martedì 5 aprile 2016

TOH, IL "MERCATO" IMPONE LA DECISIONE POLITICA IN €UROPA (quindi in Italia)

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1. Oggi più che mai, di fronte allo "stravagante" stupore mostrato dai media mainstream circa l'influenza del settore privato sulle decisioni politico-economiche, (cioè di livello legislativo), adottate dal settore pubblico, conviene rammentare l'analisi compiuta da Galbraith e riportata in un recente post.
Ve ne faccio una sintesi per linee essenziali che renda conto della istituzionalizzazione di tale influenza, al di là della questione del complesso militare-industriale (particolarmente influente negli USA per ben note ragioni strategiche internazionali):
"Che il settore privato stia conquistando un ruolo predominante rispetto al settore pubblico è evidente. Meglio sarebbe discuterne in modo comprensibile.

Per la verità, parlare del mito della contrapposizione di pubblico e privato non è molto originale dal momento che la prima assai autorevole testimonianza in questo senso risale niente meno che al presidente Dwight D. Eisenhower, con le sue denunce dello strapotere del complesso militare-industriale.
...
Il mito contrappositivo dei due settori e le sue formidabili implicazioni si dissolvono lasciando un senso di urgenza ma non di grande originalità. Nè si tratta di una truffa innocente, in senso politico o sociale.


...In tempi recenti, l'invasione del cosiddetto settore pubblico da parte di quello che palesemente è il settore privato è diventata quasi normale

E dal momento che il management ha piena autorità nella moderna impresa, è naturale che tale autorità si estenda alla politica e al governo.

Una volta erano i capitalisti a intromettersi nella governo della cosa pubblica: ora sono i vertici delle grandi imprese".

2. Potremmo assumere questa sintesi come un'epigrafe da cui muovere per illustrarne una serie di corollari, altrettanto essenziali perché ormai istituzionalizzati.
Il primo, e più eclatante, è che si conferma lo schema della "teoria generale della corruzione"
L'essenza del fenomeno corruttivo, infatti, tende a sfumare elusivamente in un'area quasi insindacabile, rispetto alle ipotesi considerate dalle norme penali, allorché l'influenzamento del settore privato è esercitato, preferenzialmente, sul livello dell'indirizzo politico, cioè potendo controllare il processo normativo ai più alti livelli. 
Questo effetto di controllo del processo normativo, a sua volta, è la conseguenza di un ambiente istituzionale orientato al "mercato" ("che non può essere nè progettato nè discusso razionalmente perchè è esso stesso a produrre la ragione"): cioè orientato a considerare l'attività di impresa, "gli investitori", come principale, se non unico, punto di riferimento dell'azione politica; e, dunque, non l'elettorato, inteso come popolo sovrano che si esprime nei modi previsti dalla Costituzione, i cui interessi dovrebbero essere riflessi nei programmi delle formazioni politiche che ne richiedono il voto.


