Pubblichiamo questo post di Bazaar come introduzione a una serie di approfondimenti sul paradigma liberista e sulla sua etica del relativismo.
L'illusione che ogni individuo possa da sé dettare le regole per meglio governare il proprio particulare è sempre propagata al fine di preservare il governo effettivo dei pochi sui molti.
Si dà luogo, in questo modo, a un processo continuo e inarrestabile (per necessità di autoconservazione del potere sociale) per cui ogni fenomeno sociale, e persino psicologico, deve essere fatto oggetto di ribaltamento o dissimulazione.
Si dà luogo, in questo modo, a un processo continuo e inarrestabile (per necessità di autoconservazione del potere sociale) per cui ogni fenomeno sociale, e persino psicologico, deve essere fatto oggetto di ribaltamento o dissimulazione.
E ogni disvelamento di tale meccanismo diventa "complottismo": e ognuno di tali complottismi, in questa pretesa visione di tolleranza (ossimorica), si connetterebbe (nell'intera storia dell'umanità!) a forme psicotiche che minacciano l'ordine sociale "naturale" (che come tale non ammette conflitti, se non come deviazioni patologiche).
Alla base di questa para-logica, infatti, c'è un Dio, molto poco trascendente e del tutto storicizzabile, che tuttavia deve farsi "assoluto", senza che tale processo sia manifesto o percepibile: il mercato. Un Dio che ci deve apparire soffuso di apparente apertura e tolleranza, per farsene legittimamente derivare ogni altro ribaltamento e dissimulazione.
Per i brani in inglese trovate la traduzione in nota.
La lettura delle note è, in ogni caso, fortemente consigliata.
La lettura delle note è, in ogni caso, fortemente consigliata.
Introduzione: lo studio della
storia come processo di revisione.
«Non mi intendo di inconscio e di profondo, ma so che pochi se ne intendono, […] non so, e mi interessa poco sapere, se nel mio profondo si annidi un assassino, ma so che vittima incolpevole sono stato ed assassino no; so che gli assassini sono esistiti, non solo in Germania, e ancora esistono, a riposo o in servizio, e che confonderli con le loro vittime è una malattia morale o un vezzo estetico o un sinistro segnale di complicità; soprattutto, è un prezioso servigio reso (volutamente o no) ai negatori della verità.», Primo Levi, “La zona grigia”«Hitler confessò di sperare che un giorno, in Germania, fosse considerato un disonore fare il giurista, queste sue parole erano perfettamente coerenti con il sogno di un Paese ridotto a un perfetto sistema burocratico.» Hannah Arendt, “Alcune questioni di filosofia morale”, p.13, ET Saggi, 2003
Si cercherà di fornire qualche
spunto di riflessione che metta in collegamento il liberalismo, il suo rifiuto
sostanziale[1]
nella Costituzione repubblicana, e il suo ritorno imposto dall'esterno.
Non è ovvio constatare che
tramite l'analisi economica del diritto e l'indagine scientifica che sottende,
possa essere interessante revisionare tanto la storia del pensiero
economico e filosofico, quanto la
Storia tout court.
Il problema è evidente: tra la Storia e la memoria storica
c'è di mezzo la propaganda (narrazione in politichese corretto).
Ciò che è da propagare (da
“narrare”) dipende da come viene risolto il conflitto sociale: la classe
dominante della nazioni dominanti controlla tanto i mezzi di comunicazione,
quanto l'istruzione fino ai livelli
superiori.
Possiamo così semplicemente
dedurre che lo studio storiografico necessita di una continua revisione, non
tanto di fatti – ovvero la ricostruzione documentata di eventi, la cronaca
– quanto della loro analisi ed
interpretazione; sulla ricostruzione è necessario poggiarsi sul lavoro degli
storici in senso stretto, dei geografi, degli archeologi, ecc., mentre per la
loro analisi sono necessarie competenze specialistiche di altre scienze sociali
come quelle dei sociologi, degli etnologi, dei demografi o – con un rilievo
particolare per la storia moderna –
degli economisti.
Uno storico liberale
tendenzialmente arriverà a conclusioni differenti dello storico marxista: lo
studio della storia dovrebbe essere per definizione un processo di revisionismo:
è sufficiente accettare o meno la legge di Say per aver un quadro
opposto e contraddittorio nelle analisi delle dinamiche storiche.
