venerdì 3 ottobre 2014

LA RESA


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1- PREMESSA.
Tutto questo blog ha cercato di mostrarvi come l'attacco finale alle Costituzioni democratiche sia in corso e quali siano le cause e gli effetti di ciò.
Ora ci troviamo in una certa, difficile, situazione. Mi piace riassumerla nei termini prescelti da Lorenzo Carnimeo: sulle "obiezioni" a taluni passaggi della seconda parte della sua analisi, rinvio ai commenti del precedente post. Quanto la "traiettoria" (degenerativa) della sinistra sia stata autonoma e frutto di spinte endogene (probabilmente genetiche), ovvero di contaminazione esogena, è un tema appassionante, su cui forse indagheranno, col dovuto dettaglio, gli storici una volta che l'attuale €-polverone si sarà posato. A ben pensarci credo che le due spiegazioni non si escludano: la prima induce la seconda, costituendone un fertile presupposto (tant'è che Lorenzo, poco dopo che ho scritto queste righe, l'ha lealmente precisato in questi termini).
E naturalmente, la sintesi tra le due spiegazioni ci rende utile "integrare" ciò che sostiene Lorenzo con antecedenti che risalgono a ben prima del "crollo del muro di Berlino". Cose qui abbondantemente trattate (da Kalergy a von Hayek, da Ventotene a Lordon, dal rapporto Werner al "divorzio" ed alla dottrina delle banche centrali indipendenti ecc.).
Rimane che la descrizione di Lorenzo è chiara e corretta nelle sue linee generali, che poi sono quelle che attestano una certa elaborazione del discorso comune nato da questo blog e misurano gran parte di ciò che sfugge all'opinione pubblica; anzi "di massa".

"Provo ad abbozzare una mia (sommaria) interpretazione del problema.
In Italia, a partire dal famoso "dibattito" parlamentare del 1978, è stata probabilmente fatta una scelta: buttare alle ortiche i saggi avvertimenti di Spaventa (finiremo in un'area di bassa pressione e di deflazione), per intraprendere un percorso di reazione liberista verso i cedimenti concessi alle classi subalterne in quel decennio.
A differenza della leadership inglese, che cercò di coniugare questo percorso liberista rimanendo dell'alveo della democrazia sostanziale, ossia non infrangendo il principio (teorico) della reversibilità di qualsiasi scelta politica (rileva al riguardo la lettera con la quale la Tatcher rispose a V.Hayek), la classe dirigente italiana (all'epoca destra DC) optò per il cosiddetto "vincolo esterno": vale a dire far assurgere quegli stessi indirizzi liberisti a base tecnicamente e politicamente vincolante per qualsiasi scelta politica (con conseguente, automatica, "neutralizzazione" di qualsiasi politica a sfondo sociale). La duplice direttrice di attuazione consisté (e consiste tutt'ora), nel conferire piena attendibilità alle sole teorie neoclassiche (base vincolante tecnica), e nell'elevare qualsiasi limitazione alla sovranità, anche e soprattutto economica, a principio superiore da accettare a prescindere, pena essere contrari a quella "pax europea" che pretendeva di riscattare il continente dal sangue versato negli ultimi secoli a causa dei ciechi "particolarismi" dei suoi Stati sovrani, culminati nel massacro del secondo conflitto mondiale (base vincolante politica).
A dir la verità, la "sinistra" all'epoca era anche critica (vedi Napolitano, sempre nel 1978), laddove invece i liberisti annidati nella DC (i vari Andreatta, Prodi & C.) sapevano bene a che gioco si giocava e dove si voleva arrivare.
Personalmente credo che l'europeismo "tout court" sia diventato il "salvagente" politico dei sinistroidi solo dopo la caduta del muro di Berlino. Un salvagente nel quale, peraltro, far confluire pezzi incoerenti della passata ideologia (fiducia nel dogma della futura scontata "implosione" del capitalismo, diritti cosmetici, tutela "a prescindere" del diverso, odio ideologico contro la piccola borghesia, considerata più dannosa del padronato, smodata affezione per quello che potremmo definire "metodo sovietico", che sacrifica i particolarismi dei pochi "cattivi" al grande ideale -ma quale?- generale). 
Insomma, la sensazione è che, come ci fu, dopo le elezioni del 1948, un forte investimento politico nell'esperimento del socialismo reale, dopo il 1989 c'è stato analogo investimento politico "alla cieca" nel dogma europeista. La cosa curiosa è che l'Europa stessa, nel perseguire la sua trasformazione in chiave liberista, sembra aver puntato molto sui diritti cosmetici, per potersi presentare come socialmente accettabile, favorendo questo connubio ed invogliando ancora di più i sinistroidi ad investire politicamente su di lei.

