venerdì 1 aprile 2016

M€RCATI, PUBBLICO-PRIVATO E L'ESERCITO €UROPEO: UNICA ASSENTE, LA REALTA'


http://www.internetsv.info/Images/EastIndiaC.jpg

https://baruda.files.wordpress.com/2009/03/prison-industry.jpg?w=595

1. Proviamo a tornare sul tema dell' "esercito €uropeo"...che garantisce la democrazia. 
Il problema sostanziale al riguardo non è politico-militare o storico-etno-culturale: porre l'attenzione su tali aspetti, che ostacolerebbero l'operatività futura di un tale "€sercito", equivale tutto sommato a soffermarsi su un problema consequenziale e applicativo che, nello scenario effettivo in cui si svolgono le politiche dell'UE, non è considerato, dagli effettivi "decidenti", così rilevante
Il problema, o meglio l'essenza di queste politiche ha, invece, più a che fare con le implicazioni e le decisive influenze, tornate in queste ultime ore particolarmente attuali, determinate dall'ideologia, propria dei trattati UE, della assoluta prevalenza dei mercati, e quindi della prevalenza di alcune persone fisiche, che siano esponenti dei gruppi industriali e finanziari, sulle istituzioni (ormai teoricamente) democratiche.
Che questo sia il nodo della questione, che è dunque quello di una politica della "difesa" orientato a favorire i "mercati", più che le effettive e praticabili esigenze operative di protezione dei cittadini assoggettati a tali politiche sovranazionali TINA, ce lo aveva ben illustrato la serie dei 4 post "Fortezza Europa" di Riccardo Seremedi.

2. Naturalmente, oggi, chiunque provi a ragionare sulla "struttura", cioè sull'assetto reale e concreto dei rapporti sociali e di produzione, e quindi sulle inevitabili conseguenze dei trattati UE, in ogni settore di intervento che essi si prefiggono (conformemente alla loro oggettiva natura ordoliberista), viene tacciato di complottismo
Anche se i fatti della cronaca politica e giudiziaria, - adeguatamente frazionati dalla grancassa mediatica, per farli ricadere nelle categorie corruzione e Stato-spesa pubblica brutta-fonte-di-clientelismo-e-corruzione, evitando accuratamente di fornire lo scenario (storicamente ben definito e anche persistente) a cui abbiamo fatto sopra riferimento-, smentiscono la possibilità riduzionistica della realtà al complottismo.
E' ovviamente una questione di frame mediatico, dunque di comunicazione istituzionalizzata e, in definitiva, di precomprensione accuratamente diffusa per ottenere il consueto effetto di determinare "quali fini debbano essere alimentati, quali valori vadano stimati […] in breve, ciò che gli uomini debbano credere e ciò per cui debbano affannarsi".

3. A conferma delle analisi, basate (complottisticamente?) da Riccardo su fonti e documenti  ascrivibili alla stessa deliberazione istituzionale di indirizzo delle politiche UE, mi sono imbattuto in un "complottista" dal nome autorevole e che, al riguardo di "pubblico e privato" e politiche della difesa, ha scritto in "tempi non sospetti": John Kenneth Galbraith.
Perciò mi limito a riproporvi alcuni semplici passaggi del suo libro "L'economia della truffa", (RCS, 2004), tratti in particolare dal capitolo 7, "Il mito del pubblico e del privato" (pagg.103 ss.). 
Ogni lettore che sia sufficientemente ragionevole e non "de coccio", può, con gli opportuni adattamenti, trarre le sue conclusioni riguardo alla situazione attuale nel quadro europeo
In sintesi la spesa pubblica diviene "bella" se avvantaggia l'industria privata delle armi e, al punto a cui siamo giunti, l'apparato statale deve la sua residua sopravvivenza alla sua qualità di acquirente e utente di determinati prodotti e servizi resi dall'industria che, di vlta in volta, ha il maggior peso politico. 
E' la spesa scolastica, previdenziale e sanitaria quella che suscita la campagna di odio mediatico più intensa; ma mai toccare la capacità di spesa pubblica più altamente "produttiva": quella che prepara o attua la guerra (notoriamente processo catartico e selettivo con funzioni darwiniste ancor più bene accette ed efficaci delle stesse crisi economiche, epidemie e carestie). 
Più in generale, la spesa pubblica "buona" è quella si indirizza totalmente verso coloro che controllano il relativo settore di mercato e che sia completamente sotto il controllo di tali operatori dominanti. E intendiamo un controllo che, come evidenzia Galbraith, è sempre più esercitato all'interno delle stesse istituzioni:

"Negli Stati Uniti, come in altri paesi economicamente avanzati, nessun riferimento è così comune, così accettato, come quello ai due settori del mondo economico e politico: il settore privato e quello pubblico.
C'erano una volta il capitalismo e il socialismo; ora, come si è detto, il termine "capitalismo" è in parte uscito dalla lingua parlata e scritta. E quando è usato, ha una connotazione vagamente negativa. Ma negli Stati Uniti anche il socialismo e, in generale il settore pubbico e le sue iniziative, sono guardati con profonda diffidenza. Ben pochi aspirano a essere definiti "socialisti". 

Perciò ci si riferisce positivamente soltanto al settore privato e a quel tanto di settore pubblico che è considerato indispensabile.

Il dibattito che ne deriva è tutto su temi specifici
E' giusto l'intervento pubblico nell'assistenza sanitaria, nel sostegno agli indigenti, ai pensionati e, in generale, ai bisognosi di aiuto, e nel sistema scolastico, che in teoria rientrerebbe nel settore privato?
Sarebbe utile privatizzare come si suole dire, altre attività dello Stato?
L'intervento dello Stato ha un costo in termini di libertà personale? Negli Stati Uniti, e in minor misura in altri paesi, il ruolo dei due settori è al centro di un intenso dibattito, nonché di una retorica prolissa e soporifera. 
Unica assente, la realtà.
Esaminata seriamente, la dicotomia settore pubblico-settore privato, si rivela inesistente. E' nelle parole, ma non nei fatti.
Un'ampia cruciale porzione del cosiddetto settore pubblico è, a tutti gli effetti, settore privato.

Nell'anno fiscale 2003, quasi metà della spesa discrezionale del Governo USA (gli stanziamenti non destinati a usi specifici come la previdenza sociale o il servizio del debito pubblico), è andata al settore militare: la Difesa, nella pudibonda definizione attuale
Di questa metà, una parte rilevante era destinata all'acquisto di armamenti, al loro sviluppo o al loro ammodernamento. Un sottomarino atomico costa miliardi di dollari; un solo aereo, decine di milioni. Altre armi ed equipaggiamenti sono meno spettacolari ma altrettanto costosi. 
Queste spese sono il risultato della persuasione e dell'influenza da parte di persone interessate e ricompensate, a ogni livello fino a quello della c.d. difesa atomica.

Le spese per armamenti non sono, come si tende a credere, il frutto di analisi obiettive da parte del settore pubblico. Molte sono la conseguenza dell'iniziativa e del peso politico dell'industria degli armamenti, cioè del settore privato.
Dalle principali industrie di armamenti vengono i progetti e le proposte di nuove armi; a quelle industrie vanno le commesse e i profitti.
E lo stesso avviene per i guadagni legati al resto della produzione bellica.
In un'impressionante dinamica di potere e influenza, l'industria degli armamenti assicura impieghi ben retribuiti, stipendi da manager e generazione di profitti nei suoi bacini elettorali, e indirettamente è una preziosa sorgente di finanziamenti politici.
La gratitudine e le promesse di appoggi politici raggiungono Washington e il bilancio della difesa, proseguendo fino al Pentagono e alla sue decisioni. Fino a sfociare, talvolta, nella guerra, come recentemente per il Vietnam o l'Iraq. 