Non pare quindi necessario
sostenere come gli allievi di Derrida che «i fatti non hanno realtà,
conta solo il testo che li racconta»: c'è un doppio aspetto, uno positivo
(che invalida l'interpretazione letterale dell'asserzione derridiana,
lapidariamente relativista e “orwelliana”), ed uno di carattere
analitico che è, ad esempio, funzione del paradigma scientifico di riferimento
(che a sua volta dipende dall'ideologia – dall'etica e dal particulare –
dello scienziato sociale).
1 – “L'inestimabile contributo
di Popper” (cit. Dugin) e il cospirazionismo.
«Il nostro secolo manca di veri filosofi, liberati dagli indottrinamenti e dai giochi di appartenenza a una scuola, attenti alla vita che ci circonda, felici di affrontare i veri problemi, mettendo a repentaglio se stessi» F. Braudel, “Storia, misura del mondo”«Sono un nemico della società aperta.», Bazaar
Questa brevissima riflessione sul
“revisionismo” porta con sé un corollario: qualsiasi argomentazione contro
la narrazione mainstream non
può che essere “cospirazionista”.
Ovvero, se un fattoide, un frame o un meme diventa
virale, è obbligo indagare se questo favorisce interessi particolari,
vantaggi materiali ad un determinato gruppo sociale o, quantomeno, se tali schemi "culturali" siano
diffusi con il cosciente sfruttamento dell'inclinazione opportunistica, il particulare.
La
fallacia logica o meno delle argomentazioni, il loro carattere scientifico,
è ovviamente dirimente.
In proposito si fa notare che Karl Popper – nell'affermare l'ovvio ricordando la
necessaria “falsificabilità” di qualsiasi argomentazione sui fatti sociali –
mette in relazione il totalitarismo[2] con la
“teoria cospirazionista della società”, entrando a gamba tesa nella
dialettica tra propaganda e controinformazione: pare sfuggirli che la “caccia
alle streghe” - dagli untori, ai pogrom - sia stata
generalizzata e assurta addirittura a pilastro della politologia con la massima
divide et impera[3].
Però, quasi in spregio delle scienze sociali, con la scusa di criticare
lo “storicismo”, si premura di attaccare i pilastri del pensiero statuale
(Platone-Aristotele, Hegel e Marx), in cui i
conflitti sociali sono gestiti politicamente e in cui, in ultimo, si
individua nelle classe sociale dominante il... dominus: ovvero
l'oppressore da combattere politicamente: cioè si nega de facto
l'evidenza per cui in una società gerarchizzata i Pochi, i masters
– nonostante i conflitti interni – tendono ad organizzarsi
all'oscuro della consapevolezza dei Molti, gli workmen.
Eppure il
noto epistemologo non disdegnava la cravatta di “Adam Smith”[4]. Come
possiamo definire le argomentazioni sociologiche di Popper? Un
fondamentale contributo al totalitarismo
rovesciato[5]?
2 – L'eclettismo di von Hayek:
mentre con Milton Friedman lavorava alla “struttura”, con Popper provvedeva
alla “sovrastruttura”.
«Essere nemici
della società aperta non significa essere amici della “società chiusa”: grazie
Karl per averci dato un'identità!»,
esegesi delle riflessioni di A. Dugin su Popper
Analizziamo come Karl Popper
sia stato il volto “buono” del liberalismo estremo e revanscista della Mont
Pelerin Society, fornendo una cosmesi democratica ai liberali classici
durante la frustrante convivenza con la
repressione finanziaria, la democrazia sociale e l'incredibile successo delle
teorie keynesiane durante Les Trente
Glorieuses.
Estratti da: “The Open Society
and its Enemies” (1945)
« This theory is widely held; it is older even than historicism (which,
as shown by its primitive theistic form, is a derivative of the conspiracy
theory). In its modern forms it is, like modern historicism, and a certain modern
attitude towards ‘natural laws’, a typical result of the secularization of a
religious superstition. The belief in the Homeric gods whose conspiracies
explain the history of the Trojan War is gone. The gods are abandoned. But
their place is filled by powerful men or groups – sinister pressure groups
whose wickedness is responsible for all the evils we suffer from – such as
the Learned Elders of Zion, or the monopolists, or the capitalists, or the
imperialists.[6]»
Secondo Popper la sociologia conflittualista
– che ha tutti i requisiti epistemologici della scienza sociale, tanto che Karl
Marx ne è considerato il padre insieme a Max Weber – sarebbe da
paragonare all'ideologia propagandata dai nazisti fondata sul “complotto
giudaico” che emergerebbe dai famigerati “Protocolli dei Savi di Sion”:
l'oligopolio capitalistico, ovvero il “complotto” sui prezzi per
eccellenza, sarebbe sociologicamente da classificare come disturbo paranoide.
