mercoledì 30 agosto 2017

LASCIENZA DI EINAUDI TRA VESCOVI AFRICANI E VESCOVI €UROPEI


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1. Avevo scritto un lungo post sulla questione dell'immigrazione e sulla sua effettiva finalità di instaurare il paradigma neo-liberista della "porta aperta": come abbiamo visto, tale paradigma conduce al lavoro-merce globalizzato che tanto piaceva a Einaudi, ma la cui instaurazione effettiva presuppone, preliminarmente e inevitabilmente, un vasto sistema illecito di traffico di esseri umani, accoppiato con l'eversione delle disposizioni fondamentali, di protezione delle frontiere degli Stati, attualmente derivanti dalle Costituzioni democratiche.
Se qualcuno avesse bisogno di chiarezza sulla consonanza di questa finalità con il pensiero di Einaudi, riporto le sue stesse parole, le prime pronunciate in sede di Costituente (nel dibattito preliminare sull'art.7 Cost. nella Commissione dei 75), le seconde, assolutamente chiare nella loro avversione alla democrazia pluriclasse (cioè inclusiva degli interessi della maggioranza dei cittadini), frontalmente contrapponibili alle ben specifiche esigenze che condussero invece alla fondazione dell'Internazionale socialista, come poi sotto evidenziato da due fondamentali contributi di Bazaar e Arturo (per la traduzione in italiano mi affiderei ai commentatori, o ci tornerò su in apposito post).

2. L'intervento di Einaudi è nella seduta del 23 gennaio 1947 (notare il riferimento a Lascienza "indipendente e sovrana" fatto dall'esponente della "scienza economica dell'800", in ciò acutamente redarguito da Ruini che, a sua volta, aveva sopportato, ben più di Einaudi, la repressione del fascismo a causa della sua appassionata difesa della democrazia economica):
Einaudi prende atto della fiducia manifestata dall'onorevole Moro che la disposizione dei Patti Lateranensi che aveva condotto al caso Buonaiuti in avvenire possa essere modificata, perché considera veramente che il caso Buonaiuti sia stato uno di quelli che hanno offeso di più la coscienza degli studiosi italiani. La scienza nel suo campo è per lo meno altrettanto indipendente e sovrana come la Chiesa e la religione e, quindi, quell'interferenza che vi è stata in quel caso dovrà, a suo parere, essere eliminata, attraverso una revisione bilaterale dei Patti Lateranensi.
Rileva poi che le considerazioni dell'onorevole Cevolotto, per quanto riguarda (ndr; la "contrarietà a", peraltro ineccepibilmente argomentata in diritto da Lelio Basso nella discussione plenaria) l'inserzione di disposizioni relative a trattati internazionali in una Costituzione, non lo hanno convinto, perché pensa che l'idea della sovranità dello Stato sia un'idea falsa, anacronistica, che deve essere abbandonata
Ritiene, quindi, che la disposizione in esame, caso mai, precorre i tempi e sarà un esempio che dovrà essere seguito. Si dovrà in avvenire nelle Costituzioni dei singoli paesi introdurre delle norme riguardanti trattati internazionali.
L'esistenza degli Stati sovrani non è più tollerabile nel mondo moderno
Quindi considera questa disposizione singolarmente felice (ndr; l'attuale, e in realtà ab initio contestatissima anomala formulazione dell'art.7), tale da aprire la via ad altre disposizioni del genere, per cui le Costituzioni vengano ad essere legate in forme durature a trattati internazionali.
3. Sulla "politica della porta aperta" propugnata da Einaudi, sintetizzo, in un passaggio significativo, quanto complessivamente riportato da Francesco Maimone:
"Le norme restrittive della emigrazione che vanno sorgendo nei paesi nuovi o vecchi SONO IL LIEVITO DELLE GRANDI GUERRE FUTURE, SONO LA NUOVISSIMA FORMA DI PROTEZIONISMO che si innesta sul vecchio protezionismo ad opera di quelle classi medesime che più gridano contro i dazi affamatori…. vi è un paese che dai dilettanti viene descritto come un paradiso terrestre, come il paese dove non si sciopera, dove la società socialista futura va a grado a grado attuandosi senza conflitti cruenti e senza inutili dibattiti dottrinali e che è altresì la terra promessa del nuovissimo protezionismo operaio. Quel paese, vasto come l’Europa, potrebbe albergare milioni di cinesi e di giapponesi, potrebbe offrire il campo, come lo dimostrano i rapporti dei nostri consoli e di inviati speciali del Governo nostro, alla colonizzazione proficua di molte centinaia di migliaia, per non dire anche di milioni, di italiani. Ma a tutto ciò si oppone l’esclusivismo gretto e feroce di un piccolo manipolo di genti, che in nome della democrazia ha messo l’ipoteca su un intero continente e vuol riserbarlo ai propri sperimenti di barbarie medioevale".

"Basti ricordare che (ringraziando come sempre Arturo): « The mainly English and French militants had come together in London firstly to rally solidarity with the various international liberation struggles underway, including that for Polish independence, Italian unification and support for the North against the slave-owning South in the American Civil War. Their second reason for forming such an organisation was because in a recent economic downturn attempts had been made by employers to play English and French workers off against each other through the use of immigrant labour to try and break strikes. Trade unionists on both sides of the Channel wanted to counter this blatant “divide and rule” strategy. »

Quindi le prime ragioni per cui fu fondata la Prima Internazionale furono l’appoggio a lotte per l’indipendenza nazionale e la prevenzione dell’uso di lavoratori immigrati in funzione antioperaia.

Andiamo avanti: « When tailors went on strike in Edinburgh and London in 1866 for example, the IWMA were able to prevent their masters bringing in strike-breakers from Europe and Germany.» (Fonte)
Ci fosse bisogno di conferme : « The conditions of the daily struggle (especially in such comparatively advanced countries as England and France) suggested to the workers the need of forming an international union of proletarian forces for a number of purposes. Among these may be mentioned: the sharing of experience and knowledge; conjoint efforts on behalf of social reform and improvements in the condition of the working class; the prevention of the import of foreign workers to break strikes; etc. Thus the needs of the industrial struggle gave an impetus towards the formation of the workers’ international. » (Fonte).
Che piaccia o meno rispetto alla propria personale ideologia, la via verso la democrazia è stata tracciata - in primis - dai socialisti. E va riscoperta tutta l'opera ripulendola dall'orwelliana falsa coscienza dei "liberali di sinistra e di destra"."

"Tornando, non casualmente, alle vicende americane, vale la pena citare dal rapporto del Comitato sull’immigrazione, interno al marxista e combattivo American Socialist Party, pubblicato nel 1908 (qui la fonte da cui citerò: pagg. 75-77).

Il Comitato raccomanda di vietare l’immigrazione, in particolare “from specific and definite nations. This exception refers altogether to the mass immigration of Chinese, Japanese, Coreans and Hindus to the United States. We advocate the unconditional exclusion of these races, not as races per se—not as peoples with definite physiological characteristics—but for the evident reason that these peoples occupy definite portions of the earth in which they are so far behind the general modern development of industry, psychologically as well as economically, that they constitute a drawback, an obstacle and menace to the progress of the most aggressive, militant and intelligent elements of our working class population.

The larger and more powerful elements of our ruling classes, the great capitalists, the real and effective opponents of the militant working class, are the real beneficiaries of immigration from those countries, and being well aware that these immigrants are accustomed to a much lower standard of living and do not easily assimilate with the other elements of our population, use every means, legal and illegal, to encourage the immigration of these peoples to a point where it becomes an effective competitor against the progressive elements of the working class, serves to lower their standard of living, and constitutes a formidable factor in perpetuating division among the workers by subordinating class issues to racial antagonisms and thus tends to prolong the system of capitalistic exploitation.

The exclusion of the above-mentioned peoples does not prevent the disintegration of the middle classes, but it does, on the other hand, assist the workers by lessening the unemployment, maintaining the standard of living, minimizing the number of possible strike-breakers and lessening the various race problems which tend to confuse and divert the working class in its struggle for final emancipation.
The Committee has arrived at this conclusion after several years of careful study of all available data. So far as the time limits of this convention permit, individual members of this Committee are prepared to state the general and specific reasons that have led them to the position taken in this report.