1) ad un estremo abbiamo uno Stato autoritario, con forte repressione poliziesca e scarsa garanzia processuale delle libertà del cittadino di fronte allo Stato, controllato da una classe politica ben salda di un consenso legittimato da un potere economico legato alla coincidenza tra sfera del pubblico e concentrazione della proprietà (allo stato più puro, il sistema feudale). Il regime (alquanto ancién) è tendenzialmente incentrato su una disciplina delle classi sociali ben gerarchizzata e definita:
- prevale la CONCUSSIONE, cioè il più facile uso di violenza (morale essenzialmente) e minaccia (intimidazione strutturale derivante in sè dal contatto con i poteri pubblici) verso gli strati più deboli (e meno còlti) della popolazione. Esse sono utilizzate da ogni livello di pubblica autorità per appropriarsi di denaro o altra utilità a fronte dell'esercizio di pubbliche funzioni, esercitate nell'interesse generale "formale" (es; dazione per non applicare una sanzione o per accordare un beneficio, che sarebbe spettante ma che viene fatto dipendere da un'ampia discrezionalità "di fatto");
(Semplificando, sul piano storico, ciò descrive, in modo tendenziale, la forma di Stato sia delle monarchie assolute pre-costituzionali, sia la lunga fase di transizione degli Stati liberali censitari, cioè con voto limitato alla parte più ricca della popolazione, di sesso maschile)
2) posizione intermedia caratterizzata da norme sulle pubbliche funzioni più avanzate nel definire l'interesse pubblico in senso democratico: cioè nel porre limiti formali alla discrezionalità che assicurino, in teoria, eguaglianza nell'accesso ai benefici pubblici o nell'atteggiamento sanzionatorio dei pubblici poteri.
In un tale assetto organizzativo, caratterizzato dall'eguaglianza formale, nonchè da un'eguaglianza sostanziale non integralmente effettiva, e perciò coesistente con una (teoricamente) transitoria conservazione di consistenti posizioni sociali di forza economica:
- prevale la CORRUZIONE, cioè l'offerta di denaro o altra utilità al pubblico decidente per violare le norme in modo da garantire, a chi sia in grado di "investire" in questa dazione, la convenienza di una decisione favorevole non dovuta, o più rapida di quella ordinariamente riservata ai normali cittadini, o il "risparmio" della non applicazione di una misura sfavorevole, legalmente dovuta;
(Ciò descrive, tendenzialmente, il fenomeno nelle democrazie costituzionali che enunciano a livello programmatico i diritti sociali ma si fermano, storicamente, a un grado più o meno parziale di loro realizzazione)
3) all'altro estremo, abbiamo la permanenza o instaurazione (successiva al passaggio per una o entrambe le fasi precedenti) di forti posizioni di concentrazione oligarchica della ricchezza, e, pur in presenza di un sistema mediatico a forte diffusione di massa (TV e giornali) e di "formali" elezioni a suffragio universale per la preposizione alle cariche di "governo", il conseguenziale controllo sulla composizione della classe politica elettiva da parte degli appartenenti alla oligarchia.
Ciò determina la "capture" più o meno totale del processo normativo: legislativo (capture delle maggioranze parlamentari) e regolamentare-provvedimentale (capture sugli stessi componenti del governo).
In un assetto socio-economico in cui l'oligarchia abbia il controllo del processo normativo, le norme rifletteranno una concezione di interesse generale creato dal controllo mediatico-oligarchico e - attraverso opportuni standard e meccanismi di linguaggio fortemente "tecnicizzato"- renderanno tendenzialmente legale l'appropriazione delle utilità e beni pubblici da parte delle oligarchie a danno della utilità e della eguaglianza, formale e sostanziale, del corpo elettorale, svuotando di contenuto sia i diritti politici, sia i diritti sociali.
In tale evenienza (realizzabile in diversi gradi):
- prevale L'ASSENZA DI CORRUZIONE (per difetto di fattispecie sanzionatorie applicabili ai meccanismi di appropriazione disparitaria della ricchezza, che vengono simultaneamente legalizzati dalle norme); e la corruzione degrada a fenomeno episodico, visto come eversione di un assetto sociale basato su un'APPARENTE ETICA FORTE, CONNESSA A UN CONCETTO NORMATIVO DI INTERESSE GENERALE SVINCOLATO DAL BENESSERE GENERALE.
(Ciò descrive, tendenzialmente, il riaffermarsi del capitalismo "sfrenato", e la sua marcia di neutralizzazione dello Stato redistributivo pluriclasse, sintetizzabile nella tecnocrazia mediatica)
http://files.cristianminerva.webnode.com/200000081-6e5d66f576/download%20(5).jpg

4. L'attività di decisione politica si trasforma dunque in azione di tutela del mercato, cioè degli interessi di alcuni specifici "operatori privati", la cui selezione è per definizione un dato non trasparente, sebbene proprio la "trasparenza" sia invocata da questo paradigma allorché pone sotto accusa il settore publbico. 
Affidandosi, come vedremo, a una formulazione enfatica  legittimata da un trattato sovranazionale, si tratta poi di un indefinito "mercato", di cui la stessa politica sostiene di conoscere e promuovere i meccanismi: questa conoscenza, a sua volta, è una cosa estremamente aleatoria, visto che la stessa individuazione e definizione di tali meccanismi dipende da ideologie che sono fortemente condizionanti le stesse teorie "tecniche" espresse dalla scienza economica. 
Facendosi coincidere la decisione politica con la promozione di (indefiniti) meccanismi di mercato, diviene naturale quel fenomeno di  "invasione del cosiddetto settore pubblico da parte di quello che palesemente è il settore privato" evidenziato da Galbraith (e non solo): la classe politica, infatti, dovendo assumere per sua funzione divenuta istituzionale, "decisioni sul mercato", deve ricorrere alla cooptazione di operatori economici sia al suo interno sia come "consulenti". 
E quale sia il circuito selettivo di tali operatori economici in funzione decidente dell'indirizzo politico-normativo, è un fenomeno che attende ancora di essere indagato in termini di compatibilità con la Costituzione democratica e le sue regole fondamentali.


