sabato 12 gennaio 2013

DAL WSJ "DEAR MR. PRESIDENT": LA RILETTURA DELLA "LITERA AD OBAMAM" NELL'ORIZZONTE48.

Da Flavio, "scienziato sociale" multidisciplinare del web italiano, ormai "di "chiara fama", riceviamo e (più che) volentieri pubblichiamo, questo bellissimo post, di "rilettura" della "lettera di inizio anno" inviata, dalle pagine del Wall Street Journal, dal commentatore P.J. O'Rourke.
O' Rourke non è certo un "democrat" (in tutti i sensi) e non lo nasconde: Flavio ne smonta le premesse "economicistiche", evidenziandone l'ideologia conservatrice e manipolatrice, che tanti effetti negativi e antidemocratici (non in senso partitico), ha portato al popolo USA.
E smonta pure una bella ridda di luoghi comuni tanto popolari in Italia.
La lettura del post serve così a smascherare una strategia disinformativa, paralogica e oligarchica "senza confini". E quindi la confuta nella sua matrice, (più che radicata in Italia e in Europa, fino alla odierne, quasi inarrestabili, "estreme conseguenze").
Questa "controlettera" , in definitiva, di esortazione al "coraggio democratico" di Obama verso una svolta storica nel suo secondo mandato, recupera una dimensione che fa degli USA, in determinati momenti della loro Storia, un "Faro" per la democrazia mondiale.
Fra luci e ombre, anche agli americani ne gioverebbe la lettura (e, tra l'altro, dagli USA arriva il 2° più numeroso gruppo di contatti di questo blog). Per capire che contrastare "l'internazionalismo" della finanza (e dei suoi templi "sovranazionali) è un esercizio di democrazia che giova anche al benessere materiale diffuso nazionale e internazionale...dei popoli. E non ha nulla a che fare con...lo "stalinismo"
E comunque, il post rimpolpa la lettura frattalica di recente "rivitalizzata"...


"Mr. President",

leggendo l’articolo apparso sul Wall Street Journal a firma Mr. O’Rourke, non ho potuto fare a meno di mettere nero su bianco la mia modestissima opinione in merito alle critiche che Le sono state mosse.
Mi creda, so che sicuramente non leggerà ciò che sto per scrivere, ed allo stesso modo mi rendo conto che fare il suo avvocato difensore non è di certo una cosa di mia competenza: avendolo fatto Ella stessa di professione saprebbe svolgere questo ruolo molto meglio di quanto io possa permettermi.
Tuttavia mi lasci abbozzare qualche osservazione, iniziando da una piccola parafrasi delle parole dell’influente giornalista: l’ipocrisia è una parte importante del giornalismo, e il giornalismo è necessario per la politica interna.
Sappiamo bene quanto l’informazione (pilotata) sia vitale per mantenere la “pace sociale”, e gli odierni esempi di piaggeria che i nostri media quotidianamente perpetuano nei confronti dei cosiddetti “macellai” travestiti da “salvatori della patria” offrono un valido esempio del servilismo che, colpevolmente, i mass-media nazionali (ed internazionali) praticano in favore dei cosiddetti “poteri forti”, in totale spregio alle regole democratiche ed al benessere sociale degli stessi cittadini, che sono informati su “tutto” ma non “al meglio” per poter contrastare eventuali politiche perpetrate a loro danno e contro il loro interesse.

Non mi dilungherò molto nelle premesse, anzi, preferirei subito andare al succo del discorso, a quanto il Signor O’Rourke scrive: lasciamo ampiamente perdere le sue idee sulla politica estera. Sappiamo bene che essa, sostanzialmente, è influenzata da motivi strettamente economici... In realtà, non è una novità sostenere che il saudita Bin Laden era un uomo a “stelle e strisce” nella resistenza afghana contro l’invasione sovietica prima di diventare il nemico numero uno degli Usa in seguito al cosiddetto attacco alle Torri Gemelle (cfr. John Perkins, Confessioni di un sicario dell’economia), che la guerra irachena era solo un pretesto per impadronirsi del petrolio e delle acque della “mezzaluna fertile”, così come la guerra contro i Talebani allo stesso modo ha permesso la “conquista” del gas naturale, del petrolio, ed il controllo della produzione di oppio e delle risorse minerarie afghane. Tralasciando le affermazioni su Venezuela, Cuba, Israele, Russia e Nord Corea, vogliamo iniziare parlando della Cina?

Fa come al solito sorridere vedere come la colpa di un qualcosa che viene prima, il debito estero statunitense datato 1982, possa essere causato da un qualcosa che avviene dopo, il surplus cinese esploso dal 1994. Bagnai in ben due articoli smonta punto per punto il luogo comunismo sui cinesi cattivi che “causano” la crisi mondiale in seguito alla svalutazione “nominale” dello Yuan Renminbi, mentre un giornale di sicuro stampo, eufemisticamente parlando, socialista come l’Economist decreta a scanso di equivoci una rivalutazione nominale di circa il 24%, reale invece addirittura del 50%, avvenuta nel periodo fra il 2005 ed il 2010, affossando istantaneamente qualsiasi opinione che vada nell’ottica di un maggior “pugno di ferro” con il cosiddetto “celeste impero”, nuova patria delle svalutazioni competitive che, nella realtà, non esistono. La favoletta degli Usa buoni che combattono in nome dell’Occidente è oramai vecchia, guardiamo quindi a quello che è il vero nocciolo della questione.