Naturalmente erano esclusi i rifugiati politici, di cui si riteneva doverosa l’accoglienza.
Ovvero, in generale: “L’unione dei “proletari di tutto il mondo” nel conflitto di classe interno a ciascuna nazione è inconcepibile, a meno di ipotizzare che i rapporti di forza tra capitale e lavoro siano sufficientemente omogenei nei diversi contesti geopolitici. Prima vengono i rapporti di forza all’interno delle singole nazioni e i loro esiti: se questi sono abissalmente diversi, allora nelle nazioni più sviluppate un conflitto interno alla classe lavoratrice, indigena e immigrata, è inevitabile, con conseguente indebolimento generale del suo potere contrattuale.” (Barba e Pivetti, La scomparsa della sinistra in Europa, Imprimatur, Reggio Emilia, 2016, s.p.).
Oltre ad essere fondati sull’esperienza, mi sembrano abbastanza lineari come ragionamenti. Aiutano anche a capire, ce ne fosse bisogno, dove sta, e da quali interessi è incarnato, il problema".
 
6. Tornando a quel "lungo" post citato all'inizio, riporto il solo punto 5, per delle ragioni che saranno chiare nel corso della successiva lettura (e sempre rammentando chi sono i beneficiari essenziali della "manovra migratoria" antisovrana):
Ignorare gli effetti complessivi del delitto di "tratta degli esseri umani" e anzi selezionarli arbitrariamente, e contro l'oggettiva realtà del fenomeno, in modo da individuare delle vittime da tutelare e delle vittime i cui interessi necessariamente coinvolti non sono invece considerati meritevoli di tutela, significa varie cose: 
5a) che l'organizzazione dei trafficanti viene miopemente circoscritta ai soli vettori ed esecutori materiali del trasporto: un ruolo del tutto simile a quello dei corrieri della droga, non prevedendosi, al di là di enunciati assolutamente generici e non operativi sul piano dell'azione di contrasto, la repressione dei livelli di ideazione, direzione e, soprattutto, finanziamento genetico, dell'attività criminosa;
5b) che il deliberato sacrificio, determinato dall'omissione di ogni previsione e possibilità di tutela effettiva, degli interessi delle ulteriori vittime, consistenti nelle (maggioritarie) fasce economicamente più deboli della comunità sociale che subisce gli effetti dell'immissione della forza lavoro aggiuntiva (oltretutto aggiuntiva a quella già disoccupata entro tale comunità), non può che corrispondere, simmetricamente, alla realizzazione dell'oggettivo interesse di coloro che hanno (anche solo culturalmente) propugnato, e quindi ideato, l'immigrazione di massa della forza lavoro transcontinentale, e che dunque sono gli oggettivi beneficiari degli effetti strutturali del fenomeno delittuoso: questo interesse elitario viene dunque, per converso, considerato necessariamente meritevole di tutela!
5c) esistono forse dei rimedi possibili a questa inammissibile falla relativa all'effettiva prevenzione e neutralizzazione degli effetti concomitanti, se non principali, dell'attività criminale organizzata. Allo stato della disciplina attuale (recepita dall'Italia), le vittime dirette, selettivamente considerate dalle norme, sono oggetto di tutela, abbiamo visto, ex post, mediante le provvidenze economiche ampiamente riconosciute dalla disciplina in questione, e ottengono comunque un beneficio nella permanenza de facto nello Stato di arrivo
5d) Ma il principale rimedio dovrebbe essere ovviamente quello di considerare prioritaria, anzitutto, come già nei delitti di mafia, l'identificazione e punizione, senza limiti territoriali, dei finanziatori in apice, ad ogni livello, e degli  organizzatori primi del traffico umano
Questi soggetti di vertice, infatti, ben possono non figurare mai come responsabili in base alle attuali possibilità di indagine e limitarsi a concertare "dall'alto", a livello planetario, attività di istigazione e finanziamento, in loco, di reclutatori, persuasori/induttori all'emigrazione, di vettori, dediti, già a livello esecutivo, ad un'attività indubbiamente coordinata via terra e via mare, e via dicendo.  
La struttura organizzatrice di vertice, oggi a contrasto praticamente impossibile (in base a quanto sopra evidenziato), compie un'attività fondamentale e, visti gli effetti attuali, da presumere altresì immancabile, evidentemente pianificata; per agire nella vastità di scenario e di numeri oggi evidente, essa presuppone una forte centralizzazione (prova ne è la sua simultaneità e accelerazione), una ghost institution che soprassiede all'intero fenomeno delittuoso e senza la quale esso sarebbe irrealizzabile nelle attuali modalità e dimensioni. 
5e) Sarebbe opportuno, a tal fine, prevedere che le Nazioni Unite, preso atto del fenomeno nelle sue reali modalità globali, stabiliscano un sistema di adeguati incentivi e di sanzioni effettive, a tutti gli Stati dai quali già risulta in essere un imponente flusso in uscita di popolazione, che sia inevitabilmente coinvolta in questo traffico organizzato e criminale, al fine di imporgli l'adozione di una disciplina che stabilisca come grave reato l'attività, univocamente preparatoria del traffico umano, di persuasione e induzione all'emigrazione, identificando ed arrestando, non solo gli operatori locali che si dedicano a queste attività di innesco dell'esecuzione del crimine, ma anche identificando, attraverso meccanismi premiali di attenuazione delle pene, coloro che li hanno dall'esterno finanziati e, comunque, riforniti di informazioni e tecniche comunicative diffuse di reclutamento degli aspiranti immigrati, nonché di strumenti concreti autorganizzazione coordinata;
5f) un secondo genere di rimedi, da adottare in concomitanza con quello appena indicato, è più politico-generale, ma risulta sempre affidabile alle previsioni operative delle Nazioni Unite, in applicazione concreta ed attualizzata (come sempre dovrebbe essere per previsioni di ius cogens di diritto internazionale generale), delle previsioni della dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo, nonché dell'art.55 della Carta (v. p.9). Secondo tali previsioni, teoricamente supreme nei principi comuni alle "nazioni civili", la dignità del lavoro, svolto naturalmente presso la comunità sociale da cui si proviene, assume un valore primario ed inderogabile. 
Ora, un fenomeno organizzato e concertato di traffico di esseri umani di queste dimensioni, sfrutta necessariamente condizioni globalmente diffuse di profondo disagio sociale che, di per sè, agevolano, per il capitalismo free-trade globalizzato, l'azione centralizzata  e concertata di "prima organizzazione" del traffico sistematico di esseri umani
5g) Per capirsi, basta fare l'opposto di quanto oggi prospettano le organizzazioni economiche internazionali e gli Stati dominanti, che prevedono presunti "aiuti" finanziari a paesi in fase di sviluppo, ma accompagnati dalle consuete "condizionalità" che incidono solo sul mercato del lavoro e sul welfare di tali popolazioni. Questo intero sistema oggi prevalente si fonda sull'idea free-trade della libera circolazione dei capitali e, quindi, sull'esclusivo obiettivo di rendere appetibile a investitori esteri l'ambiente socio-istituzionale di questi paesi, vietando qualsiasi forma di autoprotezione democratica che consenta lo sviluppo, controllato da Stati effettivamente agenti nell'interesse delle proprie comunità, di un "infant capitalism". 
5h) Per definire il modello "in negativo" di cosa fare, basta avere riguardo alle condizionalità imposte dal FMI (qui, sempre p.9 e qui, pp.2-3) e dalla World Bank, (pp-2-3) e, di recente, non casualmente, dalla stessa Merkel (qui, p.2):
Nel tentativo di dare nuovo slancio a questa presenza, tra le misure proposte per incentivare investimenti privati in Africa vi sono garanzie di credito all'esportazione per le aziende tedesche e, al contempo, risorse finanziarie a sostegno dei governi africani che introducono riforme, soprattutto nel quadro normativo economico, incluso quello della tassazione, e agiscono con responsabilità, trasparenza e impegno".
Cosa sia il "Piano Merkel" per l'Africa è presto detto: da un lato 300 milioni di euro per programmi di formazione professionale e occupazione, destinati ai Paesi – si parte con Tunisia, Ghana e Costa d'Avorio, mentre Marocco, Ruanda, Senegal ed Etiopia potrebbero seguire – che si impegnano a rispettare i diritti umani, combattere la corruzione e garantire lo stato di diritto, creando così un clima economico più favorevole; dall'altro i "Compact with Africa", che puntano a incentivare le riforme sul posto, per attirare maggiori investimenti privati".

