giovedì 10 novembre 2016

FINITA LA SP€NDIBILITA' DELLA BUFALA DELLA GLOBALIZZAZION€ INIZIA LA SOLFA DEL "PROTEZIONISMO-BRUTTO".



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Una necessaria premessa introduttiva.
Trump, appena eletto, su domanda di un giornalista, indica, come futuro segretario del Treasury, Steven Mnuchin: questi ha lavorato per 17 anni a Goldman&Sachs, succedendo al padre in una carriera pluridecennale presso la stessa banca. Tra le esperienze lavorative di Mnuchin anche un periodo presso il Soros Fund Management, nonchè la produzione di film, anche importanti, come la serie X-men e Avatar. 
Secondo Zerohedge, l'alternativa a Mnuchin sarebbe il "JPMorgan CEO Jamie Dimon": sottolinea il blog che milioni di supporters di Trump sarebbero delusi da nomine del genere, e che "l'unica ragione per cui un banchiere diventa segretario del tesoro è quella di poter vendere tutte le proprie stock options, al momento di assumere la carica pubblica, senza dover pagare alcuna tassa".
Siano indicazioni fondate o meno, quel che è certo è che Trump non parrebbe, allo stato, disporre "delle risorse culturali" sufficienti per svolgere, anche solo in parte, un programma che include la reintroduzione del Glass-Steagall, la monetizzazione del debito (riacquistando quello già emesso), nonché il por fine alla stagione dei grandi trattati liberoscambisti.



E' pur vero che ove neppure tentasse di far ciò entrerebbe in conflitto con la base sociale (la working class) che lo ha eletto: ma, in compenso, come sottolinea Politico, si vedrebbe "riabilitato" da Wall Street e godrebbe di solidi appoggi bi-partisan nelle Camere.
Dunque, che sia lui il liquidatore del globalismo finanziario e il paladino del ritorno a economie nazionali meno aperte, rimane un punto interrogativo, una supposizione tutta da dimostrare.
  
1. Chissà perché si grida al "severo protezionismo" quando sarebbe in gioco, al più, "solo" (la prospettiva di) un ritorno al modello di financial regulation - o, se preferite, "repressione finanziaria"-, per consentire una razionale de-globalizzazione e un certo qual ripristino del modello di sviluppo che "punta sulla domanda interna"; quel modello che lo stesso Eichengreen definisce Coordinated Capitalism e che fu proprio il sistema prescelto, dopo il 1945 (!), per garantire la pace e il benessere crescenti in Europa e un maggior sviluppo (poi venuto meno con la globalizzazione) nel resto del mondo.
Si crede davvero che la deregulation massima nella circolazione dei capitali, legata alla riduzione del rischio di cambio innestata dalle "monete uniche", sia un modo di garantire la pace, piuttosto che il predominio del capitale nel conflitto sociale e delle economie nazionali più forti su quelle da rendere alla stregua di "colonie"?

2. Questa questione del protezionismo è veramente oggetto di un abuso mediatico-espertologico ormai divenuto intollerabile. 
A parte il sopra linkato Chang, che ha offerto i dati della (maggior) crescita "globale" (non solo in Europa), che aveva garantito il sistema pre-globalizzazione, legato per un lungo periodo a "Bretton Woods" e ad un ruolo nettamente diverso svolto dalle politiche tariffarie e dal FMI; a parte un Krugman (forse oggi un po' dimentico di se stesso) che aveva evidenziato la inanità della regola, implicita nel Washington Consensus e nella costruzione €uropea, della competizione tra Stati (qui, p.1), come condizione di effettiva crescita, giova ricordare che "protezionismo" non è affatto un concetto univocamente definibile e privo di adattabilità alle circostanze della democrazia economica.
Ed è questo un punto importantissimo che su cui, nonostante lo "sconvolgimento Trump", già si accumulano pericolosi ritardi mediatico-tecnocratici, sempre più imprudentemente incuranti dei "pericoli di un'ossessione" (per usare le parole di Krugman, sulla cui citazione torneremo). 


Possiamo quindi istituire una prima naturale distinzione che si connette straordinariamente al problema dell'€uropa:

a) Il protezionismo adottato da Potenze imperialiste è l'altra faccia del liberoscambismo, perché ne costituisce l'evoluzione, conservativa delle posizioni dominanti raggiunte e, al tempo stesso, anche l'utile strumento oppositivo alla contenibilità di tali posizioni da parte di altri competitor statuali.
Questa evoluzione (connaturale agli interessi consolidati delle oligarchie che hanno promosso l'imperialismo liberocambista nella fase di conquista) può logicamente preludere al vero e proprio conflitto armato tra potenze imperialiste: ciascuna supportata dalle rispettive nazioni satellite, colonizzate politicamente o economicamente.
b) Il protezionimsmo adottato da ordinamenti nazionali in via di sviluppo, e non dominanti sui mercati internazionalizzati, è invece un ragionevole strumento di crescita del c.d."infant capitalism", come spiegato da Chang ne "I Bad Samaritans" con riguardo a casi non certamente guerrafondai quali la Corea o, oggi, in UE, la "fascista" Ungheria. 
Quando, dunque, non si tratti di Stati che, dal loro passato imperialista e colonialista, risultino ossessionati dalla egemonia sugli altri, il "protezionismo" nelle sue varie e modulabili forme, si rivela in definitiva uno strumento di avvio della democrazia economica e socialmente inclusiva; al contempo, se lealmente riconosciuto in funzione delle diverse esigenze di sviluppo della varie società statali, è uno stabilizzatore degli interessi dell'intera comunità internazionale a una convivenza pacifica".

4. Aggiungiamo, perché di questi tempi occorre essere molto precisi con la Storia politica ed economica, grossolanamente messa all'angolo, che il primo tipo di protezionismo è proprio del mercantilismo imperialista e, per via dei vincoli monetari e valutari (BC indipendenti e eurozona, su tutto),  è esattamente quello che diffonde un'irrisolvibile crisi occupazionale e di crescita in €uropa. Si tratta di ciò che Joan Robinson (in uno scritto, non casualmente, del 1977) definiva in modo eloquente così:
La traduzione di questo estratto la affido ai più volenterosi dei commentatori:
"When Ricardo set out the case against protection, he was supporting British economic interests. Free trade ruined Portuguese industry. Free trade for others is in the interests of the strongest competitor in world markets, and a sufficiently strong competitor has no need for protection at home.  
Free trade doctrine, in practice, is a more subtle form of Mercantilism".