Il problema centrale, ed il Signor O’Rourke dovrebbe saperlo, che permette questa asimmetria, questo squilibrio “mondiale”, verte sul fatto di un sistema monetario internazionale che, nella pratica, è fondamentalmente instabile poiché basato su una moneta nazionale, quindi su di uno strumento che nel tempo tende a svalutarsi: il dollaro.
Le conseguenze “economiche” di Bretton Woods si fanno sentire eccome: imponendo nel 1944 al mondo la propria divisa, gli Stati Uniti, al tempo in surplus quale unica potenza con tessuto produttivo intatto dopo la devastazione della guerra, hanno dovuto scegliere se dimensionare l’offerta di dollari alla propria economia – lasciando il resto del mondo a secco, e causando un collasso del commercio – o all’economia mondiale, stampando una tale quantità di dollari tali da:
- comprometterne la convertibilità in oro
- rendere inevitabili periodiche svalutazioni.

A partire dal Nixon shock del 1971 (abolizione convertibilità oro/$), si realizza quanto preconizzato nel 1960 dall’economista belga Robert Triffin con il suo “dilemma”. Diventare la “banca del mondo” ha indubbi vantaggi ma – essendo il dollaro la forma di investimento più liquida presente sul mercato e principale arma di difesa per una nazione da utilizzare in caso di crisi valutaria – questa condizione implica, sia per il paese interessato che per l’intera economia mondiale, delle controindicazioni di non poco conto, come ancora Bagnai sottolinea in “Crisi finanziaria e governo dell’Economia”:
Essere la “banca” del mondo ha dei vantaggi ma obbliga gli Stati Uniti a indebitarsi col mondo. La crisi dei subprime è solo lultima manifestazione di instabilità di un sistema basato su un mezzo di pagamento che intrinsecamente tende a svalutarsi (perché la sua emissione coincide con un deficit delle partite correnti del paese emittente), ma nel quale vengono tuttavia investiti i risparmi del resto del mondo (perché con un commercio mondiale fondato sul dollaro, chi accumula surplus in dollari trova conveniente investirli negli - cioè prestarli agli - Stati Uniti, alimentando così la crescita dei consumi statunitensi e, di riflesso, delle proprie esportazioni)”, attivando il modello kaldoriano di crescita cumulativa enunciata dalle leggi di Thirlwall e Verdoorn per i paesi prestatori ma costringendo gli USA ad una bilancia dei pagamenti in perenne deficit con pesanti ripercussioni economiche sia interne che estere dovute a saldi settoriali statunitensi che dire “sballati” può sembrare un eufemismo.

Un problema di non poco conto che impatta sulla vita del cittadino comune, come lo stesso Anthony Thirlwall nella sua opera “Moneta e credito. Modelli di crescita limitata dalla bilancia dei pagamenti: storia e panoramica” mette bene in luce, decodificandone i rischi sistemici e proponendo la soluzione ottimale a questo scompenso: “Gli squilibri globali nelle bilance dei pagamenti sono un problema per l’economia mondiale. Producono grandi, volatili flussi di capitale speculativo; contribuiscono all’instabilità delle valute e al bisogno per i paesi di detenere grandi riserve di valuta estera, al fine di intervenire nei mercati valutari quando necessario; e producono arbitrarie riallocazioni delle risorse tra paesi in deficit e paesi in surplus, spesso dai paesi più poveri a quelli più ricchi. Oggi per esempio, c’è qualcosa di perverso nel fatto che i cinesi trasferiscano risorse agli americani, dieci volte più ricchi di loro.

Gli squilibri globali…producono un bias deflazionistico sull’intera economia mondiale… L’economia mondiale non sarebbe necessariamente in questa situazione di gravi squilibri globali, se avesse istituito dei meccanismi istituzionali per penalizzare i paesi in surplus (ndr: aspetto di cui l'attuale amministrazione Obama pare iniziare a curarsi seriamente) che sono riluttanti a, o per qualche ragione non sono in grado di, spendere più o ridurre i loro surplus in qualche maniera. L’economia è fatta per le persone, non le persone per l’economia. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) potrebbe dichiarare…che non tollererà i surplus dei propri membri che eccedono una certa percentuale del PIL – ad esempio il 2%, che è un livello di deficit sostenibile per la maggior parte dei paesi…Surplus superiori al 2% del PIL potrebbero condurre per i paesi a delle sanzioni a tassi via via più alti. I ricavi da queste sanzioni potrebbero poi essere girati in forma di aiuto ai paesi più poveri in deficit.

In effetti, Keynes…alla Conferenza di Bretton Woods nel 1944…propose un’International Clearing Union che avrebbe funzionato come una banca centrale mondiale, fornendo la sua moneta internazionale (il bancor) che i paesi avrebbero utilizzato per i pagamenti tra di loro. Ciascun paese avrebbe avuto una quota nell’Unione (come oggi i paesi hanno una quota nel FMI, che ne determina i limiti nel ricevere prestiti). La proposta di Keynes allora era che se un paese aveva un credito (o debito) in eccesso di un quarto della sua quota, avrebbe dovuta pagare una tariffa pari all’1% di questo eccesso, e un altro 1% se il suo credito (o debito) avesse ecceduto un mezzo della sua quota. Keynes scrisse: “questi pagamenti […] potrebbero fornire importanti e notevoli incentivi a tenere un equilibrio nella bilancia dei pagamenti, e potrebbero essere un’indicazione significativa che il sistema guarda in maniera critica sia agli eccessivi surplus di bilancio sia agli eccessivi deficit, ognuno dei quali, in effetti, è inevitabilmente contemporaneo all’altro”.

