mercoledì 3 maggio 2017

LA SCENEGGIATURA: IL TRUMAN SHOW IN ATTESA DELL'ABOLIZIONE DEL SUFFRAGIO UNIVERSALE



1. Vi ricordate le elezioni in Olanda?
Il loro problematico esito è stato indicato come una prima significativa battuta d'arresto dei populismi. E in quel caso pareva particolarmente verosimile, dato che il populista di turno ce l'aveva con l'€uropa solo per via dell'immigrazione (e dell'alterazione dell'identità e bla, bla bla, a fini di puro conflitto sezionale, ignorando quello sociale): 
"L'opinione prevalente sull'esito delle elezioni conseguente a questo quadro è che "non molto cambierà a parte un controllo più severo sull'immigrazione". 
Ma questo perché l'attuale reazione "populista" all'UE-M, si muove anch'essa proprio sul piano del controllo di ciò che gli uomini devono credere e di ciò per cui si debbano affannare; e quindi, a nostro parere, non ha mai posto un problema di rimessa in contestazione del paradigma mercatista oligarchico alla base della creazione della moneta unica.
Di certo questo paradigma non è stato al centro della campagna elettorale in Olanda: i populismi si autosqualificano da soli, quando si limitano a scimmiottare la visione di fondo degli ordo-liberisti €uropei, cercando solo di contrastare gli effetti, e solo parte di essi, dell'applicazione del paradigma supply side e del lavoro-merce ma, in fondo, lasciando i propri seguaci fermi nel credere che non ci sia un altro mondo migliore di quello...".

2. Risultato: il governo in Olanda non risulta ancora formato, e dal sito ufficiale, attualmente, campeggia ancora la compagine di ministri e l'accordo di coalizione (del 2012!) uscenti e formatisi nella precedente legislatura. 
La cosa curiosa è che i punti essenziali di tale accordo di coalizione, ci scommetterei una cena al Quinto/Quarto (fanno la coda alla vaccinara secondo la rigorosa ricetta tradizionale e sono stati premiati per la Carbonara), saranno quasi integralmente riprodotti dal "nuovo" governo di prossima coalizione
Come dire: tra non molto, se ne usciranno vari "operatori razionali" per proporre come quesito divenuto (ormai) retorico: "ma perché votare se si perdono soldi e tempo per ri-assumere decisioni già prese"?
Di tale "precedente" accordo programmatico vi riproduco i capisaldi: potete andare a cliccare su ciascuno di essi e vi accorgerete che potrebbero essere indifferentemente presi, per lessico, cultura (macro)economica e struttura (ideo)logica, per il programma di Macron o, come abbiamo documentato, per un country report della Commissione UE:

O potrebbero essere assunti come base programmatica da una qualsiasi partito €uropeista, progressista, liberoscambista e moderato che guarda al centro, al supply side e alla competitività, ma "con attenzione per i problemi del sociale e le nuove sfide della globalizzazione". 

Dicono che Geert Wilders, il populista a cui non stava bene (in Olanda, beninteso) l'€urosistema dell'immigrazione no borders, non sia "reperibile" per le consultazioni, mentre, giustamente, mentre, dimostrando...straordinarie capacità negoziali e senso di responsabilità (aspetti almeno in teoria considerati essenziali in politica), i leaders di tutti gli altri partiti si rifiutano di averci a che fare, nonostante il PVV sia risultato il secondo partito più votato.

Forse i media internazionali, e olandesi, si preoccupano per la mitologica "governabilità"?
"Dalla seconda guerra mondiale, i governi hanno avuto un tempo medio di formazione di 72 giorni, da paragonare alle 4-6 settimane necessarie per formare una tipica coalizione in Germania. Il record olandese sono i quasi sette mesi necessari nel 1977, ma anche ciò impallidisce rispetto al suo vicino, il Belgio, che dopo le elezioni del 2010 ha impiegto 541 giorni per arrivare a un accordo di coalizione". 

