1. Perchè, vedete, il "trucco" è sempre lo stesso: prima si crea una situazione istituzionale sovranazionale (cioè un vincolo da trattato internazionale) che non consente agli Stati democratici la tutela dei diritti fondamentali (occupazione, salute, istruzione, previdenza) delle comunità sociali, le più ampie possibile in omaggio alla dottrina che i "confini" statali sono cattivi e guerrafondai.
Poi si invoca un rafforzamento di questa situazione istituzionale come rimedio alla insostenibilità creata da essa stessa.
Sappiamo ormai che questo è il metodo seguito con la moneta unica europea. Nonostante che questa metodologia fosse stata abbondantemente deunciata in anticipo, e tutt'ora, come distruttiva del benessere e della democrazia.
2. Ma, in realtà, come s'è pure già detto, il trucco del mondialismo, di cui l'UE-UEM sono l'esperimento-pilota, orwelliano, più avanzato - nel senso che se funziona sulle democrazie costituzionali di paesi economicamente e socialmente sviluppati, nulla poi sarà capace di opporglisi-, ha un'unica e solida matrice:
"in
una federazione di stati nazionali la diversità di interessi è maggiore
di quella presente all'interno di un singolo stato, e allo stesso tempo
è più debole il sentimento di appartenenza a un'identità in nome della
quale superare i conflitti stessi (…). Un'omogeneità strutturale,
derivante da dimensioni limitate e tradizioni comuni, permette
interventi sulla vita sociale ed economica che non risulterebbero
accettabili nel quadro di unità politiche più ampie e per questo meno
omogenee (Hayek, 1939, “The Economic Conditions of Interstate Federalism”pagg.121-122)".
3. Muovendo da questa matrice, il discorso può essere strategicamente sofisticato in modo tale da risultare incontestabile e da rendere definitivamente impotenti le reazioni democratiche dei paesi i cui popoli sono sottoposti alla condizionalità e al senso di colpa.
Un esempio di questa strategia l'abbiamo vista nelle teorie della Sassen sulla "globalizzazione buona", cosa che a sua volta presuppone quel diffuso benessere conseguente al molto presunto "maggior" progresso tecnologico che ne deriverebbe.
Nel suo linguaggio paludato, - ma circondato da un'ammirazione incondizionata negli ambienti mondialisti, divenuti paradigma mediatico del bene e della pace-, la Sassen ci spiega infatti che:
"La globalizzazione è frutto di "nuovi regimi giuridici", che, come sappiamo, fanno capo alla conclusione di trattati internazionali che, - come ammette senza alcuna preoccupazione, anzi, con un certo "apprezzamento", la Sassen-, constano:
a) di un punto di riferimento finale, cioè il titolare dell'interesse tutelato e realizzato dai trattati, individuato nelle "marche globali" (sarebbe poi a dire, le industrie multinazionali);
b) un punto di riferimento statuale nazionale, individuato in "alcuni settori", o "alcune componenti" interne allo Stato nazionale (!) che con un lavoro "altamente specializzato" - cioè di quelli ben retribuiti- portano avanti la denazionalizzazione per edificare uno spazio internazionalizzato nell'interesse non dei cittadini - che, necessariamente, sono coloro nel cui interesse devono agire i vari "settori" dello Stato-, ma delle imprese multinazionali.
Infatti queste, poverine, non avendo una persona giuridica che le tutela (a livello mondiale), si devono accontentare di...catturare settori dello Stato per fargli attuare politiche di proprio interesse...non nazionale!"
La Sassen poi precisa ulteriormente:
"Perché se riconosciamo i processi di denazionalizzazione, se in altri termini comprendiamo che la globalizzazione è un processo parzialmente endogeno al nazionale piuttosto che a esso esterno, possiamo capire che è proprio all’interno
del nazionale che si stanno aprendo nuovi spazi politici potenzialmente
globali per tutta una serie di attori confinati nel nazionale.
Attori che possono prendere parte alla politica globale non solo
attraverso strumenti globali, di cui possono anche non disporre, ma
attraverso gli strumenti formali dello stato nazionale...".