La proposta di Keynes di un’International Clearing Union fu rigettata dagli americani a Bretton Woods. Keynes scherzava così che la sua proposta di una banca era diventata un Fondo (il FMI), e la sua proposta di un fondo era stata rinominata Banca (la Banca Mondiale). L’altra proposta di Keynes, di una clausola della “valuta scarsa”, che avrebbe dato ai paesi in deficit il diritto di discriminare contro le importazioni di beni da paesi in surplus (che si riteneva sarebbero stati gli USA), fu accettata, ma la clausola non è mai stata utilizzata, perché ben presto gli Stati Uniti divennero un paese debitore. L’idea di una clausola della valuta scarsa potrebbe in effetti essere risuscitata, per essere nuovamente utilizzata contro i paesi in surplus nella maniera prevista all’inizio. Entrambe le idee, di discriminazioni nel commercio contro i paesi in surplus (nonostante le regole del WTO, che non ha mai mostrato interesse nelle conseguenze sulla bilancia dei pagamenti delle liberalizzazioni del commercio) e le sanzioni per i paesi in surplus, sono degne di considerazione per un ordine economico internazionale più stabile e per ridurre il bias deflazionistico nell’economia mondiale che deriva dai vincoli della bilancia dei pagamenti sulla domanda e sulla crescita dei paesi in deficit perpetuo.”

Il primo, vero, fondamentale problema è questo. Il “non sistema monetario internazionale” (cit. Gandolfo, 2002), caro Presidente, caro Mr. O’Rourke, è la prima causa degli squilibri globali, ed una sua soluzione, magari ricalcando le teorie qui sopra esposte sarebbe quanto mai salutare in un’ottica di riequilibrio di lungo periodo per tutte le economie mondiali, e stimolerebbe in qualche modo un’allocazione delle risorse, per una volta, migliore di quella fin’ora sperimentata, perché volente o no, il mondo è e rimane un gioco a somma zero. Ed i surplus di qualcuno sono giocoforza i deficit di qualcun altro.

E questo punto stimola l’ulteriore critica nei confronti di Mr. O’Rourke sulla sua posizione in merito alle politiche di “redistribuzione”: per lui sarebbe meglio detassare e lasciare più soldi a chi deve investire, lasciare produrre di più a chi detiene i fattori produttivi per stimolare l’offerta… un film già visto, dove si persegue lo sviluppo dell’offerta in piena crisi… da domanda, tralasciando che necessariamente la spesa di qualcuno – lo stato o i consumatori, per la gran parte lavoratori – genera il reddito di qualcun altro.
Ebbene, per il Sig. O’Rourke non dovrebbero esserci problemi a tagliare la spesa, né tantomeno a tagliare le agevolazioni o ad innalzare l’età pensionabile dei lavoratori: non crediamo di certo che queste misure sarebbero andate ad intaccare il suo tenore di vita
Peccato che egli non tenga ben presente quanto il moltiplicatore fiscale si avvierebbe ad agire sostanzialmente alla rovescia, andando a compromettere la debole ripresa americana. O forse speravano che ciò fosse accaduto? Sarebbe stato come prendere due piccioni con una fava per i repubblicani: salvare i portafogli dei ricchi e poi andare all’attacco dell’esecutivo democratico colpevole di non aver previsto i contraccolpi negativi dei tagli di spesa sul PIL, erigendosi a veri difensori dell’economia americana (ndr: grande intuizione di "smascheramento", Flavio!). Una rivincita coi fiocchi dopo la debacle alle elezioni presidenziali che, come una nota pubblicità afferma, non avrebbe avuto prezzo.
 
Cifre invece a sei o nove zeri rappresentati dagli incentivi alle imprese, come quantifica il Sole24 ore, ci aiutano facilmente a capire come in realtà quanto prospettato sul WSJ già, di per sé, avvenga.
Vale a dire: 80 miliardi di dollari ed “una rete di 1800 programmi gestiti da enti locali… mettendo a disposizione edifici, regalando servizi, pagando costi di qualificazione della manodopera e cancellando imposte locali” sono una delle “cause” del rimpatrio dall’estero delle aziende americane delocalizzate negli ultimi decenni. come illustra la seguente mappa, attirate da ben 18miliardi di tagli alle tasse sul reddito e 52 miliardi di riduzione delle tasse sulle vendite.
Numeri impressionanti: sgravi fiscali trentennali alla Nike in Oregon, 22milioni a Twitter da San Francisco, 1,77 miliardi da vari stati alla GM, 381 milioni la General Electric, 338 la Boeing, 200 milioni la Caterpillar.

Quindi ciò che Mr. O’Rourke chiede “more pizza parlors baking more pizzas”, perbacco, già esiste!
Ma l’illusione che la detassazione ai “ricchi”, il lasciare loro più risorse a scapito delle agevolazioni al ceto medio basso, sia sanitarie che fiscali, possano dare la spinta necessaria all’economia americana per ripartire in modo deciso, oltre che ingiusta, sembra però contrastare fortemente con i dati: fra il 1980 ed il 1998 le imprese statunitensi hanno autofinanziato l’acquisizione di capitale produttivo ed il risparmio delle famiglie – o quel poco che ne è rimasto visto che il loro debito (passività finanziarie lorde) è nel frattempo costantemente aumentato dal 66% al 135% del loro reddito disponibile nel periodo 1984-2007 (Flow of Funds Accounts of the United States, Federal Reserve, ) – pari a circa 5mila miliardi di dollari: tutto ciò è essenzialmente servito a finanziare fusioni ed acquisizioni, e, attraverso l’acquisto a prezzi maggiorati da parte dei late comers, si è alimentata una bolla finanziaria culminata nella crisi dei mutui subprime nel 2008.
Bene. Capiamo bene quindi che questa non è la corsia preferenziale da imboccare.
Non è l’offerta a dover essere sviluppata, ma la domanda aggregata a dover essere sostenuta. E l’unico modo per stimolare l’economia, visto come oramai i cittadini statunitensi stiano “risparmiando” sui consumi in ottica di rientro dai debiti contratti, è solo ed esclusivamente la redistribuzione dall’alto verso il basso tanto demonizzata da O’Rourke, attraverso un serio programma di copertura sanitaria, agevolazioni, incentivi, acquisto di beni che permettano il sostegno dei cittadini delle fasce medio - basse, stimolino l’occupazione e quindi il reddito, volàno per una ripresa dei consumi.
Prendere dai ricchi per dare ai ceti meno abbienti non è solo un diritto, ma un dovere di un’amministrazione americana che, per troppo tempo, ha perseguito una politica di laissez-faire dannosa e controproducente, sia a livello produttivo che finanziario. Da più parti si invoca, infatti, una  regolamentazione finanziaria globale che per troppo tempo è stata tenuta chiusa in un cassetto a doppia mandata e che ha portato, assieme all’abolizione del Glass Steagall Act,alla finanziarizzazione dell’economia ed alla crisi del paradigma capitalistico occidentale.

