lunedì 12 marzo 2018

QUARANTA (E PIU') ANNI DI RIVINCITA SULLA DEMOCRAZIA (SOSTANZIALE): IL VOTO...A PERDERE



Pensioni: una bomba sociale pronta a esplodere

Reforms introduced by the 1990s in labor market and pension system (whose budget is significantly active) threaten social cohesion and growth. The increased part of workers currently penalized by modest and discontinuous wages will also have decreasing pensions compared to per capita GDP. Figurative contributions for verified unemployed could avoid a medium term coming social blow up.

Come capirete, l'immagine e l'articolo citato riassumono fenomenologicamente il post...

1. Alla luce dei vistosi risultati elettorali, proviamo a fornire alcuni elementi di non secondaria importanza per poter meglio rispondere alla seguente domanda:
fino a quando dovrebbe andare a ritroso un ripensamento critico adeguato, cioè aderente ai fatti, alle idee e agli effetti, che volesse ricostruire la sinistra?
Francesco, nei commenti al precedente post, ha rammentato un'interessante "svolta" del PCI di Berlinguer, riportando i diretti contenuti della relativa enunciazione e proclamazione.
In simultanea, l'amico , su twitter, ci ha fornito un'interessante fonte documentale (traendola dal suo "archivio" wikileaks), che di tale "svolta" risulta essere l'antecedente storico:


2. Dunque, a dicembre 1977, l'ambasciatore Gardner "saggia" (evidentemente sta riferendo al "centro" della sua conversazione con La Malfa), le conseguenze operative di quel che Berlinguer aveva già lanciato come segnale nel maggio dello stesso anno (siamo in pieno compromesso storico, entro il governo Andreotti III), così come riportato nel citato commento di Francesco
…abbandonare l’illusione che sia possibile perpetuare un tipo di sviluppo fondato su quella artificiosa espansione dei consumi individuali che è fonte di sprechi, di PARASSITISMI, di privilegi, di dissipazione delle risorse, di dissesto finanziario.
Ecco perché una politica di austerità, di rigore, di guerra allo spreco è divenuta una necessità irrecusabile da parte di tutti ed è, al tempo stesso, la leva su cui premere per far avanzare la battaglia per trasformare la società nelle sue strutture e nelle sue idee di base
Una politica di austerità …deve avere come scopo – ed è per questo che essa può, deve essere FATTA PROPRIA DAL MOVIMENTO OPERAIO – quello di instaurare giustizia, efficienza e, aggiungo, una moralità nuova.
Concepita in questo modo, una politica di austerità, anche se comporta (e di necessità, per la sua stessa natura) certe rinunce e certi sacrifici, acquista al tempo stesso significato rinnovatore e diviene, in effetti, un atto liberatorio per grandi masse, soggette a vecchie sudditanze e a intollerabili emarginazioni, crea nuove solidarietà, e potendo così ricevere consensi crescenti diventa un ampio moto democratico, al servizio di un’opera di trasformazione sociale.

[In nota] In quegli anni ebbe notevole successo il cosiddetto “Club di Romasostenitore della crescita zero. Fu fondato nell’aprile del 1968 dall’imprenditore italiano Aurelio Pecci e dallo scenziato scozzese Alexander King, insieme a Premi Nobel, leader politici e intellettuali. Il nome del gruppo nasce dal fatto che la prima riunione si svolse a Roma, presso la sede dell’Accademia dei Lincei alla Villa Farnesina. Conquistò l’attenzione dell’opinione pubblica con il suo Rapporto sui limiti dello sviluppo, meglio noto come Rapporto Meadows, pubblicato nel 1972, il quale prediceva che la crescita economica non potesse continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse naturali
” [Discorso di Enrico Berlinguer pronunciato all’Eliseo di Roma il 15 maggio 1977, ora in "Più Stato per tornare a crescere", S.C. BENVENUTI, Castelvecchi, 2017, 16-17].

In tale intervista del 1976, viene abbracciata, con toni enfatici, prima ancora che la "moralità nuova" e "liberatoria" (per le masse) dell'insostenibilità di una continua crescita "consumistica", l'idea einaudiana (qui: addendum) dell'inflazione come la più iniqua delle imposte; per la verità, a sua volta, questa idea, lo stesso Einaudi l'aveva traslata dalla Conferenza di Bruxelles del 1920 (qui, p.7), quella sponsorizzata dall'allora presidente della Fed Benjamin Strong (che poi elogiò la particolare efficienza del fascismo nel realizzarne le indicazioni) per restaurare il gold standard e rimettere ordine nell'Europa degli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale (cioè assicurarsi essenzialmente la restituzione dei vari crediti statunitensi).

4. Da segnalare, d'altra parte, che la revanche della "lotta all'inflazione"...nell'interesse della classe lavoratrice, ma calata dall'alto della sfera dei banchieri (che se ne avvantaggiano realmente, come evidenziava Galbraith nello stesso periodo), aveva trovato una sua proclamazione globale nel fondamentale super Report della Trilateral (nata giusto due anni prima), datato 1975: cioè, tra l'altro, appena l'anno precedente alla nascita dell'italico "compromesso storico"...
Un Report che, non casualmente, preannunziava quella "crisi della democrazia" della quale vogliono tutt'ora convincerci.
E ci vogliono convincere in modo finale, proprio perché non abbiamo ancora del tutto (e spontaneamente) rinunziato al suffragio universale - e alle inefficienze allocative (del potere e della ricchezza) pretesamente imputate alla "numerazione" dei voti

5. L'inflazione e l'immorale consumismo dei "poveri", si possono risolvere quindi soltanto rinunciando anche alla minima traccia della stessa democrazia di cui veniva proclamata la "crisi" - sottointendendo, in realtà, la sua auspicata fine
E vale la pena di rammentare anche come il tema della lotta all'inflazione, assume immediatamente, in quella sede, una corrispondenza biunivoca con il problema della "governabilità"
In sintesi: ci si accorge che per imporre la "stabilità dei prezzi" e la connessa flessibilità salariale favorevole al lato dell'offerta, occorre un'opportuna cornice "moralistica", ora spaventando con l'inflazione, ora condannando il consumismo dei poveri e incentivando i loro "sacrifici" con la suggestione delle "risorse limitate", in modo da rendere inevitabile la rinuncia (spontanea) alla democrazia, intesa come forma di reale partecipazione del lavoro alle decisioni politiche di interesse generale: partecipazione pluriclasse alla formazione dell'indirizzo politico che viene, appunto assunta tou-court come "in-governabilità".

6. Ma anche allora, in quel 1975, la direttiva suprema "governabilità = deflazione" - o, il che è lo stesso, aggiornato alla successiva evoluzione €uropea, target di inflazione costante per mantenere in vita una moneta equivalente alla cornice gold standard...di Benjamin Strong - si impose non senza alcune perplessità, che taluno mostrò in un residuale omaggio alla logica elementare (che sarebbe poi stata travolta definitivamente dalla caduta del Muro di Berlino). 
Ne abbiamo già fatto cenno, sottolineando come, - se pure il Report Trilateral fu edito in Italia con la prefazione di Gianni Agnelli -, i temi in questione videro come primo alfiere Giuliano Amato (qui, addendum): 
"La governabilità: in Italia fu Amato, tanto per cambiare, ad annunciare che dopo il celebre rapporto della Trilaterale vi era stata "la scopertà della ingovernabilità come dramma epocale" (G. Amato, Una repubblica da riformare, Il Mulino, Bologna, 1980, pag. 26. Contiene saggi pubblicati fra il 1975 e il 1980).
In realtà bisogna leggerselo tutto il Rapporto: riserva sorprese. 
Per esempio a pag. 206, riferendo dei commenti durante la discussione del Rapporto a Montréal, si legge: Uno o due partecipanti suggerirono che l'intera discussione sulla governabilità avesse distorto i problemi reali e che fosse espressione della preoccupazione propria soltanto di un'elite, a disagio con il declino della propria posizione nella società! 
Questi sostennero che fattori quali un'inflazione crescente e la crescita della spesa pubblica in rapporto al GNP (PIL) (fattori visti da alcuni come cause od effetti dei problemi di governabilità) non avessero nulla a che fare con la governabilità e potessero, in effetti, aver prodotto in prevalenza benefici, inducendo una miglior distribuzione del reddito, attraverso il recupero del distacco (ndr: rispetto ai profitti) a favore dei salari e attraverso le erogazioni del  social welfare.”.