Questo
passaggio può apparire un po' criptico e, addirittura, (nella
tentazione di andare oltre), può indurre a soprassedere. Mal ve ne
incoglierebbe! Quello che la Sassen ci sta dicendo nel suo metalinguaggio (che l'ha ormai resa celebre) è, tradotto in corretti e concreti termini giuridico-economici:
- i
politici che assumono il ruolo di promuovere, concludere e,
successivamente, attuare i trattati internazionali che tutelano gli
interessi delle "marche globali"(="multinazionali") acquistano un
maggiore e crescente spazio istituzionale, funzionalmente giustificato
dallo sviluppo dell'azione agevolatrice già svolta."
4. Ora, in margine al famoso trilemma di Rodrik, che in realtà è una versione abbastanza standard di cose che altri dicono ancor più esplicitamente - come Sen sopra riportato o prima ancora Rawls, Keynes e Caffè -, si è riaccesa l'attenzione: ovviamente per la preoccupazione di confutarlo, in un momento in cui il capitalismo sfrenato, che è il volto nascosto del mondialismo, pare impaziente di superare gli ostacoli che si frappongono alla sua definitiva affermazione istituzionale.
Non sorprendentemente, provvede alla sua dose di confutazione il Sole24 ore.
Si espone la spiegazione di Rodrik circa la soluzione per una globalizzazione più o meno, (moderatamente), democratica:
«Io non ho dubbi: la democrazia e la determinazione nazionale
devono prevalere sull’iperglobalizzazione - spega ancora Rodrik - . Le
democrazie hanno il diritto di proteggere i loro sistemi sociali, e
quando questo diritto entra in conflitto con le esigenze dell’economia
globale, è quest’ultima che deve cedere. Restituire potere alle
democrazie nazionali garantirebbe basi più solide per l’economia
mondiale, e qui sta il paradosso estremo della globalizzazione. Uno
strato sottile di regole internazionali, che lascino ampio spazio di
manovra ai Governi nazionali, è una globalizzazione migliore, un sistema
che può risolvere i mali della globalizzazione senza intaccarne i
grandi benefici economici». Non ci serve una globalizzazione estrema,
riassume con uno slogan, ma una globalizzazione intelligente."
5. Ma il gran finale dell'articolo del Sole è dedicato alla confutazione di questa idea (implicitamente bislacca e retrograda).
La liquidazione di Rodrik, come vedrete, è alquanto perentoria (abbiamo aggiunto il link al c.v. di Rosa Lastra. A proposito, perchè rivolgersi proprio e solo a lei, esperta di diritto internazionale della finanza e della moneta, per dare una valutazione sul pensiero di un economista dello sviluppo, in tema di implicazioni istituzionali di assetti macroeconomici internazionali?):
"Dunque la ricetta per una globalizzazione intelligente sarebbe un
ritorno agli Stati nazionali? Rosa Lastra, docente di International
Financial and Monetary Law alla Queen Mary University of London, non è
per nulla d’accordo.
«Secondo me la dicotomia tra mercati internazionali
e leggi nazionali può essere meglio affrontata proprio attraverso
l’internazionalizzazione delle regole e delle istituzioni che governano i
mercati mondiali - spiega - . La risposta è quella di più leggi
internazionali e meno nazionali». Quindi una strada opposta rispetto a
quella indicata da Rodrik. L’eccessiva fiducia nelle leggi nazionali
accompagnata da deboli standard normativi internazionali è stata anzi
una delle cause della crisi finanziaria globale, spiega ancora Lastra.
Ma chi può gestire il cambiamento? «Il Fondo monetario internazionale,
istituzione al centro del sistema monetario e finanziario
internazionale, è nella miglior posizione per diventare uno “sceriffo
globale” della stabilità», conclude la studiosa. Con buona pace del
trilemma".