Certo, se il mondo girasse nel verso giusto, se non esistesse il dollaro moneta “internazionale”, se le banche giocassero non d’azzardo, se davvero i mercati facessero la “cosa giusta” per noi, ma non per loro (la prassi è fallire in modo convenzionale, piuttosto che riuscire anti convenzionalmente) il capitale canalizzato attraverso gli istituti finanziari avrebbe dovuto seguire le logiche dei cosiddetti rendimenti decrescenti, andare dove più scarso perché meglio remunerato (andando quindi a livello globale dagli Stati Uniti alla Cina e non viceversa) ed esaurire lentamente il suo afflusso una volta che la remunerazione marginale fosse risultata via via più scarsa (al contrario ad esempio dell’imponente liquidità che ha attivato nei PIIGS il ciclo di Frenkel grazie ai capitali core-UEM). Così non è avvenuto.
Lasciare quindi ulteriori risorse in mano a chi già detiene gran parte della ricchezza, pur rappresentando l’1% della popolazione, non è affatto il modo migliore per poter pensare ad una ripresa dell’economia americana che funga da traino alla tanto sospirata “ripresa globale”.
Anzi, ne rappresenta un rischio enorme. Paul Krugman ne fotografa al meglio la caratteristica di lotta di classe “strisciante” che ha caratterizzato le ultime discussioni sul  Fiscal Cliff: “Si consideri…la spinta ad innalzare l'età pensionabile, l'età di ammissione al Medicare, o entrambe. Questo è solamente una cosa ragionevole, ci è stato detto: dopo tutto, l'aspettativa di vita è aumentata, quindi non dovremmo tutti andare in pensione più tardi? In realtà, tuttavia, sarebbe un cambiamento estremamente regressivo delle politiche, quello di imporre grandi oneri sulle spalle degli americani di basso e medio reddito, mentre i ricchi vengono a mala pena toccati. Perché? Prima di tutto, l'aumento della speranza di vita riguarda soprattutto i ricchi; perché i custodi dovrebbero andare in pensione più tardi se gli avvocati vivono più a lungo? In secondo luogo, Social Security e Medicare sono molto più importanti, in rapporto al reddito, per gli americani meno abbienti, e così ritardare la loro erogazione sarebbe un colpo di gran lunga più grave per le famiglie comuni che per l'1 per cento che si trova in cima. Oppure si consideri un esempio più sottile, l'insistenza sul fatto che eventuali aumenti delle entrate dovrebbero provenire più dalla riduzione delle deduzioni invece che da tasse più elevate. La cosa fondamentale da capire è che qui è la matematica a non funzionare; non c'è, infatti, nessun taglio alle detrazioni che possa far aumentare le entrate tanto quanto si può ottenere lasciando scadere i tagli tributari ai ricchi dell'era Bush. Qualsiasi proposta al fine di evitare un aumento delle aliquote, nonostante tutto quello che possano dire i suoi sostenitori, è la proposta di lasciare l'1% fuori del conto e di scaricare il peso, in un modo o in un altro, sulla classe media e i poveri.”.
Chiaro. E’ una lotta di classe al contrario quella che si sta combattendo, così come nell’Eurozona, anche negli Stati Uniti, a vantaggio del capitale. Ed a pagare, come sempre, sono e saranno i lavoratori e le classi meno abbienti se non si agirà ancora in questa  direzione, a protezione dei diritti dei lavoratori e dei cittadini.

E se vogliamo dire fino in fondo la verità, chi fin’ora sul manifatturiero americano non c’ha scommesso una lira (anzi, un dollaro) sono stati gli stessi repubblicani, e la stessa  Wall Street, mettendo davanti ai bisogni dell’industria statunitense e dei suoi lavoratori, le richieste delle grandi corporations finanziarie (Citigroup, G&S, M&S) che da più parti oramai sono viste come “too big to control”. Simon Johnson delinea in tre articoli apparsi su Bloomberg e qui riassunti dal Sole24Ore le complessità di un sistema finanziario oramai andato “fuori controllo”, dove la priorità da perseguire ora è “la separazione delle banche commerciali da quelle di investimento” .
Come infatti affermano Dan Tarullo, membro influente del consiglio dei Governatori del Federal Reserve System (“…abbiamo perso di vista quanto si suppone che il sistema bancario sia tenuto a fare. Le banche giocano un ruolo fondamentale in tutte le moderne economie, ma tale ruolo non consiste nell'assunzione di una quantità enorme di rischi, dove le perdite al ribasso vengono coperte dalla società.”) e Wilbur Ross, uno dei più grandi investitori statunitensi, (“…il vero scopo e la necessità reale che in questo Paese sono alla base del sistema bancario è soprattutto quella di concedere prestiti soprattutto alle piccole imprese e agli individui. Penso che sia la parte più difficile da adempiere…I mercati del capitale sono sufficientemente sofisticati e sufficientemente profondi da permettere che le imprese più grandi abbiano un sacco di modi alternativi per trovare capitali. Le piccole imprese e gli individui privati non hanno davvero la possibilità di accedere ai mercati pubblici. Sono loro quelli che più seriamente hanno bisogno delle banche. Penso che queste abbiano come perso la traccia di tale scopo”).
Ma Wall Street da quest’orecchio non sembra sentirci: il pericolo di un’ulteriore abbuffata di junk bonds, dopo i quantitative easings e gli acquisti di 40 miliardi al mese di Mortgage backed securities, sembra prossima all’orizzonte.
Il lupo perde il pelo ma non il vizio, ma di certo non è possibile continuare a percorrere le strade univoche della socializzazione delle perdite e dell’esplosione del debito privato. Certo, potremmo anche essere d’accordo col Sig. O’Rourke sul fatto che la redistribuzione non è tutto. Ma solo nell’ottica in cui essa sia solo una parte del programma.
La metta al centro della sua agenda, Sig. Presidente, e dia un segnale davvero importante al mondo intero:
- continui con più decisione nella sua politica di sostegno della domanda e dei redditi dei ceti meno abbienti
- crei un tavolo internazionale per trovare una soluzione al gravoso problema del sistema monetario internazionale
- metta mano ad una nuova regolamentazione finanziaria ripristinando innanzitutto il Glass Steagall Act
- dia un impulso al superamento delle  folli logiche del  libero scambio e della libera circolazione di merci e capitali, al contrario di quanto fa l’UEM, ad esempio, con i suicidi accordi con  Corea del SudGiappone.
Ma sappiamo bene come questi auspici rimangano solamente dei buoni propositi. Il cambio della guardia fra Timothy Franz Geithner – grande amico di Mario Draghi dai tempi di  G&S - e Jack Lew potrebbe essere un primo passo verso la realizzazione di questa serie di punti ineludibili nell’agenda che porta alla soluzione dell’attuale crisi delle economie avanzate.