7. Ecco: ora, dopo oltre quaranta anni, siamo al punto che, cambiato qualcuno dei protagonisti, ma con molti pronti a raccoglierne la fiaccola, il lavoro deve essere finito. Tagli alla spesa pubblica, privatizzazione, misure dolorose, il peso dell'enoooorme debito pubblico, costituiscono ancora l'intreccio colpevolizzatore che legittima l'inutilità del vostro voto.
Una prospettiva terrificante?
Certo, ma solo se non siamo più in grado di riconoscere i termini del problema. Che pure Federico Caffè aveva indicato con precisione già nel 1978 (p.3)

8. Basterebbe che ognuno, OGGI, se ne ricordasse:
"Caffè (nel "fatidico" 1978), aveva contrastato l'idea dell'inflazione come la "più iniqua delle imposte" con un articolo il cui titolo oggi sarebbe più che mai attualissimo: "La vera emergenza non è il “populismo” ma una normalizzazione di tipo moderato". Vi riporto il passaggio fondamentale perché accosta la posizione di Berlinguer a quella di Hayek: e siamo nel 1978 (!):
"La riscoperta del mercato, che non è fenomeno esclusivamente italiano anche se nel nostro paese ha trovato conturbanti consensi perfino nelle forze politicamente progressiste, lascia sconcertati, in quanto appare immune da ogni ripensamento critico che sia frutto della imponente documentazione teorica ed empirica disponibile sui fallimenti del mercato: dalla sua incapacità di tutelare efficacemente il consumatore che dovrebbe esserne il sovrano, al suo assoggettamento alle forze che dovrebbero dipendere dalle sue indicazioni, al riconoscimento delle carenze che esso manifesta nella segnalazione di esigenze vitali,  ma non paganti, della collettività.
I propositi di programmazione, d’altro canto, non si discostano ancora oggi dall’antica riserva mentale, di stampo einaudiano, che esorcizzava, a suo tempo, lo stesso termine di piano, sfumandolo in quello più blando di schema, o svuotandolo di una connotazione specifica, in quanto “tutti fanno piani”.
Questo arretramento culturale si traduce, fatalmente, in una deformazione nell’attribuzione delle responsabilità di una situazione che si conviene definire meramente di emergenza.
Che di arretramento culturale si tratti non dipende meramente dal ritorno all’antico: il ricupero di idee del passato che siano state a torto trascurate o che non siano state adeguatamente comprese a tempo debito, risulta generalmente valido.
Ma allorché Hayek ha, del tutto recentemente, scritto che “la causa della disoccupazione risiede in una deviazione dai prezzi e dai salari di equilibrio che si stabilirebbero automaticamente, in presenza di un mercato libero e di una moneta stabile”, si è di fronte non a una fruttuosa rielaborazione di idee che abbiano radici lontane, ma all’ennesima attestazione dell’atteggiamento del ritorno retrivo di chi non ha saputo niente apprendere e niente dimenticare. 
L’informazione maggiormente in grado di influenzare l’opinione pubblica, i messaggi delle persone in posizione di potere e di responsabilità non differiscono da questa, in fondo patetica, incapacità di studiosi indubbiamente eminenti, come Hayek, di riconsiderare in modo nuovo antichi convincimenti".

In conclusione, ripropongo la domanda iniziale: fino a quando dovrebbe andare a ritroso un ripensamento critico adeguato, cioè aderente ai fatti, alle idee e agli effetti, che volesse ricostruire la sinistra

44 commenti:

  1. Secondo me occorre risalire alla rottura del fronte PCI/PSI negli anni cinquanta (favorito da entrambe le potenze egemoni USA e URSS).

    Consumata la rottura iniziale, la frammentazione del partito del lavoro continuò per altri 20 anni e per ESSI fu relativamente facile infiltrare i vari frammenti e manipolarli contro gli interessi dei lavoratori.

    Basta studiare cosa omette wikipedia nelle biografie dei protagonisti e si ha una specie di prova indiziaria delle ‘malefatte’.

    Prendiamo il caso Amato: possibile che su wikipedia non venga ricordata la sua (breve e sospetta) militanza nel Psiup di Basso?

    Dal libro “Io parlo, e continuerò a parlare” note e appunti sull’intervista a Bettino Craxi a cura di Andrea Spiri.

    “Amato è un genio elettronico di opportunismo. A differenza di altri della sua generazione che sono sempre rimasti più o meno al loro posto senza girovagare per i labirinti politici, Giuliano Amato se ne andò un bel giorno dal PSI per finire nel Psiup. Si trattava di un partito avventuroso che era nato per iniziativa del PCI e dell’URSS, e che era vissuto sino alla sua scomparsa con il denaro sovietico, secondo le carte ormai rese note.
    Naturalmente lui, come altri illustri professori di democrazia, di questo fastidioso particolare non ne sapeva nulla, neppure per sentito dire, come del resto in questa materia gli capitò sovente, anche dopo, di essere una specie di cieco, sordo e muto.
    Scomparso il Psiup, Amato tornò con altri nel PSI. Qui si mise in una specie di sinistra intellettuale, aspirante governativa ‘programmatica’, che aveva come leader Giolitti. Un piccolo gruppo in cerca di sistemazione che poi trovò magicamente.
    Dal giolittismo, dopo una lunga corrispondenza epistolare DAGLI USA con il nuovo segretario del PSI Bettino Craxi, il ‘giolittiano’ Amato passò senza far tanto rumore al ‘craxismo’ che risultava ormai vincente nel PSI." (continua)

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  2. "Nel nuovo clima del PSI di allora, libero e aperto ad ogni dibattito, Giuliano Amato preferiva varie FREQUENTAZIONI TECNOCRATICHE, il cui primo scopo sembrava innanzitutto essere quello di METTERE IN SOFFITTA CIO’ CHE RESTAVA DELLE TEORIE SOCIALISTE.
    Craxi tuttavia ne apprezzava in particolare modo la capacità di lavoro che era notevole, l’intelligenza tecnica ben organizzata, meno le sue teorie che d’altra parte a Craxi entravano da un orecchio e gli uscivano dall’altro. Il segretario del PSI del resto, aperto e scopritore del nuovo, non era di certo un figlio del vecchio, anzi era alle prese con le sue nuove teorie.
    A Palazzo Chigi Amato fu un fedele esecutore delle direttive di Craxi. Allargò il giro delle sue conoscenze, si affermò senz’altro tra i collaboratori del Presidente come il primus inter pares. Da quella posizione non mancò di entrare nelle grazie di tutti i maggiori potentati economici e anche dei clan giornalistici, compreso quello che aveva cominciato a ringhiare contro Craxi, e cioè il gruppo Scalfari-De Benedatti.
    Finita la Presidenza di Craxi, tornò al partito in posizione di rilievo.
    Anzi meglio. Craxi venne via via assorbito per anni dagli incarichi internazionali di prestigio che gli venivano conferiti dall’ONU, e Amato, vicesegretario unico, diveniva in un certo senso il factotum numero uno anche per il curriculum che lo accompagnava, e cioè la collaborazione con Craxi alla vicepresidenza del Consiglio.
    Figuriamoci se come vicesegretario unico, per lunghi periodi maggiore responsabile politico della struttura partitica, non era al corrente della rava e della fava delle spese e delle entrate del partito. Si fosse trattato solo della fava, sarebbe stato già moltissimo.
    A più riprese egli ha invece detto, scritto e fatto capire che non ne sapeva perfettamente nulla, mentendo spudoratamente. Viveva sulle nuvole, anzi sulla luna. Del resto, in materia di spese e di entrate HA ANCH’EGLI UNA SUA STORIA PERSONALE SU CUI SI E' MANTENUTO SEMPRE IL MASSIMO RISERBO.”

    Intelligenti pauca.

    Sarà suggestione, ma come non vedere delle straordinarie similitudini col caso di Ernst Hanfstaengl, il 'creatore' (handler) di Hitler (patsy) per conto delle elite anglosassoni….

    https://en.wikipedia.org/wiki/Ernst_Hanfstaengl

    Nel caso di Craxi invece non si può invece fare a meno di cogliere nella sua intervista il velato sospetto verso l'ex-collaboratore di un qualche suo ruolo di ‘facilitatore’ di mani pulite (gli 'handler' infatti se la cavano sempre, i 'patsy' invece fanno sempre una brutta fine).

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  3. faccio una domanda documenti del genere (che mi sembra utile per comprendere il dopo guerra) consultabili da comuni cittadini,ovviamente più recenti,ne conoscete? http://dspace.unitus.it/bitstream/2067/713/1/Idee_programmazione_LDT78.pdf

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  4. Tanto per misurare quanto sono cambiati i tempi, e quanto all’epoca molti furono colti di sorpresa dalle sortite di Berlinguer, basti dire che ebbe da obiettarvi perfino Bobbio in un’intervista al Corsera (22 gennaio 1977).

    Intanto coglieva l’illogicità di fondo di indicare in una situazione di (presunta) emergenza che impone di stringere la cinghia un veicolo di trasformazione della società in senso “socialista”: ““Allora – esclama Bobbio – è una situazione storica in cui si fa appello all’eusterità perché non si può fare altro, ma allora non si dice che è una società in trasformazione e in rinnovamento.” Nel suo discorso però Berlinguer dice proprio che “l’austerità può diventare fattore decisivo di liberazione dell’uomo”. “Ma questo, secondo me, non è giusto, non è possibile – afferma Bobbio -: l’austerità è un processo negativo non positivo. Quello che diventa mezzo di trasformazione è anzi la libertà, la liberazione dal bisogno””.

    Poi avvertiva anche chiaramente il retroterra reazionario della polemica anticonsumista: "“Guardi, l’austerità, in genere, è sempre una raccomandazione dei padroni. L’austerità dei poveri fa parte della loro vita. E’ questo che mi sembra un po’ strano. Il povero è austero per necessità. Anche questa critica eccessiva del consumismo non tiene conto della differenza fra il consumismo del miliardario, che va in riviera e che ha la barca, eccetera, e il consumismo del povero diavolo che si limita a fare il week-end e a andare in campagnga la domenica. C’è una bella differenza. Non parliamo di consumismo in generale. Questa è una cosa su cui vorrei insistere. Non si può parlare di consumismo riferendolo a tutta la società italiana. C’è consumismo e consumismo. C’è un consumismo da nababbi, un consumismo che è un insulto alla misera, e c’è un consumismo di chi finalmente è riuscito a raggranellare qualche soldo e si fa la gita in macchina o in motocicletta la domenica. Non bisogna confondere."”.