6. Circa la mission del FMI e di come si sia andata trasformando nel tempo, rinviamo a quanto illustrato qui, citandone un passaggio saliente:
"Siamo di fronte, oggi più che mai, a quello che Lordon chiama il diritto internazionale privatizzato (cioè, poi, come evidenzia Chang, non certo a vantaggio delle comunità sociali, ma rispondente agli interessi degli eletti, i "Bad Samaritans", professanti il free-trade da invariabili posizioni di forza).
Anzi tale sistema "istituzionalizzato" risponde, più esattamente, alle potenze vincitrici "occidentali" (problema che ha prima reso scarsamente efficace lo stesso ruolo dellONU e che poi lo ha quasi del tutto reso inutile).
Tali potenze hanno esercitato e tutt'ora cercano di esercitare, secondo la loro convenienza politico-economica, il controllo (governance) su WTO, OCSE, WB, e, più che mai, sul FMI.
Quest'ultimo è ormai irreversibilmente trasformato in un organismo che nulla più ha a che fare, semmai in passato l'abbia avuto, con i principi della Carta della Nazioni Unite, cioè con gli scopi fondamentali di queste ultime.
Tant'è che nessuno penserebbe di rivolgersi con qualche speranza di
essere ascoltato, all'Assembea o altro organo arbitrale delle NU, -
divenute ormai troppo "deboli" se non inutili-, per dedurre l'illegittimità provocata dalla inosservanza dell'accordo (di mera forma, ai sensi degli artt.57 e 63 della Carta ONU) concluso dal FMI con le NU, violazione concretizzatasi nella imposizione di una "lettera di Intenti".
Queste "lettere di intenti" sono normalmente impositive, allo Stato indebitato con l'estero, di pesanti "condizionalità"
in cambio dell'accesso, mediato attraverso i c.d. "diritti speciali di
prelievo", alla valuta di riserva occorrente nelle transazioni
internazionali (quella valuta che i paesi del c.d. "terzo mondo" prima, e
poi, grazie alla asimmetria strutturale dell'euro, i paesi "periferici"
dell'UEM, non vantano più come "riserva", essendo impediti, grazie al
funzionamento dei mercati "liberalizzati"di capitali e di merci, a
procurarsela mediante dei fisiologici attivi della bilancia dei
pagamenti, resi impossibili dal funzionamento del free-trade).
Ma non risulta che tali "condizionalità" imposte dal FMI siano mai state oggetto di censura, mediante raccomandazioni (art.63 della Cartta), di organi dell'ONU, ovvero di lamentela da parte degli Stati per aver violato ciò che l'accordo che "dovrebbe" legare il FMI all'ONU sarebbe teso a garantire: cioè che il FMI (in quanto istituto specializzato delle NU) debba operare nel quadro dei fini indicati come prioritari dall'art.55 della Carta...
Ma non risulta che tali "condizionalità" imposte dal FMI siano mai state oggetto di censura, mediante raccomandazioni (art.63 della Cartta), di organi dell'ONU, ovvero di lamentela da parte degli Stati per aver violato ciò che l'accordo che "dovrebbe" legare il FMI all'ONU sarebbe teso a garantire: cioè che il FMI (in quanto istituto specializzato delle NU) debba operare nel quadro dei fini indicati come prioritari dall'art.55 della Carta...
...Gli esiti delle "cure" propinate ai vari paesi dalle condizionalità imposte dal FMI non possono certamente ricondursi, neppure nelle più sfrenate fantasie, a tali finalità ed obiettivi.
E le Nazioni Unite, prescegliendo, attraverso il proprio Consiglio economico e sociale, di tralasciare la verifica sostanziale del rispetto dell'art.55 da parte dei suoi istituti o "agenzie" specializzati, hanno lasciato mano libera al FMI per instaurare una precisa concezione del ruolo della moneta e dei modi di correzione degli squilibri nei pagamenti internazionali che ha finito per negare, anzichè tutelare, diritti umani e piena occupazione, elevazione culturale e autodecisione dei popoli."
E le Nazioni Unite, prescegliendo, attraverso il proprio Consiglio economico e sociale, di tralasciare la verifica sostanziale del rispetto dell'art.55 da parte dei suoi istituti o "agenzie" specializzati, hanno lasciato mano libera al FMI per instaurare una precisa concezione del ruolo della moneta e dei modi di correzione degli squilibri nei pagamenti internazionali che ha finito per negare, anzichè tutelare, diritti umani e piena occupazione, elevazione culturale e autodecisione dei popoli."