Sarà interessante verificare se nei prossimi mesi questa “rottura” di “amicizie” ai vertici del potentato economico occidentale porterà, assieme alla scadenza del mandato di Mr. Bernanke nel gennaio del 2014, ad un auspicabile cambio di paradigma che ponga l’amministrazione statunitense in condizione di farsi garante di una nuova visione dei rapporti economico sociali fra le nazioni, ad una soluzione degli scompensi globali, ed a una ricomposizione del divario - fra una minoranza sempre più ricca, e sempre più interessata ad implementare il suo status, ed una massa di persone che una volta rappresentava il cosiddetto “ceto medio”, povera e sempre più sfiduciata-, che si sta facendo ogni giorno che passa sempre più drammatico.









20 commenti:

  1. Problemi "tecnici" di metodologie digitali potrebbero aver reso "problematica" la visione dei numerosi links. Per chi avesse la ventura di attivarli, segnali eventuali defaults :-) Proverò (con l'ausilio dell'autore) a ovviare. Denghiu

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  2. CETO "MEDIO", MA IL CITTADINO 'NDO STA?

    "Sarà interessante ... una soluzione degli scompensi globali fra una minoranza sempre più ricca, e sempre più interessata ad implementare il suo status, ed una massa di persone che una volta rappresentava il cosiddetto “ceto medio”, povera e sempre più sfiduciata-, che si sta facendo ogni giorno che passa sempre più drammatico"

    Grazie di tutto!

    http://www.youtube.com/watch?v=FZau30TOKUE&playnext=1&list=PL1C56380C38F2045D

    That's all, folks!

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    1. Ma sai questo è ciò che succede sociologicamente quando si afferma una forma di colonizzazione, "aprendo" all'imperialismo: il bench mark è lo status del crucco medio. Il nostro, mdio, deve necessariamente essere peggiore. E il "limite" è quello della colonia concorrente più "depressa" (infatti la Grecia l'hanno dovuta portare al livello della Romania-Macedonia et bon)

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    2. Ma sai, caro 48, che questi "marciapiedi" sociologici li abbiamo calpestati nel "mezzo del cammin di nostra vita" senza ancor "per cento milia perigli .. giunti a l'occidente" senza "considerate la v(n)ostra semenza".

      That's all, folks!

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  3. Prima o poi gli si manda : direttamente a casa.

    Ti cito :
    «Oggi per esempio, c’è qualcosa di perverso nel fatto che i cinesi trasferiscano risorse agli americani, dieci volte più ricchi di loro.»

    E'un problema. Ma soprattutto (ma ... tutto e il contrario di tutto) per noi occidentali. I cinesi sanno benissimo come stanno le cose.
    Inoltre ne sono consapevoli da più di duemila anni. La citazione che segue proviene da un testo cinese molto noto e diffuso fin dal 300 a.C. : più o meno :-)

    «La Via del cielo toglie il sovrappiù e aggiunge ciò che manca.
    La Via degli uomini non è così : essi tolgono dove c'è mancanza e portano dove c'è sovrappiù»

    Il meglio è, però, che la religione non c'entra per nulla. Il peggio che non c'è verso di fare entrare concetti così evidenti nelle zucche di un numero sufficiente di nostri simili. Bisogna ammettere, tuttavia, che la questione è complessa e la vita breve (e le zucche sono troppo dure : più facile si rompano).
    Le eccezioni sono, a quanto pare, il nostro argomento preferito (ecchè altro si può fare oltre a battere e ribattere sempre sulle poche note ben accordate?).
    I cinesi conoscono i fondamentali dell'economia di JM Keynes da molto tempo prima della sua stessa nascita. Che abbiano la possibilità concreta di applicarla (se non altro all'interno della Cina) è una idea, almeno per quanto mi riguarda, assai piacevole.

    Enjoy irresponsibly!