    Mi sa che oggi passerebbe da populista pure lui. Ovvero, quanto s’è mossa la finestra di Overton.

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    1. La verità?
      Bobbio, nella prima parte utilizza una certa capacità logico-critica, che gli consente di superare l'enfasi retorica dell'argomento (non ancora apertamente sdoganabile come scientifico-economico: troppo pericoloso...).
      Nella seconda parte, utilizza il semplice buon senso ritratto da un "notorio sociologico".

      In pratica, non era ancora nata ufficialmente, almeno a sinistra, l'espertologia orwelliana dell'economicismo tecno-pop mediatizzato.
      Berlinguer doveva azzardare quella che, rapportata alla cultura normale di sinistra del tempo, era pura retorica strumentale.

      Semmai, fa riflettere che il Corsera facesse una contro-intervista, tanto autorevole; evidentemente, al tempo, poteva comunque fare brodo per un obiettivo "più urgente": far perdere al PCI un tantinello di simpatie e di voti (ove ancora vi fosse qualche lettore più rigorosamente socialista o, almeno, democratico-costituzionale; v. poi, link).

      La tecnocrazia pop €uropea, comunque, di lì a pochi anni, avrebbe risolto ogni problema di contenuti (e di finestra di Overton), per i nostrani giornaloni.

      Non dimentichiamo, comunque, che le successive elezioni del 1979, segnarono una "disfatta" per il PCI rispetto al 1976 (33%; ma con la DC al 38%).

      Un PCI che, poi, non certo casualmente, operò il famoso "superamento" della DC nelle elezioni europee del 1984 (33.3 a 32 della DC): per Berlinguer, appena trapassato, parve una beatificazione.
      http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-05-26/i-record-elezioniil-pci-europee-1984-023437.shtml?uuid=ABvYGALB

      Ma più probabilmente, si era aperta l'era del "chi governa in nome del vincolo esterno e del divorzio (da notare pure l'"insuccesso del PSI"), perde le elezioni.

      Ma la cosmesi eurofila, la compenetrazione espertologico-accademica e l'inventiva mediatizzata di €ssi, da allora, fecero passi da gigante: la "rivoluzione liberale" si tinse del rosa craxiano e poi si ipostatizzò nella "caduta del Muro di Berlino e della logica elementare" (interviste come quella di Bobbio divennero rare, se non impensabili in certe sedi...).

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    2. quante volte bisognerà ribadire l'ovvio? STAMP: È passato molto tempo, Keynes, da quando abbiamo avuto occasione di fare una chiacchierata confidenziale, e molti giorni da quando ti ho insegnato qualcosa. Ora leggiamo continuamente sui giornali, credo restando noi stessi confusi, tutte queste controversie sullo spendere e sul risparmiare. A che conclusioni pensi che il pubblico sia giunto in merito? Ritieni che tutte queste discussioni abbiano fatto emergere dei punti particolari, rendendoli chiari, o è tutto così confuso come all’inizio?
      KEYNES: La mia impressione è che l’umore della gente stia cambiando. C’era un bel po’ di panico circa un anno fa. Ma non è forse vero che ora ci si sta rendendo conto abbastanza generalmente che la spesa di un uomo è il reddito di un altro uomo? Comunque, questa mi sembra essere la verità fondamentale, che non deve mai essere dimenticata. Ogni volta che qualcuno taglia la sua spesa, sia come individuo, sia come Consiglio Comunale o come Ministero, il mattino successivo sicuramente qualcuno troverà il suo reddito decurtato; e questa non è la fine della storia. Chi si sveglia scoprendo che il suo reddito è stato decurtato o di essere stato licenziato in conseguenza di quel particolare risparmio, è costretto a sua volta a tagliare la sua spesa, che lo voglia o meno.
      S.: Ciò significa che egli riduce il reddito di un secondo uomo, e che qualcun altro rimarrà senza lavoro.
      K.: Sì, questo è il guaio. Una volta che la caduta è iniziata, è difficilissimo fermarla.
      S.: Un momento. Osserviamo il risparmio di un Ministero o di un individuo, e consideriamo il suo effetto. Un paese o una città, proprio come un individuo, debbono vivere nei limiti delle loro risorse o si troverebbero in grave difficoltà se provassero a spingersi oltre. Molto presto intaccherebbero il loro patrimonio.
      K.: Ci può essere solo un obiettivo nel risparmiare, ed è esattamente quello di sostituire una spesa con un altro e più saggio tipo di spesa.
      S.: Sostituire! Questo mi fa comprendere il punto. Ad esempio, se il Governo o le autorità locali risparmiassero per ridurre le imposte o i saggi di interesse e permettessero agli individui di spendere di più; o se gli individui spendessero meno in consumi, per usare essi stessi il denaro nella costruzione di case o di fabbriche, o per prestarlo ad altri a tale scopo. Non servirebbe tutto ciò ad aggiustare le cose?
      K.: Ma, caro Stamp, è questo che sta accadendo? Ho il sospetto che le autorità spesso risparmino senza ridurre i tassi di interesse o le imposte, e senza passare il potere di acquisto aggiuntivo agli individui. Ma anche quando il singolo riceve il potere di acquisto aggiuntivo, di solito sceglie la sicurezza o, quanto meno, pensa che sia virtuoso risparmiare e non spendere. Ma non sono veramente questi risparmi, tesi a far abbassare i saggi e le imposte, che sono al centro delle mie polemiche. Sono piuttosto quelle forme di risparmio che comportano un taglio della spesa, nei casi in cui quest’ultima dovrebbe essere naturalmente coperta con il debito. Perché in questi casi non c’è alcun vantaggio connesso col fatto che il contribuente avrà di più, a compensare la perdita di reddito dell’individuo che subisce il taglio.
      S.: Allora, ciò che intendiamo realmente è che, salvo il caso in cui la mancata spesa pubblica venga bilanciata da una spesa personale aggiuntiva, ci sarà troppo risparmio. Dopo tutto, il normale risparmio è solo un differente tipo di spesa, trasmessa a qualche autorità pubblica o alle imprese, per produrre mattoni o macchinari. Il risparmio equivale a più mattoni, la spesa a più scarpe.
      monia, non è necessario che le pubbliche autorità sentano la loro responsabilità in questa direzione? Se questa abitudine, così utile nella vita individuale, deve recare giovamento alla comunità, è essenziale che si trovino modi utili di usare il denaro risparmiato.
      K.: Sì, questo è ciò che dico. E inoltre, quello della diminuzione dell’attività, e quindi del reddito nazionale, non è un modo incredibilmente miope in cui cercare di pareggiare il bilancio?

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    3. S.: Bene, lasciando da parte qualsiasi questione complessa riguardante il debito nazionale, mi sembra che tutto questo riguardi comunque il Ministro delle Finanze in due modi. Innanzi tutto, deve far fronte alle indennità di disoccupazione per gli uomini licenziati, e poi deve tener conto che il gettito delle imposte dipende dal reddito degli individui o dalle loro spese. Cosicché tutto ciò che riduce sia il reddito che le spese degli individui riduce il gettito delle imposte. E se si subisce una diminuzione dal lato delle entrate e un incremento dal lato delle uscite, si deve trovare un rimedio. Un bilancio squilibrato distrugge infatti il nostro credito, anche se c’è una differenza tra un periodo normale e uno anomalo.
      K.: Ma Stamp, non si potrà mai equilibrare il bilancio attraverso misure che riducono il reddito nazionale. Il Ministro delle Finanze non farebbe altro che inseguire la sua stessa coda. La sola speranza di equilibrare il bilancio nel lungo periodo sta nel riportare le cose nuovamente alla normalità, ed evitare così l’enorme aggravio che deriva dalla disoccupazione. Per questo sostengo che, anche nel caso in cui si prende il bilancio come metro di giudizio, il criterio per giudicare se il risparmio sia utile o no è lo stato dell’occupazione. In una guerra, per esempio, tutti sono al lavoro, e talvolta anche attività importanti e necessarie non vengono svolte. Allora se si riduce un tipo di spesa, una spesa alternativa e più saggia la sostituirà.
      S.: La stessa cosa accadrebbe se il governo stesse attuando un grande progetto edilizio e un programma di risanamento delle aree degradate. […]
      K.: Trovo che siamo d’accordo più di quanto pensassimo. Ma molte persone ritengono oggi che persino le spese praticabili costituiscano una vera sciocchezza. Quando il Consiglio della Contea decide la costruzione di case, il paese sarà più ricco anche se le case non garantiranno alcuna rendita. Se non si costruiscono quelle case, non avremo nulla da mostrare fatta eccezione per il maggior numero di uomini che ricevono un sussidio.