7. Insomma, si poteva chiedere anche una serie di pareri sul tema della globalizzazione, e sulle stesse teorie di Rodrik, a chi, per c.v. e autorevolezza scientifica, è più noto per essersene occupato. Tipo lo stesso Lordon o Chang, che non sono certo gli ultimi arrivati. E lo si poteva fare, se non altro, per completezza di contraddittorio e di informazione.
Di Lordon riportiamo questa citazione, proprio perché è particolarmente attinente al tema (ed essendo tratta da "Le Monde Diplomatique", non era certo meno autorevole):
"Ripiegamento nazionale", in ogni
caso, è diventato il termine spauracchio, suscettibile, nella sua
genericità, di essere opposto a qualsiasi progetto di uscita dall'ordine
neoliberale.
Dal momento che, se quest'ordine in effetti si definisce
come sforzo di dissoluzione sistematica della sovranità dei popoli,
perché possa così dispiegarsi senza intralcio la potenza dominante del
capitale, qualsiasi idea di porvi fine non può avere altro senso che
quello di una restaurazione di questa sovranità. [...]
Pronunciare la
parola "nazione", come una delle possibili vie di questa restaurazione
della sovranità popolare, forse anche la più agevole o almeno la più
facilmente accessibile a breve termine - precisazione temporale
importante, visto che il jacquattalismo mondiale può aspettare -
pronunciare la parola "nazione", dunque, significa esporsi ai fulmini
dell'internazionalismo, o almeno della sua forma più inconseguente:
quella che, o sogna un internazionalismo politicamente vuoto, visto che non
indica mai le condizioni concrete della deliberazione collettiva,
oppure, indicandole, non si accorge che sta semplicemente reinventando
il principio (moderno) della nazione su scala più ampia!"
8. In definitiva, la soluzione offerta dalla Lastra è proprio quel meccanismo sul quale abbiamo portato l'attenzione all'inizio del post: un vincolo esterno rende gli Stati impotenti perchè, contrariamente a quello che afferma la Lastra, le regole derivanti dal diritto internazionale "privatizzato", dei trattati, vengono affermate in assunto come più forti.
Ma tali regole sono forti proprio in quanto hanno un inarrestabile effetto programmatico liberalizzante di scambi e movimenti dei capitali; quindi, sono volte ad affermare la deregolazione dell'intervento e degli interessi pubblici, come discende appunto dalle lettere di intenti del FMI (o dai memorandum della trojka UE), per giungere alla neo-liberista "libertà" degli operatori economici sovranazionali.
In altre parole, gli standard delle "leggi" internazionali sono già estremamente forti.
Se dovessero non avere più questo contenuto "debole", che è appunto segno di una grande forza normativa (capace di destrutturare Stati e sovranità!), semplicemente dovrebbero regolare altri, nel senso di "ulteriori", interessi: ma gli interessi di chi e, soprattutto, prescelti come?
E quali sarebbero le sedi di rappresentanza istituzionale di tali interessi a livello internazionale?
Come e da chi sarebero "votate/adottate" leggi di regolazione nel pubblico interesse del sub-strato sociale internazionale? Ammesso che è questo quanto si intenderebbe fare e ammesso che questo pubblico interesse internazionalizzato sia identificabile e concretizzabile, cosa che Hayek nega radicalmente, con una geniale intuizione, ponendo tale negatoria alla base dell'internazionalismo istituzionalizzato (ovvero, del mondialismo della globalizzazione per trattato, ai nostri giorni)?
E un tale paradigma è, sia pur in negativo, cioè come paralisi delle potestà normative statali (avete presente la storiella degli "aiuti di Stato" di fronte a una crisi bancaria che travolga i risparmi tutelati dall'art.47 Cost.?), il massimo della forza cogente storicamente raggiunta dai trattati: cioè la paralisi e la delegittimazione delle fonti giuridiche supreme degli Stati nazionali, cioè le Costituzioni.