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    1. Per la precisione: citi "Flavio" non me :-)
      A lui è infatti dovuto questo magnifico post.
      La citazione confuciana (nella sostanza) è condivisibile al 100%. L'unica cosa è che non sono sicuro che applichino in concreto l'economia keynesiana "soltanto": quello che è sicuro è che fanno "programmazione economica" e non lasciano tutto in mano alle banche (che non sono infatti private, per lo più)

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    2. Vero!!! Come scritto da Bagnai, la Cina ha agganciato lo Yuan al dollaro dal '95 al '05 sfruttando il traino statunitense, una volta deciso che potevano correre con le proprie gambe, la classe politica cinese, che sarà pure comunista (più capital che comu, ma qui andremmo su un altro terreno), ma non è stupida nè venduta, ha deciso che poteva bastare. Onde evitare che lo sviluppo interno fosse finanziato con crediti dall'estero (causa della crisi asiatica anni '90), i cinesi (visti i grandi surplus accumulati nonostante l'aggancio al dollaro avesse fatto perdere competitività per gran parte del loro restante mercato) hanno usato i dollari ottenuti come riserva, come investimento diretto in titoli USA o come fonte primaria per lo sviluppo interno. Sicuramente un po' di Keynes in loro c'è, ma la programmazione economica ed il fatto comunque che la Banca Centrale sia al servizio del governo la rendono un paese ancora "povero" ma davvero singolare, questo è il mio parere, in ambito economico.

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  4. Eccellente articolo. L'unica perplessità è sull'auspicio di un “cambio di paradigma che ponga l’amministrazione statunitense in condizione di farsi garante di una nuova visione dei rapporti economico sociali fra le nazioni, ad una soluzione degli scompensi globali...”.

    Non tanto per pregiudizio, quanto piuttosto perché gli Usa, nazione estremamente complessa e profondamente divisa al suo interno su questioni etiche, etniche, religiose, politiche, morali, ecc., non ha mai dato segni tangibili in tal senso. Anzi, appare costantemente impegnata ad acuire i diversi conflitti in atto sul pianeta, nel tentativo – spesso fallimentare – di trarne benefici.
    Ancora al giorno d'oggi i politici Usa, inclusa buona parte dei loro presidenti, sono convinti che gli Usa siano i depositari esclusivi di quel “destino manifesto” di cui parla Stephanson Anders nel libro omonimo. Ovvero la convinzione di essere destinati a una missione redentrice universale, che si è sempre accompagnata a fasi espansionistiche sorrette dal pretesto di salvaguardare i valori di democrazia e libertà, oggi sbrigativamente etichettate come “esportazione della democrazia”.
    Ovviamente le circa 800 basi militari Usa dislocate nel mondo rafforzano tale convinzione, sia in patria che tra i cosiddetti “interlocutori privilegiati” di Washington.

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    1. Caro Keith (a quando un nuovo post:-)?),
      la risposta spetta a Flavio.
      Ma mi pare che sopravvaluti gli aspetti politici "classici" (generali) su quelli macroeconomici brillantemente illustrati da Flavio.

      Il paradigma di riequilibrio riguarda prima di tutto la loro bdb e la loro sostenibilità dell'assetto sociale. Problema che si pose similmente a Roosevelt.
      Il mezzo per questo "loro" obiettivo è ora "esportare" equilibrio, almeno delle partite correnti mondiali (punto che risale alle teorie keynesiano tradite, nello spirito, all'indomani della II WW).
      Invece "esportare democrazia", quando si stanno rendendo conto, finalmente, che la democrazia stessa è in pericolo al loro interno, è uno slogan oggi alquanto abbandonato...per evidente default.

      POi certo, i repubblicani sono una componente "bipolare" del loro quadro politico: l'unica differenza col nazismo (in senso ampio di mistici reazionari-capitalisti) sta, per alcuni di loro, che non sarebbero disposti a "fare in prima persona" le stesse cose. Ma finanziare nazisti e fascisti (su questo prove schiaccianti sono emerse), sono disposti a farlo.

      E'vero anche che i democrat avranno sempre difficoltà a fare quelli che portano la missione nel mondo su un piano "socialdemocratico" (come si diceva una volta, correttamente), ma questo perchè la finanza ha capito molto bene come si controllano media e accademia...
      Solo che oltre un certo livello l'anima "labor" e sinceramente democratica di gran parte del popolo USA non può essere repressa...Ci auguriamo per il bene di tutto il pianeta

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    2. Caro Kthrcds, solo una piccola chiosa al bel commento di 48. Gli Stati Uniti giocano un ruolo di potenza perchè il loro PIL, da solo, vale il 21-23% di totale mondiale. Tuttavia, il loro debito estero è enorme, ed i saldi settoriali ci dicono che non è possibile espanderlo all'infinito...io la penso così...il dubbio che il mio auspicio rimanga appunto un wishful thinking è grande anche in me, ma la teoria dei saldi mi da un pochino di speranza...

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    3. Ultima considerazione, quanto sta mettendo in pratica Wal Mart va proprio nella direzione di voler dare una chance in più di occupazione via:
      - assunzione (qui però bisognerebbe vedere con che contratti) dei veterani onde evitare di ingrossare le file dei disoccupati o sussidiati
      - l'intenzione di voler acquistare solo prodotti Made in Usa (ipotesi comunque da verificare).
      Vedremo se Lew, già uomo di Clinton come il suo predecessore, saprà dare, assieme ad Obama, la scossa decisiva. Vedremo! Io ci spero dai ;)

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  5. Ciao Flavio.
    Il tuo punto di vista, così come quello di quarantotto, è corretto sul piano tecnico.
    Ma il problema è che la politica estera di Washington è da sempre imperniata sul concetto che l'american way of life “non è negoziabile”. Le basi militari sparse sul pianeta servono a ricordarlo al resto del mondo, il PNAC illustra le modalità per mantenerlo operativo, e Kissinger fornisce suggerimenti e consigli che “tutti” i presidenti non mancano di prendere in considerazione.
    Solo negli ultimi 12 anni Washington ha aggredito direttamente Serbia, Afganistan e Iraq, e indirettamente Libia e Siria, indipendentemente dal fatto che alla Casa bianca ci fosse un repubblicano o un democratico. “Giusto o sbagliato, è sempre il mio paese!”, così la maggior parte degli americani saluta ogni aggressione perpetrata dal Pentagono.