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    4. S.: Fermo restando che si presti una ragionevole attenzione alle idee della gente sul credito pubblico. Non sarà una cosa buona per il governo, e per qualsiasi altra autorità, se si pensa che sia sull’orlo della bancarotta.
      K.: Non credo che delle misure che arricchiscono realmente il paese possano danneggiare il credito pubblico. Ti sei dimenticato che sostengo che è il peso della disoccupazione e la diminuzione del reddito nazionale che mettono sottosopra il bilancio. Risolviamo il problema della disoccupazione e il bilancio si aggiusterà.
      S.: Ciò per quanto riguarda la spesa pubblica. Perché non parliamo del risparmio individuale? Questo deve continuare se ciascuno è ragionevolmente prudente. Quali impieghi approvi, e quali suggerimenti nuovi fornisci?
      K.: Lasciami fare un esempio del tipo di cosa che mi sembra particolarmente apprezzabile. Le cooperative edilizie hanno fatto uno splendido lavoro dalla guerra in poi, da una parte organizzando la raccolta del risparmio e allo stesso tempo, organizzando, dall’altra, l’impiego di ciò che raccoglievano nella costruzione di case. Hanno cioè fatto in modo che le due attività complementari andassero di pari passo. E non è forse vero che corrono il rischio di attrarre più fondi di quelli che possono impiegare?
      S.: Non farei alcun commento su ciò, salvo dire che mi fai sentire virtuoso. (Stamp aveva una posizione di responsabilità nell’organizzazione delle cooperative. N.d.c.) Spero però che non vorrai riferirti alle cooperative per giungere alla conclusione che un movimento come quello dei Certificati di Risparmio Nazionali debba essere eliminato.
      K.: Stamp, stai pensando alla nostra conversazione radiofonica di circa un anno fa. Sono stato molto frainteso sulle cose che ho detto. Una diminuzione del risparmio da parte delle classi di persone che acquistano i certificati, mi sembra un rimedio di poco conto. Avanzavo piuttosto la tesi che, quando i lavori pubblici vengono fermati, particolarmente in un momento in cui gli imprenditori privati si stanno bloccando a causa di una temporanea eccedenza di capacità produttiva, e quindi non si trovano nella posizione di espandere la loro attività, il risparmio privato può determinare solo danni. Ricordi quello che dissi – ogni sterlina risparmiata è un’occupazione cancellata. Mantengo ferma questa affermazione, e dubito che vorrai negarla.
      S.: No, certamente. Se non si fa nulla con le risorse che sono state liberate, le persone si saranno private di qualcosa di utile o piacevole, con l’unica conseguenza di cancellare il lavoro di chi avrebbe dovuto lavorare per loro. Da ciò non devi però desumere che la spesa privata sia il rimedio che preferisco.

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    5. K.: Al contrario. Io spingo sulla spesa privata solo come un modo attraverso il quale degli individui ben disposti potrebbero porre un parziale rimedio al danno che il Governo sta facendo, nel momento in cui riduce il lavoro che dovrebbe mettere in moto come comunità organizzata. Secondo me, non spetta ai privati cittadini spendere più di quanto spontaneamente farebbero, non più di quanto lo sia il far fronte alla disoccupazione con la carità privata. Queste cose dovrebbero essere fatte dalla comunità organizzata
      come un tutto – vale a dire, dalle pubbliche autorità.
      S.: Sono contento di averti consentito questo chiarimento, perché penso che molte persone non abbiano realmente compreso che questa era la linea di pensiero che stavi seguendo. Sono contento che tu non avanzi delle obiezioni alla parsimonia privata, fintanto che questa è in grado di assicurare benefici, altrimenti nel lungo periodo credo che produrresti dei guai maggiori.
      K.: Certamente. Io stesso risparmio, talvolta. E sono dalla parte del risparmio per il fatto che sollecito una politica che permetterebbe al risparmio di essere utile e produttivo per la comunità. I nemici della parsimonia sono quelli che, inibendo gli sbocchi a ciò che viene accantonato, la privano del suo scopo, e trasformano quello che dovrebbe essere un pubblico beneficio in uno strumento che aggrava la disoccupazione. Questo, lo ripeto, è ciò che accade nelle attuali circostanze. Se si tagliano le spese dei Consigli delle Contee e delle altre pubbliche autorità, non c’è la più piccola possibilità che l’imprenditoria privata nazionale da sola sia in grado di usare risorse per un ammontare che si avvicini anche soltanto lontanamente a quello che un’Inghilterra che crede nel principio della parsimonia, e che è in buona salute e con un alto livello di occupazione, sceglierebbe di risparmiare.
      S.: Non sei troppo pessimista sull’incapacità dell’impresa privata di assorbire disoccupati? Hai affrontato la questione tenendo conto delle statistiche sul risparmio del passato? Non pensi che con una vera ripresa degli affari possa esserci un’utilizzazione dei risparmi più rimarchevole di quella che siamo propensi a immaginare oggi?

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    6. K.: Ne dubito. Devi tener conto del divieto ora in atto nei confronti della maggior parte dei prestiti esteri, che assorbivano una gran parte dei nostri risparmi. Dobbiamo sostituire tutto ciò. Dubito che l’imprenditoria privata nazionale, perfino nei suoi giorni migliori, abbia mai assorbito la metà del risparmio nazionale, e considerando l’estensione in cui le pubbliche utilità sono oggi in mani pubbliche, sono certo che non potranno nemmeno in futuro. Sono per dare la massima libertà all’imprenditoria privata, e consentirle di impiegare tutto il capitale che può. Ma credo che ci si rifugi in un falso paradiso se si immagina che, in un qualsiasi futuro prevedibile, essa possa assorbire l’ammontare che questo paese potrebbe risparmiare se fosse prospero e tutti fossero opportunamente occupati.
      S.: Credo che non molte persone si siano confrontate con questo modo di porre il problema. Qual è il suo fondamento statistico? I risparmi raggiungono un certo ammontare. Essi sono vincolati, con le diverse opportunità di accantonamento esistenti – assicurazioni e simili – ad andare avanti. Se un individuo, ragionevolmente previdente nei confronti della sua stessa esistenza, accresce il suo risparmio, questo deve essere usato o con un’espansione degli investimenti privati o con un aumento della spesa pubblica, o in entrambi i modi. Se questi due passaggi non intervengono emergono seri problemi sul piano dell’occupazione. Se c’è un divario, la cosa migliore è che gli imprenditori accrescano i loro affari per coprirlo. Se ciò non accade, allora la cosa successiva da fare è quella di accrescere la spesa pubblica. Se entrambe mancano, o per una qualsiasi altra buona ragione la spesa pubblica non può essere aumentata abbastanza, allora l’ultimo espediente o salvagente, per far equilibrare i due lati, è che gli stessi risparmi diminuiscano fino al punto in cui l’eccedenza rispetto ai due usi è scomparsa. Ma in un modo o nell’altro la differenza deve essere usata o fatta sparire.
      K.: Sì, e ripeto che non sarà l’imprenditoria a farlo. Nel prossimo futuro non ci sarà un’espansione degli affari privati in misura sufficiente per assorbire i risparmi. Pertanto le spese delle diverse autorità pubbliche e dei pubblici consigli, ecc. debbono essere accresciute. Se questo non accadrà, l’alternativa dovrà essere quella di ridurre i risparmi. Non si possono avere entrambi.

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    7. S.: Condivido molto le tue considerazioni, ma ti prego di non trattare troppo superficialmente la questione dei bilanci pubblici non saggi e squilibrati. Quel tipo di principio deve ancora oggi essere rispettato. Credo che la vera natura del nostro dilemma stia nel fatto che un principio non può sempre andare avanti da solo nella vita, e due principi, ciascuno dei quali è in sé eccellente, possono talvolta confliggere tra loro. Siamo costretti, ogni volta, a preferire l’uno o l’altro. Sappiamo che la persona saggia dice due cose. Primo, il risparmio è cosa buona; risparmia tutto quello che puoi. Egli aggiunge, ridurre la spesa pubblica è un male, smetti di farlo. Non si rende conto che se ciascuno di questi principi altamente virtuosi fosse portato ad un estremo, ne conseguirebbe una grave alterazione dell’equilibrio dei risparmi. Insomma i due principi sarebbero trattati, nell’ambito del nostro schema economico moderno, come una specie di necessità o di virtù meccanica; mentre gli orientamenti sugli equilibri di bilancio rappresentano una necessità di tipo psicologico.
      K.: Tu torni sempre sulla questione del bilancio. A questo proposito direi che questioni come quella della copertura delle spese effettuate non sono così importanti, ai nostri giorni, come lo sarebbero in tempi di prosperità. E, penso, che il Ministro delle Finanze sarebbe lungimirante se assumesse un punto di vista ottimistico e concedesse nel prossimo bilancio un maggior sollievo di quanto non sarebbe strettamente giustificato dai fatti effettivamente anticipabili. Se lo farà, aiuterà a rendere visibili i fatti che giustificano l’ottimismo che avrà scelto di praticare. Ma questo non è quello che realmente voglio. Voglio le spese in debito. Voglio investimenti in infrastrutture di varia utilità. Concordo con te che, tradizionalmente, consideriamo appropriato finanziare tutte le iniziative con il debito, e che le spese di questo tipo debbano essere sostenute dalle autorità locali o dal governo centrale. Credo inoltre che nel lungo periodo una politica di questo tipo aiuterebbe veramente il bilancio, più di quanto non possa l’altra politica, tesa a operare un taglio dopo l’altro.
      S.: Quello che stai dicendo in fondo è che nei periodi nei quali gli affari vanno male le persone non intraprendono, ed è in questi periodi che l’espansione dell’azione pubblica dovrebbe raggiungere il massimo. Non fai invece alcun riferimento alle banche o al saggio dell’interesse o ai prezzi! Meraviglioso! Penso che possiamo trovarci d’accordo nel riconoscere che attualmente non sia una cosa facile assicurare uno sbocco ai nostri risparmi, e pertanto concordo con te nel sostenere che non dovremmo ignorare qualsiasi opportunità si offra. Ci sono migliaia di cose da fare se vogliamo essere una comunità attrezzata all’altezza delle nostre possibilità, una comunità che si avvantaggia di tutti gli sviluppi della scienza moderna. Potremo arricchirci solo facendo, non tagliando delle attività. Alziamoci e diamoci da fare.
      K.: Sì, il fatto è che il risparmio e la spesa sono nell’essenza attività complementari. Lo scopo del risparmio è quello di spendere il risparmiato in attrezzature utili e necessarie. Per spendere in modo salutare dobbiamo risparmiare, ma è allo stesso tempo vero il contrario, e cioè dobbiamo spendere per rendere salutare il risparmio.