Vuoi perché la destra faceva il suo lavoro di destra, vuoi perché la sinistra spaesata dal crollo del muro ha preferito buttare i diritti sociali alle ortiche in favore di quanto sopra, ritenendolo politicamente più conveniente, vuoi perché il "ce lo chiede l'europa" era comodo anche ad una classe politica sempre più restia ad assumersi responsabilità e volta a (soprav)vivere di solo consenso, a partire da Maastricht, tutto ciò che avesse sopra l'etichetta di "europeo" è stato supinamente recepito nell'ordinamento senza alcuna riflessione critica, nè formale nè sostanziale. 
Il tutto condito da una crescente campagna mediatica che incitava all'auto-razzismo, e all'individuazione del vincolo economico europeo come vincolo morale per purificare eticamente noi italiani "Mafia Spaghetti e Baffi neri".....
Il risultato non poteva quello che è stato. Abbiamo dato retta a Monti, abbiamo "fatto come Menem". E con i medesimi effetti: corruzione e bancarotta, ossia ciò di cui il liberismo di rapina vive e respira da quando è nato
La sinistra si è fatta progressivamente "inquinare" dalla camaleontica ma sempre presente (e governante!), "destra DC", che nel 2011 ha abbandonato il bozzolo esausto (e politicamente indifendibile) di Forza italia per confluire in quello politicamente corretto del PD, con lo stesso obiettivo che aveva nel 1978: reazione. Soltanto che adesso la corda è stata tirata forse troppo.
Certo non siamo adeguati ad affrontare la sfida politica che si sta profilando in europa. Rischiamo di essere i soliti "alleati di uno e cobelligeranti dell'altro", o forse nemmeno quello, dimentichi che questa politica del va dove ti porta il vento non ha mai pagato. Ma se non hai un'idea politica "vera" da proporre al tuo popolo, come puoi adottare un coerente indirizzo estero? Non puoi
."



2- LA RESA
Avete mai provato ad immaginare cosa accadrebbe se ESSI vincessero definitivamente la partita e fossero in grado di realizzare compiutamente e con immediatezza la società che sembrano concepire (ben pochi di ESSI sono in grado di formulare modelli generali compiuti, perchè ESSI hanno prevalentemente una sub-cultura empirica, e non sistematica, che richiederebbe eccessivo sforzo di studio)?

Se si disponesse di una certa abilità di previsione, forse, si potrebbe persino arrivare a trattare una resa, dato che, piuttosto che lasciar proseguire l'andamento distruttivo ed ipocrita attuale, la "resa" potrebbe essere l'occasione, un po' paradossale certo, per negoziare e concordare un danno più limitato (di quello che l'attuale classe dirigente mista, politica e tecno-finanziaria, è attualmente capace di produrre).

Partiamo da un presupposto che potremmo definire di Kalecky-von Hayek. Il primo attribuisce al liberismo come dottrina economica (non a caso ammantata da pretesa scientificità oggettiva) un obiettivo essenzialmente politico: quello del controllo delle istituzioni di governo per definire l'indirizzo generale in modo da stabilizzare la potestà decisionale esclusiva della oligarchia capitalistico-finanziaria. Il secondo ritiene ideale una società (ri)gerarchizzata, in base alla "naturale" predominanza dei "proprietari-operatori economici", gli unici dotati di sufficiente "razionalità" per risultare utili alla società umana, essendo più facilmente ancorabili a "tradizioni", ritenute sane e funzionali alla efficiente allocazione delle risorse.