    Proprio in questi giorni gli Usa stanno “aiutando” i francesi in Mali fornendogli assistenza logistica, copertura satellitare e droni. Il cliché è quello classico: si mette un'etichetta, in questo caso al Qaeda, al paese da aggredire e il gioco è fatto. Da quel momento in poi tutto il mondo appoggerà l'ennesima “Guerra al Terrore” per la salvaguardia della “democrazia e della libertà”. Un portavoce Nato pronuncia la formula di rito: “Accogliamo con favore gli sforzi della comunità internazionale a sostegno dell'attuazione della risoluzione 2085 delle Nazioni Unite”; alcune nazioni, in questo caso Canada, UK, Belgio, Germania e Danimarca, si dichiarano disposte a sostenere l'offensiva francese nel paese africano, e si inizia a massacrare all'ingrosso un numero sufficiente di persone - sommariamente catalogate come jihadisti, fondamentalisti islamici, ecc. -, tale da far capire quale direzione prenderà il corso degli eventi. Successivamente si installano le nuove basi militari, e si dà inizio allo sfruttamento intensivo delle risorse del paese in oggetto.

    Come funziona il meccanismo lo spiega Emmanuel Todd, nel suo “Dopo l’impero” (2002), descrivendo il «militarismo teatrale che comprende tre elementi essenziali:
    1) mai risolvere definitivamente un problema, per giustificare l'azione militare indefinita su scala planetaria dell'unica superpotenza;
    2) fissarsi su micropotenze - Iraq, Iran, Corea del Nord, Cuba ecc. Il solo modo per restare politicamente al cuore del mondo è di affrontare attori minori, esaltando la potenza americana, allo scopo di impedire, o almeno di ritardare la presa di coscienza delle potenze maggiori chiamate a condividere con gli Stati Uniti il controllo del pianeta: Europa, Giappone e Russia a medio termine, Cina più a lungo termine;
    3) sviluppare nuove armi che dovrebbero collocare gli Stati Uniti in vantaggio in una corsa agli armamenti che non deve mai finire».

    Gli Usa sono uno strano paese. In questi giorni c'è un acceso dibattito sull'opportunità o meno di vietare la vendita di “armi d'assalto”. Secondo il buon senso è ovvio che dev'essere vietata la vendita di armi d'assalto alla popolazione. Ma per una grande massa di americani, invece, no.
    Mentre il dibattito si sviluppa, quasi ogni giorno, in una località qualsiasi d'America, un uomo accoppa a fucilate due/tre persone senza un vero perché, e ogni anno o due qualcun altro commette una strage che i media commentano il giorno dopo con la solita frase di circostanza: “l'America si interroga”.
    E siccome non viene a capo di nulla, tutto continua come prima.

    Lo stesso accade con le “guerre umanitarie”, il cui costo si fa sempre più insostenibile, e dà origine agli effetti collaterali illustrati da Chalmers Johnson nella “Trilogia blowback”: aumento di atti terroristici contro gli Usa, deterioramento della democrazia in patria e, appunto, il progressivo affossamento dell'economia che loro, però, scaricano sul resto del pianeta.
    Anche a costo di dargli fuoco, al pianeta.

    L'ultima volta che ho creduto che gli Usa volessero cambiare fu nel 92 con l'elezione di Clinton.
    Poi ho scoperto che non possono cambiare.

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    1. caro Keith,
      sottovaluti l'impatto politico de...l'aspetto che chiami tecnico, istituendo una presunta separazione tra le 2 cose e attribuendo una fissità immodificabile alle politiche USA.
      Eppure, senmplicemtente non è così. Credere in Clinton, è come credere, nello stesso periodo, a...maastricht.
      Considera solo che Obama, nella disinformazione generale e nella "interessata incapacità di analisi italiana, è impegnato, di fatto, proprio a disfare il clintonismo. Glass-Steagall Act e riequilibrio globale delle partite correnti, facendo uscire gli USA da logiche meramente finanziarie per riprendere la dimensione industriale che li ha resi veramente "forti", (molto più dlle costose guerre al terrorismo), è proprio la via per uscire dal trinomio "dollaro\valuta "mondiale"-bdp in deficit-garanzia militare" con un'economia dominata da Wall street.
      Sarà un new "new deal"? Chi lo sa, ma se non lo sarà neppure per noi ci sarà un futuro. La Cina non è un nuovo "padrone" che augurerei agli europei che lo invocano irresponsabilmente, pur paventandolo a parole. e mica perchè la Cina è "cattiva": semplicemente perchè la Cina non possiede un diritto civile e dei contratti assimilabile alla tradizione romano-coomn law (tutto parte dal diritto romano). Senza diritto civile...non ci sono diritti civili. Ovvio che la germania coltiva irresponsabilmente questo crinale di rischio, scaricandolo sugli altri europei.
      Ogni imperialismo consiste nella creazione della "propria" area di mercato "esclusivo". Solo che bisogna garantirla nell'interesse dei cittadini dell'impero, e i tedeschi non saranno mai abbastanza per imporre al resto degli europei lo status di "cives minus quam perfecgti", coloniali.
      E gli USA non hanno più interesse a che ciò accada (per quanto detto sopra).
      Non bisogna attenersi alla versione consolidata delle analisi sugli USA in un momento di così grande tensione e trasformazione...Alla fine, sono pragmatici e noi, Italia, siamo dalla stessa loro parte. Inevitabilmente, per una logica veramente elementare.
      Speriamo solo che le nuove idee e "forze" che si affacciano sul palcoscenico della Storia, prendano vitalità

