La democrazia è finita. E adesso?
1. Cominciamo a identificare la "fonte" del significativo brano che vi riporterò, quale segnalatomi ieri da "diegolas" in un nuovo commento a un non troppo "lontano" post.
Un post da me particolarmente "amato", a suo tempo, per il divertimento, amaro, provato nel compilarlo.
Non si tratta di un commento fuori tema rispetto a quanto affrontato negli ultimi post di questo inizio anno; e vedremo perché.
L'identificazione della fonte del brano in questione trova definizione nella stessa autopresentazione del sito da cui è tratto. Che si richiama (spero non ci sia bisogno di traduzione) all'internazionalismo e alle connesse finalità della missione UE: cioè, essenzialmente fornire credibilità all'establishment di segno pan-europeo attraverso la "rivolta" (!) intellettuale:
ECFR is an award-winning international think-tank that aims to conduct cutting-edge independent research; provide a safe meeting space for policy-makers, activists and intellectuals to share ideas; offer a media platform to get Europeans talking about their role in the world.
ECFR is an award-winning international think-tank that aims to conduct cutting-edge independent research; provide a safe meeting space for policy-makers, activists and intellectuals to share ideas; offer a media platform to get Europeans talking about their role in the world.
It was established in 2007 by a council of fifty founding members,
chaired by Martti Ahtisaari, Joschka Fischer, and Mabel van
Oranje, with initial funding from George
Soros’s Open Society Foundations, the Communitas Foundation, Sigrid
Rausing, Unicredit and Fride.
Inspired by the role American think-tanks played in helping the US move
from isolationism to global leadership, ECFR’s founders set about
creating a pan-European institution that could combine establishment
credibility with intellectual insurgency.
Today, it has over 50 staff from more than 20 countries, and receives
funding from a wide range of charitable foundations, national
governments, companies and private individuals."
2. Quale tipo di "internazionalismo" persegua questo think-tank, ci pare indisgiungibile dallo "initial funding" di Soros e della sua Open Society (e di...Unicredit). E naturalmente, poi, i finanziamenti ora giungono da fondazioni caritatevoli, governi nazionali (eh, la spesa pubblica produttiva!), società commerciali e "privati individui"
2. Quale tipo di "internazionalismo" persegua questo think-tank, ci pare indisgiungibile dallo "initial funding" di Soros e della sua Open Society (e di...Unicredit). E naturalmente, poi, i finanziamenti ora giungono da fondazioni caritatevoli, governi nazionali (eh, la spesa pubblica produttiva!), società commerciali e "privati individui"
Non sono riuscito a trovare un elenco completo degli attuali donatori che finanziano tale think-tank, ma sul sito ho trovato dei "ringraziamenti" particolari a pag 6 di questa sezione del sito, "Report and financial statements".
Oltre alla Open Society, preceduta, nell'ordine dei ringraziamenti stessi, da "Unicredit spa", vi figurano la stessa Commissione UE e i governi di Austria, Belgio, Olanda, Danimarca, Finlandia, Norvegia, Slovacchia, Spagna, Svezia e Regno Unito (!?). Per l'Italia ringraziamenti vanno anche alla Compagnia di S.Paolo; mentre, tra le "corporate", l'Italia partecipa con Enel.
Oltre alla Open Society, preceduta, nell'ordine dei ringraziamenti stessi, da "Unicredit spa", vi figurano la stessa Commissione UE e i governi di Austria, Belgio, Olanda, Danimarca, Finlandia, Norvegia, Slovacchia, Spagna, Svezia e Regno Unito (!?). Per l'Italia ringraziamenti vanno anche alla Compagnia di S.Paolo; mentre, tra le "corporate", l'Italia partecipa con Enel.
3. Ma veniamo al contenuto del commento inizialmente citato che vale la pena di riportare tradotto (il resto del discorso è ritrovabile al link, ovviamente).
Si tratta di un estratto del paper stesso, del 2012, intitolato "The long shadow of ordoliberalism: Germany’s approach to the euro crisis", a firma di Sebastian Dullien e Ulrike Guérot.
Nel paper è compiuta, come riflesso dell'argomento principale, un'analisi dell'intero quadro politico tedesco, sulla premessa che il fiscal compact e i suoi vari annessi, cioè il complesso di trattati conclusi alla fine del 2011 (six packs) rifletta la posizione tedesca molto più che un compromesso tra i 26 Stati aderenti.
Si tratta di un estratto del paper stesso, del 2012, intitolato "The long shadow of ordoliberalism: Germany’s approach to the euro crisis", a firma di Sebastian Dullien e Ulrike Guérot.
Nel paper è compiuta, come riflesso dell'argomento principale, un'analisi dell'intero quadro politico tedesco, sulla premessa che il fiscal compact e i suoi vari annessi, cioè il complesso di trattati conclusi alla fine del 2011 (six packs) rifletta la posizione tedesca molto più che un compromesso tra i 26 Stati aderenti.
Insomma, l'ordoliberismo tedesco crea il trattato UE "in quanto" incentrato sullo strumento della moneta unica, - ce l'aveva detto lo stesso Draghi (qui, p.9 citato ampiamente, in "Euro e/(o?) democrazia costituzionale" e ripreso in "La Costituzione nella palude")-, e poi, secondo il think-tank "paneuropeo" in questione finanziato dalla Commissione UE, lo stesso ordoliberismo tedesco, in perfetta continuità, impone il suo unilaterale punto di vista "correttivo" (peraltro TINA, finchè si considera l'euro la panacea delle guerre e dei nazionalismi in €uropa).
4. Ecco la traduzione:
"Gli economisti di questo paradigma (ordoliberalismo) ritengono che i mercati agiscano sempre "smoothly" (cioè in modo omogeneo e senza scosse!). Essi credono anche che le economie nazionali abbiano la capacità di aggiustamenti rapidi di fronte agli shocks. Si focalizzano sul lato dell'offerta dell'economia al fine di generare la crescita. Il prodotto e l'occupazione sono determinati principalmente dai fattori dell'offerta.
Se la domanda cade al di sotto dell'offerta, gli economisti neo-classici (ndr; si implica senza particolari discussioni che vi rientri l'attuale ortodossia ordoliberista), ritengono che i prezzi e i salari si aggiusteranno rapidamente in modo tale che la domanda crescerà ancora e ogni eccesso di offerta sparirà rapidamente.
Se i prezzi e i salari, talvolta, non reagiscono rapidamente, essi argomenteranno che ciò sia dovuto a barriere legali come la contrattazione collettiva o i salari minimi normativi.
La soluzione sono le riforme strutturali per rendere i mercati più flessibili.
Se i prezzi e i salari, talvolta, non reagiscono rapidamente, essi argomenteranno che ciò sia dovuto a barriere legali come la contrattazione collettiva o i salari minimi normativi.
La soluzione sono le riforme strutturali per rendere i mercati più flessibili.
Il taglio delle contribuzioni previdenziali in Germania ha là migliorato le condizioni dell'offerta, portando a maggior prodotto e occupazione. La carenza di domanda aggregata non è stata considerata un serio problema potenziale e perciò neppure lo sono stati i cambi nel contributo (alla crescita) di esportazioni e importazioni.
In esito a ciò, l'elite tedesca ha dimenticato la ricaduta sul resto dell'area euro. Secondo questa impostazione, i deficit governativi eccessivi sono l'unica area in cui occorra coordinarsi perchè tali deficit possono condurre a una crisi del debito e, alla fine, esigere dei bail-out (ndr: negli altri paesi dell'area euro, naturalmente, dato che in Germania il bail-out, com'è noto, è stato ampiamente effettuato con circa 200 miliardi di euro di maggior deiuto pubblico erogati a favore del loro disastrato sistema bancario: e questo era già accaduto nel momento in cui il paper in commento è stato redatto).
Per prevenire ciò, comunque, tutto ciò che è necessario è una stringente applicazione del "patto di stabilità e crescita", ossia del nuovo framework di controllo del deficit che lo supervisiona. Come dicono costantemente i media e i politici tedeschi, tutti devono fare i propri compiti a casa, cioè tagliare i rispettivi deficit (ndr; già nel 2012, peraltro, si prospettava con evidenza macroscopica che tali "compiti" li stesse diligentemente svolgendo solo l'Italia, e non gli altri Stati UEM, per quanto finanziatori del think-tank...).
Una questione strettamente correlata è quella degli squilibri esterni nell'area euro. Dal 1999, i deficits e i surplus delle partite correnti dei paesi UEM sono cresciuti a livelli record.
La Grecia, il Portogallo e la Spagna, hanno sperimentato deficit CA del 10% o più, mentre la Germania ha registrato surplus superiori al 7% (ndr; si noti che l'Italia sia, tutto sommato, fuori da questi eccessi in un senso o nell'altro, nonostante la nostra grancassa mediatica, nel 2012 più che mai, invocasse la massima austerità fiscale perchè avremmo vissuto "al di sopra delle nostre possibilità". Il problema è che, ancora oggi, l'ital-grancassa assevera imperterrita questa versione dei fatti).
Questi squilibri sono ora visti, da molte parti esterne alla Germania, come fattori rilevanti causativi dell'euro crisi (ndr; ribadiamo: quest'analisi del 2012 di un think tank sponsorizzato da Soros e importanti grandi gruppi economici italiani, era completamente contraddetta, nello stesso anno, dalla versione mediatica italiana. E lo è tutt'ora, pur con qualche timido, recente e, dunque, tardiva, ammissione a mezza bocca).
La definizione di deficit delle partite correnti è quella di una variazione della posizione esterna netta degli assets di un certo paese (ndr; sappiamo che tale definizione non è del tutto esatta ed esaustiva dell'aspetto in questione). Ampi deficit delle partite correnti portano così alla rapida crescita del debito esterno (ndr; il che è comuque corretto).
Comunque, il mainstream tedesco vede gli squilibri delle partite correnti nell'eurozona come la conseguenza di una perdita di competitività e consumi eccessivi nei paesi in deficit nonchè di deboli investimenti in Germania. Conseguentemente, gli economisti neo-classici tedeschi ritengono che la soluzione consista in restrizioni nella crescita o nei tagli, in assoluto, dei salari nei paesi in deficit."
