mercoledì 7 gennaio 2015

FORTIS, DRAGHI E LA "LEGITTIMITA'" DELLE "DIVERSE POLITICHE" ALLA LUCE DEGLI €URO-TRATTATI.

 

1. Da quando Marco Fortis è consigliere economico del governo le sue esternazioni hanno assunto certamente un maggior interesse. Se non altro per comprendere cosa possano pensare, ai piani alti, della politica economica che toccherà subire agli italiani. 
E nell'ultimo articolo-editoriale scritto da Fortis traspare persino la consapevolezza della impossibilità italiana di fare vere politiche economico-fiscali (a prescindere dalla bontà di quelle che ipotizzerebbe).
Ma vediamo in dettaglio i passaggi nevralgici della sua analisi intitolata:
"Mercati instabili, ecco perché l’Europa perde alla roulette dell’economia".

2. Ci pare significativo un punto svolto praticamente in premessa, cioè che getta luce su tutto il resto del modo di vedere: "...in fasi di turbolenza sistemica come quella attuale, innescate da ripetute e profonde crisi strutturali come il crollo dei mutui subprime e dei titoli tossici del 2008 o il contagio dei debiti sovrani europei del 2010-11, l’economia rischia di impazzire come la maionese".

Ora questa visione d'assieme, - che quantomeno "sfuma" nella indeterminazione il fatto che la causa primigenia della crisi europea sia (in qualche modo) rinvenibile nella crisi USA del 2008, proprio in quanto essa abbia contagiato i debiti sovrani europei-, presenta l'inconveniente di contraddire quanto ritiene lo stesso Draghi
Almeno a sentire-vedere la spiegazione della crisi (non-crisi) europea che ci offre Draghi stesso in questo video. Riassumiano: Draghi ci dice, senza mettere in risalto alcun efficienza causale della crisi dei sub-prime, che in un'unione monetaria, - che non sia come quella USA, dove esistono i trasferimenti fiscali federali, cosa che, dice Draghi, non sarebbe realistica nel caso dell'Europa perchè implicherebbe creditori e debitori "permanenti" (?)- che gli aggiustamenti sono perciò positivi ed inevitabili e devono svolgersi per ripristinare la "competitività". E questi aggiustamenti, però, possono e devono realizzarsi sempre e solo attraverso la correzione verso il basso di prezzi e salari. Cioè attraverso politiche deflattive e di flessibilizzazione del lavoro.

Che sia un motivo o un altro a determinare questa esigenza assoluta e inevitabile di aggiustamento (di posizioni debitorie che non potrano che essere "private-commerciali"), non importa: l'unione monetaria nelle parole di Draghi funziona fisiologicamente così e una causa di instabilità finanziaria vale l'altra, evidentemente, dato che comunque non è realistico, e quindi auspicabile, un sistema correttivo di fiscalità federale delle inevitabili posizioni debitorie e creditorie che lui non ammette come stabilizzabili, pur a fronte di economie che divergono nelle caratteristiche strutturali all'inizio e nel corso della vita dell'unione monetaria.
Quindi, per Draghi, l'Unione (in ogni senso) consiste nella mera e semplice omogeneizzazione unificatrice di tutte le economie dei Paesi coinvolti su quella del più competitivo
Notare, infatti, che neppure per un momento prende in esame l'ipotesi che l'UEM possa funzionare attraverso un obbligo di politiche espansive - e quindi reflattive- a carico del paese creditore più importante. Semplicemente questa ipotesi è ignorata (probabilmente perchè sa perfettamente che i trattati, così come interpretati e ben visti da lui stesso, non lo prevedono; o non lo prevederebbero, almeno nella prassi applicativa che ne caratterizza il "senso" effettivo). 
Vedremo poi come questa "visione" di Draghi non sia affatto una novità, ma sia sottintesa da tutte le sue prese di posizione, anche recenti.

3. Dunque, se muoviamo da questa premessa, - e non vediamo come, realisticamente, si possa NON farlo,- le seguenti affermazioni di Fortis perdono non tanto di attendibilità scientifica, (egli è sicuramente accreditato a formulare tutte le più belle ipotesi di politica economico-fiscal-industriale) quanto di "realismo", come direbbe Draghi stesso, nonchè, cosa ancora più importante, di legittimità nei trattati stessi. 
A che serve invocare un modello se questo è non solo "non contemplato" ma addirittura vietato dai trattati?