Questa ri-gerarchizzazione istituzionalizzata darebbe ovviamente luogo ad una nuova Costituzione: di fatto o di diritto (la distinzione, dato lo stato pietoso in cui versa la stessa sovranità costituzionale intesa come tutela dei diritti fondamentali "sociali", appare ormai oziosa). Ma almeno avrebbe il pregio della chiarezza: cioè sarebbe definito un quadro non ambiguo ed ipocrita di nuovi valori dotati di effettività e finalmente conformi alla (neo)legalità.

Attualmente la fissazione di questa effettività sui neo-valori è affidata alla costruzione €uropea, che, attraverso la sua elaborazione teorica, continuamente compiuta all'oscuro dei nostri procedimenti di legittimazione democratica, fornisce il quadro concettuale e para-razionale che partorisce le politiche europee.
L'enorme vantaggio (sempre paradossale: stiamo parlando di un'ipotesi di "resa" ragionata) di questa esplicitazione "costituzionalizzata" sarebbe quello di rispostare in sede nazionale la responsabilità sulla enunciazione e l'attuazione dei neo-valori. Che, chiariamo subito, "neo" non sono affatto, come pare sfuggire ai "nuovisti" dell'attuale classe politica che, impegnata oggi a governare, contrabbanda il superamento della democrazia sostanziale come equazione nuovo= "de sinistra", operando invece un'ipocrita restaurazione di tipo reazionario (rispetto ai valori in cui affermano di identificarsi ma che, tra l'altro, non paiono neppure conoscere ad un livello storico-economico minimamente decente).

Diciamo che, affidata alle persone titolari effettive degli interessi perseguiti, la restaurazione avrebbe il pregio della trasparenza, che è certamente termine abusato, e strumento ordoliberista, allorchè applicato astutamente alla liquidazione dell'interesse generale gestito da strutture pubbliche, ma che, una volta ceduta la titolarità del potere istituzionale di governo agli stakeholders effettivi, fa venir meno la stucchevole ipocrisia degli intermediari politici, - e mediatici-, che devono continuamente rinnovare la impossibile conciliazione tra le contraffazioni verbali vendute sul mercato elettorale e la sostanza della loro azione.

Insomma, la "resa" con la devoluzione formale e costituzionalizzata del potere istituzionale di governo alla oligarchia, avrebbe almeno questi pregi immediati (di cui potremmo poi immaginare le ulteriori ricadute):
a) ricondurre le comunità nazionali al ruolo di centro di riferimento, (inevitabilmente "attenzionato" ma in modo inequivoco), delle politiche e degli obiettivi che si vogliono perseguire (per quanto programmaticamente questi siano "degradanti" della stessa comunità), abbandonando la truffa del perseguimento simulato della "pace" per il tramite delle organizzazioni sovranazionali; ciò depotenzierebbe la stessa necessità strumentale, (tra l'altro sempre più insostenibile nei fatti), di enunciare la superiorità etica del "vincolo esterno", con una chiara riaffermazione dei rapporti di forza che esso sottointende;
b) reintrodurre come conseguenza di ciò - in particolare della investitura diretta delle oligarchie (non necessariamente elettorale o quantomeno "idraulica", data la forza persuasiva del tecnicismo pop) in base alla negoziazione della "resa"- la visibilità e la accountability delle politiche perseguite. Infatti, laddove queste si rivelassero frutto di visioni sballate - e in effetti sono tanto sballate!- esporrebbero con immediatezza i nuovi governanti, e senza intermediari dediti alla sopravvivenza personale e dei propri vantaggi (cioè la famosa"casta di 2° livello e relativi costi, correttamente assunti come compenso agli intermediari da parte dell'oligarchia stessa), al rischio della "non effettività", cioè dello scollamento tra investitura e conformazione dei "sudditi" alle regole da essi imposte;
c) come ulteriore conseguenza, praticamente inevitabile, oligarchie oggi incuranti del benessere minimo delle comunità dei governati, - venuta meno la necessità del metodo, tipico del controllo indiretto esercitato mediante una classe politica intermediaria, della shock economy e della "colpevolizzazione"-, dovrebbero rendere "in qualche modo" conto della efficacia rispetto agli obiettivi enunciati e della efficienza rispetto alle capacità di gestione di cui si sarebbero investiti. 
Le loro decisioni dovrebbero comunque garantire almeno la sopravvivenza (fisica) del sub-strato sociale, anche nello schema hayekiano più puro. In alternativa, almeno, dovrebbero fronteggiare l'onere di un notevole apparato poliziesco, per reprimere lo scontento da disperazione, nonchè gli enormi "costi di transazione" che si incontrano nel mantenere tale apparato e nell'assicurarsi la fedeltà dei "repressori" (che, altrimenti, assumerebbero il pericoloso peso dei pretoriani nelle lotte politiche dell'Impero Romano).