5. Possiamo dunque domandarci: la Commissione UE ha tratto beneficio da questa analisi (pur direttamente finanziata) e dalla evidenziatura degli "eccessi" ordoliberisti tedeschi?
Si è cioè preso atto, a partire dal 2012, che la tecnica di riduzione dei deficit pubblici, come via ordoliberista alla correzione degli squilibri causativi della crisi dell'eurozona, non portava a significativi benefici in termini di recupero della domanda perduta e, anzi, acuiva e protraeva tale problema, diffondendo la disoccupazione e, quindi, la caduta della domanda?
6. Sì e no: sì, rispetto ad altri Stati dell'area euro, e per di più a condizione che fossero comunque applicate le riforme strutturali del mercato del lavoro; no, rispetto all'Italia che ha avuto sia la più rigorosa austerità che il più solerte programma di riforme strutturali, ottenendo il più alto grado di distruzione della domanda interna e della sua stessa struttura industriale (che, a differenza di quella greca, aveva, agli occhi dei tedeschi, l'imperdonabile difetto di esistere).
Tutto questo, però, secondo lo spinning della nostra grancassa mediatica, non basta mai, inducendo a considerare addirittura benvenuta l'insistenza discriminatoria della Commissione UE sulla intensificazione della deflazione salariale e sulla riduzione della spesa pubblica.
7. Ed è qui che subentra il raccordo col discorso svolto nei più recenti post: analizzare questo percorso ondivago e discriminatorio, rispetto alla congiuntura italiana in comparazione con gli altri paesi UEM, richiederebbe una lunga trattazione che, in gran parte, abbiamo svolto nel corso degli anni su questo blog e che altri, sul piano economico-scientifico, hanno svolto divulgativamente ma anche tecnicamente.
In questa sede preferiamo rammentare il frame politico-ideologico alla base di tutto questo, cioè dell'incredibile vicenda italiana (a nostro parere non inferiore per dimensioni e esiti a quella greca): perché tale "frame" ha a che vedere con l'esigenza assoluta di rimuovere, e nel modo più rapido possibile, il più rilevante ostacolo che gli "internazionalisti dei mercati" vedono rispetto alla normalizzazione italiana: cioè IL NOSTRO ORDINAMENTO COSTITUZIONALE.
8. Un ostacolo considerato ancora più grande delle ormai disarticolate potenzialità concorrenziali del "modello di specializzazione" italiano, in sé fortemente simmetrico e concorrenziale (in un recente passato, almeno), rispetto a quello tedesco.
La ragione è semplice: finchè abbia una qualsiasi vitalità normativa, anche solo teorica, il modello costituzionale del '48, l'Italia può sempre, in teoria, riprendere il suo ruolo produttivo e manifatturiero nell'ambito dell'economia europea e mondiale. E, solo per ciò, costituire una sgradita eccezione alla diffusione incontrastata del paradigma liberoscambista globalizzato ammantato, con la costruzione €uropea, così come con le varie strategie "mondialiste", di un'etica che tende essenzialmente a umiliare il popolo italiano e a mortificare ogni suo merito, come produttori di beni (e servizi), di civiltà giuridica e di cultura della democrazia in generale. Con esiti visti come molto pericolosi per il completamento di questo paradigma, in particolare per la definitica introduzione del TTIP.
9. Ecco che allora, ci riportiamo ai commenti al precedente post che, com'è opportuno che sia, rimontiamo nei passaggi più significativi in una sequenza chiarificatrice:
Proviamo a far un po' di chiarezza e cominciamo dal commento di Bazaar:
"1 - il capitalismo funziona solamente se il reddito viene redistribuito: o si reprime la speculazione finanziaria in favore della domanda aggregata - ovvero no liberismo, sì piena occupazione/stato sociale - oppure la disfunzionalità si manifesta con i cicli (a) sfruttamento lavoro-merce, (b) crisi economica, (c) guerra mondiale, quindi (a), (b), (c), (a), (b)... apocalisse.
2 - la ridistribuzione del reddito - data l'equivalenza denaro = potere - significa "socializzazione del potere", ovvero democrazia, ovvero graduale smantellamento dei privilegi di classe: il capitalismo è utile alle élite se - e solo se - è disfunzionale. Quando la sua disfunzionalità è massima, suprema è l'alienazione tanto della struttura sociale capitalistica quanto quella della persona umana: si prospetta una palingenesi paramedievale.
E qui sta il punto: la distruzione dei mezzi di produzione e del capitalismo stesso per mantenere i privilegi di classe.
3 - sia nel paradigma neoclassico sia in quello keynesiano si postula un "limite alla crescita": è un'ovvietà che le risorse siano "scarse". Non è necessario il "club di Roma" per saperlo: tutti i paradigmi economici ne tengono conto.
Ma quali sono le differenze tra i due grandi paradigmi economici (liberale e keynesiano/socialista)?
4 - Keynes propone di seguire l'avido egoismo del capitalismo funzionale fregandosene delle esternalità negative (quindi dell'ambientalismo) fintanto che l'indigenza non sia stata spazzata via: ovvero le virtù etiche (nella fattispecie il "rispetto dell'ambiente", ma, in senso esteso, qualsiasi tipo di diritto "civile", l'estirpazione della "corruzione", ecc...) dovevano aspettare che il benessere economico, quindi i diritti sociali venissero universalizzati.
La crescita demografica, essendo fondamentale per l'aumento del PIL e la stabilità del sistema finanziario, era assolutamente necessaria fintanto che l'obiettivo non fosse raggiunto.
5 - Il paradigma liberista/neoclassico/neomalthusiano, non contando su alcuna evidenza empirica, è equiparabile ad una religione monoteistica, ovvero al "culto del mercato": il vitello d'oro (gold standard), detto anche "dogma della stabilità monetaria", permette di creare artificiosamente scarsità dell'unica cosa che nella sua essenza numeraria non ha limite: il denaro.
In pratica, il "volume" di risorse che puoi consumare dipende dalla quantità di "metri cubi" che la banca centrale indipendente decide di emettere.
Poiché una certa parte di "volume" di beni non lo puoi "misurare", non lo puoi scambiare: quindi andrà distrutto.
Morale: "stampare" moneta non crea valore, ma non "stamparla" lo distrugge. Una moltitudine di bocche non avranno pane da mangiare e le risorse consumate per produrre i beni distrutti (sovraprodotti) saranno state sprecate.
Come le vite di coloro che con la loro dolorosa dipartita contribuiranno alla decrescita demografica.
D'altronde, secondo i malthusiani, al contrario di Keynes, sostengono che "Ogni nuovo nato riduce il reddito medio procapite".
6 - Il punto fondamentale, come emerge con chiarezza dai post di Arturo, è il progresso tecnologico che avviene in misura sufficiente solo se lo Stato interviene in economia al contrario di ciò che vogliono i liberisti.
Ma se con Keynes saremmo tutti belli, felici e a pancia piena in un mondo che inizierebbe ad occuparsi della deforestazione, perché i liberisti-malthusiani propongono esattamente il contrario con il loro moralismo peloso para-religioso?
7 - Semplice: perché ad ESSI non piace un mondo in cui tutti sono liberi e felici. Non è cool.
Che gusto c'è ad essere ricchi se non ci sono i poveri?
Molto più fico vivere nella foresta incantata dove i superuomini sono principi azzurri che si sposano con le principesse, mentre gli ominidi vivono come bestie e si regolano demograficamente pure da bestie... senza tecnologia e crepando senza sporcare il giardino dei sovrani.
Non sono malvagi: è la loro natura.
8 - Vedi punto 2: Hayek, nell'intervista su Pinochet, dichiara lindamente la connessione tra liberalismo classico e maltusianesimo.
9 - Il "gold standard", ovvero le politiche deflattive, hanno dimostrato di funzionare nei paesi ricchi: si pensi alla Germania o all'Italia.
Il documento della BIS che ho linkato, se il mio ragionamento è corretto, dimostra che il tasso di natalità è inversamente correlato alla deflazione.
Quando la miseria raggiunge un certo limite - come emerge empiricamente in Africa o in Asia - l'istinto alla vita sembra reagire con la sessualità a fini riproduttivi.
Da qui si ipotizzava - in altra occasione - che indirizzare l'attenzione su alcuni diritti civili in un contesto di smantellamento dei diritti sociali, fosse uno degli strumenti propedeutici al controllo sociale: basti citare la promozione massmediatica della sessualità senza fini riproduttivi, le leggi sull'aborto, sul divorzio, sull'eutanasia.
Insomma, in un contesto di miseria generalizzata, l'unica libertà che ci rimane è quella di morire.
Soli.
(Certo, magari ci rimane anche di provare a riprodursi o a copulare innocuamente... sempre che si sia in grado di acquistare precauzioni che ci possano salvare dagli AIDS 2.0 che misteriosamente compariranno... vedi citazione finale)
10 - In conclusione: cosa succede in Europa?
Se non si aumentano i salari e le prestazioni assistenziali distruggendo il "gold standard" - ovvero il dio €uro e Trattati - l'andamento demografico è destinato a precipitare, facendo scomparire i popoli che - unici al mondo - hanno prodotto la cultura democratica e la filosofia della giustizia in terra.
Prima che gli europei ridotti in miseria si riproducano come ratti invertendo la tendenza, può essere "fecondo" americanizzarli alla Kalergi, così come fatto con i nativi americani.
«Ci sono solo due modi per evitare un mondo di dieci miliardi di persone. O i tassi di natalità adesso scendono velocemente, oppure debbono salire i tassi di mortalità. Non c’è altro modo. Ci sono, ovviamente, tanti modi per far salire i tassi di mortalità. Nell’epoca termonucleare si può fare in maniera molto veloce e decisiva. Carestie ed epidemie sono gli antichi modi in cui la natura controlla la crescita demografica, e nessuno delle due è scomparsa dalla scena...»
