sabato 20 febbraio 2016

LA SOCIETA' APERTA? NEGARE IL CONFLITTO SOCIALE PER DISTOGLIERE L'ATTENZIONE DALLA GERARCHIA

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Pubblichiamo questo post di Bazaar come introduzione a una serie di approfondimenti sul paradigma liberista e sulla sua etica del relativismo
L'illusione che ogni individuo possa da sé dettare le regole per meglio governare il proprio particulare è sempre propagata al fine di preservare il governo effettivo dei pochi sui molti. 
Si dà luogo, in questo modo, a un processo continuo e inarrestabile (per necessità di autoconservazione del potere sociale) per cui ogni fenomeno sociale, e persino psicologico, deve essere fatto oggetto di ribaltamento o dissimulazione.
E ogni disvelamento di tale meccanismo diventa "complottismo": e ognuno di tali complottismi, in questa pretesa visione di tolleranza (ossimorica), si connetterebbe (nell'intera storia dell'umanità!) a forme psicotiche che minacciano l'ordine sociale "naturale" (che come tale non ammette conflitti, se non come deviazioni patologiche).
Alla base di questa para-logica, infatti, c'è un Dio, molto poco trascendente e del tutto storicizzabile, che tuttavia deve farsi "assoluto", senza che tale processo sia manifesto o percepibile: il mercato. Un Dio che ci deve apparire soffuso di apparente apertura e tolleranza, per farsene legittimamente derivare ogni altro ribaltamento e dissimulazione.
Per i brani in inglese trovate la traduzione in nota. 
La lettura delle note è, in ogni caso, fortemente consigliata.




Introduzione: lo studio della storia come processo di revisione.

«Non mi intendo di inconscio e di profondo, ma so che pochi se ne intendono, […] non so, e mi interessa poco sapere, se nel mio profondo si annidi un assassino, ma so che  vittima incolpevole sono stato ed assassino no; so che gli assassini sono esistiti, non solo in Germania, e ancora esistono, a riposo o in servizio, e che confonderli con le loro vittime è una malattia morale o un vezzo estetico o un sinistro segnale di complicità; soprattutto, è un prezioso servigio reso (volutamente o no) ai negatori della verità.»,  Primo Levi, “La zona grigia

«Hitler confessò di sperare che un giorno, in Germania, fosse considerato un disonore fare il giurista, queste sue parole erano perfettamente coerenti con il sogno di un Paese ridotto a un perfetto sistema burocratico.» Hannah Arendt, “Alcune questioni di filosofia morale”, p.13, ET Saggi, 2003

 Si cercherà di fornire qualche spunto di riflessione che metta in collegamento il liberalismo, il suo rifiuto sostanziale[1] nella Costituzione repubblicana, e il suo ritorno imposto dall'esterno.

Non è ovvio constatare che tramite l'analisi economica del diritto e l'indagine scientifica che sottende, possa essere interessante revisionare tanto la storia del pensiero economico e filosofico, quanto la Storia tout court.

Il problema è evidente: tra la Storia e la memoria storica c'è di mezzo la propaganda (narrazione in politichese corretto).

Ciò che è da propagare (da “narrare”) dipende da come viene risolto il conflitto sociale: la classe dominante della nazioni dominanti controlla tanto i mezzi di comunicazione, quanto  l'istruzione fino ai livelli superiori.

Possiamo così semplicemente dedurre che lo studio storiografico necessita di una continua revisione, non tanto di fatti – ovvero la ricostruzione documentata di eventi, la cronaca –  quanto della loro analisi ed interpretazione; sulla ricostruzione è necessario poggiarsi sul lavoro degli storici in senso stretto, dei geografi, degli archeologi, ecc., mentre per la loro analisi sono necessarie competenze specialistiche di altre scienze sociali come quelle dei sociologi, degli etnologi, dei demografi o – con un rilievo particolare per la storia moderna –  degli economisti.
Gli economisti, però, forniscono metodi analitici diversi in funzione del paradigma ideologico e scientifico abbracciato. Così come i sociologi e gli scienziati sociali in genere.

Uno storico liberale tendenzialmente arriverà a conclusioni differenti dello storico marxista: lo studio della storia dovrebbe essere per definizione un processo di revisionismo: è sufficiente accettare o meno la legge di Say per aver un quadro opposto e contraddittorio nelle analisi delle dinamiche storiche.