5. Ma rimane il fatto che tale trasformazione della composizione personale e dell'oggetto decisionale dell'indirizzo politico, non coincidendo con il sistema delineato dalla Costituzione democratica del 1948, è legittimata dall'adesione all'Unione europea, allorchè questa pretende di essere di valore normativo superiore alla stessa Costituzione, ed afferma il principio cardine della "economia sociale di mercato fortemente competitiva": è proprio di questo concetto ordoliberista ammettere l'azione dello Stato, a cominciare da quella del legiferare, in quanto si risolva in una promozione dell'azione del mercato, ipotizzato come ordinato sulla piena concorrenza.
Che quest'ultima si realizzi o meno nella realtà (ovvero che si sia mai realizzata) non è oggetto di rendiconto all'elettorato, dato che il principio supernormativo dell'economia di mercato (del "sociale" sappiamo il vero significato secondo Hayek e Roepke, p.7), assume il valore di obiettivo essenziale e permanente, il cui perseguimento consiste in una serie pressocché infinita di postulati tecnici, affidati alla formulazione di istituzioni sovranazionali che reclamano l'insindacabilità totale del proprio giudizio e della propria azione politica.


6. Basti soggiungere quanto detto in tema di effetti inevitabili dell'integrazione economica promossa mediante trattati liberoscambisti:
"..secondo Keynes, tale apertura (delle economie) e la regolazione tesa alla complementare "integrazione", pur potendo spaziare in una certa variabile intensità di effetti degradanti del tessuto economico e sociale del paese più debole che si "apre" e si "integra" (e il colonialismo che diviene intrinsecamente razzista ne è l'espressione al limite massimo), presenta un effetto negativo invariabile, che, a ben vedere, discende dalla stessa tendenza, presupposta, del capitalismo liberoscambista a fondarsi sulla ipocrisia della libera concorrenza senza "frontiere" (come appunto si vuole nel Manifesto di Ventotene).
Ma tale libera concorrenza, in realtà, null'altro è che, (proprio nel  liberoscambismo così macroscopicamente incarnato dall'Unione politica e monetaria europea), l'esaltazione delle tendenze mercantiliste degli oligopoli dei paesi più forti economicamente".


7. Al termine di questi chiarimenti, possiamo tornare all'affermazione iniziale: risulta evidente che, una volta realizzatosi in larga parte un tale sistema istituzionale, lo stupore sulla influenza politico-decisionale del settore privato (id est: economico in senso oligopolista su mercati internazionalizzati) appaia "stravagante".
Come potrebbe essere diversamente da così?
La legislazione dello Stato si assoggetta integralmente, e in modo praticamente incondizionato, a un trattato di intervento economico mercatista, che predetermina un processo decisionale, supremo e tecnocratico, in cui l'oggetto della tutela affidata al settore pubblico diviene l'offerta; l'offerta è, sua volta, caratterizzata dalla presenza e dal rafforzamento degli oligopoli propri di ciascun settore di mercato.
Ora, i meccanismi tecnici di "buon" funzionamento dell'offerta sono reclamati come conoscenza propria di un, ovviamente, ristretto numero di operatori; questo ristretto numero di operatori, perciò, tende naturalmente a divenire il dominus della decisione politica, proprio per l'identità dei propri interessi con quelli imposti all'azione pubblica, e per la naturale capacità degli interessi divenuti gerarchicamente prevalenti sul piano istituzionale, a organizzarsi per divenire governance: cioè per avere, anzitutto, il potere di fatto, ma conforme ai principi informatori dei trattati, di designare o comporre, direttamente e senza mediazioni, la classe decidente anche a livello politico.
Il fenomeno stravagante è così che si rilevi un episodio, piuttosto che un altro, di questo assetto politico-decisionale, e che si indaghi in un modo che, - nel complesso della produzione normativa che, anzitutto, risale alle direttive e alle soluzioni normative €uropee, tutte aventi gli stessi omogenei effetti di tutela dell'offerta-,  appare avulso da un sistema così generalizzato e pervasivo.