7. Sulla scorta delle premesse finora svolte, ci pare interessante sottolineare come le linee di intervento repressive del gigantesco traffico illecito di esseri umani qui suggerite, trovino una significativa eco in un documento del 2015 dei vescovi africani, almeno con riguardo all'analisi dello scenario di concertazione organizzata e di induzione dell'intero fenomeno. 
I vescovi che svolgono il loro apostolato proprio sui territori interessati, e che quindi sono testimoni effettivi di ciò che sta accadendo, paiono ben coscienti che proprio chi emigra non appartenga alla minoranza di coloro che fuggono dalla guerra e dalla fame, ma al contrario, appartiene ad una vasta platea di soggetti che "si aspettano e reclamano" ben altro, evidenziando che l'idea del "dovere morale di accoglienza" sia l'altra faccia della parte più insidiosa e propagandistica dell'organizzazione del traffico di esseri umani: e notare, specialmente se "convinti a emigrare in un paese in difficoltà come l'Italia":
"I vescovi africani, oggi, ai giovani:
C’è una prospettiva che di solito manca nella riflessione sugli attuali flussi migratori dall’Africa. Cresce la preoccupazione di come fare a mantenere centinaia di migliaia di persone che vanno nutrite, alloggiate, vestite da capo a piedi, se necessario curate; e che, per di più, si aspettano e reclamano televisori, reti wifi, mezzi di trasporto, sistemazione in centri urbani e, qualcuno, una occupazione all’altezza del proprio titolo di studio: perché molti vantano diplomi di scuola secondaria e persino universitari.
Qualcuno incomincia anche a domandarsi se sarà possibile assimilare una simile massa di persone culturalmente così diverse da noi e tra di loro. 
Ma nel complesso prevale l’idea che sia un dovere morale di accoglierli nel presupposto che si tratti sempre di persone salvate da morte certa per fame e violenza e che ospitarli sia indiscutibilmente bene per loro, utile, positivo: anche se sarebbe meglio “aiutarli a casa loro”, cosa che peraltro molti intendono solo nel senso che costerebbe di meno e semplificherebbe le cose.
Non si pensa innanzi tutto che il traffico di emigranti è un commercio fiorente, miliardario, anche perché, come per tutte le attività economiche, chi ci lavora non si limita ad aspettare che arrivino i clienti, ma li va a cercare, li alletta, crea nella gente lo stimolo e il desiderio di partire. Come? Prospettando e promettendo meraviglie. A chi? Soprattutto ai giovani: in maggioranza maschi, ma non solo, per lo più scolarizzati e residenti in centri urbani dove loro o i loro genitori sono emigrati lasciandosi alle spalle campi, pascoli, villaggi e miseria.
Ma l’esodo di centinaia di migliaia di giovani – ed ecco la prospettiva che manca – produce danni economici, sociali, culturali enormi, irreparabili ai paesi di origine, privandoli di parte della più importante risorsa di ogni comunità e di ogni nazione: il suo capitale umano. 
Peggio ancora se quei giovani vengono convinti a emigrare in un paese in difficoltà come l’Italia dove quasi il 6% delle famiglie vive in condizioni di povertà assoluta, per un totale di oltre quattro milioni di persone, dove il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 12,7%, il 44,2% quella giovanile, dove sono ormai oltre 100.000 i cittadini che ogni anno emigrano (quasi metà di età compresa tra i 20 e i 40 anni): e dove quindi il destino di molti giovani immigrati è di essere sì provvisti di tutto, ma restando inattivi, assistiti in permanenza da cooperative, Ong e altri enti
Può apparire una discreta opzione, almeno nei primi tempi, quella di vivere senza lavorare e chissà che effetto fanno agli amici e ai parenti rimasti in patria i selfie che li mostrano con sneakers di marca, berretti con visiera, felpe con logo, smartphone e bicicletta.
Neanche l’eventualità che riescano a mandare del denaro a casa va considerata un successo. Si stimano in quasi 40 miliardi di dollari le rimesse degli africani all’estero. Ma in gran parte vanno a integrare i redditi dei parenti rimasti a casa: e sono spese in acquisti, in consumi, creando altre situazioni di dipendenza.
Si può immaginare il rammarico di chi lucidamente guarda al futuro di quei giovani e dei loro paesi. 
«Voi siete il tesoro dell’Africa. La Chiesa conta su di voi, il vostro continente ha bisogno di voi», ha detto rivolgendosi ai giovani Monsignor Nicolas Djomo, Presidente della Conferenza episcopale della Repubblica Democratica del Congo, nel discorso di apertura dell’Incontro della Gioventù cattolica panafricana che dal 21 al 25 agosto ha riunito a Kinshasa 120 delegati provenienti da 11 stati africani. 
«Non fatevi ingannare dall’illusione di lasciare i vostri paesi alla ricerca di impieghi inesistenti in Europa e in America – ha proseguito – guardatevi dagli inganni delle nuove forme di distruzione della cultura di vita, dei valori morali e spirituali. Utilizzate i vostri talenti e le altre risorse a vostra disposizione per rinnovare e trasformare il nostro continente e per la promozione di giustizia, pace e riconciliazione durature in Africa».

8. Da rimarcare, infine, come la posizione dei vescovi africani risulti, nella sua visione più pratica del paradigma sociale affermato, praticamente opposta a quella delle Conferenze episcopali delle Comunità europee (COMECE), affiancate da sempre al paradigma ordoliberista che esplicitamente appoggiano (qui, pp.2-5), citando Eucken e Roepke, come pensatori di riferimento per il grande temperamento dello Stato in nome della "sussidiarietà", e quindi della prevalente privatizzazione del welfare.
Potranno mai riconciliarsi queste visioni oggi così diverse dentro un'unica Chiesa?
(Ovviamente questa è una domanda retorica: nessuno è così ingenuo da credere che non si possa argomentare teologicamente una sintesi "dialettica" tra le due posizioni...avvalendosi di una poderosa tradizione in tal senso).

21 commenti:

  1. Presidente, mi sfugge il senso possibile di questa sintesi dialettica.
    Io non vedo che la possibilità di un maquillage in pieno stile chiesastico, di una mediazione che faccia salva la linea bergogliana (ma in realtà di sempre), così come l'eurocentrismo della dottrina sui temi sociali (politica, eccome!).

    Ho visto com'è andata in Sudamerica...

    Davvero non so: sintesi in che senso?

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    1. Il senso è il mantenimento dell'economia di mercato e lo svuotamento dello Stato del welfare sostenendo un ordoliberismo diffuso, cioè ognuno a casa propria: la disoccupazione indotta da moneta simil-gold-standard e libera circolazione dei capitali è più che sufficiente per ristabilire il potere oligarchico e l'indispensabile povertà diffusa (cui tendere la mano su basi "volontarie", cioè secondo la misura e il capriccio della "carità").

      Si può perciò limitare, in attesa di tempi migliori, l'accelerazione della perfetta mobilità del lavoro-merce.

      Questa è la sintesi (che è poi l'ipotesi migliore che sono disposti a concederci): naturalmente paludata di disegni provvidenziali, amore per il prossimo e temperanza...

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    2. Ricordo una battuta attribuita ad un politico texano: "questi non capiscono che loro lavorano con il petrolio e io lavoro con i voti".
      La chiesa lavora con i poveri, come ha sempre fatto. Se mancano allora è un problema.