Non pare quindi necessario sostenere come gli allievi di Derrida che «i fatti non hanno realtà, conta solo il testo che li racconta»: c'è un doppio aspetto, uno positivo (che invalida l'interpretazione letterale dell'asserzione derridiana, lapidariamente relativista e “orwelliana”), ed uno di carattere analitico che è, ad esempio, funzione del paradigma scientifico di riferimento (che a sua volta dipende dall'ideologia – dall'etica e dal particulare – dello scienziato sociale).


1 – “L'inestimabile contributo di Popper” (cit. Dugin) e il cospirazionismo.

«Il nostro secolo manca di veri filosofi, liberati dagli indottrinamenti e dai giochi di appartenenza a una scuola, attenti alla vita che ci circonda, felici di affrontare i veri problemi, mettendo a repentaglio se stessi» F. Braudel, “Storia, misura del mondo

«Sono un nemico della società aperta.», Bazaar

 Questa brevissima riflessione sul “revisionismo” porta con sé un corollario: qualsiasi argomentazione contro la narrazione mainstream non può che essere  “cospirazionista”. Ovvero, se un fattoide, un frame o un meme diventa virale, è obbligo indagare se questo favorisce interessi particolari, vantaggi materiali ad un determinato gruppo sociale o, quantomeno, se tali schemi "culturali" siano diffusi con il cosciente sfruttamento dell'inclinazione opportunistica, il particulare.

La fallacia logica o meno delle argomentazioni, il loro carattere scientifico, è ovviamente dirimente. 
In proposito si fa notare che Karl Popper –  nell'affermare l'ovvio ricordando la necessaria “falsificabilità” di qualsiasi argomentazione sui fatti sociali – mette in relazione il totalitarismo[2] con la “teoria cospirazionista della società”, entrando a gamba tesa nella dialettica tra propaganda e controinformazione: pare sfuggirli che la “caccia alle streghe” - dagli untori, ai pogrom - sia stata generalizzata e assurta addirittura a pilastro della politologia con la massima divide et impera[3]. Però, quasi in spregio delle scienze sociali, con la scusa di criticare lo “storicismo”, si premura di attaccare i pilastri del pensiero statuale (Platone-Aristotele, Hegel e Marx), in cui i conflitti sociali sono gestiti politicamente e in cui, in ultimo, si individua nelle classe sociale dominante il... dominus: ovvero l'oppressore da combattere politicamente: cioè si nega de facto l'evidenza per cui in una società gerarchizzata i Pochi, i masters – nonostante i conflitti interni – tendono ad organizzarsi all'oscuro della consapevolezza dei Molti, gli workmen
Eppure il noto epistemologo non disdegnava la cravatta di “Adam Smith”[4]. Come possiamo definire le argomentazioni sociologiche di Popper? Un fondamentale contributo al totalitarismo rovesciato[5]?


2 – L'eclettismo di von Hayek: mentre con Milton Friedman lavorava alla “struttura”, con Popper provvedeva alla “sovrastruttura”.

«Essere nemici della società aperta non significa essere amici della “società chiusa”: grazie Karl per averci dato un'identità!»,  esegesi delle riflessioni di A. Dugin su Popper


Analizziamo come Karl Popper sia stato il volto “buono” del liberalismo estremo e revanscista della Mont Pelerin Society, fornendo una cosmesi democratica ai liberali classici durante la frustrante  convivenza con la repressione finanziaria, la democrazia sociale e l'incredibile successo delle teorie keynesiane durante Les Trente Glorieuses.

Estratti da: “The Open Society and its Enemies” (1945)

« This theory is widely held; it is older even than historicism (which, as shown by its primitive theistic form, is a derivative of the conspiracy theory). In its modern forms it is, like modern historicism, and a certain modern attitude towards ‘natural laws’, a typical result of the secularization of a religious superstition. The belief in the Homeric gods whose conspiracies explain the history of the Trojan War is gone. The gods are abandoned. But their place is filled by powerful men or groups – sinister pressure groups whose wickedness is responsible for all the evils we suffer from – such as the Learned Elders of Zion, or the monopolists, or the capitalists, or the imperialists.[6]»

Secondo Popper la sociologia conflittualista – che ha tutti i requisiti epistemologici della scienza sociale, tanto che Karl Marx ne è considerato il padre insieme a Max Weber – sarebbe da paragonare all'ideologia propagandata dai nazisti fondata sul “complotto giudaico” che emergerebbe dai famigerati “Protocolli dei Savi di Sion”: l'oligopolio capitalistico, ovvero il “complotto” sui prezzi per eccellenza, sarebbe sociologicamente da classificare come disturbo paranoide. Così come l'imperialismo.   
Ovvero la centralità del conflitto distributivo da risolvere tramite l'azione politica garantita da uno Stato capace di intervenire a regolare l'attività economica, sarebbe da ritenere una teoria paranoica dell'economia: Keynes agente segreto dell'Ochrana[7]? Pericoloso nemico delle società aperte e propugnatore di idee funzionali al totalitarismo?