Così come l'imperialismo.
Ovvero la
centralità del conflitto distributivo da risolvere tramite l'azione politica
garantita da uno Stato capace di intervenire a regolare l'attività economica,
sarebbe da ritenere una teoria paranoica dell'economia: Keynes agente
segreto dell'Ochrana[7]?
Pericoloso nemico delle società aperte e propugnatore di idee funzionali al
totalitarismo?
D'altronde:
«The dogma that
economic power is at the root of all evil must be discarded.»[8]
Secondo Popper, che la
miseria imposta alle classi meno abbienti sia alle radici delle sofferenze
sociali va scartato, altrimenti pare non si sia popperianamente democratici.
«But I wish to add here that
economic intervention, even the piecemeal methods advocated here, will
tend to increase the power of the state. Interventionism is therefore
extremely dangerous. This is not a decisive argument against it; state
power must always remain a dangerous though necessary evil.»[9]
L'interventismo è estremamente
pericoloso, mentre liberismo e liberoscambismo che avevano appena
generato due guerre mondiali, pare proprio di no.
Ma si sa, il free trade
non ha nulla a che fare con la bilancia
dei pagamenti e i
conflitti bellici: porta pace ventoteniana. O no?
Su certe “perle” da cui sono
estratti questi passi, non è necessario soffermarsi oltre, dopo aver ricordato
la pessima opinione da ambo i lati ideologici stando con Leo
Strauss e Walter
Kaufmann in riferimento alla “preparazione” di Popper
in relazione alle critiche a Platone ed Hegel[10],
o su altre pregevoli considerazioni sull'evoluzione
del capitalismo, o, da rabbrividire – considerando che si ha a che fare con uno dei
maggiori epistemologi moderni – sulle sue critiche alla “meccanica
quantistica”.
(In relazione a quest'ultima gaffe si potrebbe trovare agevolmente un
certo filo conduttore tra positivismo e determinismo... e relativismo[11]).
Si nota che usa spregiudicatamente,
come fa notare Kaufmann, i medesimi metodi della propaganda
totalitaria: «The calamity in our case is twofold. First,
Popper’s treatment contains more misconceptions about Hegel than any other
single essay. Secondly, if one agrees with Popper that “intellectual honesty is
fundamental for everything we cherish” (p. 253), one should protest against his
methods; for although his hatred of totalitarianism is the inspiration and
central motif of his book, his methods are unfortunately similar to those of
totalitarian “scholars” — and they are spreading in the free world, too»[12].
Mentre per i fenomeni naturali
può essere stata effettivamente l'ignoranza che ha fatto impersonificare le
catastrofi con degli dèi più o meno antropomorfi – e il positivismo
popperiano acquisterebbe pure un senso – con i fenomeni sociali l'identificazione
di queste “calamità” con alcuni gruppi sociali in posizione di minoranza, è stato
storicamente usato per motivi politici: l'ignoranza in cui venivano
tenute le classi subalterne era strumentale a quelle forme di ingegneria
sociale ante litteram chiamata “caccia alle streghe” o, meglio, ricerca
del “capro espiatorio sociale” proprio a creare quelle tensioni “sub-sezionali”
che distogliessero l'attenzione dal gruppo sociale dominante. Ovvero
quello che impone decisioni politiche che, dai tempi di Platone, veniva
stigmatizzato per perseguire i propri interessi materiali senza curarsi della comunità sociale di riferimento. Ovvero quello degli oligarchi.
È quindi un caso che proprio ciò
che sarebbe nato “ontologicamente” anticapitalista come il nazionalsocialismo,
trovasse come obiettivo fondamentale l'effettiva distruzione del gruppo sociale
ebraico? Ovvero del gruppo sociale che, per eccellenza, è stato usato come
“maschera” del capitalismo finanziario?
No, e analizzeremo in seguito il
motivo; basti ora ricordare la nota citazione di Bebel: «L'antisemitismo
è il socialismo degli imbecilli»[13]. 1893.
Nel caso, come
già ricordato, possiamo trovare le radici del “cospirazionismo” volto al divide
et impera proprio a fondamento della Costituzione USA con Madison che, chiarendo l'essenza del federalist
n°10 a Jefferson in una missiva, spiega: «Divide et
impera, the reprobated axiom of tyranny, is under certain qualifications
(quando il tiranno “sono io”?, ndr), the only policy, by which a republic
can be administered on just principles (i principi “tecno-naturali” del
capitale e del darwinismo sociale?, ndr)»[14]. Che
ironia, sembra che ci siano dei
“cospiratori” che trovano utili il risultato pratico delle “teorie del
complotto”: d'altronde federalisti e liberali pare avessero la
paranoia della cospirazione democratica.