19 commenti:

  1. Piccole (ed ulteriori) riflessioni sulla "Corruzione".

    a) La prima cosa che salta all'occhio, è la parzialità. Tutta l'attenzione è, infatti, sbilanciata sul fenomeno a valle (il funzionario corrotto), con totale silenzio su quello a monte (il privato corruttore).
    Strano, considerato che tanto il corruttore quanto l'istigatore alla corruzione sono, al pari del corrotto, sanzionati penalmente dall'ordinamento.

    b) Ulteriore aspetto della parzialità: nella misurazione dell'ampiezza e della diffusione del fenomeno si continua a dare eccessiva rilevanza alle analisi di Transprency, ossia ad un indice di corruzione percepita. Non reale.
    Indice neutro a cui possono essere associati più giudizi di valore, perfino diametralmente opposti. Ad esempio, la vulgata mainstream afferma che tanto più alta è la corruzione percepita, tanto più alta è quella reale, quando gli intervistati potrebbero indicare come corruzione un'esclusione da una procedura ad evidenza pubblica che invece è perfettamente fondata. Ma non solo: un elevato indice di corruzione percepita potrebbe attestare non tanto e non solo una reale corruzione diffusa, bensì e soprattutto un'elevata attenzione al fenomeno da parte dell'opinione pubblica. Ed in questa seconda prospettiva, il giudizio di valore risulterebbe addirittura rovesciato.
    Da ultimo, il dato percepito risente di correnti di opinione -il più delle volte indotte- dove, ad esempio, un singolo, ancorché gravissimo, episodio viene indicato aprioristicamente quale conseguenza di un vizio sistemico.

    c) Altro aspetto trascurato è quello delle cause. In che contesto nasce, in capo al corruttore, l'interesse a corrompere? Si potrebbe dire, ad esempio, che un quadro connotato dall'esternalizzazione "tout court" dei servizi con individuazione del vincitore tramite una procedura formale appare "in re ipsa" favorevole alla nascita spontanea, in capo agli operatori privati, del predetto interesse e che, in ogni caso, il vedere nella riduzione dei costi del personale pubblico la tanto sperata panacea è suicida: serve solo a far nascere un ulteriore interesse in capo al decisore pubblico: quello di diventare concussore (o essere ancora più facilmente corruttibile).

    d) La "teoria generale della corruzione", proprio per il suo carattere tout court, si presta, da ultimo, ad un uso strumentale non sempre corretto, stante l'impatto che può avere sull'onorabilità dell'individuo. Un caso su tutti: Jim Garrison, il celebre procuratore che aveva indagato sulla morte del presidente Kennedy e portato Clay Shaw in un'aula di tribunale, si ritrovò poi -guarda caso- accusato di corruzione. Si difese da solo e fu assolto. Ma il dubbio che l'establishment abbia, per così dire, giocato la "carta" della corruzione per colpire una persona scomoda appare quanto meno legittimo.....

    Concludendo. Ogni stato sano può e deve combattere la corruzione, ci mancherebbe. Ma se si esce dal campo della repressione penale per diventare corrente ideologica, allora qualcosa, anzi, molte cose, non vanno bene. E non è più tutto oro quel che luccica.

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    1. La teoria generale della corruzione non può prestarsi a un uso strumentale: semplicemente perchè è una mia operazione descrittiva e rinvia alla struttura dell'assetto di potere in atto (ci piaccia o no) e, di conseguenza, alla direzione precostituita dell'indirizzo legislativo-normativo, che consente ovvero vieta determinate tipologie di comportamenti.

      Il suo "clou" è l'inapplicabilità, o la difficile applicabilità, delle norme penali, modellate sull'atto di gestione amministrativa, allorchè la redistribuzione della ricchezza discriminatoria (o appropriativa della ricchezza pubblica) sia prevista da norme primarie, sicchè il compenso per il decidente è in sostanza un "consenso" della classe oligarchica effettivamente dominante.