Robert McNamara, presidente della Banca Mondiale, 2 ottobre 1979
«Cercando un nuovo nemico contro cui unirci, pensammo che l’inquinamento, la minaccia dell’effetto serra, della scarsità d’acqua, delle carestie potessero bastare ... Ma nel definirli i nostri nemici cademmo nella trappola di scambiare i sintomi per il male. Sono tutti pericoli causati dall’intervento umano ... Il vero nemico, allora, è l’umanità stessa».
Club di Roma, The First Global Revolution, 1991"
10. Proseguiamo con alcuni punti salienti dei commenti di Arturo:
"Vorrei anche citare alcuni passaggi piuttosto significativi de "La sinistra assente" di Losurdo (Roma, Carocci, 2014, pp. 261 e ss.), a proposito di Latouche:
"La delegittimazione dello Stato sociale è ribadita in più occasioni a partire da un angolo visuale di volta in volta diverso: «Voler salvare l'occupazione a tutti costi [...] sta a indicare nella maggioranza dei casi un attaccamento viscerale, conscio o inconscio, alla società lavorista» (Latouche, ioo8, p. 104).
Il diritto al lavoro, parte integrante dei diritti sociali ed economici e a partire almeno dal 1848 obiettivo essenziale della lotta del movimento operaio, è così liquidato; ed è liquidato con una presa di posizione che cade alla vigilia della crisi economica che, in Occidente e in altri paesi capitalistici sviluppati, ha condannato milioni e milioni di persone alla disoccupazione, alla precarietà, agli stenti, a una condizione di permanente esposizione al ricatto padronale e quindi di sostanziale illibertà.
La lotta per il diritto al lavoro e la piena occupazione è stata al centro di quelli che in Francia sono chiamati i «Trent'anni gloriosi», gli anni che hanno fatto seguito alla seconda guerra mondiale e che hanno visto l ’edificazione dello Stato sociale e in una certa misura la partecipazione delle masse popolari al miracolo economico. Le diseguaglianze si erano attenuate, «i proprietari privati avevano cessato di controllare le più grandi imprese», si era indebolito il «capitalismo patrimoniale privato» (Piketty, 1013, pp. 219-21).
Senza appello è la condanna espressa da Latouche (2011, pp. 105-6): «se si calcolano i danni subiti dalla natura e dall’umanità», quelli che tradizionalmente sono celebrati come i Trent’anni gloriosi si rivelano in realtà i Trent’ anni «Disastrosi».
È una dichiarazione sorprendente: a essere considerata una catastrofe non è la miseria di massa dell’immediato dopoguerra bensì il suo superamento; per quanto riguarda la questione ecologica, più che il sistema capitalista e la sua caccia al massimo profitto, a essere presa di mira è la lotta delle classi popolari per la realizzazione dello Stato sociale; il capitolo di storia di cui esse sono state protagoniste e di cui ritenevano di poter essere orgogliose si configura ora come un marchio d’infamia.
Ancora:
“Secondo Latouche (2011, p. 72), tanto meno c’è bisogno dello Stato sociale per il fatto che «la miseria è in primo luogo psichica». È un’affermazione che fa trasecolare. Alcuni mesi dopo lo scoppio della crisi del 2008 la fao rendeva noti questi dati: «Oltre un miliardo di persone - un sesto dell’umanità, 100 milioni in più dell’ anno scorso - soffre la fame. Ogni 3 secondi un uomo, una donna o un bambino muoiono di fame».
E non si tratta solo del Terzo Mondo: nei paesi sviluppati «le persone denutrite sono 15 milioni, con un aumento del 15,4% rispetto all’anno scorso»
(“La Stampa”, 10 giugno 2009).
Negli USA - comunicava il Dipartimento dell’Agricoltura - nel 1007 «circa 691.000 bambini hanno sofferto la fame, mentre quasi un Americano su otto ha lottato per nutrirsi adeguatamente, ancor prima della grave crisi economica» (“ International Herald Tribune”, 19 novembre 2008). «La miseria è in primo luogo psichica»?
Inaspettatamente, in un autore collocato su posizioni anticapitaliste, emerge un altro luogo comune caro al conservatorismo di sempre: il luogo comune in base al quale si può essere liberi e felici anche nelle catene, nelle catene dell’oppressione politica come in quelle imposte dalla nera miseria.
“E come liberarsi da una miseria «in primo luogo psichica»? Ma è chiaro: con la «metanoia.» (Latouche, 2011, p. 86), ovvero con il mutamento profondo di mentalità invocato anche dalle religioni.
In effetti, l’autore francese formula le sue raccomandazioni in un linguaggio religioso: accogliere «la buona novella» ovvero la «buona notizia» della decrescita; imboccare «la via della felicità» e «uscire dall’economia»; abbandonare la ricerca del benessere materiale e l’economia «produttrice della banalità del male» per convertirsi all’ «etica»; aspirare al «radicalmente altro» (ivi, pp. 68, 71, 76-7 e 86).
La scelta del linguaggio non è casuale: come le religioni tradizionali, anche quella della decrescita addita la salvezza nella rinuncia ai beni (considerati più apparenti che reali) del mondo materiale.
E la religione della decrescita agisce come «oppio per il popolo» se convince il «popolo» a mettere in questione non la miseria ma la falsa visione che gli fa credere di essere misero, non la fame ma l’immaginazione di essere afflitto dalla fame.
In conclusione, Latouche critica a ragione «i valori della società mercantile» e la loro assolutizzazione, ma non sembra rendersi conto che lo smantellamento dello Stato sociale è la cancellazione di quei luoghi dove la logica del mercato e il culto dei valori mercantili sono in qualche modo neutralizzati.”
11. Non vorrei dilungarmi eccessivamente: la connessione tra tutti gli argomenti in discussione, dalla moneta unica per finire ai suoi attuali corollari della immigrazione e della questione ambientale, per come INEVITABILMENTE sviluppati nell'ambito UE, dovrebbero essere chiari.
Almeno lo sono per "stopmonetaunica" che fa questa sintesi (e poi ci dà preziose fonti sullo "ambientalismo reale" e sul mondialismo neo-liberista ad esso strettamente connesso):
"Finalmente si uniscono i puntini. Von Hayek, decrescita, Malthus, global warming, religione new age, nuovo medioevo globale. Non è solo una guerra economica quella che è in corso, c'è anche un grosso lavoro di educazione culturale che questi odiatori internazionalisti dell'umanità stanno compiendo al fine di assoggettare le coscienze. Tutte le loro politiche non avrebbero avuto così successo se prima non avessero piantato i semi..."
Che, alla fine di questo excursus, ci porta a ribadire, spero in modo organicamente chiarito, che:
"La religione della decrescita è ovviamente complementare all'ambientalismo "reale", quale si sta manifestando in modo imponente sul piano politico-sovranazionale.
E non solo non ne esiste un "altro" (nei fatti reali: semmai delle sottospecie in attesa della normalizzazione autoritativa), ma è veramente difficile non scorgervi una funzione neo-regolatrice anti-statale di importanza essenziale nella strategia dell'ordine mondialista dei mercati.
E' essenziale trovare una legittimazione etica alla rinuncia di massa a ogni prospettiva, non dico "diritto", al benessere materiale.
Anche quello minimo, perchè una volta innescato il processo di "rinuncia" fondato sul consenso individuale ma seriale, (grazie agli strumenti diffusivi utilizzati), grazie al neo-credo filosofico-spirituale, non c'è limite alla instaurazione del nuovo Medio-evo.
Una volta codificata la nuova religione nel "senso comune", poi il passo verso la normativizzazione e l'autoritarismo è breve: l'accettazione diffusa del decrescismo è la premessa necessaria e sufficiente per una nuova società degli "status", sanzionata con implacabile e occhiuta solerzia dai "naturali" dominatori del pensiero...e della proprietà (praticamente di tutto)."
Il che, sempre nel quadro ideologico ed economico tratteggiato, ci fa anche capire perchè, parafrasando Hayek, il post dedicato all'ordoliberismo sia stato intitolato:
Comunque, il mainstream tedesco vede gli squilibri delle partite correnti nell'eurozona come la conseguenza di una perdita di competitività e consumi eccessivi nei paesi in deficit nonchè di deboli investimenti in Germania. Conseguentemente, gli economisti neo-classici tedeschi ritengono che la soluzione consista in restrizioni nella crescita o nei tagli, in assoluto, dei salari nei paesi in deficit."
5. Possiamo dunque domandarci: la Commissione UE ha tratto beneficio da questa analisi (pur direttamente finanziata) e dalla evidenziatura degli "eccessi" ordoliberisti tedeschi?
Si è cioè preso atto, a partire dal 2012, che la tecnica di riduzione dei deficit pubblici, come via ordoliberista alla correzione degli squilibri causativi della crisi dell'eurozona, non portava a significativi benefici in termini di recupero della domanda perduta e, anzi, acuiva e protraeva tale problema, diffondendo la disoccupazione e, quindi, la caduta della domanda?
6. Sì e no: sì, rispetto ad altri Stati dell'area euro, e per di più a condizione che fossero comunque applicate le riforme strutturali del mercato del lavoro; no, rispetto all'Italia che ha avuto sia la più rigorosa austerità che il più solerte programma di riforme strutturali, ottenendo il più alto grado di distruzione della domanda interna e della sua stessa struttura industriale (che, a differenza di quella greca, aveva, agli occhi dei tedeschi, l'imperdonabile difetto di esistere).
Tutto questo, però, secondo lo spinning della nostra grancassa mediatica, non basta mai, inducendo a considerare addirittura benvenuta l'insistenza discriminatoria della Commissione UE sulla intensificazione della deflazione salariale e sulla riduzione della spesa pubblica.
7. Ed è qui che subentra il raccordo col discorso svolto nei più recenti post: analizzare questo percorso ondivago e discriminatorio, rispetto alla congiuntura italiana in comparazione con gli altri paesi UEM, richiederebbe una lunga trattazione che, in gran parte, abbiamo svolto nel corso degli anni su questo blog e che altri, sul piano economico-scientifico, hanno svolto divulgativamente ma anche tecnicamente.