      S.: In breve, questo nostro risparmiare e spendere sono, o almeno dovrebbero essere, pratiche gemelle.

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    8. poi c'è chi promuove politiche di questo genere :
      Cosa postula invece la “teoria delle restrizioni espansive”

      Le politiche economiche europee più recenti sono state però ispirate dalla “teoria delle restrizioni espansive”, secondo la quale il moltiplicatore non esiste o, se esiste, è di entità molto modesta: secondo questa impostazione, la politica fiscale non ha cioè impatti significativi sul Pil.

      Per questa scuola di pensiero, le decisioni di consumo e di investimento non sono legate soltanto al loro reddito disponibile oggi, ma anche al reddito disponibile che ci si attende nel futuro. Per cui, se vengono aumentate le tasse oggi, ci si aspetta potranno essere ridotte domani perché il debito si è ridotto. Gli individui quindi non reagiscono all’aumento di tasse diminuendo i propri consumi, come postulato dai keynesiani, e domanda e reddito rimangono invariati o addirittura aumentano. Con consumatori “che guardano avanti” politiche di austerità anche molto severe possono quindi essere perseguite senza provocare particolari effetti recessivi.
      Se non si è sotto psicomediaticoinformazione dubbi non ne sorgono

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    9. Si potrebbe anche rovesciare la frase: chi non governa in nome del liberismo semplicemente non governa. Si vide nei primi anni '60.
      Fin dove risalire: non saprei, perché non so nulla di quel periodo. Fino al '48 stesso? o al '46? Malgrado il peso elettorale che può avere avuto la scissione del PSDI, Togliatti dev'essere stato cruciale nell'elaborare la posizione della sinistra rispetto al quarto partito.

      Per il resto quanto detto nel post era PACIFICO e LAMPANTE negli anni'70 alla sinistra detta extraparlamentare, o a ciò che ne restava. Si parlava persino del "putinismo" degli USA in Italia, sia pure senza leaks. Bobbio era solo una voce estrema nello schieramento dei perplessi, come precisa Arturo nel commento.

      Gran parte delle critiche movimentiste al PCI venivano principalmente da quella consapevolezza. Ma si trattava di una minoranza, peraltro già sconfitta seppure ancora visibile, la cui forza e peso politico non erano mai stati neppure lontanamente paragonabili a quelli di un partito, oltretutto così radicato e organizzato. E questo benché molti aderenti o simpatizzanti del PCI fossero o fossero stati anche attivi in ciò che restava nel movimento del '68.

      Vi fu un tentativo di presentarsi alle elezioni, ma senza successo. I voti andarono al ragionevole Berlinguer...
      Egli chiuse definitivamente ogni minima illusione di intesa con quel mondo, finché fosse rimasto tale e non si fosse trasformato in alcuni transfughi isolati di ritorno ai privilegi di provenienza (che infatti si avvicinarono piuttosto al PSI, o direttamente alla destra, almeno in un primo tempo).

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    10. E tutto sommato vale la pena (ri)citare anche il passo successivo di Caffè: La vera emergenza non è nell’economia, il cui quadro è molto meno allarmante di quanto lo si prospetti con orchestrata ma deformante abilità; bensì nel tentativo di bloccare ancora una volta l’ascesa, necessariamente convulsa, dei ceti popolari, mediante una normalizzazione di tipo moderato.
      Non per nulla, l’istruzione impartita “nelle zone esclusive della città” viene considerata a priori come valida; mentre la fatica quotidiana intesa a rompere il monopolio delle conoscenze viene ritenuta, per definizione, squalificata e squalificante.
      Ma che il fastidio del tutto esplicito per le soluzioni non elitarie e l’artificiosa attribuzione della qualifica di “populismo” a ogni aspirazione di avanzamento sociale avvengano con la tacita acquiescenza delle forze politicamente progressiste è ciò che rende particolarmente amaro il periodo che viviamo
      .

      Per tutti gli anni '90-2000 i partiti di sinistra hanno voluto contendere alla destra, riuscendoci, la rappresentanza degli interessi della media borghesia, bloccando la mobilità sociale. Ora che la crisi dell'eurozona ha imposto di sacrificare anche quegli interessi e perfino mettere in pericolo l'esistenza di quello stesso ceto, si trovano a malpartito. Se non ripartono da questo, niente potrà salvarli e per aggiungere una nota personale, a me, senza lacerazioni e drammi, non mancheranno affatto, proprio perché, in ultima analisi, i miei interessi, io che media borghesia non sono e non sarò, non li hanno mai rappresentati. Solo a vedere il simbolo del Pd in un link m'è salito un conato: di noia prima che di disgusto, non certo di nostalgia né di rimpianto.

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    11. E per concludere un lungo discorso, proprio per la coscienza esistente in quella sinistra del significato delle parole di Berlinguer come di molto altro, non ci voleva la destra a denunciarne oggi il senso e gli esiti, magari in nome di pretesi Veri Valori in realtà mai esistiti ma che non si rinuncia a veicolare con ogni mezzo.
      Dopotutto Caffè scriveva sul Manifesto nel 1978, allora ben meno compiacente con il gran capitale, mica su riviste di destra. Ciò che dovrebbe bastare, una volta per tutte, per smetterla con certe mistificazioni.
      In altre parole, allora si sapeva. Chi voleva vedere e sapere, pur non avendo conquistato tutte le chiavi tecniche, economiche e giuridiche (vedi il passo di Caffè e il lavoro di questo e altri blog), sapeva.

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    12. « Governo sta facendo, nel momento in cui riduce il lavoro che dovrebbe mettere in moto come comunità organizzata. Secondo me, non spetta ai privati cittadini spendere più di quanto spontaneamente farebbero, non più di quanto lo sia il far fronte alla disoccupazione con la carità privata. Queste cose dovrebbero essere fatte dalla comunità organizzata come un tutto – vale a dire, dalle pubbliche autorità. »

      Fantastico...

      Keynes sta al liberalismo come come la sinistra al socialismo.

      La disciplina dialettica in cui si costringeva è roba... da Lord.
      La persuasione dell'intelligenza.

      Peccato che le élite siano antisocraticamente stupide e capiscano, quindi, solo la forza.

      (Keynes era un liberale? Sì, come la moglie di Carl Schmitt)

      (Le politiche di sinistra si fanno meglio da destra)

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  5. cmq leggere robette del genere mette sconforto https://wikileaks.org/plusd/cables/1973ROME02617_b.html

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  6. Ma di "quale arretramento culturale" parla Caffè?

    Figuriamoci.

    Contro il tradimento del PCI che si vendeva ad Hayek e allo schiavismo filantropico, bè, si è notoriamente scagliata tutta l'avanguardia sessatottina. Cosciente ed esperta dopo un decennio di profondi studi e di lotte.

    In piazza a milioni.

    O no?

    Non vorrete dirmi che, mentre accadeva tutto questo, fossero a caccia dei fascisti con i papà dei Wu Ming?


    (D'altronde era notorio che, quando si incontravano, Lenin e la Luxemburg si scambiavano il calumet della pace. Quindi si facevano un viaggio e, grazie alle nuove possibilità cognitive, incontravano i fasci e potevano preparare rivoluzioni in una comune dello zio di Osho. In Nepal)

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    1. La cosa strana è che li vedono dappertutto, 'sti fascisti, da decenni e decenni: e li identificano invariabilmente con chi non è d'accordo con loro nel santificare il capitalismo cosmopolita

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    2. Li vedono dappertutto, i fascisti, ma concretamente quanti sono? Stando ai dati elettorali, le forze politiche che direttamente al fascismo si richiamano (Forza Nuova e Casapound), insieme non arrivano all'1,5 per cento su scala nazionale......

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    3. Avevo scritto da pochi giorni l'articolo apparso su questo giornale sabato scorso (ma che era stato preparato per il martedì precedente), in cui lamentavo la carenza nella sinistra del senso della totalità, e quindi di un programma d'assieme, quando mi è giunto l'invito al convegno del Pci sull'intervento della cultura per un progetto di rinnovamento della società italiana che ho accolto con il più vivo piacere.