.
[1] “Sostanziale” nel senso di “strutturale”, in
quanto fondato sul liberismo economico: la “forma” istituzionale è stata in
gran parte mantenuta nei suoi tratti distintivi.
[2] Il “complotto giudaico” è stato un fattoide
fondamentale per infiammare l'antisemitismo, strumento riduzionistico a
scopo identitarista posto a fondamento dell'ideologia improntata alla “teoria delle razze” propagandata
dai nazifascisti.
[3] Il potere costituito di carattere
oligarchico trova funzionale incanalare – manipolando debolezze emotive e
culturali - il dissenso delle classi subalterne verso individui e gruppi
sociali da “sacrificare” affinché venga distolta l'attenzione dalle responsabilità
della classe sociale dominante sul disagio sociale: “i capri espiatori”
diventano un innocente parafulmine su cui scaricare le tensioni sociali.
[4] I liberisti sfrenati come Milton
Friedman, successore di Hayek alla Mont Pelerin Society, usavano
portare una cravatta con raffigurato Adam Smith che, ne “La ricchezza
delle nazioni” (1776) evidenziava,
analizzando il conflitto distributivo, che i padroni (masters) si
riescono ad organizzare meglio dei lavoratori (workmen): [11] «Quali
siano comunemente i salari dei lavoratori, dipende ovunque dal contratto che
abitualmente viene perfezionato tra le due parti, i cui interessi non sono
affatto i medesimi. I lavoratori desiderano guadagnare il più possibile, i
padroni pagare il meno possibile. I primi sono disposti ad unirsi al fine di
aumentare, questi ultimi al fine di diminuire i salari dei lavoratori.»
[12] «Non
è, tuttavia, difficile prevedere quale delle due parti ottiene, generalmente in
tutte le occasioni, il sopravvento nella controversia, e costringe l'altra in
conformità dei suoi desiderata. I padroni, essendo meno numerosi, possono
unirsi molto più facilmente [Adam Smith complottista?, ndt]; e la
legge, inoltre, autorizza, o almeno non vieta loro, di associarsi, mentre lo
vieta ai lavoratori. Non abbiamo leggi del Parlamento contro le associazioni
per abbassare il prezzo del lavoro; ma molte contro le associazioni per elevarlo. In tutte queste controversie i padroni possono resistere molto più
a lungo. Un proprietario terriero, un agricoltore, un imprenditore, un
commerciante, se non impiegano un solo lavoratore, potrebbero generalmente
vivere un anno o due grazie alle scorte che hanno già acquisito. Molti operai
non potrebbero sopravvivere una settimana, pochi potrebbero sopravvivere un
mese, e quasi nessuno un anno senza lavoro. Nel lungo periodo l'operaio può
essere necessario al suo padrone come il suo padrone lo è a lui; ma la
necessità non è così immediata.»
La selezione del passo, va segnalato, trae ispirazione da quanto a suo tempo segnalato da Alberto Bagnai su Goofynomics.
La selezione del passo, va segnalato, trae ispirazione da quanto a suo tempo segnalato da Alberto Bagnai su Goofynomics.
[5] Il concetto viene chiarito in seguito.
[6] «Questa teoria è largamente condivisa;
è più vecchia anche dello storicismo (del quale, come mostrato dalla sua
primitiva forma teistica, è un derivato dalla teoria del complotto). Nelle sue
forme moderne è, come lo storicismo moderno, e un certo atteggiamento moderno
nei confronti delle “leggi naturali”, un tipico risultato della
secolarizzazione religiosa. La credenza negli dèi omerici i cui complotti spiegano la storia della
Guerra di Troia è finita. Gli dei vengono abbandonati. Ma il loro posto è
riempito da uomini potenti e gruppi – gruppi di pressione sinistri [un po'
come quelli che finanziavano
proprio la Mont Pelerin Society del buon Popper?, ndt] -la cui malvagità
è responsabile di tutti i mali che soffriamo – come i “Savi di Sion”, i monopolisti, i capitalisti o gli imperialisti».
[7] Con buona certezza il documento relativo
al contenuto delle riunioni segrete dei “Savi di Sion” pare sia un falso
fabbricato a fini persecutori dalla polizia segreta zarista, l'Ochrana.