316 giorni per formare un governo conservatore "di minoranza" in parlamento (dopo ben due elezioni rivelatesi inutili a chiarire una precisa maggioranza): un governo che si regge sull'astensione "collaborativa" (!) dei socialisti, che non hanno interesse a sottoporsi a una terzo voto politico in tre anni, dato che temono di uscirne letteralmente distrutti. 
Com'è in effetti accaduto al partito socialista in Francia (al primo turno delle presidenziali e in attesa delle politiche di giugno; v. Hamon) e, obiettivamente, com'è accaduto in Olanda, ai "socialdemocratici". 
Basti vedere questi rispettivi risultati elettorali:

 Infografik Prognose Parlamentswahl Niederlande - Dutch elections
https://massimolizzi.files.wordpress.com/2017/04/risultati-presidenziali-francesi-2017.png?w=660

5. Su "Il Messaggero" di oggi (pag.13), uno storico francese (specializzato nella Rivoluzione e nel periodo del Terrore), prevede una più che probabile vittoria di Macron, ma con queste prospettive di governo effettivo:
"R: ....Macron ha avuto dalla sua i media e la magistratura. Fillon, anche se non era colpevole (?) e ha subito un attacco giudiziario e mediatico, ha avuto la colpa politica di dar per scontata la sua moralità alla De Gaulle per poi finire sotto inchiesta. Per questo l'astensione sarà alta e la vera battaglia sarà quella per le legislative...
Domanda: Macron conta sulla razionalità dell'elettorato per ottenere una maggioranza parlamentare. Ci riuscirà?
R: Non è escluso. Ma resta da capire come, con metà dei parlamentari al primo incarico e dunque poco radicati nel territorio. La situazione è imprevedibile. Un sistema a tre partiti è diventato fuori corso, e a quattro non si vede come Melenchon e il Ps possano riconciliarsi. 
L'unico vincitore mi sembra Melenchon, che ha messo insieme la sinsitra della sinistra e una parte dell'elettorato antisistema alla Podemos o alla Cinque Stelle. Per questo tace sulle indicazioni di voto: sa che c'è chi vota Le Pen e non tornerà a votare per lui.
Macron rappresenta la frattura tra Est e Ovest, tra l'elettorato rurale e urbano, prossimità alle frontiere e distanza, ma rischia anche lui di non avere una maggioranza chiara...
Oggi...Macron rischia di non avere una maggioranza in parlamento e di contentarsi del voto volta per volta...".

6. E quindi, come in Italia, si conferma che la "governabilità" (qui, pp. 2.1.4 e ss.) è una qualificazione di tipo tecnico-istituzionale che, se assunta come valore autosufficiente (cioè come indicatore di un'astratta funzionalità organizzativa che non si cura più del raggiungimento dei fini costituzionali dell'organizzazione stessa), finisce per assorbirne ogni altro, cioè per rendere irrilevante ogni contenuto e fine dell'indirizzo politico-elettorale.
Quest'ultimo, in teoria, dovrebbe risultare corrispondente alle esigenze che l'elettorato, ed anche la obiettiva realtà socio-economica, cercano di segnalare al sistema pseudo-rappresentativo dei partiti; ma, ci si accorge che, come giustamente, ha detto Draghi (ispirandosi a Friedman; qui, p.1, "addendum"), l'indirizzo politico è fissato da un "pilota automatico".

7. A questo punto della vicenda €uropea di desovranizzazione, quindi, la rappresentatività contingente dei partiti non è più decisiva, perché essi, abbiamo visto, si identificano in contenuti programmatici indifferenti alla cinghia di trasmissione elettorale delle reali esigenze e bisogni dei popoli interessati. 
Questi contenuti programmatici sono ormai ridotti alla parafrasi o alla scomposizione formale, ma rispettosa delle priorità sostanziali, delle indicazioni politico-economicho-fiscali dettate dalle istituzioni UE-M. 
Piccole schermaglie, su diversi modi di intendere i diritti cosmetici, ovvero sui tempi di realizzabilità delle misure consigliat€, vengono appositamente ingigantite dallo spin mediatico che, anche in tal modo, si premura essenzialmente del fatto che non venga comunque messo in discussione "l'ordine internazionale dei mercati" (qui, p.5: da rileggere in ogni caso...).