In questa sede preferiamo rammentare il frame politico-ideologico alla base di tutto questo, cioè dell'incredibile vicenda italiana (a nostro parere non inferiore per dimensioni e esiti a quella greca): perché tale "frame" ha a che vedere con l'esigenza assoluta di rimuovere, e nel modo più rapido possibile, il più rilevante ostacolo che gli "internazionalisti dei mercati" vedono rispetto alla normalizzazione italiana: cioè IL NOSTRO ORDINAMENTO COSTITUZIONALE.
8. Un ostacolo considerato ancora più grande delle ormai disarticolate potenzialità concorrenziali del "modello di specializzazione" italiano, in sé fortemente simmetrico e concorrenziale (in un recente passato, almeno), rispetto a quello tedesco.
La ragione è semplice: finchè abbia una qualsiasi vitalità normativa, anche solo teorica, il modello costituzionale del '48, l'Italia può sempre, in teoria, riprendere il suo ruolo produttivo e manifatturiero nell'ambito dell'economia europea e mondiale. E, solo per ciò, costituire una sgradita eccezione alla diffusione incontrastata del paradigma liberoscambista globalizzato ammantato, con la costruzione €uropea, così come con le varie strategie "mondialiste", di un'etica che tende essenzialmente a umiliare il popolo italiano e a mortificare ogni suo merito, come produttori di beni (e servizi), di civiltà giuridica e di cultura della democrazia in generale. Con esiti visti come molto pericolosi per il completamento di questo paradigma, in particolare per la definitica introduzione del TTIP.
9. Ecco che allora, ci riportiamo ai commenti al precedente post che, com'è opportuno che sia, rimontiamo nei passaggi più significativi in una sequenza chiarificatrice:
Proviamo a far un po' di chiarezza e cominciamo dal commento di Bazaar:
"1 - il capitalismo funziona solamente se il reddito viene redistribuito: o si reprime la speculazione finanziaria in favore della domanda aggregata - ovvero no liberismo, sì piena occupazione/stato sociale - oppure la disfunzionalità si manifesta con i cicli (a) sfruttamento lavoro-merce, (b) crisi economica, (c) guerra mondiale, quindi (a), (b), (c), (a), (b)... apocalisse.
2 - la ridistribuzione del reddito - data l'equivalenza denaro = potere - significa "socializzazione del potere", ovvero democrazia, ovvero graduale smantellamento dei privilegi di classe: il capitalismo è utile alle élite se - e solo se - è disfunzionale. Quando la sua disfunzionalità è massima, suprema è l'alienazione tanto della struttura sociale capitalistica quanto quella della persona umana: si prospetta una palingenesi paramedievale.
E qui sta il punto: la distruzione dei mezzi di produzione e del capitalismo stesso per mantenere i privilegi di classe.
3 - sia nel paradigma neoclassico sia in quello keynesiano si postula un "limite alla crescita": è un'ovvietà che le risorse siano "scarse". Non è necessario il "club di Roma" per saperlo: tutti i paradigmi economici ne tengono conto.
Ma quali sono le differenze tra i due grandi paradigmi economici (liberale e keynesiano/socialista)?
4 - Keynes propone di seguire l'avido egoismo del capitalismo funzionale fregandosene delle esternalità negative (quindi dell'ambientalismo) fintanto che l'indigenza non sia stata spazzata via: ovvero le virtù etiche (nella fattispecie il "rispetto dell'ambiente", ma, in senso esteso, qualsiasi tipo di diritto "civile", l'estirpazione della "corruzione", ecc...) dovevano aspettare che il benessere economico, quindi i diritti sociali venissero universalizzati.
La crescita demografica, essendo fondamentale per l'aumento del PIL e la stabilità del sistema finanziario, era assolutamente necessaria fintanto che l'obiettivo non fosse raggiunto.
5 - Il paradigma liberista/neoclassico/neomalthusiano, non contando su alcuna evidenza empirica, è equiparabile ad una religione monoteistica, ovvero al "culto del mercato": il vitello d'oro (gold standard), detto anche "dogma della stabilità monetaria", permette di creare artificiosamente scarsità dell'unica cosa che nella sua essenza numeraria non ha limite: il denaro.
In pratica, il "volume" di risorse che puoi consumare dipende dalla quantità di "metri cubi" che la banca centrale indipendente decide di emettere.
Poiché una certa parte di "volume" di beni non lo puoi "misurare", non lo puoi scambiare: quindi andrà distrutto.
Morale: "stampare" moneta non crea valore, ma non "stamparla" lo distrugge. Una moltitudine di bocche non avranno pane da mangiare e le risorse consumate per produrre i beni distrutti (sovraprodotti) saranno state sprecate.
Come le vite di coloro che con la loro dolorosa dipartita contribuiranno alla decrescita demografica.
D'altronde, secondo i malthusiani, al contrario di Keynes, sostengono che "Ogni nuovo nato riduce il reddito medio procapite".
6 - Il punto fondamentale, come emerge con chiarezza dai post di Arturo, è il progresso tecnologico che avviene in misura sufficiente solo se lo Stato interviene in economia al contrario di ciò che vogliono i liberisti.
Ma se con Keynes saremmo tutti belli, felici e a pancia piena in un mondo che inizierebbe ad occuparsi della deforestazione, perché i liberisti-malthusiani propongono esattamente il contrario con il loro moralismo peloso para-religioso?
7 - Semplice: perché ad ESSI non piace un mondo in cui tutti sono liberi e felici. Non è cool.
Che gusto c'è ad essere ricchi se non ci sono i poveri?
Molto più fico vivere nella foresta incantata dove i superuomini sono principi azzurri che si sposano con le principesse, mentre gli ominidi vivono come bestie e si regolano demograficamente pure da bestie... senza tecnologia e crepando senza sporcare il giardino dei sovrani.
Non sono malvagi: è la loro natura.
8 - Vedi punto 2: Hayek, nell'intervista su Pinochet, dichiara lindamente la connessione tra liberalismo classico e maltusianesimo.
9 - Il "gold standard", ovvero le politiche deflattive, hanno dimostrato di funzionare nei paesi ricchi: si pensi alla Germania o all'Italia.
Il documento della BIS che ho linkato, se il mio ragionamento è corretto, dimostra che il tasso di natalità è inversamente correlato alla deflazione.
Quando la miseria raggiunge un certo limite - come emerge empiricamente in Africa o in Asia - l'istinto alla vita sembra reagire con la sessualità a fini riproduttivi.
Da qui si ipotizzava - in altra occasione - che indirizzare l'attenzione su alcuni diritti civili in un contesto di smantellamento dei diritti sociali, fosse uno degli strumenti propedeutici al controllo sociale: basti citare la promozione massmediatica della sessualità senza fini riproduttivi, le leggi sull'aborto, sul divorzio, sull'eutanasia.
Insomma, in un contesto di miseria generalizzata, l'unica libertà che ci rimane è quella di morire.
Soli.
(Certo, magari ci rimane anche di provare a riprodursi o a copulare innocuamente... sempre che si sia in grado di acquistare precauzioni che ci possano salvare dagli AIDS 2.0 che misteriosamente compariranno... vedi citazione finale)
10 - In conclusione: cosa succede in Europa?
Se non si aumentano i salari e le prestazioni assistenziali distruggendo il "gold standard" - ovvero il dio €uro e Trattati - l'andamento demografico è destinato a precipitare, facendo scomparire i popoli che - unici al mondo - hanno prodotto la cultura democratica e la filosofia della giustizia in terra.
Prima che gli europei ridotti in miseria si riproducano come ratti invertendo la tendenza, può essere "fecondo" americanizzarli alla Kalergi, così come fatto con i nativi americani.
«Ci sono solo due modi per evitare un mondo di dieci miliardi di persone. O i tassi di natalità adesso scendono velocemente, oppure debbono salire i tassi di mortalità. Non c’è altro modo. Ci sono, ovviamente, tanti modi per far salire i tassi di mortalità. Nell’epoca termonucleare si può fare in maniera molto veloce e decisiva. Carestie ed epidemie sono gli antichi modi in cui la natura controlla la crescita demografica, e nessuno delle due è scomparsa dalla scena...»
Robert McNamara, presidente della Banca Mondiale, 2 ottobre 1979
«Cercando un nuovo nemico contro cui unirci, pensammo che l’inquinamento, la minaccia dell’effetto serra, della scarsità d’acqua, delle carestie potessero bastare ... Ma nel definirli i nostri nemici cademmo nella trappola di scambiare i sintomi per il male. Sono tutti pericoli causati dall’intervento umano ... Il vero nemico, allora, è l’umanità stessa».
Club di Roma, The First Global Revolution, 1991"
10. Proseguiamo con alcuni punti salienti dei commenti di Arturo:
"Vorrei anche citare alcuni passaggi piuttosto significativi de "La sinistra assente" di Losurdo (Roma, Carocci, 2014, pp. 261 e ss.), a proposito di Latouche:
"La delegittimazione dello Stato sociale è ribadita in più occasioni a partire da un angolo visuale di volta in volta diverso: «Voler salvare l'occupazione a tutti costi [...] sta a indicare nella maggioranza dei casi un attaccamento viscerale, conscio o inconscio, alla società lavorista» (Latouche, ioo8, p. 104).
Il diritto al lavoro, parte integrante dei diritti sociali ed economici e a partire almeno dal 1848 obiettivo essenziale della lotta del movimento operaio, è così liquidato; ed è liquidato con una presa di posizione che cade alla vigilia della crisi economica che, in Occidente e in altri paesi capitalistici sviluppati, ha condannato milioni e milioni di persone alla disoccupazione, alla precarietà, agli stenti, a una condizione di permanente esposizione al ricatto padronale e quindi di sostanziale illibertà.
La lotta per il diritto al lavoro e la piena occupazione è stata al centro di quelli che in Francia sono chiamati i «Trent'anni gloriosi», gli anni che hanno fatto seguito alla seconda guerra mondiale e che hanno visto l ’edificazione dello Stato sociale e in una certa misura la partecipazione delle masse popolari al miracolo economico. Le diseguaglianze si erano attenuate, «i proprietari privati avevano cessato di controllare le più grandi imprese», si era indebolito il «capitalismo patrimoniale privato» (Piketty, 1013, pp. 219-21).