Infatti Fortis, muovendo dalla evidenziata premessa contra facta concludentia (ben evidenziati da Draghi), prosegue facendo alcune affermazioni che equivalgono a poco più che a un wishful thinking, già nelle premesse:
"In questo casinò globale dell’economia rischia di esserci una unica grande perdente: l’Eurozona. Che rispetto a tutti gli altri grandi attori mondiali (Usa, Gran Bretagna, Giappone, Cina) rischia la sconfitta perché non ha una propria vera politica (e probabilmente nemmeno una propria consapevole strategia come “squadra”). L’unica politica economica che Bruxelles oggi possiede è quella della Germania, che tuttavia non è l’Europa ma solo una parte di essa (e nemmeno la sua maggioranza assoluta)."
E' evidente come l'unicità della euro-politica,  identificata in quella della Germania, cioè del paese creditore che non-può-rimanere-permanentemente-tale-e-vincola-tutti-gli-altri-con-la-sua-competitività, non è cosa di cui ci si possa lamentare: lo dicono i Trattati, a cominciare da Lisbona-Maastricht, lo dice Draghi.

4. Fortis poi prosegue con una sorta di laudatio di...Draghi, che non pare coerente col pensiero di quest'ultimo:
"Le sole tattiche di gioco alternative in una Eurozona che non voglia avviarsi verso il disfacimento finale sono state proposte negli ultimi mesi (ed in parte praticate) da due soggetti: la Bce con Draghi e il Governo italiano con Renzi."  
Credo sia inutile soffermarsi ulteriormente su questa contraddittorietà: o si fanno gli aggiustamenti competitivi (esclusivamente) sui salari o altrimenti non si è "realistici" e conformi alle previsioni del trattato fondamentale. 
L'ha detto Draghi.
Ma la "novità" apportata da Draghi starebbe nell'idea del Quantitative €asing
Persino Fortis (ormai)  assume tale novità, ne dobbiamo arguire, più come un segnale che come una vera "soluzione", perchè aggiunge:
"Draghi, dopo aver salvato miracolosamente l’euro nel 2012, deve ora partire a breve termine col suo progetto di quantitative easing che forse non riuscirà ad impattare adeguatamente sul rilancio dell’economia reale (come molti temono), ma che tuttavia potrà rafforzare nei mercati l’impressione che l’Eurozona almeno non giochi a porta vuota ma con un portiere, come tutte le altre squadre".

5. Continuiamo a tralasciare la questione della linea del governo italiano attuale: su questo, ci limitiamo a dire come finora non abbia fruttato nulla dato che persino il rinvio al 2016 (e a fortiori al 2017, dichiarato dal nostro governo) del c.d. pareggio di bilancio strutturale non è MAI stato avallato con una esplicita approvazione del Consiglio e della Commissione europea (al più si avrebbe una "condizionata" e ed implicita realizzata di fatto nell'approvazione sub judice sull'attuale manovra di stabilità).
Certamente non il rinvio "formale" al 2016 e neppure la stessa manovra di stabilità (non espansiva, dato che comunque riduce il deficit rispetto all'esercizio precedente: ma, piuttosto, meno "consolidativa" e pro-ciclica.), che è comunque sub-judice da parte della Commissione. 
Senza dimenticare che è anche disseminata di clausole di salvaguardia che preannunziano per il 2016 un forte inasprimento fiscale: sempre che la Commissione non lo imponga prima, in corso di 2015, almeno in parte, nell'esercizio dei suoi poteri "two-packs-fiscal compact" di assorbimento autoritario della sovranità fiscale italiana.