      Cioè il compenso consiste, in prima battuta, nell'appoggio mediatico nonchè nel preorientamento dell'opinione pubblica a favore di chi adotti norme "sul mercato", incentivandone i pretesi meccanismi virtuosi, appoggio garantito dall'oligarchia che controlla lo stesso processo mediatico-culturale (elemento che, si badi, è già strutturato e compiuto in tale assetto).

      E' chiaro che il sintomo principale di illecito refluisce nel conflitto di interessi, in quanto il decidente di livello politico sia appartenente alla stessa oligarchia (non importa se titolare di interessi diretti nello stesso settore normato o meno), o anche nel tentativo di auto-cooptazione del decidente stesso nell'oligarchia (intendo l'associazione di persone riconducibili alla sfera di controllo del decidente politico ai vantaggi dell'affare di mercato "regolato" politicamente).

      Si tratta di varie forme e gradi di affarismo che risultano molto difficili da provare a posteriori e che sarebbero opportunamente prevenibili solo ponendo l'incompatibilità tra l'appartenenza all'oligarchia e la stessa eleggibilità o nominabilità in cariche di governo. Nonchè adottando norme che garantiscano una rigorosa indipendenza dell'informazione e di ogni meccanismo sociale di predeterminazione dell'opinione pubblica (es; l'insegnamento accademico, ma non solo).

      Ma, com'è agevole rendersi conto, un tale ordine di rimedi, è radicalmente impedito dalla stessa presenza di una norma, pretesamente super-costituzionale, che impegni, anzi "vincoli" gli organi di indirizzo politico a realizzare un'economia (sociale) di mercato.

      Il meccanismo della auto-cooptazione, infatti, diviene irresistibile: per lo meno fino a quando si debbano svolgere delle elezioni di facciata in guisa di democrazia "formale" e quindi fino a che si preferisca mantenere la democrazia in forma idraulica.
      Più spesso l'auto-cooptazione è agevolata o addirittura preordinata (mediante accordi persino taciti: se si nomina un "esperto", all'esercizio di funzioni pubbliche di vertice, proveniente dalla business community, il suo pre-orientamento pro-mercato è insito in tale ormai diffusa "esternalizzazione" delle competenze di governo) dal meccanismo delle "porte girevoli".
      Quest'ultimo fenomeno, a sua volta, può accompagnarsi al diffondersi dei finanziamenti alle forze politiche private ed alla successiva apertura a carriere nella finanza o nei settori del business all'eletto o la nominato, dopo la sua militanza politico-elettiva o comunque istituzionale: le istituzioni comunitaria sono un esempio di tale schema.

      Appare altresì ovvio che l'affermazione di tale sistema, se non riconducibile ai reati di corruzione tradizionali (il caso degli USA è in tal senso un paradigma "pilota"), diviene progressivamente una costituzione materiale che è culturalmente, prima ancora che giuridicamente, priva di sanzione: cittadini e media si assuefanno a tale assetto di potere dimenticando che, almeno in Italia, la Costituzione non lo consentirebbe.

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    2. In effetti, più che uso strumentale della teoria, avrei dovuto dire uso strumentale della retorica della corruzione, che era in effetti quello che volevo significare. Mio errore (di cui chiedo venia).

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    3. Nel frattempo però, mentre qui si parla, in Italia nella Sanità la corruzione ci costa 6 miliardi l'anno!! Quant'era invece il nero o sommerso? Vale 206, 333 o 504 miliardi? Pater noster...sed libera nos a malo!

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    4. Beh, almeno ammettono che la tassazione effettiva è arrivata al 50%.
      E che siamo ignominiosamente più ricchi, perchè il PIL col nero (quale che non sia già calcolato? Non bastano redditi dei funzionari corrotti nella sanità per 6 miliardi) supererebbe 2000 miliardi e più...
      Dai che sono bravissimi: anche se coi media italiani è come pescare trote in uno stagno con 30 cm di profondità

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    5. Si certo hai pienamente ragione... E' un po' come le cartelle di Equitalia: "L'ad di Equitalia, Ernesto Maria Ruffini, parlando in commissione Bilancio al Senato chiama «patologia estrema» il nodo delle quote inesigibili assegnate negli ultimi tre lustri al riscossore dei tributi, ricordando che solo il cinque per cento dei 1.058 miliardi di euro di crediti sono «effettivamente lavorabili».Ma sembra patologico anche il più vistoso dei dati snocciolati da Ruffini ieri. Ossia che il 20,5 per cento di quei mille e passa miliardi di euro - pari a quasi 217 miliardi - sono inesigibili semplicemente perché i destinatari delle cartelle non li dovevano pagare.". Bello vero? Andiamo a dirlo a chi si è suicidato, anzi, andrei a dirlo ai fenomeni ordoliberisti (che Keynes e Kaldor hanno AMPIAMENTE sputtanato in lungo e in largo) de noartri...