[8] «Il dogma che il potere economico sia
alla radice di tutti i mali deve essere rifiutato»: in realtà nella sociologia
conflittualista le “condizioni sociali” dipendono dalla struttura economica
e dal risultato del conflitto distributivo. L'uso del termine
“dogma” e della locuzione “radice di tutti i mali” permettono di far associare
al lettore – rispettivamente – gli
attributi di “fanatismo” e “infantilismo” ad una scienza sociale. Evidente il
tentativo di associare l'ideologia e l'autoritarismo sovietico al
totalitarismo nazifascista screditando contemporaneamente la prospettiva
del conflitto in favore del funzionalismo liberale. Che al socialismo
reale non fosse corrisposta egual socializzazione del potere non
significa che negli ordini liberali questo sia avvenuto: anzi, i
presupposti costituenti sono proprio opposti. Il regime liberale vede
tendenzialmente identificato il potere reale con quello economico a differenza
dello Stato sociale che – tramite lo Stato interventista – promuove l'equità
distributiva e progressivamente socializza il potere.
[9] «[NdT: Non sono un economista...] Ma
desidero aggiungere che l'intervento economico [dello Stato in economia,
ndt], anche nei metodi parziali sostenuti qui, tenderà ad aumentare il
potere dello Stato. L'interventismo è quindi estremamente pericoloso. Questo
non è un argomento decisivo a sfavore; il potere dello Stato deve rimanere un
pericolo – ma necessario – male».
[10] «[...] Il saggio anti-hegeliano in
questione è La società aperta e i suoi nemici (1945). Qui Hegel – in buona compagnia
di Platone e Marx – viene accusato di una serie di nefandezze politiche e di
recenti catastrofi di cui sarebbe una specie di mandante morale.
Sostanzialmente: di essere un proto-fascista, o un proto-comunista. Cosa che
per l'epistemologo austriaco naturalizzato britannico non sembra fare una gran
differenza. Per l’occhiuto e poliziottesco Popper, Hegel è, né più né meno, che
“l’anello mancante tra Platone e le moderne forme di totalitarismo”.
La
casa editrice Modern Library ha saputo premiare, come solo le istituzioni americane
sanno fare, questo bel saggione in difesa
dell’uomo-bianco-civile-tollerante-buono-e-democraticoliberale, inserendolo
nella hit parade dei 100 migliori libri di non fiction del secolo (dove al
primo posto svetta The education of Henry Adams, libro autobiografico sugli
psicodrammi di un superlaureato di Harvard, che rimpiange di aver sprecato
gli anni a studiare materie umanistiche, quando sarebbe stato meglio darsi alle
scienze hard).» Tommaso
Tuppini, “Hegel”,
[11] Gran parte dei modelli che interpretano la
meccanica quantistica non sono “deterministici” come la fisica classica o anche
quella relativistica: nella prima metà del '900 , con la quantistica anche
nelle scienze dure viene introdotta un'incertezza “irrisolvibile” a
causa del “fattore
umano”. L'uso spregiudicato del positivismo nelle scienze sociali –
data la loro “doppio natura” come proposto precedentemente, dovendo incorporare
anche l'arbitrio etico-politico, ovvero il “fattore umano” – tende a
nascondere la potenziale “indeterminatezza” del conflitto distributivo: questa
non disinteressata forzatura spinge di converso al “relativismo etico” (se non
esiste un “libero arbitrio” nella sfera dell'agire umano in conseguenza della
causazione deterministica di principi fisici, tutta la struttura etica si
sfalda nel nichilismo e si impone il relativismo morale: l'etica smette di
avere influenza politica e l'individuo, come soggetto decisionale e dotato di
volontà, si deresponsabilizza). Della stessa fallacia ideologica è affetta la
critica di Popper, nel momento in cui tenta di arginare “positivisticamente” il
carattere assolutistico del totalitarismo con argomenti “liberali”, e propone de
facto il relativismo... assoluto.
[12] [12]«La
catastrofe nel nostro caso è duplice. In primo luogo, il trattato di Popper
contiene più idee sbagliate su Hegel rispetto a qualsiasi altro singolo saggio.
In secondo luogo, se si è d'accordo con Popper che “l'onestà intellettuale è
fondamentale per tutto ciò che abbiamo a cuore”, si dovrebbe protestare contro
i suoi metodi (p.253); infatti, anche se il suo odio verso il totalitarismo è
ispirazione e motivo centrale del suo libro, i suoi metodi sono, purtroppo,
simili a quelli degli “studiosi” dei regimi totalitari – e si stanno
diffondendo anche nel mondo libero», Walter Kaufmann, 1959, “The
Hegel Myths and Its Method”.