Che il settore privato stia conquistando un ruolo predominante rispetto al settore pubblico è evidente. Meglio sarebbe discuterne in modo comprensibile.
Per la verità, parlare del mito della contrapposizione di pubblico e privato non è molto originale dal momento che la prima assai autorevole testimonianza in questo senso risale niente meno che al presidente Dwight D. Eisenhower, con le sue denunce dello strapotere del complesso militare-industriale.
L'assunzione del controllo della politica pubblica degli armamenti da parte dell'industria militare è stata esplicita. E' una delle ragioni dell'nutilità della contrapposizione tra i due settori.
D'altra parte, è difficile non tener conto, a questo riguardo, del parere di un presidente degli Stati Uniti che è stato la più nota figura militare del suo tempo.

Il mito contrappositivo dei due settori e le sue formidabili implicazioni si dissolvono lasciando un senso di urgenza ma non di grande originalità. Nè si tratta di una truffa innocente, in senso politico o sociale.

...In tempi recenti, l'invasione del cosiddetto settore pubblico da parte di quello che palesemente è il settore privato è diventata quasi normale
E dal momento che il management ha piena autorità nella moderna impresa, è naturale che tale autorità si estenda alla politica e al governo.
Una volta erano i capitalisti a intromettersi nella governo della cosa pubblica: ora sono i vertici delle grandi imprese.
Mentre scrivo, top manager del settore privato operano in stretta alleanza col presidente, il vicepresidente e il segretario alla difesa degli Stati Uniti, e importanti personalità delle principali società di capitali ricoprono incarichi chiave in varie banche del governo federale. Una di esse ha abbandonato la truffaldina e fallita Enron per assumere la direzione delle Forze Armate.
La Difesa e lo sviluppo degli armamenti sono una forza trainante della politica estera. 
Per alcuni anni (ma oggi, ancor più e non solo negli USA, ndr.), la grande impresa ha anche avuto il controllo risconosciuto del Tesoro e della politica ambientale. E si potrebbe continuare...

I media hanno ampiamente accettato questa evoluzione della politica.
Giornalisti bravi e coraggiosi parlano da tempo del controllo sullo sviluppo degli armamenti, sulla politica di difesa missilistica e sul bilancio della Forze armate da parte del potere privato. Il ruolo cruciale delle grandi imprese nella politica economica è ben noto...
Il venir meno della separazione tra settore privato e grande industria da un lato, e settore pubblico in restringimento dall'altro, è tuttora in corso.
Il 13 ottobre 2002, il New York Times ha annunciato che le società private hanno fatto un altro passo verso la presenza diretta nelle zone di guerra.
Nessuno potrebbe chiedere una prova più drammatica della sovrapposizione dei due settori. Ecco il resoconto del Times che, quando è uscito, ha attirato poca attenzione, forse perché il suo contenuto è già, in parte, luogo comune:
La grande impresa ora fornisce ogni sorta di sostegno alla truppe in combattimento, dal supporto logistico all'addestramento vero e proprio...
In Kuwait, alcune imprese private partecipano all'addestramento delle truppe americane con munizioni vere, nell'operazione il cui nome in codice è Desert Spring...Altre hanno funzionari che, indossate le loro vecchie uniformi, lavorano a contratto come reclutatori e istruttori, selezionando e addestrando la generazione successiva di soldati.

Questa è la realtà. In guerra come in pace, il settore pubblico diventa privato"

5. Ed eravamo "solo" nel 2002: oggi, più che mai, l'€uropa che smantella pensioni, sanità e istruzione pubblica, corre ad adeguarsi. "Deve" assolutamente adeguarsi: e i cittadini lo "devono" accettare come hanno accettato l'austerità malthusiana (si ritengano fortunati: l'austerità è più lenta e blanda di guerre e malattie carestie...).
In nome della pace e della sicurezza. E della democrazia...€uropean-way.

