ANTEFATTO- vi chiederete: "cosa c'entra il titolo col contenuto del post?". Ebbene: cosa c'entra con l'occupazione e la tutela del lavoro la posizione assunta dalla pratica totalità delle forze rappresentate in parlamento?
Dobbiamo prendere atto che una gigantesca anestesia dell'opinione pubblica si è verificata. E sulla questione più importante che riguarda la vita economica e sociale del paese: il lavoro e l'occupazione (artt.1 4 della Costituzione).
Per una consistente parte dell'elettorato (comunque decisiva per la formazione delle maggioranza di governo), a quanto pare, una forza politica per essere "dalla parte del lavoro", è sufficiente che dichiari:
a) di essere "contro" la disoccupazione e la precarizzazione (avendo introdotto, e proponendo, contemporaneamente, norme che la precarizzazione la creano e misure strutturali che la disoccupazione la implicano come effetto indispensabile per la loro riuscita);
b) di sentirsi indignata e addolorata delle "morti bianche", cioè dei caduti sul lavoro (avendo invece perseguito politiche di spesa che hanno ampiamente depotenziato gli Ispettorati del lavoro).
Insomma, basta far passare il messaggio che la disoccupazione è una questione che si risolve dichiarando a voce stentorea che "bisogna fare assunzioni", addossando così l'onere alle imprese, che sarebbero "cattive" perchè non seguono prontamente l'invito.
Magari, arrivando a dire che bisogna introdurre il "salario minimo", come se fosse un rimedio a tutela del livello di occupazione e salariale. Laddove, invece, il sistema di copertura suggerito, nel suo complesso attentamente considerato, conferma che si finirebbe alla mercè dell'austerity fiscale con la possibile rifissazione continua verso il "basso" della soglia di povertà e la disoccupazione strutturata agli alti livelli conformi alle mire "deflattive", e la contropartita, sicura, della perdita di molta parte dell'attuale sistema previdenziale per le fasce meno abbienti.
Mentre, non si dice MAI, che è la recessione (intenzionalmente provocata) che crea disoccupazione, e che nel 2010, l'Italia era in crescita (PIL +1,8%, dato "consolidato" Istat), uscita abbastanza celermente dalla crisi degli anni 2008-2009, pur con tutti i suoi problemi di mancanza di domanda estera - cioè di bilancia dei pagamenti strutturalmente in deficit; cioè, sostanzialmente, a partire dall'introduzione dell'euro, a causa dell'adozione di tale moneta-, e che dunque la recessione a partire dalla fine del 2011, è esclusivamente dovuta alle misure di austerità fiscale dettate dall'UE nella famosa "lettera Draghi".
Non si dice MAI che la linea di politica economico-fiscale così seguita risponde alla precisa teoria che la "competitività", in un'area valutaria unica, al fine di correggere lo squilibrio commerciale tra gli Stati interessati - che non provocava, sicuramente per l'Italia la recessione, ma l'ansia dei paesi in attivo commerciale di non rientrare dei propri crediti-, si corregge mediante la svalutazione salariale. Che implica, come suo presupposto imprescindibile, un aumento della disoccupazione (e rammentiamo le "leggi" di Okun e di Phillips). Che può essere appunto più celermente ottenuta attraverso la compressione della domanda interna in via fiscale (aumento della pressione tributaria e tagli alla spesa pubblica).
Le Istituzioni riflettono la società o esse "conformano" la società e ne inducono la struttura? In democrazia, la risposta dovrebbe essere la prima. Ma c’è sempre l'ombra della seconda...il "potere" tende a perpetuarsi, forzando le regole che, nello Stato "democratico di diritto" ne disciplinano la legittimazione. Ultimamente, poi, la seconda si profila piuttosto...ingombrante, nella sintesi "lo vuole l'Europa". Ma non solo. Per capire il fenomeno, useremo la analisi economica del diritto.
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Commento inserito per agevolare il recupero del post nel linkarlo (ma l'interrogativo non era poi così trascurabile, tanto che Ecodallarete -soltanto- lo aveva ripreso) :-)
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