[13] Un po' come ai giorni nostri “l'islamofobia
è il sovranismo dei diversamente furbi”.
[14] «Divide et impera, il riprovevole brocardo
della tirannia, è sotto determinate circostanze, l'unica politica tramite la
quale una repubblica può essere amministrata solo su principi» Un “dividi e
regna” a cui sono funzionali enormi spazi, giganteschi mercati del lavoro,
differenti esigenze economiche legate a geografia e territorio, localismi e, su
tutti, l'immigrazione. Potersela prendere con afroamericani ed ispanici
per la criminalità è assolutamente più immediato che comprendere come certe
condizioni sociali trovino responsabilità politica nell'élite economica.
Il razzismo è l'altra faccia del liberalismo.
UN ATTO LIBERTORIO
RispondiElimina(otc, scusate l'interferenza ma ci sta)
Già si sente il vociare della nomenclatura paraculturale di giornalististi, attori, umoristi, registi, culturame universitario, politici, insegnanti utili al mantenimento della loro pochezza e vanità a glorificare le gesta del vate nel giorno della sua mancanza.
Quali i segni e le significanze della sua narrazione al ciarpame incolto amplificando lo spirito del tempo che travolge le radici di una cultura millenaria con parossismo ridicolo?
Quale le stategie, minate da bande venali, di un contribuito alla propagazione del pensiero declinato alla degenerazione dello spirito e dell’azione critica?
Se ne andato così come è venuto lanciando le spine di rose incolta e lo ricondiamo così, figlio di un tempo.
Tiremm innanz ..!
Over The Count ma non Out of Topic: si parla di relativismo e nichilismo:
EliminaRIP
Grande Costanzo Preve!
EliminaMa riguardo al perchè "lo seguivano", è facile intuire perché (e Preve lo implica col suo amiccare silenzioso).
Perchè gli intellettuali "ufficiali" sono, via via, sempre meno intelligenti rispett alle persone comuni; se non altro perché hanno preso la questione del DIO-mercato come "avere un mercato= essere Dio" e credono sul serio alla presa in giro del sistema dei prezzi come "voto permanente" (sulla loro divinità)
«Morale è compassione»: ma ESSI «non se la meritano».
Elimina«L'individuo abbandonato all'angoscia nullificante della sua insensatezza»: saranno morti «sazi di anni»?
«Io conosco quelle facce»: non se ne andranno prima di aver inquinato i pozzi.
Hanno confuso il processo di «modernizzazione del costume» come «progresso sociale». [E non comprendere la differenza tra progressismo e modernismo non è appunto la contaminazione liberale dei laburisti che avanzava nel dopo guerra?]
Il capitalismo bancario incontrollato: la "catastrofe collettiva come salvezza individuale". Affinché sia accettabile dalla maggioranza «la scemenza deve essere un fatto sociale». Gli intellettuali più stupidi del lavoratore comune.
Il totalitarismo della mercificazione capitalistica.
Loro non ce l'hanno [umanamente] fatta e, quindi, non ce la deve fare più nessun altro: la loro morte deve coincidere con la Fine della Storia.
La metafora della "tazzina che non esiste" come "Il paradosso di Zenone" tanto complesso da risolvere matematicamente, quanto immediata la confutazione empirica di Diogene che si alza e prende a camminare (in nota, grande esempio usato da Bagnai per spiegare "l'inferno della matematica" per dimostrare l'ovvio come nell'economia neoclassica).
La di ESSI «occupazione quasi militare dei mezzi di comunicazione, editoriali ed accademici».
«L'oscenità non è il pelo del pube, l'oscenità è questa gente qua.»
È un bel giorno per ricordare Costanzo Preve.
Deduzione esilarante. La storiografia ridotta al motto di Panorama “i fatti separati dalle opinioni”, pardon, “i fatti separati dalle analisi e dalle interpretazioni”. Come se in Italia non fosse stato pubblicato già nel 1917 un libretto dal titolo “Teoria e Storia della Storiografia” nel quale, tra l’altro, l’attento lettore potrebbe schiarirsi le idee intorno alla distinzione tra storia e cronaca. Evidentemente lo “scomparso del giorno” deve avere lavorato bene: anche a lui stavano più simpatici “sociologi e scienziati sociali in generale” che filosofi come Croce, il grande assente dal dibattito di coloro che vorrebbero riallacciarsi alla tradizione risorgimentale e repubblicana italiana farfugliando in inglese (o in tedesco). Certo non basta l’osservazione che la differenza tra liberalismo e liberismo esiste solo nel vocabolario italiano per liquidare la millenaria distinzione tra teoria e prassi combattuta da Popper come da Marx.