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    3. Egregio Quarantotto, la cosa che però non mi torna in questa posizione di Lachiesa è che...stiamo importando prevalentemente masse islamiche. Capirei se facessimo arrivare peones dal Sud America: riempiono le chiese (e magari i seminari), fanno lavorare a tempo indeterminato Caritas ecc, magari ci si rimetterebbe su in futuro una nuova DC...
      Ma è probabile che quelli che arrivano ora in futuro saranno inclini a rivolgersi alla carità e solidarietà di reti assistenziali finanziate sappiano da chi. Senza contare la maggiore conflittualità tra autoctoni (pur sempre il gregge, e non si può far fuori la pecora se si vuole tosarla...) e nuovi arrivati.

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  2. Oh, pensavo a chissà cosa, circa il suo corsivo finale.

    È chiaro: un rallentamento paraculo, puramente tattico, sul piano della mobilità del fattore-lavoro se lo possono permettere e ne verranno pure ringraziati e lodati dai più ('sta cosa del cammello e della cruna dell'ago rimane il più clamoroso misunderstanding della storia - in tutti i sensi, compreso quello linguistico).

    E io che speravo alludesse a un'autentica Aufhebung...

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    1. Carl Schmitt parla esplicitamente di mancanza di Aufhebung nella (a)dialettica del cattolicesimo romano. Parla infatti di complexio oppositorum, di "opposti che si complementano" come massimo risultato politico conservatore, come più grande e funzionale struttura organizzativa reazionaria mai esistita, come archetipo di prassi politica volta a cristallizzare l'assetto sociale.

      Per un cattonazista come Schmitt, il modello politico da imitare.

      Una istituzione, con una sua statualità e la relativa autonomia politico-giuridica che può produrre diritto internazionale, in grado di manipolare totalitaristicamente coscienze tramite lo sfruttamento della paura della morte, la moralizzazione della sessualità, e un untuoso condimento composto da retoriche autopunitive, incensanti il sacrificio e castranti l'istinto alla vita e l'impulso alla lotta che dovrebbero portare alla propria emancipazione le masse compattate da comune coscienza. La religione come oppio dei popoli.

      Le sterminate eccezioni di uomini di Chiesa che sembrano aver seguito i precetti evangelici non possono produrre nessuna dialettica proprio perché il farisaico edificio con radicati interessi temporali e monopolista di riti e sacramenti in quanto autorità politica (cfr. Schmitt) rappresentante Cristo - ossia l'Idea stessa di immortalità - nasce e si sviluppa nell'atto concreto di sterilizzare i contenuti umanistici, etici e solidaristici degli scritti evangelici. (Fate pure una vita indegna di essere vissuta, non ribellatevi, avrete voi fedeli a questi precetti il massimo delle aspirazioni: la vita dopo la morte).

      Il giochetto consiste nel far credere che la Chiesa romana abbia sbagliato, sbagli, ma vada "rivoluzionata da dentro". Lo fanno da millenni, non è una novità degli altreuropeisti.

      Poiché per motivi strutturali - una autoritaria gerarchizzazione - la Chiesa vede al suo vertice un azionariato di controllo prono agli interessi temporali, i "vescovi africani" di ogni luogo e in ogni tempo non hanno mai pouto, non possono e non potranno mai aver voce per un Aufthebung progressivo.

      La Chiesa, come dimostrano duemila anni di storia, è una organizzazione in cui i "progressisti" perdono sempre. Vincono in paradiso. Almeno così dicono i conservatori.

      Come però fa emergere Marx nel Capitale, « l'unica religione utile è il cristianesimo »; di converso l'etica gesuana si può realizzare solo tramite la prassi emancipatoria del socialismo. Insomma, a "favore" della Costituzione italiana, oltre a Marx e a Keynes, non abbiamo la Chiesa, ma Gesù di Nazareth. (Che farebbe veramente a meno di aver un gesuita che vilipende il nome di san Francesco.... ed il suo).

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    2. Lo stato di eccezione permanente è quello della Chiesa romana rispetto all'etica evangelica da cui dovrebbe trarre costituzione.

      In duemila anni, non esiste eccezione a questa eccezione.

      Non è un caso che sia il pastore a portare le pecore al macello.

      Una vera spiritualità, una vera spinta alla trascendenza, una qualsiasi vera forma di escatologia e un pieno e consapevole confronto con la morte - vero impulso ad una vita interamente vissuta - passa da una emancipazione da qualsiasi soggetto che si ponga autoritariamente - gerarchicamente - come intermediario tra la vita e la morte.

      La vita è coscienza e la coscienza è il Senso.

      La religione rivelata è per definizione falsa coscienza.

      È un momento storico in cui certi sarcofaghi vanno scoperchiati.

      O la "pillola rossa", o il nulla. Il no sense.

      Ci vuole coraggio: quello vero. Quello di mettere e mettersi in discussione dalle fondamenta. Fondamenta. Cioè tutte quelle cose che si danno per scontate ma, in realtà, non lo sono affatto. Forse proprio perché la stessa conoscenza del mondo ci viene raccontata e preesiste durante il nostro processo di crescita creando una cornice di consapevolezza limitata, che ci abbruttisce come bestie. Come pecore...

      La libertà va vissuta come intensa e profonda aspirazione...

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    3. Non conoscevo Schmitt (come non conosco tante altre cose che ho cominciato a scoprire frequentando questo bellissimo blog e di cui non ringraziero' mai abbastanza il Professore ed gli altri commentatori).

      Mi pare di capire che sia lo stesso Schmitt citato nel commento al post precedente "Quando l'Occidente avrà compreso Russia, Iran, Corea del Nord, Siria e Cina... bè, anche degli USA non ci sarà più bisogno. Tutto sarà Occidente per la gioa del Grande Oriente. E, come sapevano i Founding Fathers, l'umanità si schiavizzerà in un'impersonale tirannia a cui non parteciperanno neanche le stesse élite con la loro infantile vocazione mondialista."

      In effetti siamo stati ad un passo dalla realizzazione di questo incubo nei primi anni novanta (caduta dell'URSS, mondo quasi monopolare).

      Oggi il mondo sembra pero' molto piu' multipolare di allora.

      Probabilmente l'evento che ha piu' influenzato questo risultato e' stata la vittoria assolutamente imprevista di Mao (che Stalin chiamava il comunista di margarina, cioe' un surrogato) nel Grande Oriente.

      A Teheran e Yalta fu infatti stabilito (col consenso quindi di Stalin) che la Cina dovesse ricadere nell'area di influenza USA (che infatti fornirono fino alla capitolazione ingenti carichi di armi e materiali alle truppe nazionaliste) e che le truppe comuniste non potessero varcare il 38° parallelo (quello che anche nell'unione demarcava il confine stati schiavisti- stati non schiavisti, che oggi divide in due la Corea e che da noi passa per Reggio Calabria).

      Se non ci fosse stata la Cina quando cadde l'URSS forse il sogno di Bergoglio e Schmitt (incubo per noi) si sarebbe gia' realizzato.

      Peraltro un mondo multipolare di imperi ordoliberisti come quello attuale dovrebbe risultare piu' stabile proprio perche' nella cieca competizione delle loro elite ESSI finiranno comunque per limitarsi l'un l'altro.

      Salvo conflitto termonucleare.

      Dico questo perche' il recente accordo di collaborazione spaziale tra Cina e Federazione Russa non credo che abbia come scopo quello di ritornare tra qualche anno sulla Luna (oppure di andare insieme su Marte nel 2030), quanto piuttosto di militarizzare lo spazio.

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    4. Rimarrebbe l'opzione scismatica....

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    5. @Luca Cellai

      Carl Schmitt è uno dei massimi giuristi del XX secolo: "maestro" dello stesso Costantino Mortati. Ovviamente a livello tecnico/teorico.

      Ha una produzione strabordante tanto a livello scientifico quanto come "fenomenologo" ed "hegeliano" (quando gli fa comodo) e "decostruttivista" nell'ermeneutica (nella migliore tradizione reazionaria, ma colto, ideologicamente antiliberale, e ovviamente contrapposto al dominio anglosassone ed esotericamente "antisemita": insomma, piuttosto ben integrato durante il periodo nazista).