      Un progetto di rinnovamento della società e quindi non settoriale, a medio termine e quindi non limitato alla contingenza e neppure proiettato nel lontano futuro, ma visto nella sua connessione col presente, è appunto il progetto che vado cercando... Se ho bene interpretato i discorsi più autorizzati - la relazione di Tortorella, l'intervento di Napolitano, le conclusioni di Berlinguer - c'è ancora qualche incertezza sul tipo di progetto da elaborare e sul Contributo richiesto agli intellettuali.

      Tortorella ha … parlato di un progetto che “colga le finalità e i valori di una società che si avvii al proprio rinnovamento” e. ancora. di un progetto che proponga “finalità e obiettivi che avviino una trasformazione della società “indicando fra queste finalità anche la trasformazione delle forme di vita, in senso più umane, solidale, egualitario e libero, che è quanto dire - mi sembra - in senso socialista. E questa interpretazione mi è parsa confermata dalla conclusione, dove ha parlato di “un nuovo sistema di valori…”.

      Neppure le conclusioni di Berlinguer sono valse a dissolvere i miei dubbi: egli anzi ha escluso esplicitamente che si tratti di elaborare “un programma di transizione verso una società socialista” , ma subito dopo ha elencato gli obiettivi che il progetto dovrebbe assegnare al movimento operaio….per la loro incompatibilità con il sistema attuale (l'elevazione dell'uomo nella sua essenza umana e sociale al centro dello sviluppo; il superamento degli attuali modelli di consumo e di comportamento…)… Ma se ho ben capito … il nodo attorno a cui si articola la scelta è QUELLO DELL’AUSTERITÀ

      Ma c’è il pericolo che il movimento operaio non comprenda in pieno le ragioni oggettive dell’austerità .... BISOGNA PERCIÒ CHE L’AUSTERITÀ …NON SIGNIFICHI …SACRIFICI PER I LAVORATORI PER RIMETTERE IN MOTO IL MECCANISMO DEL PROFITTO, ma diventi un momento essenziale di un processo di trasformazione. Il quale però ha un senso se tende, almeno in prospettiva, a trasferire dal profitto ai consumi sociali il motore del sistema e quindi a preparare l'avvento di una nuova società, e se fa incamminare il movimento decisamente su questa strada. Ciò richiede appunto l'instaurazione di nuovi rapporti umani…l'avvento di una nuova egemonia…
      ” [L. BASSO, Le tesi di Berlinguer e l’alternativa, Il Messaggero, 21 gennaio 1977].

      Da socialista autentico evidentemente a Basso non quadrava questa storia dell’austerità venduta come cosmetica “trasformazione sociale” (in senso liberista). Ed aveva ragione. In altre occasioni aveva anche affermato di non capire cosa fosse "l'eurocomunismo". (segue)

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    4. Nel 1989, partecipando ad un convegno, R. Prodi, nel suo intervento, parlando dei problemi riguardanti la futura moneta unica (in particolare quello dell’armonizzazione istituzionale dei sistemi dei diversi Paesi), ebbe ad affermare quanto segue:

      … Questi sono i problemi più grossi che noi dobbiamo affrontare, insieme ovviamente al discorso dei costi relativi dell’inflazione. Ma su questo io non è che non ci stia perché non lo ritenga importante, ma perché è già stato così talmente sottolineato che non voglio aggiungere un’altra parola.

      E’ stato talmente sottolineato da voler ricordare che, quando ci fu l’edesione italiana allo SME – me lo ricordo benissimo, perché coincise con quel quarto d’ora in cui sono stato Ministro dell’Industria (il problema non è durar molto, ma esserci negli appuntamenti storici!!) [risate] – quando ci fu quella discussionec’era perfettamente accordo, il Paese era d’accordo.

      Il grosso problema era di trarne le conseguenze, cioè DI APPROFITTARE PER UNA IMMEDIATA NUOVA POLITICA DI TIPO SALARIALE, per quella che allora veniva chiamata, nella coda della terminologia, la “politica dei redditi” . Ma sull’accordo, sulla politica monetaria, il Paese già da allora era sostanzialmente d’accordo. Chi non lo era, era per paura, non perché non ci credesse. Diceva, “ma non ci indurre in tentazione”, cioè non esageriamo, insomma; ma l’Italia è stata sempre favorevole a questo.

      Ed è abbastanza interessante perché, tutto sommato, nonostante non ci sia stato un adeguamento politico immediato…però successivamente l’adesione allo SME è stato quella specie DI FATTO CORROSIVO QUOTIDIANO CHE CI HA SPINTO AD AVERE POLITICHE LEGGERMENTE PIÙ SAGGE con il passare del tempo.

      Quindi io non ritengo assolutamente che sia stato negativo, anzi CHE SIA STATO UN FATTO DI IMPORTANZA FONDAMENTALE. Anche se non ho dato mai importanza alla larghezza della “banda”, perché in materia monetaria quelle che contano sono le aspettative psicologiche. Per me l’idea che si debba litigare per avere la “banda” più larga degli altri, io non l’ho mai capita e non riuscirò mai a capirla, perché quando un Paese come l’Italia comincia a peggiorare, deve mollare il tutto, insomma…
      ” [R. PRODI, Moneta unica per l’Europa, 21 febbraio 1989, Roma, dibattito, registrazione che trovate qui].

      Tra l’altro R. Prodi, nel suo intervento, non parla mai di “unificazione politica” (altra menzogna che per anni è stata sbandierata per giustificare l’ingiustificabile).

      (Consiglio di riascoltare anche il successivo intervento di G. Amato in cui il nostro era perfettamente cosciente di cosa avrebbe significato moneta unica, ovvero cessione di sovranità. “Problematizzando” la questione, lo stesso ebbe modo di affermare “…Quando si insegna ad un ragazzino di primo anno all’università in che cosa consiste la sovranità, la prima cosa che gli si dice è “batter moneta”. Quindi c’è niente popò di meno quel problema lì di mezzo. Una volta si diceva “batti moneta e dichiara le guerre”. Ora pudicamente si dice “batti moneta e poi paga pensioni, stipendi”. Batter moneta come caratteristica dello Stato sovrano continua ad essere la prima cosa che viene in mente. E non a caso…”).

      Tutti sapevano che cosa avrebbe significato l’€uro. Il vincolo esterno è stato utilizzato per condizionare la politica dei redditi, è stato cioè “il fatto corrosivo quotidiano che ci ha spinto ad avere politiche leggermente più sagge”. Politiche deflattive.

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    5. Lorenzo: il problema è che certi influencer sanno tutto della storiografia del fascismo senza capire nulla dei suoi elementi informanti, congiunturali e strutturali.

      Ad essere benevoli.

      Io di partiti-milizia in grado di prendere il potere non ne vedo: nel senso di formazioni politiche in grado di spodestare il partito-milizia che siede a Bruxelles.

      Questa è gente accecata dall'odio e dal livore.

      Questo 1,5% cosa sarebbero, poi? il minuscolo consenso verso formazioni che si rifanno ad un'idea astorica di fascismo? ovvero che simpatizzano per un'organizzazione politica che, come la pensano loro, non è mai esistita? E si condanna quindi moralisticamente la loro incoscienza dal pulpito di un'incoscienza non giustificabile neanche dalla mancanza di erudizione?

      Il problema è il consenso del restante 98,5% verso il partito-milizia-unico che ci sta massacrando.

      Di cui, chiaramente, i sostenitori dell'antifascistismo fanno parte e di cui spesso ne sono la stessa milizia.

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    6. Caro Bazaar, si impara attraverso le sconfitte, rialzandosi, non pensando, come i bambini iperprotetti, di essere invicibili (ed essendo perciò fragili).
      "Spodestare Bruxelles" esige infatti una coscienza che non vi è: tragicamente, dobbiamo allo stato accontentarci di vedere i più NON voler "morire per Maastricht" (ma in senso del tutto incosciente, quanto può esserlo il livore, peraltro dotato di pluralismo e versioni multidirezionali).

      Ci sarà mai una via d'uscita?
      Speriamo che non debba passare per troppe sconfitte...

      @Francesco: Basso, nella sua purezza, è chiaramente ironico.
      Il che, tuttavia, ci conferma che un duro pragmatismo (interiore), OGGI, è la chiave di lettura che può rendere meglio omaggio al suo impareggiabile contributo.

      Quanto a Prodi, egli E', a tutt'oggi; non sappiamo quanti voti prenderebbe presentandosi con un suo partito, ma quel che è certo è che si compiace di un'indistruttibile coerenza, esattamente come ad Amato piace dire le cose in faccia.

      Entrambi hanno sempre saputo che non ci sarebbero state significative reazioni/opposizioni di sorta: eppure, ancora oggi, non ci si interroga sul perché.
      Ma la risposta a questo "perché" è tutto; è l'ingrediente senza il quale non si va da nessuna parte.

      E probabilmente c'è pure chi pensa che nell'attuale congiuntura saprebbero entrambi offrire le soluzioni "vincenti".
      Capito come stiamo messi?

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    7. @Quarantotto

      « Io di partiti-milizia in grado di prendere il potere non ne vedo: nel senso di formazioni politiche in grado di spodestare il partito-milizia che siede a Bruxelles. »

      Ironizzavo sugli "antifascisti" che si preoccupano che i fascisti prendano il potere mentre, in realtà, un partito unico/totalitario in possesso delle leve della violenza esercita già la sua oppressione imperiale.