8 commenti:

  1. Mi ha sempre stupito seguire il dibattito manipolato di certi Think tank elitari americani che, nei loro scritti di condanna dello stato spendaccione, non fanno altro che denunciare la cosiddetta insostenibilità della spesa pubblica per le pensioni, la scuola e la sanità, e propongono, per stimolare l'economia, che tutto venga affidato ai privati e senza alcun intervento da parte dello stato. E' ammirevole il fatto di come questi think tank elitari riescano a nascondere dal dibattito pubblico la spesa monstre derivante dagli investimenti militari del governo statunitense:
    https://it.wikipedia.org/wiki/Stati_per_spesa_militare
    E' inoltre istruttivo constatare quanto i decrescenti illichiani “de sinistra” si uniscano al coro dei think tank elitari nella condanna delle spese sociali. E' infatti risaputo che negli ambienti decrescenti la scuola pubblica sia sinonimo di indottrinamento, la sanità pubblica equivalga all'espropriazione della salute ed ogni sorta di welfare sociale equivalga “alla presunzione dell'individuo che cerca di acquistare gli attributi degli dei”, una presunzione che finirebbe per rendere l'uomo dipendente e schiavo di sistemi totalizzanti, sempre secondo loro.
    Tanto meglio per tutti ritornare alle vecchie tradizioni della durezza del vivere, la quale, si badi bene, verrebbe introdotta per il nostro bene, per il nostro rinvigorimento nel corpo e nello spirito, e non certo perché lo chiede un'élite (sarebbe da complottisti pensarlo!); infatti la mancanza di welfare, sanità, istruzione, pensioni, oltre a far risparmiare allo stato una spesa insostenibile, sarebbe a tutto nostro vantaggio e non creerebbe certo dipendenza e sottomissione nelle classi subalterne, le quali, nei paesi industriali con un welfare generoso, sempre secondo i decrescenti, si erano ridotte al livello dei bambini dipendenti che poppavano il latte dallo stato balia e piangevano ogni volta che il latte gli veniva tolto.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Descrizione esattissima dell'intervento-tipo, in un talk, di un intellettuale, - in genere uno scrittore o un uomo di spettacolo "impegnato"-, allorchè viene chiamato a parlare in qualità di esperto(logo) di problemi di cui non sa una cippa.
      Ma è tanto autorevole, rispetto all'opinione di massa, da porsi sollecitamente al servizio delle elites, "che non esistono" (nel suo articolato pensiero), ma alle quali brama di appartenere stabilmente.

      Inutile sottolineare che da questo ambito comunicativo e espressivo non deborda alcuno di costoro: al punto che potrebbe mandarsi una scritta in sovraimpressione contenente un siffatto discorso-tipo dell'intellettuale organico-tipo, risparmiando i soldi dovutigli per il suo autorevole intervento di espertologo.

      Elimina
    2. Esattissimo. E la più grande forza di questi "impegnati" è quella di presentare il tutto come un'analisi scientifica imparziale, cioè non di parte, tantomeno dalla parte di un'élite, che non esiste, a parte naturalmente la castacriccacorruZZionebrutto, perché è da complottisti pensarlo. Come un medico diagnostica un cancro che necessita di un'operazione chirurgica immediata al fine di asportare l'organo e non creare metastasi, gli espertologi, naturalmente, si “impegnano” per il nostro bene; per evitare catastrofi ineluttabili dovute alle metastasi cancerose della spesapubblicaimproduttiva dovuta alla politica della “castacriccacorruzionebrutto” che ha invaso il settore pubblico. E' tutto presentato in maniera asettica. Il governo è come una sala operatoria illuminata dalla lampada scialitica. E' per questo che necessitiamo di “esperti” di “alto profilo morale” che governino in modo “tecnico” e “imparziale” al fine di rimettere in sesto i conti e rendere il paese “più competitivo”, portando avanti anche le dovute operazioni chirurgiche “impopolari”, decise per noi dai “tecnici-chirurghi”, ma fatte per il nostro bene. E se bisogna “fare presto” anche le elezioni sono d'intralcio. Bisogna fare presto, snellire i parlamenti e la burocrazia, limitare la politicabrutta, affinché i governi possano prendere velocemente le dovute decisioni al fine di “rilanciare” il paese, mettendo anche in pratica le indicazioni "di alto profilo morale ed economico" della Commissione Europea, che naturalmente ci dice le cose da fare presto per il nostro bene, perché il fine della Commissione Europea è quello di farci sviluppare fieri e competitivi. Sembra di ascoltare sempre lo stesso disco incantato.