      Da buon "fenomenologo", occupandosi di "ermeneutica", scherniva chi non capisse cosa significasse essere "liberali" in politica (categoria fondamentale usata dal classismo e dall'imperialismo anglosassone, da cui si intuisce nascere il "politicamente corretto" della sinistra moderna, modernista e reazionaria, che comprende l'emiciclo sorosiano che va dai piddini ai Wu Ming).

      Se la "libertà" del capitalismo liberale non si sa dove inizi né dove finisca, così anche la categoria di Occidente non si sa dove inizi né dove finisca (da quale meridiano inizia a quale finisce?): liberalismo ed Occidente sono categorie che con il dominio USA vanno a coincidere e sono le fondamenta della dottrina Monroe.

      Se abbiamo ben chiaro che a livello strutturale liberalismo e nazifascismo sono fratelli gemelli, differenziati solo da sovrastrutture, ideologie, ed escatologie date dalle differenze geopolitiche, si comprende la relazione moderna tra dottrina Monroe e cosmopolitismo borghese.

      Poiché qui Marx è stato letto e capito - dato il sovrabbondante materiale a supporto filologico - risulta immediato concludere che il fascismo nasce dal cosmopolitismo borghese.

      Non è un caso che Soros rivendichi il suo zampino in Ucraina dove i neonazisti lavorano per la causa dell'FMI e sono sostenuti dal suddetto "emiciclo".

      Ovverosia, il cosmopolitismo borghese non è altro che imperialismo politicamente corretto.

      Lelio Basso spiega bene ai compagni di lotta come il patriottismo che nasce dalla coscienza nazionale sia funzionale alla coscienza di classe, mentre il patriottismo del nazionalismo borghese sia naturale sovrastruttura dell'imperialismo, paludata dalla retorica irenica del cosmopolitismo.

      Insomma, Marx, con l'internazionalismo proletario, si poneva in antitesi dialettica all'internazionalismo della scuola di Cobden che proponeva l'abbattimento delle frontiere per il "libero commercio" e la "libera circolazione dei migranti". In pratica il cosmopolitismo borghese è sovrastruttura dei rapporti di produzione liberisti ed imperialisti.

      Per questo Engels, come ribadito da Gramsci o da Basso, nella prefazione del Manifesto nell'edizione italiana, ricorda l'importanza degli Stati nazionali per la causa democratica e socialista.

      La sinistra che nasce dalla sconfitta della classe lavoratrice nel Sessantotto - ovvero con la grande controrivoluzione neoliberale - è diretta espressione della teocrazia liberale e storicamente antioperaia.

      Chi straparla oggi di antifascismo in assenza di fascismo, e di nazionalismo in assenza di socialismo, predica pure i diritti civili scordandosi come si tutelano i diritti sociali - come la lotta contro l'immigrazione: sono la nuova forma con cui il "ventennio" si è ripresentato. Come funziona? Si crea una finta dialettica su temi moralistici - complexio oppositorum - tra liberali di destra e liberali di sinistra. Siamo in pieno totalitarismo, con l'aggravante per cui non è localizzato ma è sovranazionale e globalizzato. A tutto gas verso la tirannia della mondializzazione.

      Insomma, per chiudere il cerchio con il cattolicesimo romano, il politicamente corretto di tutta la sinistra è oppio per i popoli. Che crepino malthusianamente. That's it.



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  3. L’istituzione vaticana è parte del problema, non della soluzione:

    Il Vaticano è senza dubbio la piú vasta e potente organizzazione privata che sia mai esistita. Ha, per certi aspetti, il carattere di uno Stato, ed è riconosciuto come tale da un certo numero di governi… esso rimane tuttora una delle forze politiche piú efficienti della storia moderna. La base organizzativa del Vaticano è in Italia: qui risiedono gli organi dirigenti delle organizzazioni cattoliche, la cui complessa rete abbraccia una gran parte del globo. In Italia l'apparato ecclesiastico del Vaticano si compone di circa 200.000 persone; cifra imponente, soprattutto quando si consideri che essa comprende migliaia e migliaia di persone dotate di intelligenza, cultura, abilità consumata nell'arte dell'intrigo e nella preparazione e condotta metodica e silenziosa dei disegni politici. Molti di questi uomini incarnano le piú vecchie tradizioni d'organizzazione delle masse e, di conseguenza, LA PIÚ GRANDE FORZA REAZIONARIA ESISTENTE IN ITALIA, forza tanto piú temibile in quanto insidiosa e inafferrabile.

    Il fascismo prima di tentare il suo colpo di Stato dovette trovare un accordo con essa. Si dice che il Vaticano, benché molto interessato all'avvento del fascismo al potere, abbia fatto pagare molto caro l'appoggio al fascismo. Il salvataggio del Banco di Roma, dove erano depositati tutti i fondi ecclesiastici, è costato, a quel che si dice, piú di un miliardo di lire al popolo italiano. IL VATICANO È UN NEMICO INTERNAZIONALE DEL PROLETARIATO RIVOLUZIONARIO...
    ” [A. GRAMSCI, Il Vaticano, La correspondance internationale, 12 marzo 1924].

    Non potrebbe che essere così, essendovi netta cesura tra teoria e prassi, quest’ultima utilizzata solo per difendere i propri privilegi:

    … la Chiesa non vuole compromettersi nella vita pratica economica e non si impegna a fondo, né per attuare i principi sociali che afferma e che non sono attuati, né per difendere, mantenere o restaurare quelle situazioni in cui una parte di quei principi era già attuata e che sono state distrutte. Per comprendere bene la posizione della Chiesa nella società moderna, occorre comprendere che ESSA È DISPOSTA A LOTTARE SOLO PER DIFENDERE LE SUE PARTICOLARI LIBERTÀ CORPORATIVE…cioè i privilegi che proclama legati alla propria essenza divina: per questa difesa la Chiesa non esclude nessun mezzo, né l’insurrezione armata, né l’attentato individuale, NÉ L’APPELLO ALL’INVASIONE STRANIERA. Tutto il resto è trascurabile relativamente, a meno che non sia legato alle condizioni esistenziali proprie.

    Per “dispotismo” la Chiesa intende l’intervento dell’autorità statale laica nel limitare o sopprimere i suoi privilegi, non molto di più: essa riconosce qualsiasi potestà di fatto, e pur-ché non tocchi i suoi privilegi, la legittima; se poi accresce i privilegi, la esalta e la proclama provvidenziale. Date queste premesse, IL “PENSIERO SOCIALE” CATTOLICO HA UN PURO VALORE ACCADEMICO: occorre studiarlo e analizzarlo in quanto elemento ideologico oppiaceo, tendente a MANTENERE DETERMINATI STATI D’ANIMO DI ASPETTAZIONE PASSIVA DI TIPO RELIGIOSO, MA NON COME ELEMENTO DI VITA POLITICA E STORICA DIRETTAMENTE ATTIVO. Esso è certamente un elemento politico e storico, ma di un carattere assolutamente particolare: è un elemento di riserva, non di prima linea… I cattolici sono molto furbi, ma mi pare che in questo caso siano troppo furbi…
    ” [A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino, 1975, Quaderno 5 (IX) – 1930 - 1932: - § <7>. Sul “pensiero sociale” dei cattolici]. (segue)

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  4. E’ moralismo teologico quietistico (lo stesso di Luigino), e quindi funzionale alle élites contro le masse:

    In un libretto su Ouvriers et Patrons (memoria premiata nel 1906 dall’Accademia di Scienze morali e politiche di Parigi) è riferita la risposta data da un operaio cattolico francese all’autore dell’obbiezione mossagli che, secondo le parole di Gesù riportate da un Evangelo, ci devono essere sempre ricchi e pove-ri: “ebbene, lasceremo almeno due poveri perché Gesù non abbia ad aver torto”. La risposta è epigram-matica, ma degna dell’obbiezione. Da quando la quistione ha assunto un’importanza storica per la Chiesa, cioè da quando la Chiesa ha dovuto porsi il problema di arginare la così detta “apostasia” delle masse, creando un sindacalismo cattolico …, le opinioni più diffuse sulla quistione della “povertà” che risultano dalle encicliche e da altri documenti autorizzati, possono riassumersi in questi punti:

    1) La proprietà privata, specialmente quella fondiaria, è un “diritto naturale” che non si può violare neanche con forti imposte (da questo principio sono derivati i programmi politici delle tendenze de-mocratico-cristiane per la distribuzione delle terre con indennità, ai contadini poveri, e le loro dottrine finanziarie); 2) I poveri devono contentarsi della loro sorte, poiché le distinzioni di classe e la distribuzione della ricchezza sono disposizioni di dio e sarebbe empio cercare di eliminarle; 3) L’elemosina è un dovere cristiano e implica l’esistenza della povertà; 4) LA QUISTIONE SOCIALE È ANZITUTTO MORALE E RELIGIOSA, NON ECONOMICA e dev’essere risolta CON LA CARITÀ CRISTIANA E CON I DETTAMI DELLA MORALITÀ E IL GIUDIZIO DELLA RELIGIONE
    ” [A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., Quaderno 20 (XXV) – 1934 - 1935: Azione cattolica – cattolici integrali – gesuiti – modernisti § <3>. Sulla povertà, il cattolicismo e la gerarchia ecclesiastica].

    Su questi presupposti, come sottolineato da Bazaar, nessuna Aufhebung è possibile. Il cattolicesimo, in quanto reazionario e di fatto indifferente, è solo un altro “peso morto della storia”. I vescovi africani, dal documento linkato, di certo sono più presentabili di quelli ordoliberisti, almeno quanto all’analisi del fenomeno migratorio che denunciano. Ma rimangono cattolici, per definizione apragmatici. Quindi, non so ancora se cristiani.

    Infatti, se come ricordato ancora da Bazaar, Marx fa emergere nel Capitale che “l'unica religione utile è il cristianesimo”, ci sarà un motivo. Io l’ho ritrovato (a ulteriore conferma) in una recensione che Lelio Basso fece nel 1972 ad un libro dal titolo “Dai sotterranei della storia” di Carlos Alberto Libanio Christo (frate Betto), la raccolta di lettere scritta da un padre domenicano rinchiuso in un carcere brasiliano durante la dittatura militare. La recensione è lunga e perciò ne riporto solo alcuni brani: (segue)

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  5. … io non posso che limitarmi ad esporre alcune osservazioni personali, a dire cioè quale impressione e quale insegnamento abbia potuto ricavare un marxista dalla lettura di questo libro e quali concordanze abbia trovato fra il suo modo di sentire e quello di un giovane religioso imprigionato nel Brasile per aver combattuto contro la dittatura militare e che in carcere riflette sulla sua breve ma ricca esperienza. Perché quello che sono andato cercando nel libro, e che è quello che ne costituisce il principale significato, non è una nuova denuncia delle torture e della barbarie della dittatura militare da aggiungere alle molte altre che ci giungono da ogni parte, ma è la testimonianza dell’impegno cristiano dell’autore nella sua lotta per una diversa condizione umana.

    Il primo punto di contatto l’ho trovato nell’insistenza con cui padre Betto avverte che la fede cristiana non può limitarsi ad aspettare l’al di là ma deve realizzarsi nella storia. “Dio non poteva restare metafisicamente sospeso al di sopra di noi. Era inevitabile che si immergesse nella storia, e che, rivelandosi, rivelasse l’uomo, e viceversa. Ogni dialogo suppone un incontro” (p. 32). “Credono in un Dio ‘lassù’ e non si rendono conto che Dio si può conoscere realmente solo in Gesù Cristo. Gesù Cristo è la presenza di Dio nella storia” (p. 43). Ma “che vuol dire Gesù quando afferma che non siamo del mondo, o quando Paolo dice che non ci dobbiamo adattare al mondo? Per me vogliono esprimere l’anticonformismo di fronte al secolo, cioè al qui e ora della storia, e non di fronte al mondo in quanto terra” (p. 44). Non so se questa interpretazione sia esatta dal punto di vista testuale, ma esprime comunque chiaramente il pensiero dell’autore. E ancora: “Ognuno partecipa a modo suo (secondo i talenti che ha ricevuto) alla edificazione e alla ricerca di questo Regno. Esso non sarà edificato fuori della storia, quindi la nostra marcia verso il Regno deve realizzarsi entro la storia” (p. 49). “Dalla Bibbia conosco che il Signore non soltanto è inserito nella storia degli uomini, ma che Egli si rivela attraverso questa storia. Apro il giornale per leggere i disegni di Dio”.

    Ecco dunque un primo punto di contatto fra il nostro marxismo e questo e cristianesimo: la dimensione storica dei problemi che dobbiamo affrontare, la dimensione storica entro cui collocare la realtà. Ma sul piano della storia i cristiani s’incontrano con altri uomini che cristiani non sono, operano insieme con essi per finalità comuni che sono finalità storiche. D’altra parte sto scoprendo qui in prigione dei giovani che, pur non avendo fede, vivono in un autentico stato di santità. Sono puri, sinceri, interamente consacrati al prossimo. Sono sempre pronti ad aiutarci, lavorano per la comunità, senza misurare la fatica” (p. 9). “Ci lascia stupefatti e ammirati, per esempio, la testimonianza di un giovane ateo, che è qui con noi e accetta il martirio in nome non di una fede ma di una speranza” (p. 37). “Mi piacerebbe che certi teologi e certi vescovi passassero almeno un mese in carcere, per scoprire una realtà di cui non si parla e che poco si vive: la grazia non è proprietà esclusiva dei cristiani, ma un dono di Dio a qualunque uomo” (p. 38).

    Ecco, quando s’è ritrovata l’autentica dimensione umana e storica, cancellate di colpo tante distinzioni: non solo fra preti e laici, ma fra cristiani e non cristiani, come Paolo l’aveva cancellata fra ebrei e gentili. Quando si lotta insieme per un superiore ideale di fratellanza e di liberazione umana, quando insieme si affrontano sacrifici e martirio, quando si supera il proprio limitato egoismo per servire questa causa, è inutile ricercare se la spinta ad agire viene da una fede religiosa o da un ideale socialista
    (segue)

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  6. Quel che conta è che insieme si realizzi quest’opera di liberazione, che il cristiano può vedere come il disegno di Dio nella storia, mentre il non credente vi vede soltanto la realizzazione di una superiore coscienza di classe. Il cristiano impegnato in questa battaglia si sentirà più vicino ai suoi compagni di lotta e di sacrificio, anche se atei, piuttosto che a “certi vescovi e teologi”, o addirittura alla chiesa di Roma…

    Questo contrasto, tra il dovere della Chiesa di prendere posizione nel mondo e la sua reticenza, è messo in rilievo con dolorosa ironia, in occasione della visita di Paolo VI in Sardegna. “A Santo Elia, il quartiere più povero di Cagliari, il papa ha camminato per le straduzze e si è fermato a parlare con gli abitanti. È entrato in casa di una famiglia molto povera e ha parlato con la signora Graziella Murcia, che giaceva inferma nel letto. Le uniche parole che essa è riuscita a pronunciare nonostante la forte emozione che la investiva, sono state: ‘Santità, trovi un impiego per mio marito’ Il giornale non dice se il papa ha risposto affermativamente. Dice solo che ha esortato la signora Murcia ad avere fiducia in Dio e l’ha benedetta. Al marito, il signor Silvio, il papa ha regalato una medaglia commemorativa della sua visita, e alla figlia una scatola di caramelle”. (p. 59) [...] Se un fratello o una sorella si trovassero nudi e mancanti del cibo quotidiano, e uno di voi dicesse loro: ‘Andate in pace, riscaldatevi’, ma non desse loro il necessario per il corpo, a che servirebbe ? (Giacomo II, 14-16)” [...] “D’altra parte il papa chiede ai ricchi che abbiano comprensione dei poveri. Il suo appello, secondo me, rivela una mancanza di prospettive caratteristica di molti cristiani Egli non invita i poveri a lottare per i loro diritti (il che sarebbe più coerente con la visione dell’uomo soggetto della storia). Neppure percepisce la dimensione globale del problema, cioè che questa situazione non dipende dalla buona o dalla cattiva volontà dei ricchi, ma è frutto di una complessa struttura sociale, di tutto un sistema fortemente stabilito, con le sue leggi proprie, che determina il gioco degli oppressori e degli oppressi” (p. 61). È quindi necessario liberare la Parola di Dio da questo permanente compromesso con i potenti