Questi problemi non sono neppure considerati lontanamente nella semplificata e apodittica confutazione del trilemma di Rodrik da parte della Lastra (e dunque nell'articolo del Sole24h.). Gli interrogativi sopra posti non hanno cioè alcun tipo di risposta.
Ma questo, se dal punto di vista mediatico, può essere un abile sistema semplificato di sostegno al paradigma mondialista, dal punto di vista pratico, cioè della soluzione dei problemi macroeconomici e sociali, che si pongono a causa del mondialismo, è solo quello che appare: una pericolosa non risposta.
Piccola enciclopedia del mondialista:
RispondiElimina«globalizzazione economica» == «mondialismo antidemocratico»
«internazionalismo» == «anazionalismo»
«democrazia» == «oligarchia liberale»
«dispostismo illuminato» == «tirannia orwelliana»
«socialmente moderno» == «struttura in classi pre-ottocentesca»
«progressismo sociale» == «modernismo tecnologico»
«"alcune componenti" interne allo Stato nazionale» == «Quarto Partito»; cioè collaborazionisti infiltrati nelle istituzioni; in ultima istanza eversori e traditori della Patria.
«Intervento FMI e organizzazioni sovranazionali» == «Forma di Neocolonialismo (cit. prof. Monti)»; sgraditi dai macellai sociali in loden in quanto ritenuti troppo violenti e sanguinari. Il Galateo impone di non parlarne a tavola o dopo la celebrazione eucaristica.
«assassino» == «lavoratore che uccide direttamente o indirettamente esseri umani»
«eroe» == «operatore del grande capitale che stermina direttamente o indirettamente interi popoli»
«deontologia» == «occuparsi di argomenti di cui non si hanno le competenze per favorire gli interesse delle marche globali» (in gergo, "consulenze Coca Cola")
Questo piccolo dizionario mi fa rivenire alla mente due "intuizioni" presenti in due film, uno degli anni '70 ed uno del decennio successivo.
EliminaIl primo lungometraggio è il celebre (e bellissmo) "Quinto potere", ed in particolare la scena dove il magnate dell'economia riceve il giornalista impazzito nella sala delle riunioni, profetizzando il mondo prossimo venturo come "unica, vasta, comunità finanziaria"....
Il secondo, di fatto un B-Movie, è il meno conosciuto (e bruttissimo) "Robocop 2". In sostanza, si profetizza che un'azienda privata non arrivi solo a comprarsi i servizi di polizia, ma addirittura l'intero comune di Detroit. Alla domanda del sindaco "e come la mettiamo con la democrazia?", il presidente dell'azienda risponde (se non erro): "chiunque può essere un nostro azionista, quindi il processo mi pare democratico".
Questo scambio di battute, credo sintetizzi l'ordoliberismo in maniera superba, profetizzando il superamento dello status di "elettore" nell'ordinamento democratico con quello di "azionista" (che si presume per definizione migliore), all'interno dell'azienda che si sostituisce allo Stato......
La trasformazione delle aziende municipalizzate emiliane, da consorzi di Comuni in società per azioni, assomiglia a quel tipo di evoluzione... il caso di AGAC, poi Iren, poi Hera, ad esempio.
EliminaIn effetti è incredibile come a volte la fantasia cinematografica arrivi a "predire" la realtà. Riporto un altro dialogo di quello stesso film:
EliminaMayor Kuzack: How are we supposed to raise that kind of money with things the way they are?
The Old Man: You aren't.
Mayor Kuzack: What the hell is he talking about?
The Old Man: We don't expect you to pay.
Holzgang: Let me refer you to our contract. "In the event of default, OCP shall have the uncontested right of foreclosure on all city assets."
Poulos: [reading contract for himself, then to the Mayor] You SIGNED this.
Mayor Kuzack: So you're saying we miss one payment and you can foreclose.
The Old Man: We can and we will. We're taking Detroit private.
