di attività, occupazione, stabilità, benessere e
distribuzione del reddito).
Io capisco che, con l'adozione della moneta unica,
la stabilità monetaria possa diventare un obiettivo. Anzi, mi rendo conto che
il fatto che l'Italia ha un tasso di inflazione che ufficialmente è fissato al
2,8% (ma tutti sappiamo, anche solo mettendo il naso fuori dalla finestra, che
è molto maggiore), oltre a mettere le esportazioni italiane in grande
difficoltà, può rappresentare una mina per la stabilità dell'euro: per cui
risulta una necessità per tutti quella di attenersi a un tasso di inflazione in
linea con quello degli altri paesi europei.
Ma resta il fatto che, nonostante i
vincoli della moneta comune, l'aver dichiarato che la stabilità monetaria è il
primo e dominante obiettivo della politica economica dei paesi aderenti
all'euro corrisponde a una visione restrittiva"
Per ora ci fermiamo qui.
Abbiamo abbastanza tracce per una ricostruzione. Sempre che la si voglia fare.
I miei attenti commentatori mi hanno aiutato a farla (e sono fiero di essere "in combutta" con loro) e credo che tutto sommato sia un esercizio molto più utile della "ovvia" misurazione "a posteriori" di ciò che era stato così ben congegnato ed esplicitato; e che rendeva del tutto prevedibile, e previsto, l'incubo in cui si saremmo inevitabilmente ritrovati.
.
Andando a rovistare nei cassonetti dell'immondizia ho trovato i lacerti di una vecchia intervista di Carlo Bastasin (Il Sole24 Ore; 22 agosto 2008) a Mario Monti, che dice: " Quando promuovevo in Italia l'economia sociale di mercato negli anni 80, e mi chiedevo perché Ludwig Erhard avesse avuto successo in Germania con gli stessi principi che invece Luigi Einaudi non era riuscito a far prevalere in Italia, andare verso l'economia sociale di mercato era per l'Italia una sfida. Quel modello di stampo tedesco stava diventando [...] la costituzione economica europea. Includeva aspetti antitetici al pensiero e alla prassi dell'Italia di allora: stabilità monetaria, banca centrale indipendente, disciplina di bilancio, mercato aperto e concorrenziale. Certo, c'era anche il "sociale", ma perseguito ordinatamente, con un sistema fiscale redistributivo; non disordinatamente, con prezzi politici e altre interferenze dello Stato nel mercato. Per l'Italia, andare verso l'economia sociale di mercato voleva dire andare verso la disciplina e verso l'Europa. Questo fondamentale processo, lentamente, ebbe luogo. Oggi, il richiamo all'economia sociale di mercato, in particolare in Italia, dà a volte l'impressione di essere pronunciato con un'ispirazione opposta. Si è un po' insofferenti verso la disciplina imposta dalle regole del bilancio pubblico o da quelle del mercato, e allora si "rivendica", in contrapposizione alla prova non buona data di recente dal modello americano (ecco un'altra "conseguenza economica del Signor Bush"), la legittimità, anzi la necessità, di maggiori dosi di socialità e di discrezionalità politica".
RispondiEliminaE' impressionante, in un contesto di poche righe, un uso così compulsivo del termine "disciplina".
Ps: De minimis non curat praetor.
Bentornato!
EliminaLui "promuoveva" fin dagli anni '80 (per la verità senza trovare resistenze sui "caposaldi", e c'è da domandarsi perchè).
E qua oggi stanno a sottilizzare sull'austerity no, ma euro-bello, sì.
E perciò, anche syrizando continuano a promuovere...
A proposito, devi aggiornare "l'Ucraina" (grande must del web), anche viste le intercettazioni "spazientite" dei negoziatori USA...
PS: non " mi curo", hai ragione, ma sto scoprendo che, da qualche parte, deve per forza esserci anche un superlativo ("etico") di "minima"
"Ripiegamento nazionale", in ogni caso, è diventato il termine spauracchio, suscettibile, nella sua genericità, di..." Curioso, ragionandoci, un paio di settimane fa mi è venuto un sospetto e un dubbio. SI fa uno smodato uso della parola "Paese", sui media, in politica ("L'Italia è un grande Paese" ripeteva ossessivamente l sig. Ciampi. Lo stesso termine mi è capitato spesso di incontrare negli stralci di Trattati che ho letto. Ma negli stessi Trattati ritrovavo anche la definizione di regioni. Vuoi vedere, mi son detto, che ci vogliono già far abituare al fatto di essere solo una regione? E mi son messo ossessivamente quasi a riutilizzare il termine Nazione. Mai avrei immaginato in quale ginepraio mi stavo mettendo :-)
EliminaA parte la notazione seria/scherzosa, "Lui "promuoveva" fin dagli anni '80 (per la verità senza trovare resistenze sui "caposaldi", e c'è da domandarsi perchè). ", e se il perno, il punto di svolta , di rottura fosse il 9 maggio '78?