    “Ma per far questo bisogna “togliere la ruggine dalla teologia, la cui regola fondamentale, fin dal Medioevo, è stata ed è l’immobilismo [...] Di fronte alle ondate innovatrici del Rinascimento abbiamo fatto marcia indietro... Di fronte alla rivoluzione industriale abbiamo lanciato anatemi. Di fronte al progresso scientifico ci siamo dichiarati diffidenti [...] È l’ora di fare come fece San Tommaso (che ebbe il coraggio di prendere le mosse dalla filosofia di Aristotele) e affrontare seriamente gli interrogativi e il contributo che il marxismo può dare alla teologia” (p. 39)…

    la storia della Chiesa-istituzione che, nata per servire ai bisogni della fede, non solo diventa fine a se stessa, ma finisce per far servire la fede ai bisogni dell’organizzazione ecclesiale e quindi per svuotare e sacrificare la fede. Sono secoli che dura questa situazione e fino a pochi anni fa erano solo poche voci isolate e inascoltate che la denunciavano. È la domanda che pongono i compagni di prigionia di padre Betto. “Per noi la prigione è veramente una esperienza teologica. Solo vivendola, ci si può fare un’idea della ricchezza che ci offre [...] Molti prigionieri hanno letto i libri che ci avete mandato. Ma ci hanno chiesto: ‘Perché solo ora la Chiesa ci mostra le cose da questo punto di vista?’” (p. 31). La risposta è semplice: perché il rinnovamento non poteva venire dai vertici, dall’organizzazione gerarchica, la cui logica è la logica del potere, della sottomissione della fede, dell’alleanza con il sistema dominante, ma poteva venire solo dal basso, dalla partecipazione responsabile dei credenti, e solo ora viviamo un tempo in cui intiere masse di uomini accedono alla coscienza della loro responsabilità...”
    (segue)

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  7. Questo processo di responsabilizzazione dal basso, che ha investito non solo il mondo cattolico ma tutti gli uomini della nostra epoca, e in cui si inseriscono i movimenti di emancipazione dei lavoratori, dei popoli coloniali, della donna e insieme le forme moderne di contestazione, questa lotta generale per l’emancipazione e contro l’alienazione religiosa, politica, sociale, ha assunto solo in questo dopoguerra un così alto grado di tensione da far saltare antichi e collaudati sistemi di oppressione e di potere. È il grande fatto dell’epoca contemporanea, è il grande problema dalla cui soluzione - positiva o negativa - possono dipendere le sorti dell’umanità per un’intiera epoca storica.

    Mentre da un lato il potere si accentra sempre più e sempre più si allontana dalla massa dei cittadini, sempre più si fa misterioso e inaccessibile come il castello kafkiano, e affina le sue armi con meccanismi sempre più micidiali capaci di distruggere il corpo (la guerra del Vietnam, le torture, i campi di sterminio, ecc.), e lo spirito (i mass media, la pubblicità, il consumismo, ecc.), dall’altro lato più potente si sprigiona la ribellione degli uomini che vedono minacciata e distrutta la loro personalità, rotti i loro legami con gli altri uomini e con la società, e sono gettati nell’isolamento più disperato e ridotti a semplici pezzi di ricambio di un meccanismo universale, di cui non afferrano il senso, non capiscono la logica, non prevedono le decisioni. Tutto il mondo è oggi il teatro di questo conflitto kafkiano, in cui ciascuno di noi può essere ridotto a un qualsiasi K, imprigionato, processato e giustiziato, fisicamente e moralmente, da una logica implacabile che non conosce e da cui non si può difendere. È la contraddizione fondamentale del capitalismo che ci ha portato oggi a questa situazione, la cui soluzione può essere, come scriveva Rosa Luxemburg nel corso della prima guerra mondiale, “socialismo o barbarie”.

    Contro questa situazione che nega la dignità dell’uomo e avvilisce l’umanità, e quindi offende anche l’umanità di Gesù, il cristiano non può non ribellarsi. “E allora dobbiamo dire ai nostri compagni che saremo sempre dei ‘sovversivi’, finché ci sarà un uomo oppresso. Il nostro impegno non è con questa o quella forma di governo, o ideologia, o organizzazione del lavoro. Il nostro impegno è con l’uomo, la cui dignità conosciamo nella stessa misura in cui è negata” (p. 32),

    In questa scoperta del sistema che uccide la dignità dell’uomo e della necessità per il cristiano di insorgere in sua difesa, il cristiano riscopre la sua natura di essere sociale, non di semplice individuo. “Credo che uno dei momenti più importanti della mia esistenza sia stato quando mi accorsi che essa ha una dimensione sociale. Solo allora cominciai a realizzare la sua dimensione personale. Fino a quel momento avevo vissuto nell’illusione della legge della foresta, dove predomina la competizione e non la cooperazione. Lasciai l’una per l’altra” (p. 203).
    (segue)

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  8. È questo il ritrovato equilibrio fra il momento individuale e il momento sociale che lo sviluppo capitalistico ha rotto, ma senza il quale la personalità umana è distrutta. Ma l’uomo essere sociale, l’uomo legato a rapporti con gli altri uomini, l’uomo che partecipa alla vita collettiva, è anche l’uomo che si proietta nel futuro attraverso le nuove generazioni, già fisicamente presenti non solo nei propri figli, ma nei figli degli altri, nei bimbi di tutto il mondo che saran chiamati a vivere nella situazione che gli avremo preparato, e di cui siamo responsabili. “Esiste in me un senso di giustizia che non mi permette di accettare tutto questo come un fenomeno normale, giusto, vero. Mi guardo attorno, guardo il piccolo Flavio e mi vergogno di non potergli offrire una cosa migliore. La ragion d’essere della nostra lotta e del nostro sacrificio la trovo nel piccolo Flavio, nei bambini dei nostri compagni di prigione, nell’infanzia del mio paese che dovrà imparare a scuola che costituiamo una nazione libera solo perché un monarca portoghese lanciò il grido dell’indipendenza ai margini di un piccolo fiume” (p. 19)…

    Così, il cristiano e il comunista s’incontrano. E il domenicano, rinchiuso nelle carceri dei militari brasiliani, conquista rapidamente la sua coscienza di classe. “L’uomo che ha il coraggio di una rottura con la morale farisaica, per mezzo della predicazione e della vita, contesta l’ordine stabilito ed è condannato alla croce ‘perché solleva il popolo’” (p. 43). “Ecco perché il cristianesimo è la religione dei poveri, del proletariato che nella sua situazione di classe sfruttata è sempre la negazione dell’ordine stabilito. Il borghese può capire il cristianesimo solo come morale individualista perché gli interessa mantenere lo status quo (che egli, fra l’altro, chiama cristiano), come se il cristianesimo costituisse una forza di resistenza alla dinamica della storia. Il povero invece, per la struttura della sua mentalità, è il più idoneo a ricevere e vivere il Vangelo, perché nulla lo nega al ‘qui, adesso’. Egli è pieno di speranza, di attesa, di volontà, di sacrificio, servizio e amore, proprio a causa della sua libertà interiore. Dobbiamo però presentargli un cristianesimo che sia ‘prassi’ e non corpo di dottrine e di abitudini liturgiche” (pp. 44-45).