      Elimina
  2. Si riconosce il livello intellettuale di chi si accosta all'analisi politica da chi discetta di "complottismo".

    Non avendo MAI letto i grandi Autori (cit. Strauss) al di là della finzione letteraria, è evidente che costoro rimangono impigliati in quelle dinamiche di gruppo molto "pop" per cui la dialettica tra geni della politica si fa tra "complottisti" e "anti-complottisti": tanto un conflitto sub-sezionale in più o uno in meno... cosa vuoi che sia; si finisce tutti in mezzo ad una strada e, finalmente, si arriva a condividere l'unico complotto che mette tutti d'accordo: «Piove, governo ladro!»

    Si trovano più fonti ed analisi interessanti in siti di certi pazzi paranoici che nelle analisi di certi "dotti" ("dotti" in quanto grazie alla loro professione o titolo di studio sono obiettivamante sapienti).

    Va da sé che - come giustamente si fa notare - non capire che la struttura sociale a fondamento di qualsiasi dinamica sociologica è organizzata in oligopoli è piuttosto allarmante: fatto che da Adam Smith generava già orrore... ma transeat: stiamo regredendo alla preistoria.

    Comunque c'è anche chi capisce, e ce ne rallegriamo.


    RispondiElimina
    Risposte
    1. "Capiva": Galbraith padre è morto. Marx è morto, Caffè è scomparso; prima ancora Lelio Basso (e c'è una fondazione che non pare coincidere con il retaggio manifestato dai suoi scritti); Keynes aveva fatto prima di tutti.
      E, oggi, io stesso non mi sento molto bene :-)

      Elimina
    2. Secondo Padoa-Schioppa non ci possiamo più permettere "di non sentirci bene": dobbiamo metterci in mano "alla sorte"...

      Che Galbraith, Smith o Caffè dicessero l'ovvio, non ne avevo dubbio: d'altronde, quando sentii per la prima volta la messoriana intervista ad Alberto che ironizzava sul "controintuitivismo", compresi che la situazione era molto più grave e molto meno seria di quello che sospettassi.

      Quando capii che anche Keynes aveva. come lo scrivente, una nonna che diceva cose più intelligenti del "prestigioso erudito controintuitivista", mi sono messo il cuore in pace.

      Come ho provato ad esprimere - citando la Arendt - l'imbecillità non è un problema di "non-democraticità della natura" o di semplice ottusità intellettuale: come il pavloviano groupismo, l'imbecillità è un problema di natura etica.

      Mi rallegravo del fatto di aver materialmento letto analisi che, prima di essere espressione di faticoso studio, esprimevano tensione etica.

      Elimina
    3. Citando la...cometa di Woody Allen (cit.), volevo soltanto intendere che la comprensione è ormai oggetto di ricerca filologica retrospettiva: almeno a livello di personaggi che possano avere un ascolto/impatto minimamente assimilabile, ma contrapposto, a quello degli "espertologi tecno-pop".

      Anzi, recentemente, mi è pure (almeno in gran parte) caduta la figura di Rodrik.
      Avevo intenzione di fare un post su questo punto.
      Se vuoi lo lascio a te, perchè c'è veramente da sbizzarrirsi. Se ti interessa ti mando il link (robbba pesante in termini di disperazione...).
      Che ci sia rimasto solo Chang (al di fuori del ridotto italico di "intuitivisti")?

      Elimina
  3. L'ordoliberismo è proprio questo: il pubblico (da intendersi in senso formale, come entità che vivono del prelievo generale e che esercitano un potere autoritativo, e non anche - per i motivi detti nel post - di istituzioni ordinamentali che perseguono l'interesse generale) viene sviato e asservito agli interessi privati.

    E come in una profezia che si auto-avvera, il "pubblico", spolpato di risorse materiali e competenze, oltre che inquinato ideologicamente, diviene inutile e costoso, inefficace e inefficiente, proprio come sostengono gli stessi parassiti che lo stanno spolpando.
    Insomma, as usual i liberisti sono troppo forti, prendono due piccioni (vantaggi materiali e argomenti ideologici) con la nostra fava.

    RispondiElimina