Senza appello è la condanna espressa da Latouche (2011, pp. 105-6): «se si calcolano i danni subiti dalla natura e dall’umanità», quelli che tradizionalmente sono celebrati come i Trent’anni gloriosi si rivelano in realtà i Trent’ anni «Disastrosi».
È una dichiarazione sorprendente: a essere considerata una catastrofe non è la miseria di massa dell’immediato dopoguerra bensì il suo superamento; per quanto riguarda la questione ecologica, più che il sistema capitalista e la sua caccia al massimo profitto, a essere presa di mira è la lotta delle classi popolari per la realizzazione dello Stato sociale; il capitolo di storia di cui esse sono state protagoniste e di cui ritenevano di poter essere orgogliose si configura ora come un marchio d’infamia.
Ancora:
“Secondo Latouche (2011, p. 72), tanto meno c’è bisogno dello Stato sociale per il fatto che «la miseria è in primo luogo psichica». È un’affermazione che fa trasecolare. Alcuni mesi dopo lo scoppio della crisi del 2008 la fao rendeva noti questi dati: «Oltre un miliardo di persone - un sesto dell’umanità, 100 milioni in più dell’ anno scorso - soffre la fame. Ogni 3 secondi un uomo, una donna o un bambino muoiono di fame».
E non si tratta solo del Terzo Mondo: nei paesi sviluppati «le persone denutrite sono 15 milioni, con un aumento del 15,4% rispetto all’anno scorso»
(“La Stampa”, 10 giugno 2009).
Negli USA - comunicava il Dipartimento dell’Agricoltura - nel 1007 «circa 691.000 bambini hanno sofferto la fame, mentre quasi un Americano su otto ha lottato per nutrirsi adeguatamente, ancor prima della grave crisi economica» (“ International Herald Tribune”, 19 novembre 2008). «La miseria è in primo luogo psichica»?
Inaspettatamente, in un autore collocato su posizioni anticapitaliste, emerge un altro luogo comune caro al conservatorismo di sempre: il luogo comune in base al quale si può essere liberi e felici anche nelle catene, nelle catene dell’oppressione politica come in quelle imposte dalla nera miseria.
“E come liberarsi da una miseria «in primo luogo psichica»? Ma è chiaro: con la «metanoia.» (Latouche, 2011, p. 86), ovvero con il mutamento profondo di mentalità invocato anche dalle religioni.
In effetti, l’autore francese formula le sue raccomandazioni in un linguaggio religioso: accogliere «la buona novella» ovvero la «buona notizia» della decrescita; imboccare «la via della felicità» e «uscire dall’economia»; abbandonare la ricerca del benessere materiale e l’economia «produttrice della banalità del male» per convertirsi all’ «etica»; aspirare al «radicalmente altro» (ivi, pp. 68, 71, 76-7 e 86).
La scelta del linguaggio non è casuale: come le religioni tradizionali, anche quella della decrescita addita la salvezza nella rinuncia ai beni (considerati più apparenti che reali) del mondo materiale.
E la religione della decrescita agisce come «oppio per il popolo» se convince il «popolo» a mettere in questione non la miseria ma la falsa visione che gli fa credere di essere misero, non la fame ma l’immaginazione di essere afflitto dalla fame.
In conclusione, Latouche critica a ragione «i valori della società mercantile» e la loro assolutizzazione, ma non sembra rendersi conto che lo smantellamento dello Stato sociale è la cancellazione di quei luoghi dove la logica del mercato e il culto dei valori mercantili sono in qualche modo neutralizzati.”
11. Non vorrei dilungarmi eccessivamente: la connessione tra tutti gli argomenti in discussione, dalla moneta unica per finire ai suoi attuali corollari della immigrazione e della questione ambientale, per come INEVITABILMENTE sviluppati nell'ambito UE, dovrebbero essere chiari.
Almeno lo sono per "stopmonetaunica" che fa questa sintesi (e poi ci dà preziose fonti sullo "ambientalismo reale" e sul mondialismo neo-liberista ad esso strettamente connesso):
"Finalmente si uniscono i puntini. Von Hayek, decrescita, Malthus, global warming, religione new age, nuovo medioevo globale. Non è solo una guerra economica quella che è in corso, c'è anche un grosso lavoro di educazione culturale che questi odiatori internazionalisti dell'umanità stanno compiendo al fine di assoggettare le coscienze. Tutte le loro politiche non avrebbero avuto così successo se prima non avessero piantato i semi..."
Che, alla fine di questo excursus, ci porta a ribadire, spero in modo organicamente chiarito, che:
"La religione della decrescita è ovviamente complementare all'ambientalismo "reale", quale si sta manifestando in modo imponente sul piano politico-sovranazionale.
E non solo non ne esiste un "altro" (nei fatti reali: semmai delle sottospecie in attesa della normalizzazione autoritativa), ma è veramente difficile non scorgervi una funzione neo-regolatrice anti-statale di importanza essenziale nella strategia dell'ordine mondialista dei mercati.
E' essenziale trovare una legittimazione etica alla rinuncia di massa a ogni prospettiva, non dico "diritto", al benessere materiale.
Anche quello minimo, perchè una volta innescato il processo di "rinuncia" fondato sul consenso individuale ma seriale, (grazie agli strumenti diffusivi utilizzati), grazie al neo-credo filosofico-spirituale, non c'è limite alla instaurazione del nuovo Medio-evo.
Una volta codificata la nuova religione nel "senso comune", poi il passo verso la normativizzazione e l'autoritarismo è breve: l'accettazione diffusa del decrescismo è la premessa necessaria e sufficiente per una nuova società degli "status", sanzionata con implacabile e occhiuta solerzia dai "naturali" dominatori del pensiero...e della proprietà (praticamente di tutto)."
Il che, sempre nel quadro ideologico ed economico tratteggiato, ci fa anche capire perchè, parafrasando Hayek, il post dedicato all'ordoliberismo sia stato intitolato:
Se provo ad accedere al sito dello European Council on Foreign Relations, mi appare una schermata con questa scritta:
RispondiElimina"Forbidden
You don't have permission to access / on this server."
Evidentemente, non facendo parte dell'élite europeista, mi viene totalmente negata una parte nel "riprendere su basi moderne l'impresa di Carlo Magno". Che ne sarà "de la détente, puis de l'entente e de la coopération" fra gli Stati europei e non solo europei senza di me?
Me misero, me tapino!
Però, dopo attenta e laboriosa verifica, mi risulta che i relativi links attivi siano tutti operanti.
EliminaNon è che tu sei "stato nominato" per uscire dall'Isola? :-)
I format pop in fondo nascono proprio per la divulgazione tecno-economico-politica...
Hai visto che a pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca?
EliminaCosa mi consigli? Klondike sulle orme di Paperone o Australia su quelle di Magwitch?
Sì, la sensazione è quella che l’attuale stato di cose si giovi della convergenza di più istanze apparentemente contrapposte, ma che in realtà si rivelano straordinariamente.
RispondiEliminaLe basi del nuovo ordinamento ordoliberalista, infatti, sono consolidate da una serie di sub-ideologie che originano da un pensiero (almeno apparentemente) “di sinistra”: le istanze del femminismo radicale e della tutela degli orientamenti sessuali sono strumentali alla destrutturazione della famiglia tradizionale, ossia dell’ossatura della tradizionale società (la famiglia –come forma di welfare privato- è nemica dell’ordoliberalismo quanto lo Stato), le istanze decresciste, animaliste ed ambientaliste si riducono alla criminalizzazione del benessere diffuso (faccio presente, al riguardo, che la vulgata secondo la quale l’uomo sia nemico del pianeta e degli animali lo considera come qualcosa di “altro” rispetto alla natura, ma così facendo parte dalla stessa premessa antropocentrica che vorrebbe combattere…), le istanze multiculturaliste strumentalizzano il pur nobile principio della tolleranza tra le culture al solo fine di annullarle in un gigantesco minestrone fatto di individui senza altra identità che non sia quella che i mercati gli affibiano (oggi di consumatore indebitato….domani –a crisi scoppiata- di essere immorale che viveva al di sopra delle proprie possibilità).
Intendiamoci, non si tratta di delegittimare queste correnti di pensiero, ma solo di riconoscerne l’oggettivo asservimento ad un ideologia della quale non sono figlie ed all’interno della quale non potranno mai trovare effettiva realizzazione (l’ordinamento ordiliberalista si batte per le quote rosa in politica, non per la cassiera del supermercato che si scopre incinta….). A riprova di ciò, valga l’esempio di Nancy Fraser, una femminista britannica che, guardandosi intorno, qualche domanda se la pone…
http://www.sinistrainrete.info/societa/3123-nancy-fraser-come-il-femminismo-divenne-ancella-del-capitalismo.html
…(in Italia, purtroppo, si rimane ancora drammaticamente prigionieri delle categorie del boldrinismo).
Quanto precede è testimonianza della crisi vissuta dalla sinistra. Vuoi perché li considerava ormai acquisiti, vuoi perché, dopo la caduta del muro, considerava persa quella battaglia ideologica, essa ha abbandonato la difesa dei diritti sociali. Non è vero che –come pensano erroneamente molti piddini- “destra e sinistra non esistono più”. Come si evince seguendo questo blog e quello di Bagnai, è la sinistra che ha volutamente cessato di esistere, mentre la destra (economica) ha continuato a perseguire i propri fini.
(segue)
(segue da prima)
RispondiEliminaIn effetti il capitalismo che si sta affermando sembra portarci verso un nuovo medioevo. Non stupisce, allora, che il costrutto europeo di “mercato senza stato”, si concretizzi in maniera similare all’ordinamento medioevale: la veste statuale serve solo per essere affermata all’esterno nei confronti di altri e diversi sistemi sociali, mentre, dal punto di vista della cosiddetta “sovranità interna”, gli operatori economici più potenti assurgono a novelli feudatari, ponendosi come diaframma invalicabile tra il sovrano ed il popolo. Malthusianamente parlando, poi, al posto della peste nera ci pensa la deflazione.