6. Soffermiamoci piuttosto sulla esplicazione degli effetti del Draghi-QE (ammesso che sia imminente e fattibile all'interno del Board BCE), nel quadro delle politiche da lui stesso propugnato. Ne abbiamo già tratteggiato qui le implicazioni teoriche e pratiche:
"Quanto abbiamo appena visto (ndr: v paragrafo precedente del post), sia o meno l'aperto e cosciente riferimento teorico di Draghi, ci fornisce abbastanza indizi per ipotizzare una ricostruzione di come la "vede"
- Draghi prende atto, a quanto pare, della prolungata caduta e mancata ripresa degli investimenti in UEM, nonostante i tassi ufficiali ai minimi storici, e che dunque la curva IS si sta rivelando, diffusamente, piuttosto rigidina;
Sapir allegato 2 -nell'ottica predominante delle aspettative razionali (che guidino o meno gli "esiti" della curva di Phillips), continua ad attribuire questa rigidità alla insufficiente flessibilità salariale verso il basso nei paesi "debitori" (per la Germania, obiettivamente, l'andamento salariale rispetto alla produttività non consente analogo rimprovero, anzi, semmai, un auspicio nella direzione opposta, cui avrebbe di recente aderito anche Weidman; v.sotto);  
- al contempo, sicuramente senza temerla eccessivamente, deve cercare di fronteggiare una prospettiva di deflazione: cioè il calo dei prezzi, come nell'ipotesi di Patinkin (e di certi economisti mainstream italiani) viene visto come una cosa generalmente positiva, ma purchè poi ne segua la fiducia degli investitori, ostacolata invece dalle eccessive pretese salariali e dal livello della spesa pubblica.   
- Solo che, appunto, in attesa che effettivamente sia rimosso l'ostacolo della rigidità salariale, e dunque in presenza di curva degli investimenti IS rigida (l'abusato "cavallo non beve"), è consapevole che la politica monetaria da lui concepita da ultimo (un QE inclusivo di acquisto di titoli pubbliici e privati, fuori tempo massimo), rischia di risultare scarsamente efficace. Per questo, parla infatti, a Jackson Hole; di "investimenti pubblici", nell'ambito di una ovvia politica sul lato dell'offerta, che renderebbe lecito un qualche allentamento delle politiche del pareggio di bilancio; 
- il che riporta in auge, a doppio titolo, - cioè sia la condizione neoclassica di accettabilità delle teorie keynesiane espansive costituita dalla rigidità della curva IS, sia per l'insufficienza dell'effetto saldi reali rispetto alla (ancora) eccessiva rigidità salariale verso il basso di paesi come la Francia e soprattutto l'Italia-  l'esigenza di una, ancorchè transitoria, mitigazione del consolidamento fiscale; - in sostanza, con una certa fantasia nel perpetuare le aspettative razionali di cui è propugnatore, vuole rompere il circolo vizioso per cui il non verificatosi "spiazzamento" determinato dalla rigidità della curva IS, che vanificherebbe la stessa riduzione della spesa pubblica (già in atto in termini assoluti e considerati arretramento e diminuzione del PIL) si accoppia alla caduta dei consumi e degli scambi intraUEM, determinando l'effetto collaterale della deflazione; 
- notare che, implicito in questo discorso, è che la crisi non sia da domanda ma strutturale: cioè Draghi legge la situazione come sostanzialmente svincolata dall'andamento del PIL (UEM o di singole nazioni), considerato un problema  "aggiustabile" nell'ambito della ristrutturazione da sempre auspicata.

Quindi, con la sola lente dell'obiettivo di preservare la moneta unica, in quanto strumento che "vincola", cioè rende ineludibile rimuovere gli ostacoli al pieno ripristino del mercato del lavoro(-merce) che viene considerato essenziale per il funzionamento dell'effetto saldi reali, ovvero dello stesso spiazzamento espansivo verso gli investimenti privati. - insomma, la chiave di tutto, come sempre è il mercato del lavoro, la cui flessibilizzazione, viene presumibilmente vista come la precondizione per la praticabilità e l'efficacia delle stesse politiche di taglio della spesa pubblica: finchè la prima non viene pienamente realizzata, le seconde rischiano di provocare un problema di deflazione e di non poter sbloccare la rigidità della curva degli investimenti.
...Su questi punti la Germania non sembra volerlo seguire: torniamo alle ben note implicazioni mercantilistiche congegnate nei trattati. Alla fine, QE insieme con riforme (definitive) flessibilizzanti del lavoro applicate per "POI arrivare al" e, quindi, "prima del" taglio intensivo della spesa pubblica, ai tedeschi non interessano E non perchè non abbiano in effetti già raggiunto in gran parte questi obiettivi, cioè pareggio di bilancio e flessibilità dei salari, anzi. 

Ma perchè a loro dell'effetto spiazzamento realizzabile dagli altri partner UEM non interessa nulla; semplicemente perchè operano in una situazione di vantaggio da surplus commerciale che gli consente di accumulare risparmio che non si traduce, come risulta dai dati, in una corrispondente  elasticità degli investimenti, di cui non sono certo dei campioni
 
...Ai tedeschi interessa essenzialmente, che gli altri partner, non importa con quali esiti, realizzino simultaneamente tutti gli aggiustamenti, riducendo così le rispettive posizioni debitorie target2, cioè facendoli rientrare dei loro crediti privati attraverso la violenta correzione dei propri deficit commerciali, e che, allo stesso tempo, le politiche monetarie espansive non solo non ritardino la correzione salariale (modello "di successo" greco e irlandese), ma non li mettano con le spalle al muro provocando una bolla speculativa degli assets sui quali investono il loro enorme risparmio-surplus.
Inoltre, il richiamo di Draghi alla flessibilità dei vincoli fiscali UEM si proietta nei confronti dei tedeschi in modo opposto a quanto vale per gli altri paesi (e sempre specialmente per Germania e Francia): per loro cioè implica una esortazione, vagamente fondata sullo "spirito dei trattati" - applicato finora solo ad usum delphini, e che, nel consolidarsi della prassi applicativa dei trattati, risulta giuridicamente molto debole-, a rilanciare la propria domanda interna con tanto di crescita salariale adeguatrice alla produttività da essi accumulata.
Questo spiega perchè Weidman, molto più realistico e pratico del re (della regina Merkel e del primo cavaliere Schauble) predichi, subito contrastato, aumenti salariali sopra l'attuale tasso di inflazione pur di scongiurare gli acquisti di ABS e il QE "pieno" BCE, che riverserebbero ulteriori fondi su quegli stessi assets di investimento, immobiliare e finanziario, tedeschi, rischiando di far emergere le voragini da sempre nascoste nel sistema bancario tedesco."