      Quindi sono ridicoli coloro che si preoccupano che partitucoli possano spodestare "con la violenza" chi esercita già un governo "al riparo del processo elettorale".

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    8. Chiedo scusa della logorrea odierna. Il convegno citato da Francesco, del 15 gennaio 1977 al Teatro Eliseo di Roma ha suscitato reazioni in diversi intellettuali non solo Basso. Passi del genere: "“…L’austerità a seconda dei contenuti che ha e delle forze che ne governano l’attuazione può
      essere adoperata o come strumento di depressione economica, di repressione politica, di perpetuazione delle ingiustizie sociali, oppure come occasione per uno sviluppo economico e sociale nuovo, per un rigoroso risanamento dello Stato, per una profonda trasformazione dell’assetto della società, per la difesa ed espansione della democrazia: in una parola come mezzo di giustizia e di liberazione dell’uomo e di tutte le sue energie oggi mortificate, disperse, sprecate”, [citazione non di prima mano, ma ripresa da qui] oggi vengono addirittura osannate una certa sinistra che si potrebbe semplicisticamente definire sellina. Per loro Berlinguer "vola molto più alto" di quegli intellettuali che si aspettavano da lui una strategia politica nel momento del compromesso storico e che convinti lo furono ben poco.
      Sempre per tentare di risalire, qualche data (anche questa da semplice fonte in rete)

      il 15 gennaio 1977, ad un convegno di intellettuali al teatro Eliseo di Roma, Berlinguer lancia la "politica dell'austerità"; [si tratta del discorso cui reagisce Basso]
      il 26 gennaio 1977, per "frenare l’inflazione e difendere la moneta attraverso il contenimento del costo del lavoro e l’aumento della produttività”, CGIL-CISL-UIL firmano un accordo con la Confindustria che prevedeva l’eliminazione degli scatti futuri di contingenza dal conteggio del TFR e l’abolizione di sette festività, inoltre aumenta l'orario di lavoro; [la BCE non avrebbe potuto chiedere di meglio]
      il 17 febbraio 1977 Lama parla all’università La Sapienza di Roma, ma è violentemente contestato da studenti dell’Autonomia in lotta contro la riforma Malfatti. Seguono scontri fra servizio d’ordine del PCI e studenti, e Lama è costretto a fuggire. [il più grande ateneo d'Europa purtroppo non arriva ai milioni]
      nel giugno 1977 per "favorire l’occupazione” viene varato il “contratto di formazione lavoro” che avvia in Italia il processo di precarizzazione e frantumazione del rapporto di lavoro che farà molta strada da allora; [questa poi la conosco purtroppo!]
      la nuova linea proposta da Lama nell'intervista a repubblica è ratificata, dopo un'ampia discussione nelle diverse federazioni, dall'Assemblea della CGIL-CISL-UIL che si svolge nel quartiere romano dell’EUR;
      il 28 febbraio 1978, Aldo Moro avanza finalmente all'assemblea delle DC l'ipotesi di un futuro governo con il PCI;
      il 16 marzo 1978, Aldo Moro è rapito dalle Brigate Rosse mentre si reca al giuramento del governo Andreotti (monocolore DC) che vede il decisivo appoggio esterno del PCI;
      il 9 maggio Aldo Moro è ritrovato ucciso;
      il 13 dicembre 1978 l'Italia ratifica, con il voto contrario del PCI annunciato da un vigoroso discorso di Giorgio Napolitano l'adesione allo SME;
      Il discorso di Caffè citato sopra è pubblicato il 7 dicembre sul Manifesto: "Vedere nel sindacato la forza dirompente sia degli equilibri del mercato che delle potenzialità della programmazione è l’approdo più recente, e fuorviante, della saggezza convenzionale(...)La vera emergenza non è nell’economia, il cui quadro è molto meno allarmante di quanto lo si prospetti con orchestrata ma deformante abilità; bensì nel tentativo di bloccare ancora una volta l’ascesa, necessariamente convulsa, dei ceti popolari, mediante una normalizzazione di tipo moderato " ecc.
      Insomma, il PD è fondamentalmente un partito berlingueriano.
      I nostalgici non hanno di che lamentarsi.

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    9. A quella cronologia si potrebbe aggiungere una tappa ancora, ed è la legge 285 del 1977 sulla disoccupazione giovanile, già in buona parte disoccupazione qualificata, specie nel settore umanistico e di alcune professioni (psicologi, architetti...), sulle cui cause si potrebbe indagare. La legge prevedeva la iscrizione in liste di disoccupazione e la creazione di cooperative che avrebbero lavorato per enti pubblici durante alcuni anni. (Un rapporto diverso fu quello di migliaia di precari universitari che lavorarono direttamente, forse non a caso essendo a loro modo il gradino più basso di un élite, per l'università.) Al termine del periodo i soci delle cooperative furono per la maggior parte assunti direttamente dagli enti pubblici. L'epoca lo permetteva ancora, si era poco prima o subito dopo il famoso divorzio. Tuttavia il settore pubblico si dimostrò poi incapace, tranne forse nel caso dell'università, di garantire ai nuovi assunti le condizioni (e probabilmente i fondi) necessarie per lavorare in modo realmente incisivo, trasformando le assunzioni in mera operazione assistenziale.

      In nuce si può vedere il rodaggio di un meccanismo che sarà pienamente all'opera a partire dagli anni'90, quello delle esternalizzazioni dei servizi, che si tradussero non nel preteso risparmio del settore pubblico nel frattempo sottoposto anche a svariati blocchi delle assunzioni, bensì nell'abbassamento dei salari e dei diritti di una manodopera non più socia ma di fatto salariata e precaria a vantaggio dei soci fondatori delle cooperative, poi delle aziende che pian piano ne avrebbero preso il posto. Un "aiuto alle aziende" leggasi abbassamento del costo del lavoro nemmeno tanto mascherato.

      Il primo a cadere fu evidentemente il contratto a tempo indeterminato. Si può vedere anche l'apparire di una delle tante deformazioni delle parole d'ordine un tempo di sinistra, divenute da liberatorie strumento di oppressione e ricatto: la cooperativa, intesa un tempo come modello di organizzazione lavoro non o meno sfruttato divenne il simbolo e la realtà del peggiore sopruso e sfruttamento.
      Vi era anche la possibilità di un contratto diretto con le amministrazioni pubbliche, destinata a diventare giuridicamente sempre più difficile. Ovviamente alle assunzioni a fine contratto non era più il caso di pensare. Solo in alcuni casi le amministrazioni avrebbero avviato una trattativa sindacale in questo senso. Ma ormai il precariato era stato efficacemente frantumato, il sindacato più che normalizzato e non la capacità di pressione sociale degli anni'70 non esisteva più.
      Scopo raggiunto.

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  7. Ormai credo si sia capito cosa vuole l'elite: economicamente, tornare alla prima rivoluzione industriale; politicamente, tornare a un governo oligarchico liberandosi del parlamentarismo e della democrazia, utili un tempo per contrastare l'ancien regime, pericolosi e dannosi oggi per la 'governabilità' desiderata dai nuovi ottimati.

    Per contrastare tale fenomeno, ritengo personalmente serva un socialismo 'vecchio stampo', che butti alle ortiche tutte le ipocrisie ideologiche del 'lib lab' e che si riveli maturato nelle idee, traendo le fila dell'esperienza storica, uscendo dagli stereotipi del 900 e proponendosi come un 'partito del benessere diffuso' aperto, fondamentalmente, a tutto il ceto medio. Che riprenda le fila dal pensiero di persone come Basso e Caffè e che riparta dall'impianto costituzionale.

    Un percorso del genere, lo ritengo impraticabile a partire dalle macerie della attuale (non) sinistra, ormai troppo imbevuta di pensiero para-hayekkiano e trasformata, di fatto, in un gigantesco partito radicale (ancora non capisco come facciano i cattolici di sinistra a convivere politicamente con persone come la Bonino o la Cirinnà, ma è affar loro).

    Per il resto, vedo numerosi endorsement a una soluzione Di Maio-PD (da Scalfari alla Spinelli, passando per Monti). La cosa non sorprende: Di Maio è perfetto per fare lo 'Tsipras italiano' e completare la svendita del Paese. Weidmann, una volta insediato alla BCE, lo tratterebbe anche peggio, di Tsipras. Non so, però, fino a quanto questi 'intellettualoni' non sognino ad occhi aperti: nutro forti dubbi sia sulla costituzione, sia sulla successiva tenuta di una maggioranza del genere. Più facile, a questo punto, un "Gentiloni-Badoglio" che vada in Europa di dire che 'la guerra continua' prendendo tempo.....

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    1. Certo che la soluzione socialista e costituzionalista è quella più logica: se non altro perché consente di sfruttare ed evolvere "l'esistente" e di non doiver reinventare la ruota (della soluzione al conflitto sociale in presenza di un'oligarchia sfacciatamente restauratrice).

      Ma temo che "culturalmente" non sia ancora matura: è proprio il problema degli schematismi ideologici novecenteschi che le forze diciamo "sovraniste" (preferirei dire "costituzional-legalitarie": ma sarebbe wishful thinking) devono consapevolmente superare.

      Speriamo che a questa soluzione, che sul piano storico e economico-istituzionale è praticamente inevitabile (nella sostanza e al di là dei "nomina"), non si arrivi dopo troppe inutili sofferenz€...