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    6. "Effettivamente lavorabili" è tecnolinguaggio spaventoso: e pensare che stiamo pagando il mantenimento di una moneta che serve ai tedeschi per dirci che non paghiamo mai abbastanza.
      Un massacro effettuato esclusivamente per compiacere Bruxelles che in cambio ci incita all'abolizione della democrazia costituzionale

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    7. Si, gli stessi che hanno ben 28 Istituti che gestivano/ gestiscono società off shore su cui in tanti si interrogano chi siano i reali mandanti ma solo pochi, forse, intuiscono i veri/ unici favoriti, tenendo sempre ben presente che, no, i "veri" burittinai Occidentali in realtà pagano ogni centesimo e non hanno conti off-shore... Tutto per dire che se tutti (loro) pagassero le tasse, ci potremmo permettere buoni 20 punti in meno di pressione fiscale. E' la globullizzazione bellezza.

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  2. Risposte
    1. Winston, non sono d'accordo: il potere imperiale, in realtà, pur preservando le cariche elettive della fase repubblicana, aveva una legittimazione contrappositiva a quella oligarchica (cioè la precedente dominanza della classe senatoriale). Storicamente, prescindendo dalla complessa analisi dell'evoluzione delle istituzioni romane, non ci troviamo di fronte a realtà comparabili a quella forma di oligarchia che nasce con la fine dell'ancien regime (monarchia assolutistica, grosso modo), e che ha a che fare con l'affermazione del capitalismo.

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    2. Sì, ma la analogia che segnalavo stava semplicemente nella sottolineatura, che faceva in questo caso Bodin con riferimento a mo' di esempio alla prima età imperiale, della non necessaria corrispondenza fra forma di stato e forma di governo, quindi della discrasia fra aspetto e sostanza, potremmo dire, dell'esercizio del potere. Che poi il potere imperiale, forte dell'appoggio plebiscitario del popolo, sorgesse in contrasto con l'oligarchia senatoriale credo che il primo ad accorgersene sia stato, a sue spese, il precursore del principato, ossia Cesare; anche se l'episodio più calzante con riguardo a questo aspetto specifico della vita politica romana del tempo è probabilmente quello di Caligola che nomina senatore il suo cavallo prediletto.
      Comunque, ammetto che la storia romana non è esattamente il mio forte. Sentiti non libero di, dunque, ma obbligato a correggermi qualora dovessi aver scritto castronerie in materia. Tu come tutti gli altri commentatori del blog. Adotto volentieri un "trial and error approach", il quale mi sembra più salutare del proverbiale "trial by fire". :)

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  3. Viviamo in un sistema istituzionale imperfetto se ancora esiste il reato di corruzione. Con la prossima “instaurazione di forti posizioni di concentrazione oligarchica della ricchezza”, a pieno e definitivo regime (cioè con la tumulazione sostanziale e definitiva della parte pubblica che residuerà, anch’essa, come formale protesi più di quanto non lo sia ora nella visione ordoliberista), si potrà abrogare il reato di corruzione e risalire nella classifica Trasparency International.

    La teleologia ordoliberale ha una sua ragion d’essere nell’odio conclamato avverso le democrazie costituzionali post-belliche, con esito praticamente scontato. In Aristotele la differenza tra oligarchia e democrazia è proprio una questione di ricchezza e non di numeri: “Il numero di coloro che governano, sia esso ampio, come nella democrazia, o più ristretto, come nell’oligarchia, è contingente e dipende dal fatto che dappertutto i ricchi sono pochi e i poveri sono molti” ed ancora un’oligarchia può esistere “ogniqualvolta quelli che detengono il potere politico sono tali in ragione della loro ricchezza, siano essi pochi o molti” (Aristotele, Politica 3.8, 1279b 35-9 e 1280a 1-3). Non aveva torto quindi nel ritenere che “bisogna cercare per mezzo delle leggi di regolare le cose in modo che nessuno riesca a raggiungere una posizione troppo preminente per aderenze di amici e possibilità di ricchezze, se no, si devono allontanare costoro, mediante l’espulsione” (Politica, V, 8, 1308 b).