Molto altro si potrebbe dire, perché l’argomento è lungo e complesso. Ad esempio, leggendo uno degli ultimi post di Bagnai, mi saltano all’occhio queste parole: “la Germania riesce per la terza volta in un secolo a portare l'Europa in guerra contro gli Stati Uniti, senza alcun particolare costrutto per se stessa[…]ci aspettano gravi tensioni internazionali”, che, unite a notizie come questa (che spero sia non vera)…
http://www.difesaonline.it/mondo-militare/svilupperemo-un-nuovo-aereo-dattacco-al-suolo-berlino-stupisce-tutti-ed-insidia-lf-35
Non configurano proprio una bella prospettiva! E’ da un po’ di tempo che mi suonano in testa le parole “oggi l’euro, domani la Wermacht”: personalmente non ci credo e non voglio crederci, ma la storia ha più volte dimostrato che le distanze tra tensioni economiche, politiche e…. militari sono molto più brevi di quanto appaiano….
Mi riporti sul piano frattalico (il che fa sempre provare un terribile senso di...liberazione potenziale).
EliminaPer scuotere veramente gli USA, inebriati dall'utilità tedesca nel ripristino in €uropa del lavoro-merce e nella distruzione dei diritti sociali, ci vuole qualcosa di molto sostanzioso sul piano della loro destabilizzazione finanziaria.
Vedremo: può essere di no, ma può essere che si abbia un processo accelerato.
In fondo, gli USA mantennero atteggiamento ambiguo fino alla fine del 1942 (senza mai cessare rapporti commerciali...)
Particolarmente illuminante, e anche un po' inquietante :) quest'ultimo post di 48. Tutto si tiene.
RispondiEliminaSi è creata – e ci sono voluti circa 40 anni di paziente attività “para-istituzionale” – una cornice, un frame, un insieme di disvalori e convincimenti del tutto indimostrati, ma che spesso si adattano al modo primordiale di ragionare di molti (non) cittadini, entro cui si iscrive ogni fenomeno sociale, e al di fuori del quale nulla esiste.
D’altra parte, una volta tracciato il cerchio magico, non è possibile appartenervi solo in parte, stare con un piede dentro e uno fuori.
Anche per questo motivo, non penso che questo Potere paranoico e fanatico, oggi che è compiutamente istituzionalizzato, si lascerà infiltrare e combattere dall'interno, come invece fece esso stesso, sfruttando le naturali aperture e anche le imperfezioni dei sistemi democratici.
NON parafrasando Keynes, ci attende un’opera di lungo periodo…
Un potere oligarchico, nel caso plutocratico, è difficile, se non logicamente impossibile, infiltrarlo: è come l'accesso alle informazioni veramente rilevanti per effettuare investimenti. Nel momento in cui le avessi, saresti tanto ricco da avere interessi comuni ad ESSI e opposti a quelli della democrazia.
EliminaConcordo. Ma c'è di più, come emerge dai tuoi post e da molti bellissimi commenti. Siamo di fronte a un potere che ha molte caratteristiche in comune con una setta religiosa, che in tutto deve conformare la vita dei cittadini e al di fuori della quale non può esservi né essere concepito nulla.
EliminaÈ un potere prima di tutto "spirituale", si respira nell'aria, come mai prima nessuna religione è riuscita a realizzare.
Le VERE regole di funzionamento non sono scritte, perché in tal caso sarebbero questionabili e "discutibili", anche solo nella forma del dialogo interno.
Non c'è modo di non farvi parte, non c'è spazio più nemmeno per il matto del villaggio. Nessuno può essere un disadattato, tanto meno tra i poveracci e gli schiavi, che devono essere i più convinti e fanatici per meritarsi il passaggio al livello successivo del gioco. L'entry level, il primo rito di passaggio, è un lavoro a titolo gratuito in cui inc*lare il prossimo.
Ciao Quarantotto scusami se vado fuori tema, ma volevo complimentarmi per il tuo ultimo libro " LA COSTITUZIONE NELLA PALUDE" che ho appena finito di leggere. L'ho trovato un capolavoro: trattando materie complesse, che in teoria non sono accessibili a tutti, la lettura è stata incredibilmente scorrevole, piacevole e facilmente comprensibile. Come con un romanzo giallo che si legge veloce per arrivare più in fretta alla fine per scoprire il colpevole.
RispondiEliminaGrazie di averlo scritto, sicuramente ha accresciuto la mia consapevolezza.
Grazie, sei un amico (ma lo sapevo) :-)
EliminaMentre continueranno a sterminarci in linea con il loro manifesto, in modo parallelo andranno tuttavia avanti con il loro programma alimentare mondiale (WFP) che ha stabilito una “partnership strategica” anche con l’Unione Europea, un’asse fondamentale per incanalare crescenti energie e risorse nella lotta contro la fame nel mondo e per intervenire nei teatri di crisi umanitaria”. E ci sensibilizzeranno con la loro “Pubblicità Progresso” sempre più aggressiva e paradossale.
RispondiEliminaChissà se faranno una capatina anche in Grecia o se l’austerità vale anche nelle elemosine.
Non solo di ambientalismo e di decrescismo vogliono farci crepare, ma anche di umanitarismo.
P.S. a me il libro è stato consegnato da Feltrinelli due giorni fa, dopo un mese dall’ordine
Non concederei al nemico, neanche come artificio retorico, il riconoscimento della bontà della tesi secondo cui esiste un nesso inscindibile fra, da una parte, sviluppo economico e benessere più o meno diffuso e, dall'altra, le "esternalità negative" (inquinamento, diminuzione della biodiversità, deforestazione, desertificazione, …).
RispondiEliminaLe c.d. esternalità negative sono il prodotto delle attuali modalità di produzione e dell'assetto socioeconomico. Ad esempio, la stagnazione dei salari rispetto alla produttività è uno dei fattori che contribuisce ad abbassare i prezzi dei beni prodotti per mantenerli appetibili ai salariati stessi (il credito al consumo solo in parte può sopperire), ma contestualmente:
1) ne abbassa la qualità e la vita utile;
2) incoraggia la sostituzione con prodotti nuovi anziché la riparazione (esigenza sempre più spesso ignorata in fase di progettazione), favorendo la saturazione delle discariche, più che quella dei mercati (anzi, per molti prodotti rendendo marginale o inesistente il mercato dell'usato);
3) favorisce le delocalizzazioni, la ricerca di lavoratori mal pagati, con diritti sindacali inesistenti e condizioni lavorative pessime, quando non di semi-schiavitù, e di leggi ambientali carenti o inesistenti;
4) mette in competizione al ribasso società/economie/sistemi produttivi creando una retroazione negativa che chiude il circolo vizioso (finché dura…).
Il tutto in nome di (presunti) efficientamenti di micro livello, che a livello macro si rivelano un colossale spreco: di energia, materie prime e, quel che è peggio, di esistenze umane.
Riguardo quest'ultimo aspetto: da un po' di tempo insistono molto sul fatto che Keynes si sarebbe sbagliato riguardo fattibilità e desiderabilità di una settimana lavorativa di 15 ore tanto da dedicare al tema persino un libro. Sono fermamente convinto che lo scopo sia sempre lo stesso: precluderci una vita equilibrata, tenerci occupati, toglierci il tempo per poter pensare, studiare, scoraggiarci dal partecipare realmente alla vita politica, come scrivevano nero su bianco in un libro del 1975 pubblicato dalla Commissione Trilaterale.
In realtà non esiste alcun nesso di necessità fra benessere per il genere umano e malessere per la "Natura". La contrapposizione è frutto di uno sviluppo storico/ideologico/culturale particolare che possiamo e dobbiamo correggere con le risorse intellettuali e materiali che abbiamo a disposizione già da tempo. Processo già in parte avviato (cfr. ad esempio ecologia industriale: «L'idea centrale è l'analogia tra i processi di interazione dei sistemi naturali, dove non esiste il concetto di "rifiuto" (cicli chiusi).») ma intralciato proprio dall'ideologia che propone/impone lo Stato minimo e il mercato senza regole come il migliore dei mondi possibili.
Per i decrescisti, innanzituto una domanda: se prendo un terreno degradato/desertificato e lo riabilito (lo faccio tornare verde), cioè ne aumento il valore, il PIL aumenta o diminuisce? Poi tre video…
* Greening the Desert
* Green Gold
* From Desert to Oasis in 4 Years
… e due letture omaggio:
* Permaculture and the Myth of Overpopulation
* Transition In An Age Of Austerity: Geophysical scarcity and constructed scarcity
Rallegramenti: hai fatto una notevole raccolta di fonti per focalizzare punti spesso non abbastanza approfonditi.
EliminaUn'espansione commentata della rassegna di tali fonti (che ne incoraggerebbe a livello divulgativo la lettura), meriterebbe un apposito post.
E sarei ben contento di pubblicarlo
Comunque non gli entra in testa.
EliminaSpiegar loro che la globalizzazione ha bloccato la diffusione dell'innovazione tecnologica, ottenendo competività con lo sfruttamento del lavoro schiavile piuttosto che con l'investimento, è troppo difficile.
D'altronde, da bravi gakeepers, i malthusiani catastrofisti ti spaventano con i cataclismi di Gaia distraendo dal fatto che prima ci sarà quello finanziario, che non è dovuto al picco del petrolio, ma è frutto di una precisa scelta politica di classe: moriranno di stenti per la scarsità indotta dalla neoliberale "stabilità dei prezzi" che rende "credibili", non sicuramente per il global warming, l'inquinamento o le carestie indotte proprio dal paradigma socioeconomico che inconsapevolmente abbracciano.
Dei geni.
(Con l'attenuante della vergognosa disonestà intellettule di chi fa informazione economica: il Bruno Leoni è il Santa Rita dell'economia italiana...)
Pare uno scoglio insormontabile considerare che la diminuzione dell'EROEI impatta esclusivamente salari e welfare perché nel conflitto distributivo nel mondo globalizzato è il capitale a farla da padrone.
Giustamente, esistendo "i liberisti", la scienza economica è un'opinione, quindi lo smantellamento del welfare non è una questione sociopolitica ma è un problema fisico-tecnico.
Orge di equazioni differenziali per descrivere "sistemi complessi" senza rendersi conto che l'Uomo è parte esso stesso del sistema: comprendere la naturale contraddizione dialettica che l'Uomo - in quanto parte del sistema - è contemporaneamente, "quantisticamente" - sia problema che soluzione è, a questo punto, pretendere davvero eccessivamente.