5. E dato che si parla di uno shock derivante dall'elezione di Trump, ritirando fuori l'accusa guerrafondaia al tipo di protezionismo tutorio delle sviluppo, - che sarebbe una soluzione, (molto temuta negli ambienti finanziari globalisti), alla secular stagnation provocata dal mercantilismo imperialista competizione tra Stati-, è estremamente interessante questo passaggio, tratto dal citato articolo di Krugman e riguardante proprio gli Stati Uniti (e il Messico). Ne sottolineo il "gran finale", sull'idea della "produttività" e circa quella che pare essere proprio l'ispirazione "protezionistica" di Trump (rendendo contraddittoria la fiera opposizione di Krugman al neo-presidente):
"...definire la competitività di una nazione è nei fatti molto più problematico che definire quella di una società per azioni (ndr; laddove K. muove dalla critica al preconcetto, tipico di Maastricht, che sia giovevole una "forte competizione" tra sistemi-Stato, cui venga attribuita la stessa dinamica di "conquista del mercato" internazionale, propria delle società per azioni).
La linea rossa per una società per azioni consiste letteralmente nei suoi confini: se una società per azioni non può permettersi di pagare i suoi lavoratori, i fornitori, i possessori di obbligazioni, uscirà dal business. Quindi quando noi diciamo che una società per azioni non è competitiva, intendiamo dire che la sua posizione nel mercato è insostenibile, ovvero che, se non migliora le sue prestazioni, cesserà di esistere. I Paesi invece non escono dal business. Possono essere contenti o scontenti delle loro prestazioni economiche, ma non hanno una linea rossa ben definita. Di conseguenza, il concetto di competitività nazionale è vago.
...Si potrebbe supporre, ingenuamente, che la linea rossa di un'economia nazionale consista semplicemente nella sua bilancia commerciale, che la competitività possa essere misurata dall'abilità di un paese di vendere all'estero più di quanto comperi. In teoria, come in pratica, un'eccedenza commerciale può tuttavia essere un segno di debolezza nazionale, mentre un deficit può essere un segno di forza. 
Per esempio, il Messico fu costretto ad enormi eccedenze commerciali negli anni ottanta per pagare gli interessi sul suo debito estero, dato che gli investitori internazionali si rifiutavano di prestargli altri soldi; ebbe grandi deficit commerciali dopo il 1990 quando gli investitori stranieri recuperarono la fiducia e nuovi capitali cominciarono ad affluire. C'è forse qualcuno che voglia indicare il Messico come una nazione estremamente competitiva durante l'epoca della crisi del debito, o descrivere quello che accade dal 1990 in poi come una perdita in competitività?
...Consideriamo, per un momento, quello che la definizione vorrebbe dire per un'economia che fa poco commercio internazionale, come gli Stati Uniti negli anni cinquanta. Per una siffatta economia, la capacità di  bilanciare il suo commercio sta soprattutto nel trovare il giusto tasso di cambio
Ma siccome il commercio internazionale è un piccolo fattore nell'economia, il livello di cambio influisce poco sugli standard di vita. 
In un'economia con poco commercio internazionale, quindi, l'aumento degli standard di vita - e così la "competitività" secondo la definizione di Tyson - sarebbe determinata quasi completamente da fattori nazionali, in primo luogo dal tasso di crescita della produttività. 
La crescita di produttività nazionale, punto e a capo, e non la crescita di produttività relativamente agli altri paesi
In altre parole, per un'economia con poco commercio internazionale, "competitività" finisce per essere un modo curioso di dire "produttività", senza avere niente a che fare con la competizione internazionale".

6. E dunque, che il protezionismo (del ritorno alla crescita), anzi, l'antiglobalismo della competitività basata esasperatamente sulla produttività comparata, appaia, adesso, muovere dal suo epicentro, cioè dal primo potere politico-militare del globo, sarebbe, in realtà, del tutto fisiologico nella dialettica della Storia. 

7. La speranza, non possiamo nascondercelo, è che la linea Trump si riveli netta e capace di dare quella svolta capace di evitare al mondo un ulteriore lungo periodo di inutili sofferenze "globaliste" e, dunque, autoritarie, quali sono ora, proprio in quanto oligarchiche. 
Una speranza che avevamo espresso da anni con queste parole, che sintetizziamo per linee essenziali:
"Il problema è che gli USA, non paiono coscienti di quanto in Europa l'operazione di distruzione del welfare, sociale e del lavoro, che pure continuano ad auspicare ("le irrinunciabili riforme strutturali"), conduca ad un assetto di forze che sono poi incontrollabili e, quindi, neppure correggibili con l'introduzione degli strumenti che essi stessi considerano come appropriati.
Non hanno capito che, una volta accettato di non contestare il legame tra limitazioni del deficit pubblico e auspicata destrutturazione definitiva del welfare, le riforme strutturali provocano un effetto politico di rafforzamento delle tendenze mercantiliste che oggi vorrebbero combattere: si tratta sostanzialmente della sindrome "dell'apprendista stregone", (opposta a quella del "questa volta è diverso"). 

Riusciranno gli USA a fermare tutto questo, se veramente sono interessati a questo tipo di "recupero" delle potenzialità dei mercati UEM?

Per farlo devono comprendere le ragioni profonde della loro stessa crisi sistemica: il neo-liberismo, non è buono se legato alle "nuove" politiche monetarie, mentre diviene "cattivo" se trasposto in Europa in forma di ordoliberismo a matrice mercantilista tedesca. Il liberoscambismo è un blocco unico di tendenze politiche che in Europa poteva affermarsi solo nella forma attuale: diversamente non sarebbe stato possibile fronteggiare e neutralizzare, in modo vincente, decenni di applicazione delle Costituzioni democratiche.