RispondiElimina@Francesco
EliminaIn realtà più che sulla distinzione tra "teoria e prassi", si voleva sensibilizzare sulla differenza tra "struttura" (economica) e "sovrastruttura" (giuridico-politica ed ideologica).
Che io sappia Croce questa distinzione non la fa: egli era un "idealista", mentre l'analisi economica delle "sovastrutture" emerge essere prassi consolidata dei "liberali classici" e teorizzata in seguito tramite "il materialismo storico" marxista.
Quindi nel post volevo sottolineare la cosmesi "democrat" che ha fornito Popper, consapevolmente o meno.
Arriverò a - seguendo le orme di Sheldon Wollin - proporre che il liberalismo classico ha per vocazione il totalitarismo, ovvero la negazione totale della libertà.
Insomma, in politica non è disgiungibile il "mondo delle idee" dalla prassi.
La libertà individuale non può non passare dalla libertà sociale, parafrasando Mortati.
Farei anche notare che nel Gorgia, nel corso del dialogo, con l'esclusione di Socrate, «tutti "sono amanti del demos", del popolo» e «tutti manifestano la convinzione che ogni uomo voglia e faccia solo ciò che ritiene migliore per se stesso, e si dà inoltre per scontato che ciò che è buono per il singolo individuo sia buono per la comunità». H.Arendt, "Alcune questioni di filosofia morale", pag.41
Non pare essere un caso che il padre del liberalismo Locke fosse coinvolto nella tratta degli schiavi....
Ringrazio per questo scoppiettante contributo. Che mi ispira.
RispondiElimina«Divide et impera, il riprovevole brocardo della tirannia, è sotto determinate circostanze, l'unica politica tramite la quale una repubblica può essere amministrata solo su principi»
Noi tendiamo a leggerlo come il pensiero dello statista preoccupato della migliore gestione rei publicae. Ma c'è un'altra angolazione.
Quella del proprietario terriero (a farci caso i padri fondatori lo erano tutti) preoccupato che i nativi americani non avessero istituito il catasto delle terre. E dei costi da sopportare personalmente in caso a qualcuno venisse in mente una tale considerazione.
A pensarci nessuna proprietà terriera per quanto antica è difendibile fino all'ultimo processo basato sul diritto promulgato dai proprietari. Sai che costi di difesa? Molto meglio una democrazia (o una monarchia) costituzionale. E a tale proposito i padri fondatori erano personalmente esperti.
@AP
EliminaSicuramente i federalisti americani avevano in mente una costituzione funzionale "all'accumulazione" e alla difesa "smart" dalle rivendicazioni sociali.
Questo emerge abbastanza chiaramente dal Federalist N.10 segnalato da Arturo, e, nella lettera di Madison a Jefferson che segnalo è proprio esplicitata la massima del federalismo interstatale: "divide et impera".
Ottimo e appassionante, ma si sa: i cattivi sono sempre più interessanti dei "normali".
RispondiEliminaAttendo i prossimi approfondimenti sul tema.
Tre curiosità 'tangenziali':
1) non ho compreso se il post è tutto di Bazaar o dove comincia o dove finisce la parte di Bazaar;
2) se il post è in parte di 48, mi pare che in precedenti post l'opinione su Popper fosse meno negativa, un ignorantone sì, ma in buona fede. Uno che, "se nascesse oggi", sarebbe keynesiano;
3) la frase della Arendt citata nel post la dice lunga sull'onestà intellettuale del personaggio. "Juristen, böse Christen" prima ancora che, forse, di Hitler era una massima luterana...
Il post (a parte l'introduzione) è solo di Bazaar.
EliminaLa precedente mia analisi di Popper era volta a evidenziare come, egli, nei tempi in cui scrisse, era ben consapevole che il conflitto sociale era stato sedato (al tempo, riteneva definitivamente) da un nuovo assetto del mercato del lavoro e dello Stato: superandosi con ciò il lavoro-merce e l'esercito industriale di riserva, e, dunque, la stessa validità dell'analisi marxista.