    I Costituenti risolsero il problema concependo una democrazia sociale pluriclasse con obbligo di politiche redistributive attuate non solo mediante salari dignitosi, ma su quello della quantità e qualità dei servizi goduti (e cioè sulle prestazioni dello Stato sociale), progressività delle imposte e utilità sociale come fine sia nella disciplina della proprietà privata che dell’attività economica.

    Demolire la Costituzione (mediante ratifica dei trattati liberoscambisti ed il recepimento del vincolo esterno) non poteva avere che come inevitabile esito quello di disinnescare detti fini redistributivi (ormai da anni, come sappiamo), mediante pianificazione di disuguaglianze e conseguente apertura alla creazione di oligarchie. Di conseguenza, come afferma Luciano Canfora, “la parola democrazia oggi è stata quasi completamente svuotata del suo significato originario, che è invece il controllo collettivo e comunitario del popolo sulla sua riproduzione economica. Se la riproduzione economica dei popoli è espropriata dalla volontà dei popoli stessi, a questo punto la democrazia non esiste più, è soltanto un simulacro”.

    Il progetto politico degli oligarchi ordoliberisti è la difesa (e l’incremento ad infinitum) della loro ricchezza a danno dei popoli. J. Winters (in Oligarchy) ci dice che, prima che nascessero stati con strutture burocratiche in grado di garantire i diritti di proprietà, gli oligarchi erano costretti ad armarsi e impegnarsi direttamente in qualche sistema di governo dotato di capacità coercitive; con l’avvento degli stati moderni è venuta meno l’esigenza delle oligarchie di ricorrere a forze coercitive private. Oggi, secondo Winters, la protezione della ricchezza avverrebbe tramite le c.d. oligarchie civili (del tutto compatibili con una formale democrazia), nelle quali gli oligarchi non governano direttamente ma piuttosto contano sul potere economico per garantirsi “l’influenza politica”. E ciò avviene mediante la distorsione dello strumento legislativo (in Italia, per velocizzare, con decreto legge) e quindi sotto l’egida di una legalità di facciata ed una “legittimazione formale” con costruzione di un nuovo “codice di legittimazione” (La Costituzione nella palude, 262-263). segue

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  4. Sottrarre l’economia alla politica (cioè al popolo sovrano) per creare una “democrazia di consumatori”, questo l’insegnamento di Einaudi (La civitas humana di Wilhelm Röpke, in Riv. di storia econ., 1942 - con il titolo Economia di concorrenza e capitalismo storico. La terza via fra i secoli XVIII e XIX -, ora in AA. VV., Il liberalismo delle regole, 225). Altro che corruzione, c’è n’è abbastanza per l’ergastolo.
    Certi mercati, come più volte da Lei ribadito, debbono essere sottratti alla logica del mercato in quanto di interesse pubblico. E’ l’eliminazione della parte privata, non di quella pubblica, che evita la corruzione. Ma a quanto pare tale soluzione necessitata suona come una bestemmia

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  5. Secondo Franz Böhm l'ordoliberismo consiste nell'"illustrare le regola­rità della libera economia degli scambi e della concorrenza indagate dalla scienza economica in modo finora intentato. E precisamente in modo tale da porsi il compito di indicare ed esporre siffatto sistema economico quale costituzione giuridica della vita economica, quale ordinamento giuridico nel senso positivo dell’esatta struttura costituzionale. È il tentativo di tradurre l ’edificio dottrinale della filosofia economica classica dal linguaggio dell'economia politica in quello della scienza giuridica". (F. Böhm, Wettbewerb und Monopolkampf. Eine Untersuchung zur Frage des wirtschaftlichen Kampfrechts und zur Frage der rechtlichen Struktur der geltenden Wirtschaftordnung, Berlin, Heymann, 1933, pag. IX, cit. in L. Di NELLA, La scuola di Friburgo o dell’ordoliberalismo, in N. IRTI (a cura di), Diritto ed economia. Problemi e orientamenti teorici, Padova, Cedam, 1999, p. 186).