D'altronde:

«The dogma that economic power is at the root of all evil must be discarded[8]

Secondo Popper, che la miseria imposta alle classi meno abbienti sia alle radici delle sofferenze sociali va scartato, altrimenti pare non si sia popperianamente democratici.

«But I wish to add here that economic intervention, even the piecemeal  methods advocated here, will tend to increase the power of the state. Interventionism is therefore extremely dangerous. This is not a decisive argument against it; state power must always remain a dangerous though necessary evil.»[9]

L'interventismo è estremamente pericoloso, mentre liberismo e liberoscambismo che avevano appena generato due guerre mondiali, pare proprio di no
Ma si sa, il free trade non ha nulla  a che fare con la bilancia dei pagamenti e i conflitti bellici: porta pace ventoteniana. O no?

Su certe “perle” da cui sono estratti questi passi, non è necessario soffermarsi oltre, dopo aver ricordato la pessima opinione da ambo i lati ideologici stando con Leo Strauss e Walter Kaufmann  in riferimento alla “preparazione” di Popper in relazione alle critiche a Platone ed Hegel[10], o su altre pregevoli considerazioni sull'evoluzione del capitalismo, o, da rabbrividire – considerando che si ha a che fare con uno dei maggiori epistemologi moderni – sulle sue critiche alla “meccanica quantistica”. (In relazione a quest'ultima gaffe si potrebbe trovare agevolmente un certo filo conduttore tra positivismo e determinismo... e relativismo[11]).

Si nota che usa spregiudicatamente, come fa notare  Kaufmann, i medesimi metodi della propaganda totalitaria: «The calamity in our case is twofold. First, Popper’s treatment contains more misconceptions about Hegel than any other single essay. Secondly, if one agrees with Popper that “intellectual honesty is fundamental for everything we cherish” (p. 253), one should protest against his methods; for although his hatred of totalitarianism is the inspiration and central motif of his book, his methods are unfortunately similar to those of totalitarian “scholars” and they are spreading in the free world, too»[12].

Mentre per i fenomeni naturali può essere stata effettivamente l'ignoranza che ha fatto impersonificare le catastrofi con degli dèi più o meno antropomorfi – e il positivismo popperiano acquisterebbe pure un senso – con i fenomeni sociali l'identificazione di queste “calamità” con alcuni gruppi sociali in posizione di minoranza, è stato storicamente usato per motivi politici: l'ignoranza in cui venivano tenute le classi subalterne era strumentale a quelle forme di ingegneria sociale ante litteram chiamata “caccia alle streghe” o, meglio, ricerca del “capro espiatorio sociale” proprio a creare quelle tensioni “sub-sezionali” che distogliessero l'attenzione dal gruppo sociale dominante. Ovvero quello che impone decisioni politiche che, dai tempi di Platone, veniva stigmatizzato  per  perseguire i propri interessi materiali senza curarsi della comunità sociale di riferimento. Ovvero quello degli oligarchi.

È quindi un caso che proprio ciò che sarebbe nato “ontologicamente” anticapitalista come il nazionalsocialismo, trovasse come obiettivo fondamentale l'effettiva distruzione del gruppo sociale ebraico? Ovvero del gruppo sociale che, per eccellenza, è stato usato come “maschera” del capitalismo finanziario?

No, e analizzeremo in seguito il motivo; basti ora ricordare la nota citazione di Bebel: «L'antisemitismo è il socialismo degli imbecilli»[13].  1893.

Nel caso, come già ricordato, possiamo trovare le radici del “cospirazionismo” volto al divide et impera proprio a fondamento della Costituzione USA con Madison che, chiarendo l'essenza del federalist n°10 a Jefferson in una missiva, spiega: «Divide et impera, the reprobated axiom of tyranny, is under certain qualifications (quando il tiranno “sono io”?, ndr), the only policy, by which a republic can be administered on just principles (i principi “tecno-naturali” del capitale e del darwinismo sociale?, ndr)»[14]. Che ironia,  sembra che ci siano dei “cospiratori” che trovano utili il risultato pratico delle “teorie del complotto”: d'altronde federalisti e liberali pare avessero la paranoia della cospirazione democratica.