Anche in quel dialogo c'era tutta la metodologia dell'uso strumentale del debito ai fini della privatizzazione. Quello che nel 1990 si "immaginava" in un flim di quart'ordine, è quello che oggi, nel 2016, vediamo succedere nell'Europa mediterranea e in tanti altri contesti.
"We don't expect you to pay", dice il magnate al sindaco prossimo alla bancarotta. In fondo, è lo stesso messaggio che le imprese tedesche mandano alla Grecia. Più che di "efficacia ed efficientamento", come dice la propaganda ordoliberista, si tratta di semplice e deprecabile strozzinaggio: nessuno strozzino vuole che il debitore paghi; al contrario, il debitore deve fallire affinché ci si possa impossessare dei suoi beni.
Insomma, siamo tornati ai tempi della Convenzione di Kanagawa e del c.d. Trattato Harris, ufficialmente denominati Japan–US Treaty of Peace and Amity (Trattato di pace e amicizia fra Giappone e Stati Uniti) e Treaty of Amity and Commerce (Trattato di amicizia e del commercio): trattasi evidentemente di un caso grave di bislinguaggio di ritorno.
RispondiEliminaIl fine dell’integrazione europea, come corposo segmento del fenomeno mondialista ed interznazionalista, è insomma quello di creare ed organizzare il potere di una nuova superclasse dirigente sovranazionale (S. D’Albergo, I “fans” del capitalismo. Lo psicodramma dell’“europeizzazione, 86 ss.), che a sua volta dovrà promuovere e supportare il processo di formazione di una superclasse imprenditoriale internazionale votata a produrre e commercializzare per una minoranza ristretta di élites. Insomma, una rozza cupola di plantageneti, orgoglio dei manicomi, protesa a nutrire in modo maternale il mercato globalizzato. E i poveri si facciano sterilizzare - come suggerì Thomas Nixon Carver – in modo che non sossano procreare e quindi perpetuare la loro schiatta. Il tutto, ovviamente, nell’ambito di una cornice giuridica ineccepibile per ESSI; altrimenti non potrebbe spiegarsi la cervellotica teoria del “costituzionalismo multilevel” di I. Pernice e combriccola che tanto fascino suscita nei moderni giuristi, ovvero: il diritto come carnevale normativo al servizio dei fini ordoliberisti (il meraviglioso sogno di Böhm)
RispondiEliminaDa notare che il FMI come "sceriffo mondiale" avrebbe il compito di garantire la "stabilità" (finanziaria, monetaria). E questa, secondo il Sole, sarebbe una idonea risposta definitiva al problema della democrazia posto da Rodrik.
EliminaIl problema evidentemente sono i suoi lettori: o non fanno più caso alle parole, o ritengono tutti di divenire membri permanenti della elite...O entrambe le cose: ma entrambe in base ad un'assuefazione (da linguaggio tecnopop-mediatico) in cui la realtà è un'ipotesi affogata nei fumi di un lessico ormai fuori controllo
Magari un esempio concreto di "multi-level governance" può aiutare a chiarirne le dinamiche. Prendiamo la descrizione che del suo paese (l'Honduras degli anni Ottanta) dà uno storico come Augustìn Cueva:
Elimina"The importance of the presidential elections, with or without
fraud, is relative. The decisions that affect Honduras are first
made in Washington; then in the American military command in Panama (the Southern Command); afterwards in the American base command of Palmerola, Honduras; immediately after in the American Embassy in Tegucigalpa; in the fifth place comes the commander-in-chief of the Honduran armed forces; and the president of the Republic only appears in sixth place.
We vote, then, for a sixth-category official in terms of decision
capacity. The president's functions are limited to managing misery and obtaining American loans". (riportato in A. Boron, Empire and Imperialism, N.Y., Zed Books, 2005, pp. 80-81).
Come ricorderai "le gerarchie contano"...
EliminaRitengo che il solo fatto di leggerlo, il giornale, ingrossi il loro ego e li faccia già sentire parte delle élite!