L'insieme di questi corollari, che ci illustrano una serie di trade-off e costi/benefici tra degenerazione del modello attuale e devoluzione immediata del potere agli esponenti della Grande Società, porrebbe poi un'ulteriore e fondamentale esigenza, piuttosto vantaggiosa per i governati: quella della selezione concreta della classe dirigente all'intero della oligarchia, al fine di designare i titolari delle cariche (in fondo, brevemente, rammentiano che in una società a maggioranza di schiavi come l'antica Atene, ciò portò a formule istituzionali tutt'ora additate come ideali...purchè si dimentichi la composizione del sub-strato sociale).

Per meglio comprendere quest'ultimo aspetto basti ricordare quanto detto sulla vera "casta", e sulla sua attuale composizione, per così dire, "sociologica", frutto com'è della burocratizzazione, evidenziata sia dalla teoria Schumpeteriana che dai neo-istituzionalisti (tutti pensatori comunque impegnati, in un modo o nell'altro, alla rilegittimazione dell'economia neo-classica), dei centri di potere economico dominanti.
In qualche modo si arriverebbe al dover fissare criteri di selezione al loro stesso interno: e poichè i conflitti di interesse, cioè l'alternanza dei vantaggi personali derivanti dal "piegare" politiche formalmente pubbliche e cioè nell'interesse generale,  emergono maggiormente quando non siano perseguiti collettivamente per via di intermediari (come insegna la parabola di B.), all'interno della vera casta oligarchica si attiverebbero inevitabili meccanismi di controllo reciproco.
E questi sarebbero risolvibili solo se i governanti fossero effettivamente collocati in posizione di "arbitro" e non di parte in causa: certo la partita la giocherebbero solo ESSI, ma si tratta pur sempre di una competizione tra interessi che non possono essere costantemente convergenti (persino i "cartelli" tra oligopoli perderebbero in gran parte la propria ragion d'essere e, talora, si ripristinerebbe una concorrenza mortale, proprio allorchè fosse data per scontata l'acquisizione della supremazia dell'elite oligarchica. La storia dell'Europa feudale ci fornisce un esempio eloquente, senza bisogno di particolari dimostrazioni).

Ed allora, (sempre ribadendo che siamo all'interno di un paradosso) è probabile che si arriverebbe, in assenza di interferenze con queste dinamiche, a una sorta di Repubblica di Platone: si dovrebbe (almeno) proclamare la facciata della Città ideale ed individuare i "Guardiani" (rammentiamo: "guide perfette ed impeccabili che - ed è questo il punto che sconvolse, secoli più tardi, i borghesi saliti al potere nell'ubriacatura liberista di matrice teorico-filosofica anglosassone- dovevano condurre una vita di ascetica rinuncia.
A tali guardiani, ma solo ad essi, badate bene!, era preclusa la proprietà individuale ed ogni forma di arricchimento, potendo possedere solo ciò che fosse strettamente necessario per soddisfare i bisogni essenziali.
Ne "La Repubblica"(417 a-b, Laterza, pag 138), Platone giustifica così tale assetto: "Quando però s'acquisteranno personalmente la terra, case e monete, invece di essere guardiani, saranno amministratori e agricoltori; e diventeranno padroni odiosi anzichè alleati degli altri cittadini".)
Insomma, gli spunti di divertimento, per il popolo reso mero "spettatore", non mancherebbero. Certo neppure la miseria e l'umiliazione, l'alta disoccupazione necessitata e la repressione poliziesca.
Tuttavia, come suggerisce l'ipotesi paradossale qui avanzata, anche questi inconvenienti potrebbero essere mitigati se si cercasse una trattativa preventiva e si arrivasse alla "resa" negoziando finchè si ha qualcosa da scambiare, cioè finchè, attraverso €urocrati e classi politiche di intermediari, ESSI non avessero esautorato ogni tutela e garanzia di benessere minimo.
E poi da un "punto zero" della democrazia si può sempre risalire e magari, finalmente, con la dovuta irrinunciabile consapevolezza di quanto sia incombente e ci riguardi Elysium
 Elysium wallpapers (14) Stanford Torus
In fondo, il modo migliore per ridimensionarli sarebbe mandarli al potere alle loro stesse condizioni (paralogiche), perchè, alla fine, cento draghi non fanno cento volte più calore nel riscaldare l'ambiente, ma si dimostrano incapaci di non incendiarsi a vicenda.