Non si può volere la botte piena e la moglie ubriaca. Ma non è possibile ritenere che un ripensamento di questo genere avvenga, da parte loro, in tempi accettabilmente brevi e senza traumi al loro stesso interno."

8. Ecco, forse, siamo arrivati a questa fase di ripensamento: e già oggi, "non senza traumi". 
Ma con la prospettiva, densa di positive speranze, che i costi, per il popolo USA, come per tutti gli altri ad esso interconnessi prima di tutto dalla tensione alla democrazia effettiva, non risulteranno mai così elevati come quelli che sarebbero derivati dalla conservazione della logica della "competizione tra Stati" e della competitività basata sulla domanda estera. 
Una concezione che, oggi, aleggia ancora in €uropa, come lo spettro di un imperialismo mercantilista, sempre più goffamente camuffato da aspirazione alla pace.
Mentre è esattamente il suo opposto; mentre il protezionismo dello sviluppo della ricostruzione dei sistemi industriali nazionali, può portare veramente il ritorno alla crescita e alla vera "pace" del veramente "coordinated capitalism".
Coordinato tra democrazie.
E su questo occorre vigilare. Specialmente ora... 
 

30 commenti:

  1. Sarebbe come negare le prospettive, le speranze, la consapevolezza ai "rushbelt", agli "untermenschen", all'Uomo di Vivere.

    "se un dovere, e insieme una fondata speranza, realizzare una situazione di diritto pubblico, sebbene solo con approssimazione progressiva all'infinito, allora la "pace perpetua", che succederà a quelli che sino ad ora sono stati falsamente denominati trattati di pace (propriamente, armistizi), non è idea vuota.
    E anzi sarà un compito che, assolto per gradi, si avvicinerà sempre più velocemente al suo adempimento (perché è sperabile che i periodi di tempo in cui avverranno tali progressi si facciano più brevi".
    (I. Kant, Per la pace perpetua, 1795)

    A futura memoria.

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  2. Prove tecniche di Rivoluzione Colorata?

    Temo che la camarilla che sta dietro alla Clinton sia tutt'altro che rassegnata.
    Nei TG odierni è stato dato ampio risalto alle "proteste spontanee" della "società civile" che si stanno verificando in diverse città degli Stati Uniti contro l'elezione di Donald Trump a POTUS: pare che i media sussidiati stiano già cominciando a "pasturare" - con un sapiente, graduale dosaggio - l'opinione pubblica, in attesa delle sostanziose portate che probabilmente ci serviranno nei prossimi giorni.
    Tutto è partito - "spontaneamente" - da MoveOn.org, un progressive public policy advocacy group ampiamente finanziato (se non addirittura posseduto) da George Soros, il quale dal 1998 raccoglie svariati milioni di dollari per molti candidati Democratici,e che diversi commentatori danno come "appartenente" al Partito Democratico stesso.

    Mercoledì pomeriggio, Anna Galland, direttore esecutivo di MoveOn.org ha prontamente spedito codesto messaggio di "chiamata all'azione", ed entro due ore i membri MoveOn avevano creato più di 200 incontri a livello nazionale, con il numero in continua crescita:" Questo è un disastro. Abbiamo combattuto con i nostri cuori per scongiurare questa realtà. Ma ora è qui. Il nuovo presidente eletto e molti dei suoi sostenitori più in vista hanno preso di mira, umiliato, minacciato milioni di noi - e milioni di nostri amici, la famiglia e le persone care. Entrambe le camere del Congresso rimangono in mani repubblicane. Stiamo entrando in un'era di sfide profonde e senza precedenti, un momento di pericolo per le nostre comunità e il nostro paese. In questo momento, dobbiamo prenderci cura di noi stessi, delle nostre famiglie, dei nostri amici, soprattutto quelli di noi che sono in prima linea di fronte all'odio, tra i latinos, donne, immigrati, rifugiati, persone di colore, musulmani, LGBT americani, e tanti altri. E abbiamo bisogno di mettere in chiaro che continueremo a stare insieme ".

    Il copione è sempre il medesimo "Soros-style": si innescano all'uopo torme di giovani e garruli virgulti - la "parte sana e pulita della società" - preoccupati per la democrazia (altro che scavezzacollo) facendoli transumare nelle strade armati di slogan dogmatici e definitivi - Not my President -, chiamando alla cacciata dell'"orco di turno" che, fatto assolutamente incidentale, vede la sua affermazione politica derivarsi da libere e leali elezioni politiche - il sale della democrazia - e non da un atto dispotico o dittatoriale.

    A proposito di sale: a qualcuno gli manca in zucca.

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    1. La mia impressione, forse prematura, è che si voglia sfruttare la fase tra l'elezione e il vero e proprio insediamento per condizionare Trump nelle sue scelte fondamentali; cioè per fargli capire che "quando arriverà in città" non potrà, per definizione, essere "un nuovo sceriffo", ma solo la riserva di quello "vecchio".

      E' in fondo, al di là della evidente funzione dei movimenti di piazza (cioè creare un clima emergenziale a fini preparatori della continuità, rispetto alla pietanza che aveva organizzato l'establishment), quello che avvertivo nella "premessa".

      Vedremo se Trump è un uomo di cambiamento, una vera e non simulata "sorpresa", che verrà costretto dal "senso di responsabilità" a fare politiche di continuità, o, peggio, una "false flag" preordinata dall'inizio per dare l'impressione che la continuità non fosse frutto di una scelta concertata bipartisan (come sempre negli ultimi decenni): egli potrebbe, nelle intenzioni, perciò incanalare la rabbia, limitandosi solo a correggere la cappa asfissiante del politically correct.

      Ma proseguendo a centrarsi su Wall Street e la business community (per genetica o subentrata cooptazione: questa è da vedere).

      Poi magari, Trump ci sorprende...ma le forze in gioco, che abbiamo varie volte descritto, anche col tuo importante contributo, non possono essere molto cambiate.

      Non dimentichiamo che Reich colloca questa presidenza come fase di ultimativa resistenza del sistema e prevede l'emergere di un vero candidato estraneo a...ESSI, solo nelle prossime elezioni presidenziali del 2020; e dopo una nuova crisi recessiva a epicentro finanziario...