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    2. In merito alla Germania vorrei solo sottolineare come il nazionalismo tedesco abbia come punto di riferimento Arminio, comandante romano-barbaro che tradì i romani conducendoli alla trappola della foresta di Teutoburgo (ed impedendo così la completa romanizzazione dei Germani, con conseguenze non ovvie), da lui stesso preparata, e venne ucciso a quanto pare anni dopo dal suo stesso popolo. Questo solo per dire che i tedeschi, purtroppo, dalla loro storia non hanno imparato nulla. Anzi ad Arminio hanno eretto pure una statua, l'Hermannsdenkmal per onorarne le gesta nei luoghi della battaglia.
      In merito al Mali, ricordiamoci che lì la guerra si è scatenata per motivi che Bagnai ci aveva illustrato ad aprile dello scorso anno.
      Infine, come dice 48, anche per me i motivi sono tutti economici. Perchè gli USA conquistano tutti paesi che hanno a che fare con petrolio e gas, e fra poco ne diventerà primo produttore come afferma il Sole24Ore? Il motivo è economico, e Obama & Co., come nell'esempio Wal Mart, stanno mettendo in campo una strategia opposta rispetto a quanto fin'ora fatto. Non si può dipendere dall'estero, come ci insegna Bagnai, perchè così facendo si impoverisce il ceto medio, i consumi, il tessuto produttivo nazionale. E la butto là: le industrie degli armamenti c'hanno si guadagnato dalle guerre, e sempre lo faranno alla pari di quelle estrattivo-energetiche, ma non possono andare contro l'indebitamento privato abnorme dei loro concittadini a mio parere. Il cambio di paradigma potrebbe essere foriero di buone novelle anche per noi, paese debitore come gli Usa ma unico caso di nazione che lecca i piedi ai suoi creditori (Germania). Tuttavia non possiamo conoscere il futuro. Possiamo solo sperare…

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    3. Senza contare, fra gli interessi USA, che l'euro è in sè una barriera valutaria all'importazione, e quindi alla "esportazione" USA dell'industria delle armi, export che è anche il più veloce per riequilibrare la loro bdp (in attesa di accumulare risparmio-investimenti per il rilancio della loro domanda interna) :-)

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    4. Infatti!! Con un euro così forte (dovuto sia a saldo partite correnti UEM positivo, che da "rinnovata" fiducia investitori in moneta unica, che svalutazione $) loro hanno un stimolo all'esportazione di non poco conto, mentre noi ci dobbiamo accontentare di "andare in vacanza a New York" (che bello il cambio forte, peccato che fra un po' grazie ad esso non avrò nemmeno i soldi per mangiare, a meno che non mi piaccia il petrolio). Che poi non so se hai visto le reazioni al rapporto ISTAT delle 10:00 di oggi sulla bilancia commerciale italiana fatte da Monti, Passera, ecc. ...tutto uno stillicidio di "merito nostro", "con l'export cresceremo", "non avevamo un premier prima e per questo non vendevamo" (vero, Berlusconi non gliene fregava un cavolo di noi, ma questo è un altro tema). Puah!!! Mi fanno ribrezzo. Bello vantarsi d'aver ammazzato i consumi via taglio redditi, e quindi l'import... Ma loro sono collaborazionisti, quindi dovevamo e dobbiamo aspettarcelo. Oh, in merito alla domanda interna USA...con i bassi salari che si ritrovano, ci possono puntare ad una ripresa dei consumi se rilocalizzano le industrie...tutto sta a vedere se si continua così...

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    5. Ho inverito esportazione con "importazione" ma il senso si è capito... :-)
      Quanto alla bdp italiana, a saperla leggere ci sarebbe poco da vantarsi: l'esport da forsennata svalutazione salariale (notare che il lavoro pubblico è calato retributivamente addirittura in termini nominali) e sottoccupazione, partita corrente "merci" è aumentato di un punto di PIL, ma grazie anche (oltre che al rapporto col calo massiccio dei consumi) ai nuovi criteri di conteggio messi a punto da Giovannini alla fine dello scorso anno! In compenso, il deficit per "trasferimenti" è aumentato. Chissà com'è? E dopo il saccheggio del sistema produttivo assumerà un nuovo significato pure la voc "redditi", il cui deficit è già iniziato ad aumentare...Certo si può pure pareggiare la bdp-cc, ma una bella fiammata e nulla più, perchè lo smantellamento produttivo, in mancanza di risparmio e investimenti (privati, quelli pubblici lo sappiamo che fine abbiano fatto; v. lettera a Bersani), nel medio periodo ci porterà nell'abisso, E considera che quando ci saremo dentro, lo racconteranno come una crisi da eccessiva spesa pubblica e...giù, assottigliamo lo Stato, privatizzando sanità e pensioni, a favore di finanza NON italiana. Solo che: chi gli chiederà mai di rendere conto?

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    6. Oh poi è vero che a b. non je ne frega nulla di noi: ma a sentire ieri fuggevolmente Fini vs Tremonti, era tutto un rinfacciarsi mancate coperture e mancato sufficiente rigore...E certo non hanno alcuna idea di come con l'euro si siano imbarcati in questa meravigliosa rivalutazione dei tassi di cambio reale....

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    7. Infatti...faremo la fine dell'Irlanda...grande esportatore di merci e di...ricchezza...che da noi andrà all'estero...bella anche l'analisi della composizione del nostro export...quel -30 di importazione autoveicoli pesa alla Germania...notevole in un anno anche il calo dei prezzi alla produzione . Cliccando su prezzi alla produzione si nota lo scarto molto accentuato..così come la disoccupazione...

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    8. Ho letto solo ora il tuo messaggio su Fini - Tremonti. Per me son due poveracci, Fini ancora di più. Comunque ti segnalo l'articolo di oggi su Voci dall’Estero...che diranno i sostenitori del P.U.D.E. (Partito Unico dell'Euro)? ;) La corrrrruzzzzzzione! Eeeeer debbbbbbitto! Certo. E' colpa dei politici se il nostro REER si rivaluta. Come no!

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