15 commenti:

  1. Analisi lucida, geniale e molto profonda; punto e basta.

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  2. Concordo, meglio una resa onorevole ad un assedio infinito.
    Ma come fare per negoziarla?

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    1. Non si può: se ci si rendesse nuovamente conto, a livello diffuso, del valore della democrazia costituzionale non ce ne sarebbe bisogno.
      Se non ci si rende conto, non c'è nulla e nessuno che può fermare ESSI e i loro intermediari.

      Quello che è evidente è che la distopia dell'integrale modello liberista non potrebbe condurre neppure ad una società gestibile coi benefici immaginati dai suoi stessi propugnatori: per questo nacquero le Costituzioni democratiche.
      Erano un accettabile vantaggio per tutti. Tutti.

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  3. Buona analisi, grazie mille. Ricordo solo a Carnimeo che Andreatta, il suo ragazzo spazzola-medium Prodi etc. facevano parte della SINISTRA, e non della destra DC. Più precisamente, della nuova frazione tecnocratica della sinistra DC, nata per infiltrarsi ed espiantare la vecchia siistra sociale democristiana di Moro.
    Non è una questione nominalistica, perchè l'origine dimostra come il metodo - svuotamento dall'interno per sostituzione a mo' di baccelloni - fu lo stesso sin dall'inizio. Andreatta e soci non si proposero come "destra", apertamente e biecamente liberista. Si proposero come "sinistra" progressista e innovatrice.

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    1. Non solo: ma furono anche "graditi" a sinistra-sinistra - come conferma la successiva conversione dello stesso Spaventa (mi riferisco a quanto scrive nel 1985 nella commissione parlamentare che relaziona sugli effetti del divorzio: un documento interessantissimo)- dato che nelle more dell'adesione allo SME si era rafforzata e innalzata la "questione morale", sui cui da subito si espresse Caffè col noto rimprovero a Berlinguer.
      Certo su questo influì la necessità di non finire emarginati sul fronte (sempre più obbligato) del riformismo dall'arrembante Craxi e di inserirsi nell'aggancio europeo che gli dava in qualche modo corpo.
      Ma sta di fatto che l'equazione clientelismo-corruzione=spesapubblica-deficit=l'europa-grandeMedicina ha fin dall'inizio una matrice a sinistra (in ogni sua forma). E ancora oggi si prosegue su questa linea...

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  4. Apprezzo molto questo post, sia per la profondità che per il consapevole intento fittizio ed esemplare.
    Naturalmente, come è detto esplicitamente, tutto questo non può avvenire.
    La conquista dell'opinione pubblica è avvenuta in modo lento e progressivo, con strumenti, discorsi ed attori che sarebbe molto difficile abbandonare e rinnovare in tempi brevi ed in modo indolore.
    Mantenere la presenza di una "struttura di governance europea" (improvviso questo nome per la colossale messa in scena che comprende un parlamento senza poteri e un governo le cui decisioni sono prese in altre sedi) ha un grande valore simbolico e conoscitivo: un forte simbolo che nella sua concretezza maschera adeguatamente la sostanza della catena decisionale e del regime politico su cui si sostiene.
    La proposta di Hayek, dissoluzione delle sovranità nazionali e riduzione dei governi a puri esecutori di regole fissate e intangibili, potrebbe lasciare, forse, un vuoto nella rappresentazione collettiva che mi pare venga colmato da questa mitica e inafferrabile "Europa".
    In questo modo vengono esorcizzate domande semplici e concrete: chi prende le decisioni? a chi ne risponde?
    La realtà "pop" è sempre fuggevole e parziale, mai comprensibile o definibile (lo conferma il posmoderno, parente nobile).