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[1]      “Sostanziale” nel senso di “strutturale”, in quanto fondato sul liberismo economico: la “forma” istituzionale è stata in gran parte mantenuta nei suoi tratti distintivi.
[2]      Il “complotto giudaico” è stato un fattoide fondamentale per infiammare l'antisemitismo, strumento riduzionistico a scopo identitarista posto a fondamento dell'ideologia improntata  alla “teoria delle razze” propagandata dai nazifascisti.
[3]      Il potere costituito di carattere oligarchico trova funzionale incanalare – manipolando debolezze emotive e culturali - il dissenso delle classi subalterne verso individui e gruppi sociali da “sacrificare” affinché venga distolta l'attenzione dalle responsabilità della classe sociale dominante sul disagio sociale: “i capri espiatori” diventano un innocente parafulmine su cui scaricare le tensioni sociali.
[4]      I liberisti sfrenati come Milton Friedman, successore di Hayek alla Mont Pelerin Society, usavano portare una cravatta con raffigurato Adam Smith che, ne “La ricchezza delle nazioni” (1776)  evidenziava, analizzando il conflitto distributivo, che i padroni (masters) si riescono ad organizzare meglio dei lavoratori (workmen): [11] «Quali siano comunemente i salari dei lavoratori, dipende ovunque dal contratto che abitualmente viene perfezionato tra le due parti, i cui interessi non sono affatto i medesimi. I lavoratori desiderano guadagnare il più possibile, i padroni pagare il meno possibile. I primi sono disposti ad unirsi al fine di aumentare, questi ultimi al fine di diminuire i salari dei lavoratori.»
        [12] «Non è, tuttavia, difficile prevedere quale delle due parti ottiene, generalmente in tutte le occasioni, il sopravvento nella controversia, e costringe l'altra in conformità dei suoi desiderata. I padroni, essendo meno numerosi, possono unirsi molto più facilmente [Adam Smith complottista?, ndt]; e la legge, inoltre, autorizza, o almeno non vieta loro, di associarsi, mentre lo vieta ai lavoratori. Non abbiamo leggi del Parlamento contro le associazioni per abbassare il prezzo del lavoro; ma molte contro le associazioni per elevarlo. In tutte queste controversie i padroni possono resistere molto più a lungo. Un proprietario terriero, un agricoltore, un imprenditore, un commerciante, se non impiegano un solo lavoratore, potrebbero generalmente vivere un anno o due grazie alle scorte che hanno già acquisito. Molti operai non potrebbero sopravvivere una settimana, pochi potrebbero sopravvivere un mese, e quasi nessuno un anno senza lavoro. Nel lungo periodo l'operaio può essere necessario al suo padrone come il suo padrone lo è a lui; ma la necessità non è così immediata.»
La selezione del passo, va segnalato, trae ispirazione da quanto a suo tempo segnalato da Alberto Bagnai su Goofynomics.
[5]      Il concetto viene chiarito in seguito.
[6]      «Questa teoria è largamente condivisa; è più vecchia anche dello storicismo (del quale, come mostrato dalla sua primitiva forma teistica, è un derivato dalla teoria del complotto). Nelle sue forme moderne è, come lo storicismo moderno, e un certo atteggiamento moderno nei confronti delle “leggi naturali”, un tipico risultato della secolarizzazione religiosa. La credenza negli dèi omerici  i cui complotti spiegano la storia della Guerra di Troia è finita. Gli dei vengono abbandonati. Ma il loro posto è riempito da uomini potenti e gruppi – gruppi di pressione sinistri [un po' come quelli  che finanziavano proprio la Mont Pelerin Society del buon Popper?, ndt] -la cui malvagità è responsabile di tutti i mali che soffriamo – come i “Savi di Sion”,  i monopolisti,  i capitalisti o gli imperialisti».
[7]      Con buona certezza il documento relativo al contenuto delle riunioni segrete dei “Savi di Sion” pare sia un falso fabbricato a fini persecutori dalla polizia segreta zarista, l'Ochrana.
[8]      «Il dogma che il potere economico sia alla radice di tutti i mali deve essere rifiutato»: in realtà nella sociologia conflittualista le “condizioni sociali” dipendono dalla struttura economica e dal risultato del conflitto distributivo. L'uso del termine “dogma” e della locuzione “radice di tutti i mali” permettono di far associare al lettore –  rispettivamente – gli attributi di “fanatismo” e “infantilismo” ad una scienza sociale. Evidente il tentativo di associare l'ideologia e l'autoritarismo sovietico al totalitarismo nazifascista screditando contemporaneamente la prospettiva del conflitto in favore del funzionalismo liberale. Che al socialismo reale non fosse corrisposta egual socializzazione del potere non significa che negli ordini liberali questo sia avvenuto: anzi, i presupposti costituenti sono proprio opposti. Il regime liberale vede tendenzialmente identificato il potere reale con quello economico a differenza dello Stato sociale che – tramite lo Stato interventista – promuove l'equità distributiva e progressivamente socializza il potere.