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    1. Sono sempre affascinanti le costruzioni concettuali dei giuristi in libera uscita sull'economia.
      Il corollario inevitabile è sempre il classico "...Fornire agli indigenti e agli affamati qualche forma di aiuto, ma solo nell’interesse di coloro che devono essere protetti da eventuali atti di disperazione da parte dei bisognosi."
      Sempre sul presupposto della profonda comprensione di un concetto rivoluzionario e acutissimo: la spesa pubblica NON è una componente del PIL.
      Chiamiamola Statobrutto e buttiamola in caciara (1° vero principio dell'ordoliberalismo applicato)

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    2. 1933: insomma, avrebbero potuto pure chiamarlo "ordonazismo", ovvero "nazional-ordo-socialismo": alla fine, appena si è diffuso il Rapporto Beveridge in funzione antirussa, si è trovato un giusto compromesso orwelliano nel paludare la simpatica "libertà del mercato" con la locuzione "economia sociale di mercato".

      L'ordoliberalismo non è altro che il liberalismo classico in una struttura giuridica di tipo sovietico: a posto dei consigli di fabbrica e dei Soviet, ci sono i consigli di amministrazione degli oligopolisti.

      Invece degli espropri proletari, ci sono gli espropri bancari.

      Invece della dittatura del proletariato, viene costituzionalizzata la dittatura del mercato.

      A posto della rivoluzione proletaria permanente, c'è la rivoluzione pinochettiana permanente.

      I subalterni rivendicano la propria libertà citando Hayek, i banchieri gliela sottraggono usando Hegel, Marx, Trotskij e Lenin.

      L'ottusità della classe media forgiata dal consumismo si merita la fine che sta facendo.

      (Molto meno chi subisce tutto ciò dopo aver fatto il proprio dovere una vita intera...)

      «TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo»
      Vittorio Alfieri, 1790

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  6. Il pensiero di Böhm (in forma smaccatamente retrograda), fa il paio con l’errore non meno grave di altri giuristi, anche nostrani, che vivono nell’equivoco della possibilità che si possa predicare un’autonomia della dimensione economica della Costituzione rispetto a quella politica e dei diritti fondamentalissimi. “L’économie, en soi, cela n’existe évidemment pas”, affermava F. Braudel (La dynamique du capitalisme, Flammarion, 2008, 10). Come se potesse esistere una “Costituzione economica (al di là della pura nominazione) isolata nella e dalla Costituzione tout court (appunto dei diritti fondamentali sociali). L’utilizzo della definizione, nei giuristi uniformati allo spirito della Costituzione di cui riconoscono il contenuto di valore, sarebbe sconsigliata, neppure nel senso di “determinazione interna all’unità complessiva della costituzione, che non separa le norme «economiche» da tutte le altre, ma le ricongiunge con esse nel disegno totale” (così N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 1998, 17). Non si spiegherebbe la disinvoltura con la quale si intenderebbe continuamente mettere mano in modo “innocente” alla Costituzione economica (paradigmatico è il caso della proposta di modifica dell’art. 41 Cost. che giace nei meandri del parlamento). Principi che ho imparato, purtroppo tardi, solo frequentando il blog

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  7. E come " "...Fornire agli indigenti e agli affamati qualche forma di aiuto, ma solo nell’interesse di coloro che devono essere protetti da eventuali atti di disperazione da parte dei bisognosi."???? Beh, gli studi e le idee, le risorse qui non mancano di certo, anzi ...... Altro non aggiungo, pur continuando a seguire. Buona giornata http://www.reggioemilia.confcooperative.it/LINFORMAZIONE/LE-NOTIZIE/ArtMID/482/ArticleID/341/FONDAZIONE-MANODORI-BANDO-PER-LE-NUOVE-POVERTA

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    1. E certo, se le povertà sono "nuove" (rispetto a quali caratteri di quella generata, ad es;, dalla crisi del'29?), bisogna ingegnarsi: ammortizztori sociali, stabilizzatori automatici e politiche di intervento pubblico per la piena occupazione. valevano solo per le povertà "vecchie" e obsolete.

      Come pure pensioni e assistenza sanitaria: obsolete.

      Per questo non si può provvedere ripristinando la tutela costituzionale del lavoro nelle politiche economiche nazionali...Tutta roba vecchia e inadeguata alle trasformazioni tecnologiche e meteorologiche

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