Sarebbe capire che esiste un libero arbitrio, una crisi, ovvero una scelta politica in una dialettica conflittuale che conforma i sistemi sociali integrati nell'ecosistema.
D'altronde è "filosofia" comprendere che il consumismo "low cost" è diverso da quello "high wage".
Ma "high wage" e Stato sociale non piace ai decrescisti, impegnati nel downshifting....
«Dobbiamo preparaci ad una miseria a cui non siamo assolutamente abituati, ma che ci farà molto bene perché toglierà di mezzo tutti i bisogni inutili. È una grande opportunità»
Beppe Grillo, marzo 2009
Quest'estate ho cambiato il frigorifero made in CCCP alla nonna di mia moglie: l'elettrodomestico aveva 47 anni.
obsolescenza programmata
EliminaSalvo
Attenzione però a non fare loop mentali per cui criticando il downshifter si finisce per criticare chi cerca personalmente un altro modo di vivere.
EliminaL'attuale sistema di disvalori si è incistato sul precedente modello di società, ne è un cancro, certo, una beffarda negazione ma ha pur sempre potuto partire da esso, sfruttandone le strutture, i limiti e contraddizioni, le parole e per certi aspetti il linguaggio.
La reconquista parte anche dal domandarsi QUALE lavoro, quale reddito, quali consumi, quale produzione ... i boschi si possono coltivare oppure radere al suolo ...
Accolta l'obiezione che ogni presa di posizione, ogni critica ad alla promozione di modelli "morali" va storicamente e socialmente contestualizzata: questo vale attualmente - soprattutto - con il problema dei diritti civili.
EliminaQuindi l'obiezioni che fai - giusta - vale praticamente su tutto il politicamente pensabile.
Tutti i modelli propagandati (diciamo, per comodità, almeno dal '68 in avanti) sono intrisi di una qualche forma di moralismo "esistenzialista": quindi tutte le volte che si fa una una critica di natura sociopolitica, "essenzialista", ci si trova ad affrontare l'emotività dell'interlocutore.
È marketing: esiste solo emotività. Non c'è niento di più pervasivo della "manipolazione emotiva".
Può trasformare la persona più intelligente in quella che Matteo chiamò "mente elementare".
Questo vale soprattutto per l'ideologia progressiva della sinistra moderna. Che ha più a che fare con il "modernismo reazionario" dei finanziatori dell'ambientalismo che con il progresso sociale.
Perotti è stato lanciato (come al solito da Chiarelettere...) poco prima della Grande Recessione e ho cari amici manager e professionisti d'alto livello che hanno seguito il suo esempio.
Per poi pentirsene: hanno magari dimezzato il reddito per "aver più tempo per sé" ed ora, dopo anni di crisi, stanno tornando a lavorare agli stessi ritmi ma con il reddito dimezzato.
È angosciante quell'intervista rilasciata all'inizio della più grande depressione della storia moderna.
Casuale?
Questa della rivoluzione che "inizia da noi stessi", è una delle tante genialiate "fabian style".
Reazionarie come da tradizione.
Chi non accetta il sistema e vuole cambiare vita, una volta si sarebbe detto che avrebbe dovuto contribuire con il suo "impegno".
Politicamente.
Infatti dopo la cura Monti non sa più come arrampicarsi sui vetri.
Le considerazioni che fai sono corrette, ma non si raggiungono gli obiettivi che poni facendo quella cosa da ricchi che è fare gli Hippie: quelli sono obiettivi di politica industriale conformi alla Costituzione.
Non condividi che Perotti si sia prestato a farsi strumentalizzare dalla finanzia predatoria e deflazionista?
Caro Quarantotto,
Eliminati ringrazio per l'apprezzamento. Quali temi pensi possa essere interessante sviluppare, magari tramite traduzione di passaggi dai link che ho riportato? Questo pomeriggio e domani sarò occupato, ma possiamo riparlarne (anche privatamente se ritieni sia il caso).
Il mio intento era quello di suggerire che, anche in questo caso, non è vero che non esistono alternative e non è vero che la situazione si evolve sui rigidi binari di una "traiettoria culturale" (come direbbe Cesare Pozzi) immutabile.
Tant'è vero che lo stesso ritorno del liberismo è stato un cambiamento di traiettoria culturale piuttosto rapido in rapporto alla vastità dei cambiamenti che ha indotto ed ha, come cercavo di sostenere nel precedente commento, reso molto più iniqua e insostenibile la situazione. Il conflitto distributivo si intreccia con la questione ambientale, non si può affrontare la seconda prescindendo dal primo.
Questo è un dato di fatto che a chiacchiere e in modo molto confuso viene riconosciuto da un certo ambientalismo "ingenuo", con funzione di intercettazione del dissenso (i tanti blablabla sul neoliberismo cattivo) e però spesso o ne introietta i dogmi (es.: completa avversione per l'inflazione e, a volte, persino l'elogio del gold standard in modo più o meno surrettizio) o propone una reazione di completo rifiuto e fantastica di una fuga dal sistema che non ha alcuna possibilità di concretizzarsi per il carattere totalitario dell'assetto socioeconomico che ESSI stanno costruendo.
Se non hanno lasciato in pace gli indigeni (altro che decrescita!) e li hanno costretti in territori sempre più inospitali (quando non li hanno sterminati) perché credete che lasceranno in pace voi?
Le traiettorie culturali si possono indirizzare e gli ambienti più disparati stanno attaccando il problema da molteplici punti di vista. Il problema semmai è convincere i cittadini che né l'azione spontanea individuale né le non tanto invisibili manine che maniplano i mercati "liberi" (da un controllo democratico) tramite la manipolazione del contenuto delle zucche degli "agenti economici" (noi) ci porteranno su una traiettoria culturale sostenibile ad un prezzo accettabile (guerre, miseria, carestie, regimi autoritari, sterilizzazioni forzate, ecc... non sono un prezzo accettabile).
L'ordine dei problemi che abbiamo davanti deve essere affrontato a livello sistemico per risultati efficaci in tempi utili (e questo preclude la reale efficacia dell'azione scoordinata e al solo livello individuale, come avete già fatto notare in vari commenti) e tramite un dibattito democratico (quindi il più possibile scevro da interferenze di interessi "pelosi") se vogliamo che il costo della transizione su altra traiettoria sia accettabile per la più ampia parte dei cittadini.
La seconda condizione richiede necessariamente l'esistenza dello Stato nazionale come intermediario verso il livello superiore delle istituzioni sovranazionali (non torno sulle motivazioni di questa necessità, sono state ampiamente sviscerate sia qui che su Goofynomics).
Non sono pregiudizialmente contrario al cambiamento della propria situazione individuale: se riesce, può servire a trovare un equilibrio e l'energia per affrontare le sfide che abbiamo davanti. Ma è illusorio pensare sia una soluzione definitiva. Altrimenti rischiamo davvero che la soluzione adottata sia quella finale di farci scendere, in massa e senza tanti complimenti, da questa palletta sparata nello spazio.
Le giuste considerazioni che aggiungi sono "sistemiche" e politico-metodologiche. esigerebbero un...librone per essere compiutamente esposte. E d'altra parte sia qui che su goofynomics, come sottolinei, sono state con continuità affrontate e persino dettagliate (lo Stato nazionale come luogo unico "possibile" della democrazia reale e storicamente accertabile, purché si rimanga nell'area del costituzionalismo contemporaneo, è il tema dei temi, oggi più che mai).
EliminaFerma la disponibilità a confronti diretti e privati di dettaglio, mi limitavo a un suggerimento-invito circoscritto e "tematico".
Il pregevole percorso di fonti che hai individuato consente lo svolgimento del tema col solo espandere, riassumendoli criticamente, i risultati di questa tua ricerca che, già in sè, descrive una capacità di focalizzare e di indurre e dedurre.
In poche parole, il post è, con un relativamente minimo sforzo "estrinsecativo" di un'attitudine già espressa, un risultato ed un percorso già da te interiorizzato.
Basta esprimerlo con l'animus di divertirsi a farlo :-)
Grazie comunque per qualsiasi cosa vorrai intentare...
Quarantotto le mie considerazioni del secondo commento sono una modesta aggiunta allo scambio che state avendo con Duccio: in parte ripropongono concetti che avete già espresso, ma da un'angolazione e con un linguaggio diversi; a volte può servire. Non pensavo di poter approfondire il tema con un singolo post, non sono ancora arrivato a tali livelli di megalomania. :-)
EliminaRiguardo l'approfondimento mi riferivo ai soli link del commento precedente: vedremo se riuscirò a comunicare(*), in modo sufficientemente chiaro e succinto, i tentativi non di uno specialista ma di un semplice cittadino curioso di comprendere alcuni aspetti del funzionamento delle nostre società "avanzate" e di dare un senso e un ordine alla cacofonia di messaggi, a volte molto allarmanti (allarmistici?), da cui siamo bombardati.
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*) Non sono mai particolarmente soddisfatto di come scrivo, ma l'urgenza di comunicare mi aiuta a non rimanere bloccato in eterne riscritture, quanto meno quando si tratta di testi brevi come i commenti ad un blog.
Grazie per la risposta Bazaar.
RispondiEliminaNon conoscevo Perotti prima del tuo penultimo commento, immagino che faccia il downshifter di professione (come sempre la situazione non è seria...), il che sarebbe una conferma della tua ipotesi di strumentalizzazione... perché, si sa, nei regimi 'liberali' esistono solo professioni autorizzate.
Sicuramente in un sistema privo di senso come quello in cui viviamo c'è bisogno di qualche "droga" che accontenti anche l'1% dei più intelligenti del 99%, dando loro l'illusione di una possibile per quanto radicale via di uscita.
Probabilmente è un servizio che il sistema metterà a disposizione del pubblico ancora per poco tempo, avendo il sistema sempre meno bisogno di persone intelligenti nei ranghi intermedi e per la probabile ilarità quando non irritazione che la figura del downshifter potrebbe generare nella presente "congiuntura".