[9]      «[NdT: Non sono un economista...] Ma desidero aggiungere che l'intervento economico [dello Stato in economia, ndt], anche nei metodi parziali sostenuti qui, tenderà ad aumentare il potere dello Stato. L'interventismo è quindi estremamente pericoloso. Questo non è un argomento decisivo a sfavore; il potere dello Stato deve rimanere un pericolo – ma necessario – male».
[10]     «[...] Il saggio anti-hegeliano in questione è La società aperta e i suoi nemici (1945). Qui Hegel – in buona compagnia di Platone e Marx – viene accusato di una serie di nefandezze politiche e di recenti catastrofi di cui sarebbe una specie di mandante morale. Sostanzialmente: di essere un proto-fascista, o un proto-comunista. Cosa che per l'epistemologo austriaco naturalizzato britannico non sembra fare una gran differenza. Per l’occhiuto e poliziottesco Popper, Hegel è, né più né meno, che “l’anello mancante tra Platone e le moderne forme di totalitarismo”.
        La casa editrice Modern Library ha saputo premiare, come solo le istituzioni americane sanno fare, questo bel saggione in difesa dell’uomo-bianco-civile-tollerante-buono-e-democraticoliberale, inserendolo nella hit parade dei 100 migliori libri di non fiction del secolo (dove al primo posto svetta The education of Henry Adams, libro autobiografico sugli psicodrammi di un superlaureato di Harvard, che rimpiange di aver sprecato gli anni a studiare materie umanistiche, quando sarebbe stato meglio darsi alle scienze hard).» Tommaso Tuppini, “Hegel”,
[11]     Gran parte dei modelli che interpretano la meccanica quantistica non sono “deterministici” come la fisica classica o anche quella relativistica: nella prima metà del '900 , con la quantistica anche nelle scienze dure viene introdotta un'incertezza “irrisolvibile” a causa del “fattore umano”. L'uso spregiudicato del positivismo nelle scienze sociali – data la loro “doppio natura” come proposto precedentemente, dovendo incorporare anche l'arbitrio etico-politico, ovvero il “fattore umano” – tende a nascondere la potenziale “indeterminatezza” del conflitto distributivo: questa non disinteressata forzatura spinge di converso al “relativismo etico” (se non esiste un “libero arbitrio” nella sfera dell'agire umano in conseguenza della causazione deterministica di principi fisici, tutta la struttura etica si sfalda nel nichilismo e si impone il relativismo morale: l'etica smette di avere influenza politica e l'individuo, come soggetto decisionale e dotato di volontà, si deresponsabilizza). Della stessa fallacia ideologica è affetta la critica di Popper, nel momento in cui tenta di arginare “positivisticamente” il carattere assolutistico del totalitarismo con argomenti “liberali”, e propone de facto il relativismo... assoluto.
[12]     [12]«La catastrofe nel nostro caso è duplice. In primo luogo, il trattato di Popper contiene più idee sbagliate su Hegel rispetto a qualsiasi altro singolo saggio. In secondo luogo, se si è d'accordo con Popper che “l'onestà intellettuale è fondamentale per tutto ciò che abbiamo a cuore”, si dovrebbe protestare contro i suoi metodi (p.253); infatti, anche se il suo odio verso il totalitarismo è ispirazione e motivo centrale del suo libro, i suoi metodi sono, purtroppo, simili a quelli degli “studiosi” dei regimi totalitari – e si stanno diffondendo anche nel mondo libero», Walter Kaufmann, 1959, “The Hegel Myths and Its Method”.
[13]     Un po' come ai giorni nostri “l'islamofobia è il sovranismo dei diversamente furbi”.
[14]     «Divide et impera, il riprovevole brocardo della tirannia, è sotto determinate circostanze, l'unica politica tramite la quale una repubblica può essere amministrata solo su principi» Un “dividi e regna” a cui sono funzionali enormi spazi, giganteschi mercati del lavoro, differenti esigenze economiche legate a geografia e territorio, localismi e, su tutti, l'immigrazione. Potersela prendere con afroamericani ed ispanici per la criminalità è assolutamente più immediato che comprendere come certe condizioni sociali trovino responsabilità politica nell'élite economica. Il razzismo è l'altra faccia del liberalismo.  