Io ne sono abbastanza certo per tutta una complicata serie di motivi che sto ancora analizzando, ma quella data, quel NOVE MAGGIO, sono abbastanza certo sia fondamentale per leggere tutta la situazione fino ad oggi.
Il riduzionismo a regioni o, (per "loro" ancor meglio) macroregioni (ci spargi pure il sale sopra) mi pare una strategia programmatica di cui già hanno abbozzato le linee giuridiche e naturalmente economiche (vincolanti, allorchè si passerà all'attacco finale)
Eliminahttp://orizzonte48.blogspot.it/2013/10/lattacco-final-alla-sovranita.html (ove mai ti fosse sfuggito).
Il 1978 è un anno cruciale: come dimostra lo sconsolato discorso che a pochi mesi di distanza dal "pasticciaccio brutto" fece Luigi Spaventa.
Possiamo domandarci: è ragionevole escludere che senza quel clamoroso antefatto quelle condizioni politiche, diciamo, "arrendevoli" non si sarebbero affermate senza colpo ferire, cristallizzandosi per sempre (irreversibile!)?
Ma anche il 1981 (di necessario completamento) non scherza.
http://www.ilpost.it/2011/12/17/il-rapimento-dozier/
http://gondrano.blogspot.it/search/label/Beniamino%20Andreatta%20%281991%29%20Il%20divorzio%20tra%20Tesoro%20e%20Bankitalia%20e%20la%20lite%20delle%20comari
http://gondrano.blogspot.it/search/label/Federico%20Caff%C3%A8%20%281982%29%20Processo%20a%20Berlinguer
(Un grazie a "Appunti", che in termini politici, storici ed economici, ha costituito ormai un archivio perfettamente accessibile a chi non abbia il prosciuttto sugli occhi)
sì, mi era sfuggito, grazie (tra lei, bagnai, borghi... un minimo di divulgazione personale... 'gni tanto uno se distrae :-) )
Eliminasicuramente nacque la "arrendevolezza", o per umana paura (comprensibile), o perché magari si aveva qualche scheletruccio nell'armadio e quindi si era ricattabili...
c'è la scientificità degli storici e delle inchieste, prime e fondamentali; poi c'è il versante "simbolico", che può solo fare da supporto, non sovrapporsi, per dare possibile comprensione a ciò che potrebbe rimanere oscuro nelle motivazioni: se rimescola i numeri di 1978, vede bene cosa viene fuori. Per non dire delle 1950 lire tutte in moneta trovate nelle tasche del morto, come ci racconta la figlia maria fida...
Vabbè, continueremo a riflettere. grazie per le interessanti segnalazioni.
Grazie:-)
RispondiEliminaHo avuto una brutta bronchite che mi ha spossato; sto lavorando ad un post abbastanza corposo che conto, a breve, di inviarti. Sulla situazione ucraina ho già raccolto materiale...
Sui TG PUDE si vedeva ieri una specie di orcomanno, eroico dimostrante per la libertà UE; di 150 kg per 1,95 che lamentava di essere stato torturato per 7 gg (!): aveva dei segni rossi lineari in faccia pari pari come quelli dei film; croste disegnate senza gonfiore e senza alcun ematoma diffuso sulla faccia (e senza segni sulla bocca e sul naso). Mi pareva un pò poco per 7 giorni di torture che ha detto essere state tali che alla fine "gli ho detto quello che volevano sentirsi dire: che ero pagato dalla CIA". Notare che aggiungeva, con grande calma e precisione, che i suoi torturatori per 7 gg. erano "russi: non so, ma li ho riconosciuti dall'accento".
EliminaDi sicuro non l'hanno lasciato morire di fame...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
EliminaL'ho visto anch'io e mi aspettavo una escalation del genere; era palese che dopo due mesi di status quo, dove l'opposizione non ha sostanzialmente cavato un ragno dal buco, la "piazza" prendesse direzioni chiaramente eversive e orientate a creare un casus belli, cosa peraltro riuscita.