Tu dici che chi non accetta il sistema e vuole cambiare vita dovrebbe farlo in maniera non egoistica, agendo politicamente.
Ora, cosa vuol dire, concretamente, "politicamente"? Agire dall'interno, attraverso le stesse istituzioni create o addomesticate dal Potere? Immagino che non pensi questo. Provare a cambiare QUESTO sistema dall'interno significa, in ogni settore (politica, mondo del lavoro, volontariato...), essere degli utilissimi idioti, infinitamente più idioti di quelli che lo hanno accettato per paura o convenienza.
Significa essere, più o meno senza volerlo (qualche benefit si sa, ogni tanto arriva...), i più efficienti ingranaggi del sistema.
E per come funziona il mondo del lavoro odiernamente, nel privato come in moltissime aree del pubblico, non ti viene nemmeno lasciato il tempo materiale oltre che la tranquillità e la lucidità mentale, per fare qualcosa di importante al di fuori del lavoro.
Allora mi domando: Perotti a parte, cambiare la propria vita radicalmente non può costituire il primo passo per trovare energie, tempo, lucidità per cominciare a costruire, politicamente, certo, qualcosa di diverso?
Agire politicamente significa "agire dall'interno "attraverso" le istituzioni create o addomesticate dal Potere"?
EliminaO sei molto/piuttosto giovane e non hai letto il blog; o sei molto indietro nel liberarti dalla sintassi ordoliberista-pop (a tua insaputa) e leggere il blog sarebbe (eventualmente risultato) inutile (mea culpa).
Questi discorsi mi fanno tenerezza e provo sincera simpatia: potresti "cambiare la tua vita radicalmente" e rimanere lo stesso sotto l'asfaltatrice, anche se ti racconti di rimanerci diversamente da "tutti" gli altri.
Forse ti sfugge, ma assumere questo atteggiamento coincide con l'aspirazione del senso comune di un paio di recenti generazioni: cioè, esso è destinato ad essere il neo-conformismo praticamente comune a tutti, nella stragrande maggioranza dei casi, non certo dell'1%.
UN GRANDE SEDATIVO.
Vogliamo metterci l'elettorato del "movimento" quasi integral(istica)mente, più buona parte di ogni forma di partito di sinistra (e perchè no? anche di destra: tanto sono tutti spaghetti-libbberisti a loro insaputa), più vari movimenti antisistema, più, e questo è quello che "conta", praticamente tutti gli astensionisti?
A livello esistenziale, o chiamalo, psicologico, individualmente, tutto questo insieme di soggetti/e la pensa sostanzialmente così, come hai appena esposto.
Chi vorrebbe farsi divorare dal sistema neo-liberista della iperproduttività e della deflazione salariale, sostenerlo, e dirsene pure entusiasta sostenitore?
Faccio notare che lo spin dura da oltre 30 anni...E dunque, fuga dopo fuga, "orore" dopo "orore" di essere "utile idiota", poi finisce che il mondo del lavoro "funziona odiernamente in questo modo". L'inferno lastricato di "resistance is futile"...
Se in tal modo la maggioranza schiacciante è "antisistema" (e nei termini che hai appena definito, lo sarebbe), e comunque ci ritroviamo in questa situazione, c'è qualcosa che non va.
Se tutti si autodefiniscono "speciali" nessuno lo è.
E quello che non va non è il dichiararsi pro-sistema (tutti sono d'accordo su questo punto: istituzioni-brutte, create o manipolate dai cattivi).
Domandarsi come questo mero istinto di pseudo-fuga self-centred sia divenuto dominante, semmai, è l'indagine interessante da fare per cominciare a cambiare se stesso.
E cambiare se stessi significa attaccare in profondità le PROPRIE convinzioni, cominciando dalle più sacre e incontrovertibili. Non quelle dei cattivi, come fanno...tutti, credendo di poter, su queste basi, tessere un dialogo con gli altri che è solo un monologo di autolegittimazione di chi non crede più di poter imparare nulla...
Ma non avertene a male se : quello che ho appena detto, l'hai certissimamente già sentito e confutato dentro te stesso con argomenti inoppugnabili. Ne sono sicuro
L'ho già sentito, anche se non esposto con la lucidità che ti caratterizza. Non ho argomenti da opporre, né mi sono dato risposte che mi convincano del tutto.
EliminaForse si tratta di questioni generazionali. Per le generazioni over 50, ritengo che la tua analisi sia del tutto corretta, sono le ultime generazioni che hanno vissuto anche in un altro sistema, che hanno visto cambiare in quello attuale senza darsene una ragione. Vorrebbero, se potessero, "uscire" da un mondo che non capiscono e in cui si trovano a disagio. Ma non mi riferivo a loro quando parlavo dell'1% dei più intelligenti del 99%... loro sono il 99%, ovviamente.
Nelle nuove generazioni mi sembra di vedere un'accettazione convinta e non discussa dei meccanismi di funzionamento del sistema, come noi "accettiamo" che sia la Terra a girare intorno al Sole. Ci stanno dentro e cercano di nuotare.
In tutto ciò la vicenda del downshifter richiamata da Bazaar mi sembra molto marginale statisticamente, ma significativa per la nicchia di mercato sociale che va occupare, tendenzialmente quella di coloro che dal sistema hanno ritratto vantaggio ma se ne sentono bruciati (super manager alla Richard Gere che decide di mollare tutto, perché nel fondo dell'animo si era sempre mantenuto puro o, per rimanere ai casi di cronaca, Jeff Bezos che nei primi anni 2000 dice di lavorare max 4-5 h. / giorno o bestseller come questo questo )
E qui il messaggio che si vuole trasmettere è di grande magnanimità e assai utile a spegnere ogni sospetto di totalitarismo: se vuoi uscire, puoi farlo, accertati soltanto di avere i soldi per farlo (per inciso, googlare tutti i metodi che insegnano a noi poveracci come crearsi delle rendite perpetue e uscire dalla schiavitù del lavoro).
PS grazie per avermi dato del molto/piuttosto giovane :)
Non so se ci può essere un downshifter "professionista": Perotti vende dei libri.
RispondiEliminaInoltre "l'egoismo" è una categoria morale che non trova spazio in questa riflessione: sicuramente il risultato massmediatizzato è antipolitico e atomizzante.
Il punto non è di per sé Perotti: è promuovere decrescita e downshifting durante lo smantellamento forzato del tessuto industriale.
Come persona e professionista avrà fatto il suo percorso. Rispettabile come tanti altri.
Un altro discorso è l'analisi "asettica" - "essenzialista" - del messaggio che viene diffuso dai canali di informazione "alternativi" come è stato beppegrillo.it
Invece di lavorare di meno *E* guadagnare di più come le lotte sindacali storiche rivendicavano, qui il messaggio è andare a guadagnare di meno, andare a vivere in campagna senza luce e gas, per fare ciò che si sognava di fare da bambini e che la "malvagia società dei consumi" - materialista e carrierista - non ci ha permesso di realizzare...
Se tutti facessero così mi chiedo chi mai potrà permettersi il lusso di comprare i libri: tanto vale, per iniziare ad intraprendere questa vita ascetica, trasferirsi in Grecia.
O rimanere in Italia ancora per un paio d'anni.
(Tra l'altro da quando il metano è diventato una roba da sciur, ad Atene l'inquinamento è esploso visto che si è tornati a bruciare legna per scaldarsi)
Ho citato i "Fabiani", poi, per una fondamentale discussione all'interno del movimento socialista storico: dove sta scritto che la crescita personale - ovvero questa rivoluzione che dovrebbe "iniziare da noi stessi", nella pace e tranquillità - deve essere supplementare alla propria partecipazione politica tramite il lavoro?
La dignità sociale *O* la crescita spirituale?
L'esistenza libera e dignitosa *E* lo sviluppo della persona umana.
Seconda comma terzo articolo della Costituzione Italiana.
E come si difende questa esistenza libera e dignitosa permessa da un lavoro adeguatamente retribuito?
Con il proprio impegno politico che - come ricordava Calamandrei - fa sì che la nostra Costituzione non rimanga carta morta.
Per ogni decrescista c'è uno squalo della finanza che si frega le mani.
Questo dovrebbe essere un vero "downshifter" da promuovere nel 2016:
« It is alarming and also nauseating to see Mr. Gandhi, a seditious middle temple lawyer, now posing as a fakir of a type well known in the east, striding half-naked up the steps of the viceregal palace, while he is still organizing and conducting a defiant campaign of civil disobedience, to parley on equal terms with the representative of the king-emperor.»
- Winston Churchill, 1930
Mi sembra che dissentiamo su un aspetto rilevante: se ho ben compreso, tu e 48 ritenete possibile una partecipazione politica tramite il lavoro. Io non lo ritengo possibile per la maggior parte dei "posti" di lavoro, che spettano solo a chi si conforma e finché si conforma. Già, ci vorrebbero i sindacati...
RispondiEliminaPer il resto concordo, però il punto di dissenso mi sembra rilevante.
Per fortuna che "dissentiamo" su questo aspetto (lievemente, aggiungo) "rilevante".
EliminaAltrimenti mi mandavi in paranoia Quarantotto :-)
Non hai letto né blog, né libri: quindi hai ancora tutto il tempo davanti a te per fare la tua "personale rivoluzione".
Una "rivoluzione" che non sarà la supina accettazione dell'esistente, come nel caso del "downshifter" che prende la "pillola blu" e torna a fare la batteria biologica narcotizzato dalla Matrix.
Una "rivoluzione personale" che consentirà di sentirti parte di una comunità sociale nella quale, attraverso quelle attività e funzioni proprie del lavoro, si contribuisce - con il proprio sviluppo personale! - alla crescita materiale e spirituale della società.
Noi non consideriamo la persona umana un individuo astratto, ma centro di rapporti sociali.
Il lavoro è il mezzo con cui l'individuo, riconquistata la sua dignità umana, contribuisce alla vita politica del Paese.
La sua effettività come diritto e dovere, è determinante per la materializzazione della democrazia e il relativo esercizio della sovranità popolare.
È il fondamento della nostra Repubblica.
A tal proposito, posso suggerirvi di ascoltare questa storia, che in effetti è la nostra storia?
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