18 commenti:

  1. UN ATTO LIBERTORIO
    (otc, scusate l'interferenza ma ci sta)

    Già si sente il vociare della nomenclatura paraculturale di giornalististi, attori, umoristi, registi, culturame universitario, politici, insegnanti utili al mantenimento della loro pochezza e vanità a glorificare le gesta del vate nel giorno della sua mancanza.

    Quali i segni e le significanze della sua narrazione al ciarpame incolto amplificando lo spirito del tempo che travolge le radici di una cultura millenaria con parossismo ridicolo?

    Quale le stategie, minate da bande venali, di un contribuito alla propagazione del pensiero declinato alla degenerazione dello spirito e dell’azione critica?

    Se ne andato così come è venuto lanciando le spine di rose incolta e lo ricondiamo così, figlio di un tempo.

    Tiremm innanz ..!

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    1. Over The Count ma non Out of Topic: si parla di relativismo e nichilismo:

      RIP

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    2. Grande Costanzo Preve!
      Ma riguardo al perchè "lo seguivano", è facile intuire perché (e Preve lo implica col suo amiccare silenzioso).
      Perchè gli intellettuali "ufficiali" sono, via via, sempre meno intelligenti rispett alle persone comuni; se non altro perché hanno preso la questione del DIO-mercato come "avere un mercato= essere Dio" e credono sul serio alla presa in giro del sistema dei prezzi come "voto permanente" (sulla loro divinità)

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    3. «Morale è compassione»: ma ESSI «non se la meritano».

      «L'individuo abbandonato all'angoscia nullificante della sua insensatezza»: saranno morti «sazi di anni»?

      «Io conosco quelle facce»: non se ne andranno prima di aver inquinato i pozzi.

      Hanno confuso il processo di «modernizzazione del costume» come «progresso sociale». [E non comprendere la differenza tra progressismo e modernismo non è appunto la contaminazione liberale dei laburisti che avanzava nel dopo guerra?]

      Il capitalismo bancario incontrollato: la "catastrofe collettiva come salvezza individuale". Affinché sia accettabile dalla maggioranza «la scemenza deve essere un fatto sociale». Gli intellettuali più stupidi del lavoratore comune.

      Il totalitarismo della mercificazione capitalistica.

      Loro non ce l'hanno [umanamente] fatta e, quindi, non ce la deve fare più nessun altro: la loro morte deve coincidere con la Fine della Storia.

      La metafora della "tazzina che non esiste" come "Il paradosso di Zenone" tanto complesso da risolvere matematicamente, quanto immediata la confutazione empirica di Diogene che si alza e prende a camminare (in nota, grande esempio usato da Bagnai per spiegare "l'inferno della matematica" per dimostrare l'ovvio come nell'economia neoclassica).

      La di ESSI «occupazione quasi militare dei mezzi di comunicazione, editoriali ed accademici».

      «L'oscenità non è il pelo del pube, l'oscenità è questa gente qua.»

      È un bel giorno per ricordare Costanzo Preve.

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  2. Deduzione esilarante. La storiografia ridotta al motto di Panorama “i fatti separati dalle opinioni”, pardon, “i fatti separati dalle analisi e dalle interpretazioni”. Come se in Italia non fosse stato pubblicato già nel 1917 un libretto dal titolo “Teoria e Storia della Storiografia” nel quale, tra l’altro, l’attento lettore potrebbe schiarirsi le idee intorno alla distinzione tra storia e cronaca. Evidentemente lo “scomparso del giorno” deve avere lavorato bene: anche a lui stavano più simpatici “sociologi e scienziati sociali in generale” che filosofi come Croce, il grande assente dal dibattito di coloro che vorrebbero riallacciarsi alla tradizione risorgimentale e repubblicana italiana farfugliando in inglese (o in tedesco). Certo non basta l’osservazione che la differenza tra liberalismo e liberismo esiste solo nel vocabolario italiano per liquidare la millenaria distinzione tra teoria e prassi combattuta da Popper come da Marx.