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    2. Penso però che a qualcuno non piacerà troppo avere le rivoluzioni colorate o le primavere nel giardino di casa, quelle sono ammesse solo in casa d'altri, anche perchè hanno la tendenza a scappare di mano stile "Odessa" e sono abbadtanza speranzoso che gli stessi che hanno permesso brexit e aiutato trump, una cosa del genere non la farebbero passare... forse soros sta tirando troppo la corda....

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    3. E' quello che ho pensato anche io. Il "metodo Ucraina" applicato dentro gli stessi USA...... a prima vista appare una mossa molto azzardata, ma in realtà ben può essere un avvertimento.
      Credo che questi fenomeni, uniti alle dichiarazioni provenienti tanto da Hollande, quanto dalla Germania, quanto da Schultz e Juncker siano, come giustamente osserva quarantotto, vogliano dire: abbiamo perso una battaglia importante ma possiamo ancora combattere la guerra. Non pensate di mandarci a casa in quattro e quiattr'otto.

      Queste elezioni sembrano quasi stalingrado, "frattalicamente parlando": i tedeschi hanno preso la batosta, ma non dimentichiamo, sempre proseguendo il paragone, che non siamo ancora al 1945 e che buona parte della russia è ancora sotto il tallone della Wermacht.....

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  3. Premesso che Trump è la parte "Industriale" delle Lobby statunitensi, non penso che queste proteste possano influenzare Trump. Dopo tutto questa elezione era una lotta di potere interna alle Lobby statunitensi. E quella manifatturiera ha avuto, per ora, il sopravvento.

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  4. Infatti uno degli articoli in prima pagina web del Sole24Ore fa riferimento proprio ai big dell'auto ed al rischio protezionismo. Fa un pochino ridere visto che uno Stato sovrano non pratica IL protezionismo, bensì ogni paese fa una valutazione "costi/ benefici" quando deve imporre o meno dei dazi su determinate tipologie di merci, valutando anche la mole dell'interscambio bilaterale fra due paesi in termini di merci, servizi ecc. Ancora una volta quindi stiamo attenti a quanto ci vogliono propinare i "media" in stile Sole24Ore, in quanto la loro visione del problema è quantomai semplicistica e fuorviante...

    Apertura inoltre di Sanders: “Donald Trump ha attinto alla rabbia di una classe media in declino, che è logorata ed esasperata dall’establishment economico, politico e mediatico. La gente è stanca di orari di lavoro sempre più lunghi e paghe sempre più basse, di vedere posti di lavoro pagati dignitosamente spostarsi verso la Cina o altri paesi a basso livello salariale; è stanca di miliardari che non pagano alcuna tassa federale sul reddito; è stanca di non potersi più permettere l’istruzione universitaria per i propri figli – e tutto questo mentre i ricchi diventano sempre più ricchi.

    “Nella misura in cui Donald Trump è serio nel voler perseguire politiche volte a migliorare la condizioni di vita delle famiglie della classe lavoratrice in questo paese, io e altri progressisti siamo pronti a lavorare con lui. Nella misura in cui invece vuole perseguire politiche razziste, sessiste, xenofobe e anti-ambientaliste, ci opporremo vigorosamente.”. Sono sempre più convinto che il vero spauracchio per "chi tira i fili" in Usa fosse lui, non Trump.

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    1. Appunto: è la proposizione in termini di "protezionismo" delle politiche economiche e industriali SOVRANE (cioè volte al benessere generale e non a quello oligarchico), NORMALI in qualsiasi democrazia (più o meno), che la dice lunga sul grado di alterazione cognitiva cui sono pervenuti i media e la politica italiana (specialmente a sinistra; va sottolineato e parlo per testimonianza diretta...).

      Quanto a Sanders, da fonti USA attendibili, mi consta che il vero spauracchio, ben più di lui, fosse la Warren: ma non sorprende che il vecchio "radical" ci tenga all'occupazione "vera".

      Occupazione vera che, ovviamente, come insegna Cesare Pozzi (più ancora che Rodrik), è quella manifatturiera (non assoggettabile a deflazione salariale illimitata dato il legame, hopefully, con il capital intensive e con le qualifiche specializzate che ne conseguono).

      C'è una certa probabilità che i Koch e altri "libertarian" (legati a Nozcik e Rothbard, per capirci) possano "endorse" una linea di questo genere, ricalibrando il venture capital sul suolo americano: ma, da un lato, questo significa perseguimento accelerato dello Stato superminimo (con sacrificio di ogni welfare federale residuo), dall'altro significa anche, inevitabilmente, "complesso industriale delle armi".

      Come reagirà Trump a queste dinamiche che lo incalzeranno, lo vedremo: intanto, visto che ne vuole fare il Segretario di Stato, consiglio di guardare attentamente la figura di Newt Gingrich, nelle sue varie diramazioni "culturali" e di affari.

      Ma ci torneremo in dettaglio, via via che si accumuleranno indizi di conferma di una certa direzione...

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    2. Quello del "Contratto con l'America"?

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    3. Naturalmente di Sanders era implicito il mio riferimento alla Warren (unica persona che avrei voluto vedere ai "posti di comando" NONOSTANTE Hillary)...

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    4. Si quello del "contratto", del 1994 e da realizzare "nei primi 100 giorni"! Non aggiungo altro

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  5. Questi intanto gli obiettivi politici di breve periodo di Trump ed il blocco temporaneo dei negoziati per il TTIP

    Facciamo però attenzione perché l’oligarchia vive ed è ancora stabilmente con noi… e ricordiamoci sempre che, se Trump è stato eletto, c’è “sotto sotto” un bel… perchè… Nei prossimi giorni, con la sua squadra di governo come dice bene 48, vedremo come si orienterà il 45° presidente degli USA...

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    1. La predizione della "trappola" è molto interessante: collima, nell'anticipare il ciclo (recessivo e catastrofista), con quanto asseriva Reich citato.

      E spiega perfettamente come una smodata forza mediatico-finanziaria abbia giocato a perdere, OGGI, puntando apparentemente sulla impresentabile Hillary, per vincere DOMANI (addirittura, pare, entro sei mesi).