RispondiEliminaQuello che mi preoccupa è la cappa di cupezza con cui i media atlantisti stanno avvolgendo le Olimpiadi di Sochi; non si vuol proprio "perdonare" Putin di avere restituito alla Russia la dignità che le spetta, dopo che Eltsin - grande amico dell'Occidente democratico e della bottiglia - l'aveva ridotta al rango di protettorato; dopo essersi attirato gli strali dei make up artists di gay e lesbiche, a Putin ora tocca in sorte l'ira funesta degli animalisti: sembra la notizia fotocopia che circolò durante gli Europei di
calcio in Ucraina, salvo rivelarsi una clamorosa bufala, con foto relative a fatti accaduti in Cina, USA e Romania.
Non si può dare niente per scontato.
Sulla questione Ucraina vi segnalo questa evidente manipolazione mediatica http://www.voltairenet.org/article182068.html
EliminaLuca T.
Non sorprende neanche un pò...L'Ucraina è la punta di diamante del "continente selvaggio", cioè l'anima oscura dell'Europa che emerge ogniqualvolta i tedeschi prendono il sopravvento e si pensa puntualmente a fermarli quando è ormai troppo tardi
EliminaLe tute arcobaleno dei tedeschi , mistificazione e dissimulazione, contrapposte alla sobrietà dei 2 ( e dico due) ultimi tedofori russi . Un uomo e una donna simboli dello sport e della tradizione , forza ed eleganza. ;)
RispondiEliminaMa come sei occiciornia! Ma pure sti pori tedeschi nun se so' mai saputi vesti', che ce devono fa'^ In fondo nun so' cattivi, devono solo sta un po' de più a sona' e a legge' poesie...puro co' 'a bira, quanta ne vonno. Ma senza rompe agli artri non appena escono da na birreria...
EliminaBuongiorno, stavo smanettando su internet cercando altri spunti riguardo l'ordoliberismo, ed ho trovato questo:
RispondiElimina"The long shadow of ordoliberalism: Germany’s approach to the euro crisis" di Sebastian Dullien e Ulrike Guérot
http://www.ecfr.eu/page/-/ECFR49_GERMANY_BRIEF_AW.pdf
Lo segnalo non tanto per contenuti "innovativi" rispetto alla discussione che Quarantotto porta avanti (non mi sembra ce ne siano di particolari), quanto per:
- la data di pubblicazione: Febbraio 2012, relativemente "presto"
- l'editore, ossia European Council on Foreign relations (!)
- per alcune affermazioni che mi sembrano comunque "centrate" (per quello che sono in grado di valutare). Ad esempio:
"Economists of this paradigm [ordoliberalism] believe that markets always work smoothly []. They also believe that national economies have the capacity to swiftly adjust to shocks. They focus on the supply side of the economy in order to generate growth. Output and employment are determined mainly by supply factors. If demand falls short of supply, neo-classical economists believe that prices and wages will adjust swiftly so that demand increases again and any excess supply rapidly disappears. If prices and wages sometimes do not react quickly, they would argue that this is due to legal barriers such as collective bargaining or legal minimum wages. The solution is structural reform to make markets more flexible solution is structural reform to make markets more flexible"
"The cut in social security contributions in Germany improved supply-side conditions there, leading to more output and employment. The lack of aggregate demand was not considered a serious potential problem and therefore neither were the changes in the contribution of exports and imports. As a result, the German elite neglected the fallout for the rest of the euro area. According to this mindset, excessive government deficits are the only area in which co-ordination is needed because they can lead to a debt crisis and ultimately to demands for bailouts. In order to prevent this, however, all that is needed is stringent application of the Stability and Growth Pact or the new framework of deficit control that will supersede it. As the German media and politicians constantly say: everyone just needs to do their own “homework” – that is, cut their own deficits"
"A closely related issue is that of external imbalances in the euro area. Since 1999, current account deficits nd current account surpluses in euro countries have increased to record levels. Greece, Portugal and Spain have experienced deficits of 10 percent of GDP and more while Germany has run surpluses of more than 7 percent at times. These imbalances are now seen by many outside Germany as major contributing factors to the euro crisis. The definition of a current account deficit is the variation in a country’s net external asset position. Large current account deficits thus lead to quickly rising external debt. [] However, the German mainstream sees current account imbalances in the eurozone as a consequence of a loss of competitiveness and excessive consumption in the deficit countries and weak investment in Germany. Consequently, German neo-classical economists believe the solution is wage restraint or outright wage cuts in deficit countries."
Un saluto
Diego