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  5. esatto...e la sinistra dc sindacale di Donat Cattin passò nella cosiddetta destra

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  6. "Se molte aziende sono nelle mani di investitori stranieri, questo è un segnale positivo. L'Italia è aperta agli investimenti stranieri", ha detto ieri durante un incontro con investitori a Londra.

    http://it.reuters.com/article/italianNews/idITL6N0RY39920141003?pageNumber=1&virtualBrandChannel=0

    Certe volte ho la sensazione che i politici italiani stanno giocando a monopoli con l'economia nazionale.
    Le sparati diventano sempre più bizarre.


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    1. Otttimo link. Impressionante il "progetto" siderurgia italiana. E' importante eh, incassare ben 700 milioni dalla vendita dell'Ilva, servira' a pagare una parte della quota mensile di ottobre al fondo salva banche tedesche. Qualcosa mi dice che, una volta in mani straniere, verra' sostanzialmente cassato , magari con spesa irrisoria, la bonifica prevista...

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    2. Prima che arrivassero i Fratelli a liberarci, le nostre acciaierie erano a Mongiana in Calabria, il giorno dopo l'unità d'Italia furono chiuse. Non ci salvammo allora combattendo, non ci salveremo adesso con la maggior parte dell'opinione pubblica che tifa per il carnefice. Elysium li aspetta.

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    3. @Caposaldo

      La frase "Se molte aziende sono nelle mani di investitori stranieri, questo è un segnale positivo"
      è un insulto al popolo italiano, in altre parole si dice che gli italiani sono incapaci di condurre un azienda, ben vengano i stranieri.

      Anche come si adopera falsamente la parola "investimenti" invece di svendere. Svendere a niente, ma proprio niente a che fare con investire. Si prende la parola investire per mettere in buona luce le scellerate scelte economice del governo italiano.

      A dire la verità questa storia del ILVA a mè puzzava già dal primo giorno, secono mè era tutta una messa in scena artificiale. Io vivo in Svizzera, qui è impossibile che un giudice possa far chiudere un industria delle dimensioni di ILVA.
      In Germania si radono al suolo interi paesi per lo sfrutamento del carbone, la popolazione viene trasferita in altre zone ai costi dello stato. Quel quartiere lì vicino al ILVA avrebbe dovuto essere abbatuto (non sò perchè si và a costruire un quartiere a pochi metri dal ILVA) è la popolazione trasferita in altre zone, i costi avrebbero dovuti andare 50% al ILVA 50% allo stato.

      Qui un paese in Germania prima di essere raso al suolo per il sfrutamento del carbone.
      Ci sono ancora pochi abitanti che però dovranno sloggiare.

      http://www.youtube.com/watch?v=uvziAQzsBjs


      @anto

      Non conosco abbastanza la storia d'italia, trovo la thematica nord-sud però controproduttiva è inutile, sorry. Secondo mè la storia è la cultura italiana non è nata nel 1860.

      non ci salveremo vuole dire arrendersi.
      si prenda un esempio dei napoletani del "4 giornante di Napoli" del 43.

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  7. La resa, come ben dicevi tu già c'è stata nel '92. Manca solo l' "ufficializzazione", o meglio, il pubblico annuncio (che di solito avviene DOPO la fine di un regime).
    Quando dicevo che siamo alla resa dei conti, intendevo che siamo oramai GIA' a "consuntivo".
    Insomma, grosso modo a quella fase che tu prefiguri, in cui la gente avrà accortezza che il loro voto non conta completamente un catso perché tanto decidono "i tecnici".
    Il "consuntivo" che GIA' molte persone stanno facendo (molte più di quanto si pensi) è:
    Era meglio "stato/ladro/partitocrazia/clientelismo/politicizozzoni" o l' odierno "privatobello/mercatoefficiente/"tecnici meritocratici"i/finanzaprivataottimaallocatricedirisorse" ?