RispondiEliminaPensavo che rileggere Calamandrei a distanza di quasi 70 anni fa impressione per la chiarezza di pensiero e per la sua limpida preveggenza. In un intervento pubblicato su "Il Ponte" nel giugno del '50, titolato Repubblica pontificia, Calamandrei affermava (...) In questo desiderio di verità e di chiarezza che porta non solo i politici, ma anche i giuristi non schiavi della lettera, a ricercare qual è oggi, non tanto sui testi stampati quanto nella realtà viva, l'ordinamento costituzionale che regge l'Italia, due indagini preliminari sono lecite: la Repubblica italiana è veramente una Repubblica democratica? E l'Italia è veramente uno stato indipendente e sovrano? Intendiamo per repubblica democratica quella nella quale tutti i cittadini concorrono in misura giuridicamente uguale alla formazione della volontà dello Stato che si manifesta nelle leggi e in cui in misura giuridicamente uguale tutti i cittadini partecipano ai diritti e ai doveri che dalle leggi derivano (n.d.r. è la capacità giuridica contrapposta alla schiavitù di cui Lei parla) (...). D'altra parte, per aversi uno Stato sovrano ed indipendente è necessario che alla formazione della sua volontà concorrano soltanto, attraverso i congegni costituzionali a ciò preposti, le forze politiche interne: Stato democratico sovrano è quello le cui determinazioni dipendono soltanto dalla volontà collettiva del suo popolo, espressa in modo democratico, e non dalla volontà o da forze esterne, che stiano al di sopra del popolo e al di fuori dello Stato. (...) le forme di limitazione di sovranità conosciute e classificate dai giuristi non sono tutte le limitazioni che operano di fatto nella vita degli Stati: non soltanto perché nelle relazioni tra Stati (come nelle relazioni tra individui) si fanno sentire di fatto preminenze di ordine economico e militare, per le quali gli Stati economicamente più deboli debbono rassegnarsi a essere meno indipendenti di quelli economicamente più forti; ma anche perché i canali di penetrazione attraverso i quali le imposizioni riescono a infiltrarsi nell'interno di un ordinamento costituzionale apparentemente sovrano possono essere molto più complicati e molto meno classificabili di quelli previsti negli schemi dei giuristi. Sicchè può avvenire che in uno Stato che si afferma indipendente gli organi che lo governano si trovino senza accorgersene, in virtù di questi segreti canali di pemeazione, a esprimere non la volontà del proprio popolo, ma una volontà che vien dettata dall'esterno e di fronte alla quale il popolo cosiddetto sovrano si trova in realtà in condizione di sudditanza (...)" (Lo Stato siamo noi, 33-36). E pensare che eravamo pure stati avvertiti...
RispondiEliminaLa citazione di Lordon è straordinaria nella sua critica di questo "internazionalismo" peloso, che appunto si presenta o come "politicamente vuoto, visto che non indica mai le condizioni concrete della deliberazione collettiva" oppure "reinventando il principio (moderno) della nazione su scala più ampia".
RispondiElimina"Alla fede che i neoclassici ripongono nei meccanismi di mercato e nella mano invisibile, si oppone la sfiducia degli eterodossi. Questi mettono in discussione, con gradi diversi, tanto l’efficienza, quanto l’equità dei meccanismi di mercato, così come la loro stessa esistenza.
RispondiEliminaL’iniquità dei mercati è messa particolarmente in risalto dagli economisti sociali e dalla scuola umanista e antiutilitarista. D’altro canto è impossibile lasciare a loro stessi i mercati, dal momento che non sono in grado di auto-regolarsi. La cosa è particolarmente evidente se si considerano le gravi frodi finanziarie che hanno per protagoniste le corporation, come dimostrano i casi Enron e Wolrdcom del 2002. Ciò conduce gli eterodossi a sostenere decisamente che i mercati – specialmente
i mercati finanziari – devono essere regolati dallo stato, proprio come la proprietà privata – che è la base del capitalismo – deve essere protetta dallo stato. Di conseguenza, gli economisti eterodossi considerano la concorrenza perfetta, ottimale per tutti, soltanto uno stato transitorio. La concorrenza degenera molto in fretta in forme di oligopolio o di monopolio. I governi devono intervenire o entrare direttamente nei mercati privati, che saranno altrimenti affetti da instabilità, e che porteranno in breve tempo ad uno spreco di risorse. Lo stato deve regolare i mercati, e a livello macroeconomico, deve regolare la domanda aggregata.". Visto quanto dice Lavoie, solo lo Stato può regolare i mercati, quindi una associazione di Stati, democratici e sovrani, cioè con pieni poteri sui mercati finanziari, potrà attuare quelle regole a cui la Lastra auspica, cadendo quindi a mio parere in contraddizione.