Ne dobbiamo dedurre che oggi, di fronte al venir meno di queste obiezioni (o meglio dei suoi presupposti), o Popper avrebbe dovuto rivalutare il marxismo (per coerenza), ovvero avrebbe dovuto ammettere che (come si dice nel post o in un altro dell'epoca) il principale giovamento dei "carri armati di Stalin" si era verificato in Occidente (limitando la restaurazione del liberalismo).
Tra l'altro, quella parte della critica popperiana al marxismo, ci conferma che la democrazia "o è sociale" (in quanto costituzionalmente, cioè ma massimo livello normativo) risolve il conflitto sociale, "o non è" (secondo il motto di Mortati); cioè diviene simulacro, in quanto democrazia formale (quella che piace ai filosofi italiani...di sinistra), basandosi sulla sola eguaglianza sostanziale e sul processo elettorale (ridivenuto idraulico, in assenza di vincolo pluriclasse per lo Stato).
Diciamo che la "società aperta" negli USA se ne starebbe forse accorgendo; almeno in parte e in condizioni abbastanza tragicomiche (tra Trump e la Clinton con lo sfondo del muro anti-freetrade col Messico...che, tra l'altro, esiste già)...
Grazie per la risposta.
EliminaMi pare di poter osservare che uno dei tratti caratterizzanti della LORO azione è stato il lavoro 'alle fondamenta' del sistema pluriclasse, che per loro natura non si vedono e di cui non si discute fino a che è troppo tardi...
Così, Popper critica Marx sul presupposto che la realtà sia cambiata e il lavoro non possa più essere una merce. Ma per analogia il discorso può essere riferito alla stessa Costituzione italiana, che non prevede il diritto alla resistenza, né disciplina i rapporti con la Banca d'Italia e la finanza, né pone un limite espresso alla tassazione.
Aspetti che non vennero espressamente disciplinati in quanto meri corollari delle regole fondamentali già poste. Cambiata surrettiziamente la cornice dei valori, si sono trovati davanti una prateria sconfinata, con le istituzioni al loro servizio.
Forse la prossima Costituzione dovrà essere ancora più lunga...
@Duccio Tessandri
EliminaIl punto è che il problema non è la Carta di per sé: certo, poteva sempre essere migliorata in mejus.
L'attuale sarebbe stata probabilmente già stata sufficiente a guidare il percorso della comunità sociale: il punto è che il sistema di relazioni internazionali presentava dei rapporti di forza a noi italiani sfavorevoli qualsiasi accorgimento alla Carta avessimo fatto.
Non abbiamo fatto in tempo a formare una classe dirigente all'altezza (soprattutto non ci è stato permesso), e il democraticismo imperiale USA poggia le fondamenta su una Carta liberista ed espressamente - nelle intenzioni dei costituenti - antidemocratica.
Ho sentito più volte Americani sottolineare che la loro è una Repubblica e non una democrazia.
Questi conservatori ne sono spesso consapevoli e ne vanno fieri...
In effetti, l'art.11 Cost.(come pure l'art.47) sono straordinariamente chiari. Volendo.
EliminaMa se poi la loro rilettura è avvenuto nell'ambito dei meccanismi culturali neo-liberisti, cioè dei meccanismi di trasmissione dei rapporti di forza internazionali, qualsiasi maggior cautela o esplicitazione di salvaguardia sarebbero risultate inutili.
Poi, le mie proposte su come si potrebbe rafforzare la Costituzione per evitare, ancora una volta, che "tutto questo si ripeta", in qualche modo le ho fatte
http://www.riscossaitaliana.it/studio-luciano-barra-caracciolo-sulle-proposte-emendative-per-ripristino-piena-legalita-costituzionale/
Si, appunto, repubblica e non democrazia (costituzionale). Perdonate il refuso.
EliminaDico due cose molto terra terra.
RispondiEliminaLa prima è che una classe dirigente all altezza noi italiani l avevamo. Non è che non abbiamo fatto in tempo a formarla. L avevamo formatasi proprio grazie ai soprusi che aveva dovuto sopportare. Ma è stata tolta di mezzo in modi anche violenti.
L altra è che mi piacerebbe proprio tanto vedere una campagna elettorale tra Sanders e Trump (contro cui stranamente si è già espresso il Papa...chissà perché non sento levarsi l indignazione per questa specifica intromissione della chiesa nella politica)
Posso segnalare questo ?
RispondiEliminaSegnala: fai bene :-)
EliminaAggiungo: Alberto ci ha preceduto.
EliminaLo recensiremo anche qui: magari lo faremo presentare all'autrice che scrive abbastanza regolarmente su questo blog. Infatti è Sofia...