    Il vero problema, secondo me, piu' che l' autorazzismo (che sta passando di moda a braccetto con "meno male che c'è l' Europa"), è la sfiducia nello Stato (che non è esattamente la stessa cosa di autorazismo), ben comprensibile, considerato il tradimento delle istituzioni TUTTE.
    E l' altro problema è il frame "TINA". Problema che però sarà, secondo me, superato ben prima del gravissimo problema della totale mancanza di fiducia nelle pubbliche istituzioni (che già, qui in Italia è sempre stato un gran problema per note vicissitudini storiche, figuriamoci oggi!).

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  8. di seguito un link con la lettera della Thatcher al nostro V.H.
    (ma guarda un po' se mi tocca fare un plauso alla Margaret .... :-) )
    http://delong.typepad.com/sdj/2011/12/letter-from-margaret-thatcher-to-friedrich-hayek.html
    un caro saluto a tutto il blog
    david

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  9. Complimenti.

    Infatti il vero danno, la vera cicatrice che l'Uomo porterà nei secoli sono, come son sempre state, le menzogne.

    La mente è la più grande forza ma anche la più grande debolezza dell'Uomo.

    È meno socialmente nociva una dittatura esplicitata che una democrazia caricaturale: in questo caso la forma è sostanza.

    Purtroppo la menzogna, come più in generale la falsità, è un modus vivendi in cui si impara a convivere e non è semplice tornare indietro: non è immediato da intuire, ma è impossibile vivere nella falsità, nella corruzione dell'intendere, se al contempo non viene manipolato il guilt system. Questo processo di "corruzione" avviene quindi sia a livello logico-razionale che a livello emotivo.

    (Con questi strumenti la Chiesa Romana ha sopravvissuto duemila anni e non credo si ricordino altre istituzioni fortemente patrimonializzate così longeve.)

    Stando "al manuale del piccolo analista dei fatti socio-politici" di Giorgio Orwell, non saremo liberi fintanto che non potremo dire che due più due fa quattro.

    «L'Ortodossia consiste nel non pensare, nel non aver bisogno di pensare. L'Ortodossia è inconsapevolezza.»

    Un deviazionista.

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  10. ONDA LUNGA

    Sanguigni i colori usati da ’48 per dipingere il futuro distopico post-apocalittico dei fuochi dei cento draghi.
    Immagini che toccano qualche coscienza polverosa richiamando la nenia neniosa di ciò che non siamo e ciò che non vogliamo.

    Verrebbe da riproporre le riflessioni politiche, giuridiche e storiche di un Padre Costituente (“Il Principe senza scettro” , 1958 - L Basso) che - già solo dopo dieci anni di “attivazione” e in una fase economica diversa dall’attuale – misurava la distanza tra la “quasi” unanime proposta civile di libertà e giustizia sociale che lo “spirito della Resistenza” aveva eletto a norma giuridica scolpita nella Costituzione Italiana e le già allora disattese applicazioni.

    Verrebbe da rivedere le immagini – che “colpisce e forse disturba” come ebbe a scrivere Rodotà nella prefazione del ’99 - di un “uomo (popolo sovrano concreto, art. 1) protetto e circondato dalle necessarie garanzie e tutele che gli danno la certezza dei mezzi di sussistenza nelle diverse situazioni in cui si trova" (c.2 dell’art. 3), artefice di una democrazia “governata” con gli strumenti dell’associazionismo, del partito politico e del sistema elettorale proporzionale contrapposto ai cento draghi della “democrazia” governante.

    Verrebbe da ricordare la montata (certo lattea) post-tangentopoli dei referendum golpisti del 1993 di Segni, Occhetto e Pannella – ammessi dalla Corte Costituzionale (CASAVOLA, BORZELLINO, GRECO, PESCATORE, SPAGNOLI, BALDASSARRE, CAIANIELLO, FERRI, MENGONI, CHELI, GRANATA, VASSALLI, GUIZZI, MIRABELLI, SANTOSUOSSO) – che, di fatto, ha avviato il disastro costituzionale di fronte al quale ci si trova.

    Verrebbe da rileggere i Principi Fondamentali della DIGNITA’ SOCIALE di un Belpaese prima che siano ritrascritti da giullari, maggiordomi, servi e pupe della corte dei cento draghi.

    Verrebbe il necessitato desiderio alla Vita negata.

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