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    1. @Francesco

      In realtà più che sulla distinzione tra "teoria e prassi", si voleva sensibilizzare sulla differenza tra "struttura" (economica) e "sovrastruttura" (giuridico-politica ed ideologica).

      Che io sappia Croce questa distinzione non la fa: egli era un "idealista", mentre l'analisi economica delle "sovastrutture" emerge essere prassi consolidata dei "liberali classici" e teorizzata in seguito tramite "il materialismo storico" marxista.

      Quindi nel post volevo sottolineare la cosmesi "democrat" che ha fornito Popper, consapevolmente o meno.

      Arriverò a - seguendo le orme di Sheldon Wollin - proporre che il liberalismo classico ha per vocazione il totalitarismo, ovvero la negazione totale della libertà.

      Insomma, in politica non è disgiungibile il "mondo delle idee" dalla prassi.

      La libertà individuale non può non passare dalla libertà sociale, parafrasando Mortati.

      Farei anche notare che nel Gorgia, nel corso del dialogo, con l'esclusione di Socrate, «tutti "sono amanti del demos", del popolo» e «tutti manifestano la convinzione che ogni uomo voglia e faccia solo ciò che ritiene migliore per se stesso, e si dà inoltre per scontato che ciò che è buono per il singolo individuo sia buono per la comunità». H.Arendt, "Alcune questioni di filosofia morale", pag.41

      Non pare essere un caso che il padre del liberalismo Locke fosse coinvolto nella tratta degli schiavi....

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  3. Ringrazio per questo scoppiettante contributo. Che mi ispira.


    «Divide et impera, il riprovevole brocardo della tirannia, è sotto determinate circostanze, l'unica politica tramite la quale una repubblica può essere amministrata solo su principi»

    Noi tendiamo a leggerlo come il pensiero dello statista preoccupato della migliore gestione rei publicae. Ma c'è un'altra angolazione.
    Quella del proprietario terriero (a farci caso i padri fondatori lo erano tutti) preoccupato che i nativi americani non avessero istituito il catasto delle terre. E dei costi da sopportare personalmente in caso a qualcuno venisse in mente una tale considerazione.

    A pensarci nessuna proprietà terriera per quanto antica è difendibile fino all'ultimo processo basato sul diritto promulgato dai proprietari. Sai che costi di difesa? Molto meglio una democrazia (o una monarchia) costituzionale. E a tale proposito i padri fondatori erano personalmente esperti.

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    1. @AP

      Sicuramente i federalisti americani avevano in mente una costituzione funzionale "all'accumulazione" e alla difesa "smart" dalle rivendicazioni sociali.

      Questo emerge abbastanza chiaramente dal Federalist N.10 segnalato da Arturo, e, nella lettera di Madison a Jefferson che segnalo è proprio esplicitata la massima del federalismo interstatale: "divide et impera".

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  4. Ottimo e appassionante, ma si sa: i cattivi sono sempre più interessanti dei "normali".
    Attendo i prossimi approfondimenti sul tema.
    Tre curiosità 'tangenziali':
    1) non ho compreso se il post è tutto di Bazaar o dove comincia o dove finisce la parte di Bazaar;
    2) se il post è in parte di 48, mi pare che in precedenti post l'opinione su Popper fosse meno negativa, un ignorantone sì, ma in buona fede. Uno che, "se nascesse oggi", sarebbe keynesiano;
    3) la frase della Arendt citata nel post la dice lunga sull'onestà intellettuale del personaggio. "Juristen, böse Christen" prima ancora che, forse, di Hitler era una massima luterana...

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    1. Il post (a parte l'introduzione) è solo di Bazaar.
      La precedente mia analisi di Popper era volta a evidenziare come, egli, nei tempi in cui scrisse, era ben consapevole che il conflitto sociale era stato sedato (al tempo, riteneva definitivamente) da un nuovo assetto del mercato del lavoro e dello Stato: superandosi con ciò il lavoro-merce e l'esercito industriale di riserva, e, dunque, la stessa validità dell'analisi marxista.