Mi scuso per essere fuori argomento settimana scorsa nella trasmissione radiofonica mix 24 di Gesù. Minoli hanno trasmesso la vita di Guido Carli ex governatore della BC.Italiana in inoltre dei suoi ricordi scritti disse se Io come Governatore centrale mi RIFIUTASSI DI MONETIZZARE IL DEFICIT STATALE DIETRO RICHIESTA DEL GOVERNO DEMOCRATICAMENTE ELETTO FAREI UN ATTO SOVVERSIVO...Perché il potere bancario è al servizio dello stato. Non credevo alle mie orecchie ...
RispondiElimina..saluti sempre con ammirazione il trattatellum
Siamo in uno stagno che si sta prosciugando rapidamente. Le 'spiegazioni' liberiste old-style usate fino a qualche anno fa suonano ormai false, hanno fatto il loro tempo, occorre raffinare l'inganno...
RispondiEliminaHo dato un'occhiata, incuriosito dalla sconclusionatezza dell'articolo del Sole 24 Ore citato da 48, agli altri articoli di Enrico Marro , che mi sembrano assolvano – probabilmente all’insaputa dell’autore - un po' tutti alla stessa funzione: affrontare i temi della cronaca o della storia economica che, visti i tempi, potrebbero far insorgere qualche dubbio sulla struttura stessa del sistema, introdurli in maniera decente e poi ... mandarli in mona con repentine aporie logiche. Debunker, li chiamano i complottisti…
Tra le tante … Qui il nostro spiega il miracoloso recupero dell'economia di Cipro dopo il severo ma giusto bail-in, che è riuscita a battere la troika essendo ancora più pura e dura della stessa nelle politiche di rigore: "Il miracolo cipriota, fatto di riforme e sacrifici. Merito anche delle dure riforme varate da Nicosia, con tagli alla spesa pubblica, riordino del sistema previdenziale e privatizzazioni a tappe forzate"
Qui propone una soluzione, moderata ma efficace, per il risanamento dei conti pubblici: "L’idea è quindi trasformare l’ipotetica una tantum da 35mila euro in «una quota annua costante, limitatamente al tempo e alle età in cui gli italiani si trovano nella condizione di appartenere alla popolazione attiva (convenzionalmente 20-64 anni)» ... «Il contributo pro capite da richiedere annualmente ai fini di una completa estinzione del debito pubblico italiano a tutti gli attuali residenti – da subito o da quando (e per quanto) essi saranno in età attiva - risulterebbe pari a 1.757 euro, ragionando sul puro rimborso del capitale iniziale», calcola il docente universitario. "
Qui, infine, un'altra chicca. Si scopre, finalmente, la vera causa dei 54mila decessi in più del 2015, ovverosia la maledetta, infernale ondata di caldo che si è abbattuta sull'italica penisola nel mese, altrimenti solitamente fresco, di luglio: "L’estate 2015 in effetti è stata infernale (...) il mese di luglio, in particolare, si è rivelato il più torrido da 136 anni. In Italia le temperature sono state fino a 4°C superiori ai valori di riferimento, con picchi di 41°C. «La quota di mortalità attribuibile alle ondate di calore del luglio 2015 pare sufficiente a spiegare l’unica variazione statisticamente significativa in eccesso nella serie temporale tra il 2011 e il 2015», spiega Giuseppe Costa, docente di Igiene presso l’Università di Torino e direttore del servizio di riferimento regionale per l’epidemiologia del Piemonte. ".