      Ma un Armageddon da accollare alle esili spalle (culturali) di Trump, ha un alto rischio anche per ESSI: egli non avrebbe più nulla da perdere e, messo con le spalle al muro, potrebbe reintrodurre il Glass Steagall, d'urgenza, e fare la monetizzazione del debito per rilanciare l'economia come nel New Deal (più o meno al netto di una guerra..).

      In altri termini, obtorto collo e costretto dagli eventi, Trump potrebbe fare effettivamente quello che ha promesso di fare, senza crederci, ora (e probabilmente senza averlo nemmeno capito).

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    2. Vive, vive, eccome se vive.
      Basta vedere i toni da "rivoluzione colorata" con cui i media dipingono i "ggiovani" che già protestano contro Trump per le strade d'america (con tanto di bandiere USA bruciate, manco fossimo nella Teheran post-rivoluzione khomeinista), e le dichiarazioni stizzite di Juncker ("perderemo due anni")......

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  6. Traduzione molto libera del passo della Robinson: « Quando Ricardo perorò la causa contraria al protezionismo, stava semplicemente sostenendo gli interessi economici britannici. La pratica del libero commercio rovinò l'industria portoghese. L'imporre agli altri il libero scambio è nell'interesse del competitor più forte sui mercati mondiali; inoltre, un competitor abbastanza forte non ha alcuna necessità di adottare misure protezionistiche.
    Il liberoscambismo, in pratica, è una versione più fine del mercantilismo ».

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  7. “… La dottrina del libero scambio, in pratica, è una forma più sottile del mercantilismo”.

    Basta questo trafiletto per richiamare l’€uropa di “morire per Maastricht” di ispirazione pangermanica competitiva (e nazista). L’ordoliberista “economia sociale di mercato”, dedotto il riempitivo “sociale”che, per definizione, è anch’esso brutto. Ma come fai a spiegarlo a quella enorme fossa biologica che ormai sono i mass-media, ricettacolo di tutti i peggiori e livorosi supporters della democrazia collutorio da prima serata? La puzza insopportabile ormai la senti anche via satellite. Medito seriamente di portare il televisore in discarica. E’ semplice questione di igiene (mentale).

    Protezionismo-brutto, poi, si declina come proporzionale-brutta: i due tabù sessuali dell’orgia liberoscambista del governo sovranazionale dei mercati.

    “… Nell’ambito di un’economia mondiale interdipendente e soggetta …a vicissitudini perturbatrici origine di problemi tuttora aperti, È INDIVIDUABILE UNA FUNZIONE UTILE PER UNA POLITICA ECONOMICA CHE MIRI A REALIZZARE UN ADEGUATO DOSAGGIO TRA L’INCORAGGIAMENTO DELLE ESPORTAZIONI E UN’AUTONOMA AZIONE DI SOSTEGNO DELLA DOMANDA INTERNA? I termini adoperati evitano, come si rileverà, ogni appello emotivo alla creazione di un “nuovo ordine internazionale” come pure ogni atteggiamento difensivo di orientamenti protezionistici. Né le frasi ad effetto ripetuti sino alla noia né il ripudio della realtà con aprioristiche demonizzazioni contribuiscono a dare concretezza allo sforzo di comprensione e di immaginazione necessario per avviare a soluzione i complessi problemi di economia internazionale. …
    malgrado l’enfasi che abitualmente viene posta sulle proiezioni verso il futuro, non può sfuggire ad un osservatore attento il riaffermarsi di quella “CRISTALLIZZAZIONE DELLE DISUGUAGLIANZE” che, nell’immediato secondo dopoguerra, fu di ostacolo al conseguimento degli attesi risultati istituzionali sul piano della COOPERAZIONE INTERNAZIONALE nella sfera degli scambi commerciali…

    … converrà iniziare con le argomentazioni di coloro che pongono al centro delle loro preoccupazioni la recrudescenza del protezionismo in vecchie e nuove forme. Tra queste ultime non sembrano da annoverare le tanto discusse barriere non tariffarie …bensì gli accordi “volontari” tra coppie o gruppi di paesi per una concordata limitazione degli scambi: accordi la cui diffusione ha l’effetto…di essere negoziati al di fuori del GATT e di costituire quindi una esplicita incrinatura ai principi della collaborazione internazionale …Un aspetto singolare delle recenti ricerche sul c.d. nuovo protezionismo è che lo si è analizzato con l’ausilio di uno schema di mercato politico della protezione … SI HA INEVITABILMENTE L’IMPRESSIONE CHE LO SCADIMENTO DELL’EFFICACIA OPERATIVA DEL MERCATO, SU CUI HA IN TANTI LUOGHI INSISTITO ACUTAMENTE GALBRAITH E I LIMITI DI VALIDITÀ DEI PROCESSI DI MASSIMIZZAZIONE, POSTI IN EVIDENZA DA VARIE CORRENTI DI PENSIERO, SIANO DEL TUTTO IGNORATI DA QUESTA LETTERATURA…E’ difficile infatti pervenire a una comprensione adeguata di queste forme di scambio internazionale “amministrato” o “regolamentato”, senza tener conto del differente peso politico delle parti coinvolte, della “benevola indifferenza” delle potenze egemoni nei confronti del resto del mondo, della spregiudicatezza nella manipolazione dei tassi di interesse e dei tassi di cambio, riferita unicamente alle esigenze interne di detti paesi, con una non dichiarata ma effettiva politica di isolazionismo economico. Farsi carico di questi aspetti potrebbe rendere significativo il dibattito sul nuovo protezionismo… (segue)