8. Anzi, si potrebbe persino dire che l'apparente frammentazione partitica attuale sia un bene per il "governo dei mercati": restituisce alle masse una sceneggiatura di contendibilità delle istituzioni (democratico-elettive) su varie, apparenti, versioni dell'indirizzo politico e così allontana la presa d'atto popolare sull'abolizione delle sovranità democratiche.
La sceneggiatura di una grande reality sedativo stile "Truman show".
E dunque, aveva pienamente ragione Reichlin (qui, p.8.1.):
"I mercati governano, i tecnici gestiscono, i politici vanno in televisione".
E questa è l'€uropa: ora più che mai.
Perché il problema di fondo rimane sempre questo:
"Se un "governo" sovranazionale free-trade non è strutturalmente idoneo ad autoriformarsi per via endogena (e le ragioni sono le stesse per cui i paesi non vincolati dalla bdp, cioè in surplus, non risultano praticamente mai, nella storia economica, aumentare le proprie importazioni e raggiungere il pieno impiego, cooperando spontaneamente a riequilibrare i saldi esteri e i livelli di occupazione dei paesi "vincolati"), ne deriva una struttura della massima rigidità.

E una tale struttura può solo collassare, escludendo, geneticamente, qualsiasi elasticità delle sue regole: se infatti fosse prevista una clausola di "elasticità", la sua governance riterrebbe di perdere la "credibilità" necessaria per affermare i suoi fini naturali.

E in fondo, è ciò che ci va ripetendo, ogni volta che ne ha l'occasione, Mario Draghi.
Anzi, precisa che qualsiasi alternativa a tale rigidità istituzionale è "unrealistic".


Quindi il destino delle masse €uropee è segnato".


9. Una volta fissato l'autosufficiente valore della governabilità ex se, come esercizio di gestione tecnocratica conforme alla volontà dei mercati, e quindi, giunta a consunzione totale la stessa funzione originaria delle elezioni, - venuta a noia ai mercati che governano, nonché ai cittadini, che sempre più tenderanno ad astenersi per l'inutilità, prima ancora che per la difficoltà, di identificare una volontà del corpo elettorale-, si hanno drammatiche conseguenze sul piano della futura sopravvivenza dei riti elettorali
Ed infatti, con sempre più insistenza (mediatica), si sta affermando una crescente intolleranza per il voto, in quanto "di protesta" (per il peggiorare delle condizioni sociali del lavoro, essenzialmente) e come tale inefficiente. E, con prevedibile coerenza, dovrebbe avere i giorni contati (in €uropa):

"Si rassicurasse: anche con laurea magistrale, il regime del mercato del lavoro e la struttura dell'offerta "competitiva" sono tali che la schiacciante maggioranza dei giovani "qualificati" rimane disoccupata. Ergo potenzialmente dedita a "inconsulti" comportamenti di protesta.

Certo, poi, a questi è più facile propinare, come fanno i Riotta e i Severgnini, che la colpa di ciò è della corruzione, degli sprechi e degli inauditi privilegi parassitari della generazione precedente.

In pratica, quello che ci raccontano costoro è che il sistema di propaganda mediatico-culturale funziona molto meglio con chi è "formato" fino in fondo mediante il suo rigido e spietato preorientamento (pop) della realtà.

Non funziona, invece, con chi, in modo molto più pratico, si è già cimentato nel tentativo di inserirsi nel mercato del lavoro, ma non avendo, prima, completato il percorso coattivo che porta alla identificazione degli interessi degli oppressi con quelli dell'oligarchia...