7. Come già in quella occasione (par.7 del post sopra linkato), la conclusione che se ne può trarre attiene esattamente alla discutibilità della premessa già esaminata di Fortis: cioè alla presunta "unificabilità-trasmissione per contagio" della genesi della c.d. crisi dell'euro con quella a epicentro USA del 2008:
"...quel che è chiaro è che ci sono due crisi intrecciate:
a) una è quella dell'euro come meccanismo monetario pretesamente cooperativo, provocata, ma in fondo "predisposta", dal mercantilismo tedesco (detto in modo brutalmente semplificato), che ha a che vedere col quadro istituzionale "reale" dei trattati. Se non altro perchè, giustamente, i tedeschi possono reclamare che se i trattati non fossero stati strutturati così, non avrebbero aderito all'UEM!
b) l'altra, pilotata e controllata strategicamente, - e che poco si cura sia degli effetti recessivi-depressivisia del livello della disoccupazione, sia della stessa deflazione,  considerati un mero effetto collaterale necessario e transitorio (wishful thinking)-, che mira a realizzare il pieno disegno dell'euro e che, prescinde dai trattati "reali"."

8. Ma un'ultima osservazione va svolta (o meglio ribadita).
Non si può pensare di uscire dalla prima crisi, muovendo accuse alla Germania, ignorando la portata intenzionale, cioè pianificata e accettata come obiettivo politico principale da oltre 20 anni, della seconda.
L'unica via d'uscita da questa situazione non è, come pare supporre Fortis - "irrealisticamente"  (secondo il "metro di Draghi") - quella di un'Italia che "stando all’interno degli attuali parametri, (se) non sarà soddisfatta dai nuovi orientamenti europei, avrà tutto il diritto di manifestare nel 2015 la propria crescente contrarietà. Con ancor più forza di quanto non abbia potuto fare durante il semestre appena concluso"
L'unica soluzione percorribile è quella di invocare la contrarietà dei trattati stessi ai principi fondamentali della Costituzione italiana, così come ribadito, anche recentemente, dalla nostra Corte costituzionale.
La nostra Costituzione.

4 commenti:

  1. Discorso chiarissimo e rigoroso, conclusione ferrea che illustra la vuotezza e la non consequenzialità di tutte le posizioni di "cambiamento dall'interno" delle istituzioni europee, che sono oggi l'ultima evoluzione delle posizioni "de sinistra" in tutta Europa.

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    1. A questo punto si possono avere seri timori: la paradossale diffusa accettazione, da parte dell'opinione pubblica, di questa visione, pare diventata l'unico diaframma che ancora evita agli italiani l'uso di strategie e diversivi molto più destabilizzanti e autoritari.
      Dico paradossale proprio perchè, se la consapevolezza e la precezione diffuse fossero diverse, potebbe veramente accadere di tutto...
      Ma certo non si può lasciare che la democrazia sia smantellata solo per inerzia e arretratezza culturale o, peggio, per il timore di mali peggiori del controllo orwelliano del paradigma informativo.
      O forse siamo già al punto di non ritorno (e pochi "ingenui" credono ancora che si possa opporre la forza razionale dell'interesse osvrano e costituzionale...)

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    2. Direi che questo diaframma è l'ultimo in ordine di tempo; sicuramente gli spin doctors sono al lavoro per prepararne altri.
      Tuttavia si nota una progressione da "la mamma è buona" (lavorare un giorno in meno...) a "la mamma è giusta" (la governante tedesca per i discoli italiani) e ora si ammette che la mamma è cattiva. Questa è una vera ritirata, sia perché ogni narrazione successiva si avvicina sempre più alla realtà, sia perchè ammette che la "governance" europea non è infallibile, neppure saggia e addirittura presenta un volto che può fare paura. Sono ammissioni che i media fanno obtorto collo, perché riflettono una progressiva caduta di fiducia sia nella classe dirigente (anche europea!) che nei media stessi.
      Concordo che un crollo completo di questa fiducia può essere piuttosto improvviso mentre non implica affatto la diffusione di una percezione corretta, anche se avere pronta una buona analisi può contare.
      Per il resto... si tratterà di andamenti catastrofici, quindi largamente imprevedibili. Valgono le consuete raccomandazioni ... e gli auguri.

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  2. Europa bekommt ein neues Gesicht, ob es den Alteingesessenen passt oder nicht

    L'europa riceverà una nuova faccia, se ai residenti europei piaccia o no è irrelevante.

    BARBARA COUDENHOVE-KALERGI

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