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  8. Un secondo monologo è quello che il FMI …rivolge a un uditorio mondiale per sostenere l’inevitabilità delle politiche restrizioniste cui i paesi deficitari debbono assoggettarsi con la sottoscrizione delle note “lettere di intenti” predisposte dal Fondo stesso; lettere alla cui adesione rimangono subordinate non soltanto eventuali ulteriori concessioni di aiuto da parte del Fondo, ma la stessa possibilità di rinegoziazione dei debiti assunti nei confronti delle banche commerciali private …Il Fondo giustifica ufficialmente il suo operare facendo appello a criteri in senso lato di efficienza, lasciando ai singoli Governi di farsi carico del modo in cui i connessi oneri vadano ripartiti tra le varie parti sociali. Anche in tal caso, l’indicazione testuale è esplicita “le azioni (suggerite dal fondo) comportano costi sociali, ma non spettano al Fondo decidere il modo in cui questi costi vadano ripartiti all’interno della collettività considerata in quanto si tratta di questioni di scelte politiche la cui soluzione spetta ai singoli Governi”…la posizione del Fondo è di dire: in considerazione delle risorse finanziarie esterne di cui il paese può disporre, L’OBIETTIVO DI RIPRISTINARE UNA POSIZIONE MIGLIORATA NELLA BILANZIA DEI PAGAMENTI IN UN PERIODO DI TEMPO RAGIONEVOLE IMPLICA CHE IL PAESE LIMITI IL CONSUMO INTERNO, accresca il risparmio, ESPANDA LE ESPORTAZIONI. Se il paese è disposto è disposto ad assumere misure idonee a raggiungere tali obiettivi, il Fondo concederà il suo aiuto: spetta poi al paese interessato di stabilire le proprie priorità sociali e politiche” (N.d.F: mi ricorda qualcosa!)…

    UNA RIPARTIZIONE PEREQUATA DELL’ONERE DI AGGIUSTAMENTO TRA PAESI CREDITORI E DEBITORI ERA PARTE ESSENZIALE DELLO SPIRITO ORIGINARIO DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE ORGANIZZATA. Tornare a quello spirito originario non significherebbe un arretramento, ma un ripensamento meditato dell’insegnamento di chi ebbe parte di rilievo, in senso costruttivo e critico, nel riassetto internazionale del secondo dopoguerra: da Keynes a Robertson, da Robbins a Balogh. In secondo luogo, una volta che l’attestazione sia ricondotta alle vicissitudini di cui questi studiosi eminenti furono testimoni e cui cercarono di porre rimedio, la demonizzazione abituale delle misure protezionistiche non può non apparire, quale è, come un atteggiamento convenzionale, di natura meramente retorica. …LA CONCEZIONE DI UNO SVILUPPO MONDIALE TRAINATO DALLE ESPORTAZIONI APPARE ANACRONISTICA, IN QUANTO LA SQUILIBRATA SITUAZIONE INTERNAZIONALE SEMBRA TROVARE CORRETTIVO SOLTANTO IN UN DOSAGGIO OPPORTUNO DI SPINTE ORIGINATE DALL’ESTERNO E DI UNA VALORIZZAZIONE DELLA DOMANDA INTERNA …”.

    IL PERICOLO MAGGIORE CONSISTE NELL’EQUIVOCO CHE ESSERE COMPETITIVI SUL PIANO INTERNAZIONALE CONSISTA SOLTANTO IN PROBLEMI IN SENSO LATO ESTERNI E NON ANCHE IN PROBLEMI CHE INVESTANO L’ASSETTO INTERNO DELL’ECONOMIA. Affermazioni come quella che “l’allentamento dei vincoli esterni non può che derivare dall’incremento delle esportazioni” (in nota, N. Capria, lettera a Il Messaggero, 9 agosto 1984), rilevano una apoditticità non soltanto in contrasto con l’ovvia interdipendenza che esiste in ogni sistema economico; ma altresì contraddittoria con la contestuale affermazione che “importare di più per produrre e vendere di più rende più vulnerabile il sistema economico”… (segue)

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  9. Ora, risulta in qualche possibile significato giustificata l’inerzia di questa crescente vulnerabilità? Non ne discende l’esigenza di cercare di attenuarla non soltanto con il tramite di essere maggiormente competitivi verso l’esterno, ma altresì con lo sforzo di essere più efficientemente organizzati all’interno? L’ACCRESCERE IL VALORE DELLE ESPORTAZIONI, IL FAR DIPENDERE L’ANDAMENTO ECONOMICO DALLA OCCASIONALITÀ DI UNA RIPRESA ESTERNA IMPLICANO IN QUALCHE MODO DISATTENZIONE DI FRONTE ALLO SPERPERO DELLE FORZE DI LAVORO GIOVANILI, AL DEGRADO GEOLOGICO, ALLA DISSIPAZIONE DEL PATRIMONIO ARCHEOLOGICO-CULTURALE, ALLE ESIGENZE DEL RISANAMENTO URBANISTICO (NdF: tutta spesapubblicacattiva)?

    …Se la COLLABORAZIONE internazionale (NdF: che presuppone la sovranità nazionale) organizzata costituisce un punto dal quale non si torna indietro, nulla, TRANNE L’INTERPRETAZIONE DEVIANTE DEI TECNOCRATI, preclude che, con motivate richieste avanzate nelle sedi stabilite, sia possibile far ricorso, quando occorra, a temporanee misure di contingentamento, di razionamento, di controlli fisici, di regolamentazione delle forme e della entità dell’indebitamento verso l’estero e dei movimentio di capitali in genere. Del resto, ILLUDEREMMO NOI STESSI SE RITENESSIMO CHE UNA BEN CONGEGNATA E SELETTIVA POLITICA DI COMMESSE PUBBLICHE, INDIRIZZATE VERSO SETTORI CONSIDERATI TECNOLOGICAMENTE INTERESSANTI NON RIENTRI NELL’AMBITO PROTEZIONISTICO. Pure, siamo ben lontani da un impiego cauto, ma disinibito di “scelte protezionistiche” [F. CAFFE’, In difesa del Welfare State, Saggi di politica economica, Rosemberg & Sellier, Torino, 1984, 93-100].

    Nonostante la limpidezza di queste argomentazioni, quella puzza via etere non accenna ad arrestarsi.


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    1. Ho letto l'articolo di Kruggy linkato da Quarantotto. Molto interessante. Molto accattivante. Soprattutto molto istruttivo. Utile a capire una volta di più quanto il soggetto vada preso molto con le molle. Un gran furbacchione, che, da buon ecumenico, per negare 'in modo radicale' il fatto che prendersi a cazzotti tra stati sia una buona idea, teorizza che... le scazzottate non esistono, sulla base del 'generalizzabilissimo' argomento che "il deterioramento degli scambi internazionali [non] sono stati uno spauracchio importante per lo standard di vita americano".