Nelle ONLUS che propugnano i diritti cosmetici, infatti, non c'è posto per tutti (per sbarcare il lunario sentendosi "cittadini/e del mondo").

E la soluzione di "condizionare" ancor meglio la massa a dosi massicce di politically correct, colpevolizzazione e conflitto generazionale, può solo ritardare di "un po'" il rigetto del corpo sociale per l'oligarchia.
Anzi: al momento della "saturazione" anche di queste fasce sociali, la reazione sarà ancora più radicale...

Un default del sistema di irregimentazione che viene dunque sopravvalutato e che non sposta di una virgola gli effetti sociali di lungo termine dell'ordine internazionale del mercato.
Insomma: stanno alla frutta e se queste sono le loro "risorse culturali" e strategiche, come potranno sopravvivere fino al prossimo giro di consultazioni elettorali?
Non potranno: dovranno abolire il suffragio universale.
Anche dei laureati..."



lunedì 1 maggio 2017

IL PRIMO MAGGIO DELL'ITAL-TACCHINO

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1. La "festa del lavoro", anche in ragione delle vicende storiche che, in varie parti del mondo, gli hanno dato vita, è una locuzione abbastanza chiara che non si dovrebbe prestare ad equivoci. Quantomeno, storicamente, rinvia al potere organizzato dei lavoratori di ottenere un orario di lavoro dignitoso (le 8 ore), sottraendolo alle pure leggi del mercato.
Ma, - come abbiamo visto avvenire praticamente su tutti i concetti e i temi della democrazia pluriclasse instauratasi a seguito dell'esito della seconda guerra mondiale e della consapevole ricognizione dei suoi processi causali (si veda il fondamentale intervento di Ruini, in Costituente, proprio in replica a Einaudi) da parte dei vari legislatori del tempo, una festa del lavoro, oggi, appare ideologicamente "obsoleta".
Ed lo è certamente, obsoleta, se si pensa che, certamente dentro l'eurozona, e in tutta l'UE (ma non solo), si parla, in modo assolutamente consolidato, di "mercato del lavoro", e di connesse esigenze "sociali" funzionali ai "bisogni del mercato": sicché la flexicurity viene fatta passare come una forma di attenzione al "sociale", considerandosi le prevalenti esigenze del mercato, imposte dalla globalizzazione istituzionalizzata, come un fenomeno inevitabile e essenzialmente equiparato agli...eventi meterologici. Un fenomeno col quale dobbiamo convivere, per sempre, perché tale è lo stato di "natura".

2. Una redifinizione "nuovista" e modernamente €uropea del 1° maggio, quindi naturalmente-naturalista (laddove appunto la ri-scoperta di leggi naturali sarebbe un segno di progresso in quanto caratterizzata dalla scientificità più rigorosa), basata su questa nuova versione del "sociale" - e Dio sa quanto questo vocabolo sia considerato tatticamente importante da Hayek (qui, primo paragrafo), Einaudi (qui, pp. 8-11), Roepke (qui, p.6) e via dicendo-  dovrebbe farlo ridenominare "festa del mercato del lavoro". 
E se il mercato si applica al lavoro, a questo si deve naturalisticamente applicare la mera legge della domanda e dell'offerta considerandolo una merce che va acquisita come "fattore della produzione" e, dunque, riducendone il costo in ogni modo possibile e prioritariamente considerato conveniente sul lato dell'offerta.
Considerandosi dunque la prevalenza incondizionata del vincolo sovranazionale, specie in tema di lavoro (dato che per la nostra Corte costituzionale, cfr; qui, p.3, ciò che incide sui "rapporti economici" non ha influenza sui rapporti politici e sociali!), oggi, una €uropeisticamente legittima festa del lavoro, diviene la festa della "competitività" e del supply side
Senza alcuno spazio per quello che Einaudi - e, insieme con lui, i liberisti fautori del gold standard (qui, pp. 6-9) come soluzione alla crisi seguita alla prima guerra mondiale-, denominava come protezionismo operaio (guerrafondaio di per sè, naturalisticamente parlando).