      Ne dobbiamo dedurre che oggi, di fronte al venir meno di queste obiezioni (o meglio dei suoi presupposti), o Popper avrebbe dovuto rivalutare il marxismo (per coerenza), ovvero avrebbe dovuto ammettere che (come si dice nel post o in un altro dell'epoca) il principale giovamento dei "carri armati di Stalin" si era verificato in Occidente (limitando la restaurazione del liberalismo).

      Tra l'altro, quella parte della critica popperiana al marxismo, ci conferma che la democrazia "o è sociale" (in quanto costituzionalmente, cioè ma massimo livello normativo) risolve il conflitto sociale, "o non è" (secondo il motto di Mortati); cioè diviene simulacro, in quanto democrazia formale (quella che piace ai filosofi italiani...di sinistra), basandosi sulla sola eguaglianza sostanziale e sul processo elettorale (ridivenuto idraulico, in assenza di vincolo pluriclasse per lo Stato).

      Diciamo che la "società aperta" negli USA se ne starebbe forse accorgendo; almeno in parte e in condizioni abbastanza tragicomiche (tra Trump e la Clinton con lo sfondo del muro anti-freetrade col Messico...che, tra l'altro, esiste già)...

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    2. Grazie per la risposta.
      Mi pare di poter osservare che uno dei tratti caratterizzanti della LORO azione è stato il lavoro 'alle fondamenta' del sistema pluriclasse, che per loro natura non si vedono e di cui non si discute fino a che è troppo tardi...
      Così, Popper critica Marx sul presupposto che la realtà sia cambiata e il lavoro non possa più essere una merce. Ma per analogia il discorso può essere riferito alla stessa Costituzione italiana, che non prevede il diritto alla resistenza, né disciplina i rapporti con la Banca d'Italia e la finanza, né pone un limite espresso alla tassazione.
      Aspetti che non vennero espressamente disciplinati in quanto meri corollari delle regole fondamentali già poste. Cambiata surrettiziamente la cornice dei valori, si sono trovati davanti una prateria sconfinata, con le istituzioni al loro servizio.
      Forse la prossima Costituzione dovrà essere ancora più lunga...

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    3. @Duccio Tessandri

      Il punto è che il problema non è la Carta di per sé: certo, poteva sempre essere migliorata in mejus.

      L'attuale sarebbe stata probabilmente già stata sufficiente a guidare il percorso della comunità sociale: il punto è che il sistema di relazioni internazionali presentava dei rapporti di forza a noi italiani sfavorevoli qualsiasi accorgimento alla Carta avessimo fatto.

      Non abbiamo fatto in tempo a formare una classe dirigente all'altezza (soprattutto non ci è stato permesso), e il democraticismo imperiale USA poggia le fondamenta su una Carta liberista ed espressamente - nelle intenzioni dei costituenti - antidemocratica.

      Ho sentito più volte Americani sottolineare che la loro è una Repubblica e non una democrazia.

      Questi conservatori ne sono spesso consapevoli e ne vanno fieri...

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    4. In effetti, l'art.11 Cost.(come pure l'art.47) sono straordinariamente chiari. Volendo.
      Ma se poi la loro rilettura è avvenuto nell'ambito dei meccanismi culturali neo-liberisti, cioè dei meccanismi di trasmissione dei rapporti di forza internazionali, qualsiasi maggior cautela o esplicitazione di salvaguardia sarebbero risultate inutili.

      Poi, le mie proposte su come si potrebbe rafforzare la Costituzione per evitare, ancora una volta, che "tutto questo si ripeta", in qualche modo le ho fatte
      http://www.riscossaitaliana.it/studio-luciano-barra-caracciolo-sulle-proposte-emendative-per-ripristino-piena-legalita-costituzionale/

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    5. Si, appunto, repubblica e non democrazia (costituzionale). Perdonate il refuso.

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  5. Dico due cose molto terra terra.

    La prima è che una classe dirigente all altezza noi italiani l avevamo. Non è che non abbiamo fatto in tempo a formarla. L avevamo formatasi proprio grazie ai soprusi che aveva dovuto sopportare. Ma è stata tolta di mezzo in modi anche violenti.

    L altra è che mi piacerebbe proprio tanto vedere una campagna elettorale tra Sanders e Trump (contro cui stranamente si è già espresso il Papa...chissà perché non sento levarsi l indignazione per questa specifica intromissione della chiesa nella politica)

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  6. Risposte
    1. Aggiungo: Alberto ci ha preceduto.
      Lo recensiremo anche qui: magari lo faremo presentare all'autrice che scrive abbastanza regolarmente su questo blog. Infatti è Sofia...

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