      Così da poter poi, una volta smontato 'ontologicamente' il concetto di competizione internazionale, rammaricarsi, ad esempio, del fatto che "la retorica commerciale del Presidente Clinton [...] ha lasciato la sua amministrazione in una posizione debole quando tentò di ribattere ai nemici del NAFTA che sostenevano che la concorrenza del lavoro messicano più conveniente avrebbe distrutto la base manifatturiera USA."

      Amici del giaguaro: la peggio razza.

      (PS: ovviamente questo NON è in alcun modo un appunto sulla citazione riportatata da Quarantotto, che anzi, presa in sé ed estrapolata dall'argomentazione complessiva, dimostra come l'amico, quando vuole, e nei limiti in cui gli sia tatticamente utile, gli argomenti giusti li sa mettere ben in fila).

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  10. Ciao Quarantotto, probabilmente sbaglierò alla grande, ma io credo che Essi non abbiano nessuna strategia, se non quella dell'arricchimento compulsivo e quella di sbranarsi fra di loro, bisognosi di alimentare il proprio Io. Pensare che le Elites abbiano strategie raffinatissime di lungo periodo, imperscrutabili alla grande massa, si rischia di scivolare involontariamente nel terreno del riconoscimento e della stessa legittimazione delle Elites. Esse governano in quanto capaci di mettere in essere strategie così complesse e raffinate che la maggior parte delle persone non è nemmeno in grado non solo di pensarle, ma neanche di concepirle, e così facendo esercitano sul Popolo un fascino irresistibile. Il discorso cambia se la massa inizia a percepire Essi, le "Elites" come degli arruffoni, capaci solo di manifestarsi attraverso azioni inintelligenti ( come le definiva Caffè) dove il loro vero e unico potere non consiste sulla loro superiore intelligenza e cultura ( che poco serve se non saldamente legata al buon senso) ma alla loro cattiveria al loro livore, alla loro crudeltà, alla loro incapacità di entrare in empatia con un altro essere umano, con la loro incapacità di perdersi nel mirare un Tramonto o un Alba, magari sul Monte Grappa come diceva Hemingway. Per loro sacrificare miliardi di persone alla miseria, alla povertà o alla morte non procura nessun rimorso, nello stesso modo che una persona normale uccide una mosca o una zanzara che gli da tormento.
    Se un giorno, chissà fra quanto tempo, la maggior parte delle persone normali li percepirà per quello che sono " Odiatori dell'Umanità" l'Alba di un nuovo mondo forse potrà finalmente nascere.

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    1. Sull'elemento di psicologia collettiva che introduci nell'analisi, sono pienamente d'accordo (e lo sarebbe anche Bazaar, che ha qui più volte introdotto il concetto sarcastico di "menti raffinatissime").

      Però ti propongo una replica che considero non trascurabile, proprio perché perfettamente compatibile con la crudeltà e incapacità/incompetenza delle elites.

      Mi spiego: proprio perchè sono avidi, mediocri e, perciò, incapaci di dominare la traiettoria, NON SANNO MAI SPIEGARSI PERCHè ARRIVINO AL MOMENTO DEL "BOTTO" SENZA VIA D'USCITA.

      Però ormai si rendono conto che ci stanno arrivando senza vedere una via di scampo (almeno per i livelli dei sottopancia che verebbero sacrificati e travolti).

      Ergo, è un ben misero, ma prevedibile, intrigo quello per cui, SFRUTTANDO LA SIMMETRICA MEDIOCRITà E PREVEDIBILITà DELLA CLASSE POLITICA CHE CONTROLLANO MEDIANTE IL FINANZIAMENTO, ed anche attraverso le relazioni personali e familiari (caso sia di Trump che della Clinton), finiscano per mettere nel posto che scotta, di chi è destinato AD ESSERE TRAVOLTO AL POSTO LORO, colui che gli pare più conveniente al momento.

      Conveniente, perché consente di poter tornare poi a riprendere la stessa metodologia di gestione del potere senza essere stati messi in discussione dalla crisi.

      Ed è questo esattamente, rispetto a Trump, il caso del "globalismo" e del comando centralizzato delle operazioni (sgangherate ma comunque brutalmente capaci di garantire il controllo istituzionale e la sicurezza dei profitti).

      Con Trump che fallisce, formalmente e PER MERA CONCIDENZA TEMPORALE, subendo una maxi-crisi finanziaria durante il periodo del suo (preteso) neo-protezionismo, ESSI (globalisti finanziari) non emergerebbero come imputati principali della prossima crisi.

      Mediocri e incapaci di evitare di deragliare lo sono da sempre; ma maestri del controllo sociale e istituzionale, pure...

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  11. Ciao Quarantotto oltre ad essere maestri del controllo sociale, sono maestri nel fare soldi a palate.
    Per mesi attraverso la propaganda dei loro giornali hanno convinto l'opinione pubblica, compreso il sottoscritto, che una eventuale vittoria di Trump avrebbe affossato i mercati.
    Se guardiamo l'indice Dow Jones, questo era in correzione lateral/discendente da oltre 70 sedute, nelle quali, qualcuno vendeva e qualcuno altro comprava. Con l'avvenuta elezione di Trump in quattro sedute, iniziando da lunedì dove festeggiavano la vittoria della Clinton, l'indice Dow Jones è andato a fare nuovi massimi assorbendo tutta la precedente correzione durata 75 sedute.

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  12. Due osservazioni. La prima è che ho notato che nei media tedeschi c'era e c'è nervosismo per l'atteggiamento del nuovo presidente verso il mostruoso surplus teutonico (la FAZ affacciava addirittura un'ipotesi sanzionatoria; anche Flassbeck prevede un irrigidimento).