    Ecco, come attraverso il cristianesimo siamo arrivati alla filosofia della prassi. E difatti in una lettera di pochi giorni dopo il concetto è ripreso e sviluppato proprio riprendendo i concetti di Marx, che è direttamente chiamato in causa, sia pure sotto la designazione di “un filosofo tedesco”. “In una delle mie ultime lettere ho accennato al problema della ‘prassi’ cristiana. Cercherò di sbozzare alcune riflessioni su questo argomento. La filosofia contemporanea cerca di insegnarci che l’uomo si definisce essenzialmente come un essere pratico, cioè come qualcuno che trasforma la realtà con il lavoro e con l’azione. La storia dell’uomo è la storia di una prassi. E quando parliamo di un uomo, parliamo della sua attività e della sua opera, che lo definisce e lo realizza.

    Tutta la storia è il prodotto dell’attività pratica dell’uomo. L’uomo non esiste al margine della storia, della prassi, non esiste la storia come potenza sovrumana e autonoma. L’uomo e la storia sono inseparabili: infatti conosciamo la rivelazione di Dio soltanto attraverso la storia, attraverso ciò che Egli ci comunica di sé. Diceva un filosofo tedesco che la storia non fa nulla, che essa è l’attività degli uomini che inseguono i loro obiettivi. Gli uomini trasformano e si trasformano e la storia di queste trasformazioni è la vera storia” (p. 55).
    (segue)

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  9. Questa interpretazione marxista della storia aiuta il giovane domenicano a comprendere il ruolo della Chiesa, anche nelle sue opere assistenziali. “LA SOLUZIONE AL DRAMMA DELLE POPOLAZIONI POVERE VERRÀ SOLO DALLA MODIFICAZIONE DI QUESTA STRUTTURA E DI QUESTI RAPPORTI DI PRODUZIONE. La Chiesa mantiene una infinità di opere assistenziali [...] Tutte sono state obbligate a entrare nel gioco capitalista, non per interesse economico, ma per questioni di sopravvivenza. Nella misura in cui rifiuteranno le regole di questo gioco, andranno in fallimento. E nella misura in cui queste opere leniranno le sofferenze di alcuni poveri, staranno collaborando alla recrudescenza della povertà. È un circolo vizioso che si rompe solo alla radice, cioè alterando i rapporti di produzione che esistono nella società. Quando arriveremo a capire questo? A intendere che questa proposizione non è né tendenziosa né faziosa, ma aderente alla realtà?” (p. 62).

    In quest’azione il cristiano sta per il rinnovamento della chiesa e per la liberazione degli uomini, perché non ci può essere rinnovamento della chiesa senza la liberazione degli uomini. La chiesa può essere rinnovata solo ristabilendo la libertà, la dignità, la responsabilità degli uomini, ridando volto umano al pezzo di ricambio della società capitalistica

    “Lievito e non stampo”: è lo stesso problema che anch’io ho agitato molte volte nel mondo socialista e comunista a proposito della nostra dottrina e del nostro socialismo. Non ci sono modelli che possano servire da stampo per l’umanità. Solo se le masse si mettono in movimento, prendendo coscienza della realtà in cui vivono, possono costruire con la loro azione pratica il socialismo. E di questo movimento, di questo “movimento reale” il marxismo è l’elemento animatore, di queste masse e della loro presa di coscienza dev’essere lievito e fermento.
    Viviamo nella storia, e la storia è cammino, è movimento. Anche la chiesa per rinnovarsi deve camminare…e deve camminare col mondo. Marxisti e cristiani, movimento operaio e popolo di dio possono compiere insieme questo cammino: insieme libereranno l’umanità da ogni oppressione, e insieme realizzeranno quello che per i credenti può essere il regno di Dio, anche se noi, atei, lo chiamiamo altrimenti
    ” [L. BASSO, Cristianesimo e marxismo, in Problemi del socialismo, gennaio-aprile 1972, n. 7/8, 209-216].

    E per i non credenti e non marxisti, la liberazione si chiama Costituzione repubblicana.

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    1. E peraltro Basso potè assistere solo alla fase iniziale, di cui intuì la portata, di un mondo in cui non ci fosse più alcun marxismo che potesse incontrarsi con le masse convergenti di un "popolo di Dio" ridesto alla "prassi" suggerita dall'autentica predicazione di Gesù.

      Un mondo in cui la sintesi tra queste due forze è l'ordoliberismo dei mercati imperanti (come già al tempo dell'analisi di Gramsci) e la Costituzione repubblicana solo un ingombrante orpello, incomprensibile ai più, da rimuovere con cinismo...e nell'indifferenza

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    2. Gia', il Principe senza scettro e gli scritti successivi ne sono l'amara testimonianza e il coerente svolgimento del nucleo centrale contenuto in Ciclo totalitario del '49: qui Basso aveva gia' inteso lucidamente che brutta aria tirava.

      La Cost. e' un orpello perche' impone quella trasformazione sociale piu' volte menzionata dai Costituenti. E' dialettica per eccellenza (anche l'analisi puramente grammaticale dei predicati nel testo lo dimostra). Vuole mettersi a confronti con l'immobilismo della terminologia ordoliberista della" stabilita' dei prezzi"?

      Il conservatorismo reazionario ed a-dialettico ordoliberista e' direttamente proporzionale a quello cattolico, che ne costituisce la giustificazione ideologica al livello piu' alto, cioe' morale.

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  10. Con il dovuto rispetto tentare di utilizzare categorie di secoli fa per spiegare cio' che succede oggi e' insufficiente sopratutto se abbiamo l'Italia ad esempio.
    Il reale e' razionale solo dopo che e' avvenuto , prima sono solo ipotesi.
    Cio' che accade in italia (ho gia' introdotto in un commento questo concetto , evidentemente mi sono spiegato male) e' diverso da cio' che succede in altri paesi di fronte alla "migrazione non legale" .
    Per le seguenti ragioni:
    -la migrazione danneggia l'economia dei piu' (in Italia)
    -la migrazione non e' eticamente compatibile in quanto non selezionata
    Faccio l'esempio della Repubblica dominicana che , dopo il fallimento del "socialista" Chavez-Maduro si e' riempita di Venezuelani sia poveri sia borghesi: , molte piu' auto e piu' soldi in circolazione .
    L'immigrazione illegale da Haiti si traduce nello sferuttamenteo di personale per attivita' marginali , secondarie e di fatica "in nero" .
    Il risultato e' un utilizzo degli immigrati illegali a favore della collettivita' , la gente si lamenta ma non rinuncia al portinaio haitiano o all'inquilino venezuelano.

    In Italia invece il circuito di accoglienza e la politica della accoglienza cosi' come fatta sottrae al circuito dello "sfruttamento" questi immigrati creando un doppio danno economico .


    Qui (Italia) c'e' qualcosa di sbagliato di fondo , diverso da cio' che capita altrove .

    Pertanto i fenomeni non possono essere messi assieme: le migrazioni economiche ci sono dovunque e funziona cosi':
    -tu vieni da me e se ti trovo a bighellonare ti rimando a casa tua
    -se lavori come schiavo faccio finta di nulla
    Ovviamente appena si sa che la condizione e' questa l'equilibrio entrati / usciti si stabilizza in quelli necessari ad essere sfruttati nel paese .
    Non affermo che sia giusto , cosi' funziona .

    Negli USA la dicotomia fra le citta' santuario ed le compagne mi sembra evidente e si basa sullo stesso concetto , ma anche li' la prevalente immigrazione e' eticamente compatibile .




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  11. Senza orizzonte48 probabilmente non avrei mai conosciuto Lelio Basso. Mai sentito citare da una trentina di docenti o assistenti in un intero corso di laurea. Tra le letture della mie proasime ferie ci sará senz'altro "Il principe senza scettro". Così come pur sapendo di marxismo non avrei mai riflettuto (nonostante avessi letto l''Autodecisione delle Nazioni' di LeninEd.riuniti) sulla questione 'immigrazione' nel modo in cui la documentazione offerta da Arturo (Engels, I internazionale...) mi ha permesso di fare. Per non parlare delle 'chicche' tipo il documento 'intelligence' o il messaggio dei vescovi africani in questo post...

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