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  8. Salve a tutti, avrei una domanda (mi scuso per la eventuale banalità, ma sono argomenti nuovi per me): anche per Berlinguer, quindi, il fine doveva essere l’abolizione del suffragio universale a favore del mercato? Dal testo citato pare che lui creda nelle politiche del rigore in senso comunque democratico, ma è evidente che queste politiche sono intrinsecamente antidemocratiche.

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  9. "Di Maio è perfetto per fare lo 'Tsipras italiano' e completare la svendita del Paese."

    A me non pare per niente 'perfetto', neppure nello scenario Citygroup.

    Per tentare di fare il 'lavoro sporco' (che richiede comunque astuzia e competenza) avrà bisogno di almeno 10 teste veramente pensanti che lo affianchino h24 7/7.

    Tsipras è infatti laureato, per qualche anno ha lavorato come ingegnere civile ed è arrivato al vertice di Syriza facendo la gavetta nel partito.

    L'altro ha come unica referenza, oltre ad essere molto fotogenico, l'essere stato militante in un meet-up della prima ora e, dopo la fortuita elezione, di essere stato il vicepresidente della Camera nella scorsa legislatura.

    https://en.wikipedia.org/wiki/Luigi_Di_Maio

    https://en.wikipedia.org/wiki/Alexis_Tsipras

    Fingere di governare (specialmente nello scenario Citygroup) non è però come recitare in un film d'azione di bassa lega, in cui al regista basta scegliere un attore di bella presenza, una abile controfigura per le scene pericolose e poi affidarsi ad un buon montatore.

    Il ruolo assegnato a Di Maio (cioè di essere sia la controfigura che l'attore principale di bella presenza) è troppo ambizioso rispetto alle sue capacità e non gli riuscirà di simulare a lungo una minima competenza né nell'una e né nell'altra parte.

    A furia di gaffe il fascino del doppiopetto e del visino pulito sparirà inesorabilmente ed in ogni scena pericolosa rischierà di rompersi l'osso del collo.

    Se Renzi si è logorato in 5 anni, allora un Di Maio premier, se mai lo diventerà, non potrà durare più di un anno.

    Se gli va veramente male diventerà l'Ettore Muti del movimento.

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    1. Magari Casaleggio era veramente il genio che si dice e aveva previsto pure questo... un'orda di onestisti ingestibile che scompagina le "aspettative razionali" dei tecnocrati....

      The black swan.

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    2. La spinta a proclamare nuovi tipi di società è un contrassegno distintivo della «società della sensazione», della società sensazionalistica: una società che non è nuova per niente, bensì in costruzione da secoli. E che da tempo ha ricevuto il suo nome: società dello spettacolo. Con questa definizione Guy Debord – la testa pensante di quell’Internazionale situazionista che, grazie all’eteroclito collegamento di Marx con l’avanguardia estetica, ha rappresentato una vivace macchia di colore nel grigiore del marxismo degli anni cinquanta e sessanta – ha marchiato a fuoco lo spettacolo massmediatico come nuovo baraccone fieristico, l’eccitamento audiovisivo dell’attenzione come forma progredita dell’elogio della merce, il culto dell’immagine come feticismo delle merci estetizzato, la modernità come culmine dell’arcaico...

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    3. quasi che ciò non fosse neppure più necessario, quasi che il lavoro ai fondamenti della critica della società ormai fosse cosa compiuta e fosse abbondantemente noto ciò che sono tanto il capitalismo, quanto il feticismo delle merci, sicché l’unica necessità sarebbe quella di scrutarne le maschere più recenti. Ma questa convinzione è decisamente troppo ingenua. Se è certo che, per comprendere le sue trasformazioni, è necessario possedere un concetto di capitalismo, è altrettanto certo che la sua estetizzazione spettacolare non è solo una nuova veste che basterebbe strappar via perché, smascherata, riemerga una vecchia conoscenza. L’estetizzazione spettacolare è concresciuta con il capitalismo: è la sua pelle, non un suo velo, e costringe a ricompitare in modo nuovo gli stessi concetti già noti per essere quelli che lo definiscono nel modo più preciso. Se il feticismo, oggi, consiste nella fissazione dell’apparato sensoriale umano allo spettacolare, allora non è più ciò che può essere stato in altri tempi. Il dilavamento di tale sensorio messo in atto dal bombardamento audiovisivo cambia considerevolmente lo spettro semantico del concetto stesso di sfruttamento. E se, infine, questo bombardamento comincia a sconvolgere e «rivoltare» le connessioni nervose elementari che costituiscono il sedimento antropologico di ogni cultura, allora il termine «rivolta» acquista una sfumatura di significato non prevista in alcun modo dal vocabolario socialista. Tutti questi aspetti sono inclusi nel processo di esaltazione dello spettacolo ed esigono di essere chiariti sia in termini neurofisiologici, psicoanalitici e teologici, sia in termini di filosofia della storia e di teoria della società...

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    4. L’apparato sensoriale specificamente umano ha potuto formarsi originariamente solo concentrandosi su fenomeni sensazionali, che catturavano l’attenzione, ovvero su sensazioni primarie che scuotevano fin dentro le ossa. Il loro potere, sconvolgente e costituente al contempo, ha un nome teologico: epifania del sacr,il modo in cui nella modernità questa epifania si sia moltiplicata e inflazionata, fino a diventare irriconoscibile, negli shock audiovisivi, che vengono somministrati come fossero iniezioni. Gli shock audiovisivi rendono il sistema nervoso dipendente dal sensazionale, lo rendono assuefatto, ma esso desidera molto più di quanto possano mai offrirgli simili stupefacenti. Nel suo divenire costituzione sociale universale, l’assuefazione va concepita in termini teologici, anzi messianici: come rifugio dell’utopia.
      Nulla è più fondamentale e abissale delle sensazioni. Chi vuole seguirne gli intrighi e le peripezie finisce con l’essere implicato anche nelle «cose ultime» Türcke Christoph
      LA SOCIETA’ ECCITATA
      Filosofia della sensazione

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    5. Oh, ma sono la sola di ambo i sessi a non trovarlo fotogenico, anzi?
      Ma molto meglio il BlogPres, scusate!
      Comunque è evidente che lui come Renzi sono solo paraventi, ragazzi immagine circondati di paraveline per political correctness, selezionati in base alla fisicità e al temperamento, tanto devono solo applicare decisioni elaborate da altri. Era vero anche nei governi precedenti: ad esempio, chi crede che la riforma universitaria l'abbia voluta quella Mariastella, giurista di solida dottrina, altamente stimata ovunque abbia svolto attività politica e amministrativa? Del resto non è nemmeno detto che l'ingenuità sia un difetto: in questo contesto può giocare un ruolo positivo per presentarsi come differente e nuovo rispetto agli usurati politici precedenti, qualcosa che la sbruffonaggine villana di un nuovo Renzi non avrebbe più potuto sostenere.
      E a quanto pare il suo primo ruolo terrificante sarà la riforma presidenzialista, ovviamente con una maggioranza che renda impossibile il ripetersi del rischio referendum. Ciò che coinvolge la destra...
      Direi che per un ectoplasma non è poco.
      Citigroup va avanti benissimo, a quanto sembra.

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  10. Alla fine basta affiancargli wualche sapiente consigliere (come il keynesiano eretico all´economia). Lui deve solo andare in giro a raccontare stupidaggini. Anzi direi che l´arroganza non basta ma è necessaria una buona dose di ignoranza. In grecia si andrá nuovsmente alle elezioni? Nel caso non so se tsipras avrà possibilità

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    1. concordo, non sarebbe né il primo né l'ultimo attore a capo di un governo: basta mettergli l'auricolare, come ad Ambra.

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  11. Circa un secolo fa J. M. Keynes scriveva 'Le conseguenze economiche della pace'.

    Oggi, che pare di essere ritornati indietro al tempo dell'ultimatum alla Serbia, c'è una sola grande differenza, che appare molto più facile scrivere 'Le conseguenze economiche della guerra'.

    https://www.zerohedge.com/news/2018-03-13/russia-threatens-uk-one-does-not-give-24hrs-notice-nuclear-power

    https://www.zerohedge.com/news/2018-03-13/russia-threatens-military-action-against-us-if-washington-strikes-syria

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    1. Sì: e la Merkel aveva preventivamente scordato la Brexit per unirsi, nel fare il muso duro, alla May. Non contenta di aver già innescato la guerra commerciale con gli USA.

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    2. Queste sono cose serie per cui qualsiasi esistenzialismo si annichilisce o, viceversa, si manifesta come rispetto di ogni più piccolo dolore come la più atroce delle sofferenze umane.

      Eppure io ci trovo del sardonico humour:

      "One does not give 24 hours notice to a nuclear power."

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    3. Comunque la crisi sta per fortuna rientrando.

      Pare che nessuno nella NATO voglia seguire l'avventurismo UK.

      http://tass.com/world/993926

      Ma allora perchè fare una uscita così infelice, che certamente porterà ad una ulteriore perdita della già scarsa (vedi precedenti di Blair) credibilità inglese?

      Se fossi un sociopatico euroinomane potrei dire per rallentare e/o scongiurare la Brexit: si potrebbe infatti ora dire "visto? UK fuori da EU non è nessuno...".

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