    La seconda è che mi pare si possa dire che gli Stati che hanno fatto veramente la differenza sono quelli della rust belt, tra i quali, con la consueta propensione americana a coniare espressioni stupidamente enfatiche che poi si ritorcono contro chi le ha tirate fuori, tre (Michigan, Wisconsin e Pennsylvania) erano stati inseriti nel "democratic firewall" di HRD.
    Si tratta di Stati pesantemente colpiti dalle delocalizzazioni: "Trump won 65 percent of voters who said international trade costs jobs, according to exit polls conducted as people cast their ballots Tuesday. Overall, 42 percent of voters told exit pollsters they agreed with the sentiment, while 38 percent said trade creates jobs and 11 percent had no opinion. In Rust Belt states like Ohio and Wisconsin, an even higher proportion of voters said trade costs jobs.

    Exit polls aren’t perfect, and it’s possible some Trump voters were more likely to agree that trade costs jobs just because that’s something Trump has said so many times. But Trump did better among workers who said trade hurts workers than Democratic nominee Hillary Clinton did among workers who said trade creates jobs."
    Un'indicazione abbastanza chiara, se si intende ascoltarla.

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    1. E questo è quanto registrato in sede di espressione del voto e come conseguenza dei "messaggi" veicolati in sede di campagna elettorale.

      Diciamo che Trump, in un ordine di priorità logiche, compatibili con quella che è la sua ideologia di "appartenenza" (non vorrei usare un termine...eccessivo), dovrebbe svalutare il dollaro.
      Vanificando buona parte degli effetti esterni del QE.

      Il marco, però, rimarrebbe sempre sottovalutato rispetto all'euro, in comparazione con le "valute de facto-tassi di cambio reale" degli altri europartners. Segnando una tensione interna alla già provata eurozona.

      La risolve come Alessandro col nodo gordiano e dà il via libera all'eurobreak?
      ...Mmmm...
      Forse per la situazione Deutschebank potrebbe persino rivelarsi un vantaggio (balance sheet effect di rivalutazione patrimoniale di quanto posseduto in valuta nazionale; ma, d'altra parte, anche appesantimento delle passività costituite dai depositi e svalutazione delle attività in dollari...)

      Ma la debt deflation e il rischio crescente di una nuova crisi finanziaria, si combattono (almeno si tenta: mi pare troppo tardi per "prevenire"), con Glass-Steagall, limitando la propagazione delle perdite a chi ha effetivamente giocanto al gran casino e con l'eventuale monetizzazione di debito e deficit (per poter sia limitare gli effetti che spendere in funzione anticiclica).

      Ma soprattutto con una riforma del lavoro che leghi i salari non alla sola produttività "reale".

      Ma la fai con gli ex G&S e i CEO Morgan Stanley? O Newt Gingrich, seguace di Nozcik?
      Il passaggio dalla campagna elettorale all'azione politica, sarà molto difficile, per uno circondato da certe "risorse culturali" come Trump.
      Ora è ovviamente presto per dire se i soli segnali sul fronte valutario e degli squilibri esteri sono sufficienti...

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  13. Vorrei segnalare questa perla :
    ++ Juncker: "Ci toccherà insegnare a Trump cos'è l'Europa e come funziona; la sua elezione mette a rischio le relazioni UE-USA" ++
    e ricollegarla alle esili spalle (culturali) di Trump.
    Sulla conoscenza dell'europa ,anche se forse meno per l'EU, Trump è molto più preparato dei sui predecessori in quanto ha nonni tedeschi/scozzesi, mamma scozzese, prima moglie cecoslovacca, moglie attuale slovena (Melania Trump da tutti citata per l'aspetto ma che:"speaks six languages fluently: Serbo-Croatian, English, French, Italian, German, and her native Slovene.").
    Forse sono piccoli elementi ma che possono pesare sulla politica estera dove invece Obama ha ampiamente dimostrato di non conoscere cultura/usanze/costumi di gran parte dei paesi in cui hanno messo becco gli Stati Uniti.
    Se anche fosse un pessimo presidente mi auguro che interrompa lo folle escalation militare in atto con la Russia .

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  14. Soprattutto perché il "controllo sociale" è frutto della divisione del lavoro, della specializzazione scientifica, di quel culto nichilistico che è quello della Tecnica.

    Il capitalismo liberale è la Tecnica, e la Tecnica è imperscrutabile ad ogni mente umana: affida alcune leve di potere ai "tecnocrati", ma questa, nel conservare la traiettoria verso quest'ordine sociale distopico, è assolutamente impersonale; o, almeno, non personalizzabile rispetto alla persona umana.

    La Tecnica trascende il pensiero umano: non è più da secoli controllata dall uomo.

    Internet non è altro che l'evoluzione di ciò che si è « scatenato » (cit. Schmitt) e domina impersonalmente la società.

    La tecnica del capitalismo finanziario risponde alla chiamata storica delle forze elementari marine.

    Stando all'Apocalisse, a memoria, « il male sarà stato estirpato dal mondo quando non ci sarà più mare».

    (Ossia - per l'emancipazione dell'Uomo nella Storia universale - sarà un nuovo ordine giuridico a "domare" la Tecnica e a ricondurre le "divisioni" all'Uno: l'archè)

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    1. Vabbè, mi si è incolonnato male: era una risposta a Mauro e Quarantotto.

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  15. È chiaro che prendere sempre più consapevolezza del mondo orwelliano in cui viviamo e cercare di farla diventare oggetto di discussione anche all'esterno dei blog o di convegni ristretti, in questo clima reazionario in cui il voto popolare democratico sgradito viene respinto sino a mettere in discussione il suffragio universale, in un contesto in cui da qualsiasi parte ti giri viene distribuita la stessa propaganda, beh, è chiaro che è un lavoro per uomini saldi e determinati.

    In Italia, pur considerando il ruolo dell'attuale propaganda e del politicamente corretto, si dimostra sempre più vera l'intuizione di De Felice: la più evidente eredità del fascismo è l'intolleranza e la demolizione irrazionale dell'avversario.

    Sorprende tuttavia che un popolo come il nostro, mediamente attento a vigilare sulla propria economia e politica domestica sulla base di conteggi, rapporti di forza, di interesse e di sentimento, sia incapace di esaminare i fatti politici se non attraverso superficiali e irrazionali pregiudizi.

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  16. Forse pecco di pessimismo che deriva dalla conoscenza dei pensieri e delle esternazuoni di molti uomini della mia fascia sociale con le pance ancora sufficientemente piene.

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