3. Nel far ciò, Einaudi, (nel 1910!) rendeva esplicitamente conto dell'auspicata connessione tra immigrazione, condizioni di libero mercato del lavoro e, naturalmente, stabilità monetaria (i partiti socialisti ed i sindacati operai dei paesi che chiamansi più evoluti e il cui proletariato si è presa l’abitudine di indicar col nome di cosciente, invocano ogni giorno…l’istituzione di alte barriere contro la concorrenza non più delle merci, bensì degli uomini che potrebbero produrre le merci a basso costo)
E questa connessione trova una straordinaria omogeneità nell'interpretazione del medesimo fenomeno, solo visto dall'angolazione opposta, compiuta da Marchais nel 1981: solo che a quest'ultimo, travolto dall'accusa di "razzismo", secondo un nuovo e curioso concetto, nel frattempo invalso nella neo-lingua della restaurazione ordoliberista, non riuscì di farsi ricordare. Almeno tra coloro che si richiamavano, e si richiamano, alle istanze socialiste e desinistra.

4. Sul punto ci riportiamo ancora alla spiegazione complessiva del fenomeno fatta da Galbraith, (ovviamente anch'essa tacciabile di essere "obsoleta"): 
"Il monetarismo...l'effetto di restrizione indotto dagli alti tassi (reali) di  interesse sulle spese per beni di consumo e sugli investimenti...aveva funzionato, com'era evidente, producendo una grave crisi economica, un rimedio non meno doloroso del male. 
Il "successo" di questa politica negli USA fu il risultato anche di una circostanza affine e poco prevista dagli economisti:...l'eccezionale vulnerabilità della moderna società industriale ad una combinazione di politica monetaria restrittiva, degli alti tassi di interesse, e dei risultanti tassi di scambio avversi (ndr: cioè una moneta troppo forte..cosa che ci riporta gli attuali giorni dell'euro).
Che la disoccupazione - indotta dalla politica monearista e da alti tassi di interesse- diminuisse il potere di contrattazione dei sindacati non era affatto sorprendente.
L'economia ortodossa accettava che la disoccupazione avesse l'effetto di condurre a diminuzioni di salari; era in tal modo che si conseguiva la piena occupazione neo-classica. Il sindacato era una forza che si opponeva a questo assestamento; se la disoccupazione era abbastanza grave, il sindacato doveva cedere".
...
"Risultò però imprevisto l'effetto sulle imprese. Nelle industrie dell'acciaio, dell'automobile, della macchine utensili, delle attività estrattive, nelle linee aeree ...l'effetto complessivo di quella politica, compresa la concorrenza straniera, condusse ad una riduzione delle vendite, determinò un'estesa inattività degli impianti e minacciò il fallimento e la cessazione delle attività.
In questa situazione i sindacati furono costretti non solo a dimenticarsi degli aumenti salariali ma anche a contrattare su riduzioni dei salari stessi e delle forme di assistenza.
Pur potendo ignorare in qualche misura le sfortune dei lavoratori disoccupati - la maggioranza era ancora occupata e aveva ancora una voce in capitolo decisiva-, non potevano i sindacati ignorare la minaccia della disoccupazione per tutti i lavoratori, minaccia che si sarebbe potuta concretizzare se uno stabilimento o un'intera industria avessero dovuto chiudere.
E quella divenne una prospettiva verosimile all'inizio del 1980 in un certo numero di industrie pesanti americane.
In precedenza non ci si era resi conto che un'azione forte del sindacato richiedeva una posizione forte dell'imprenditore. L'indebolimento della posizione di quest'ultimo determinava un grave indebolimento anche del sindacato...".

5. Siccome non è mia intenzione fare un trattato e ripetere cose che, come attestano i links finora immessi (e quelli a loro volta contenuti nei posti linkati), abbiamo detto molte volte, vorrei però sottolineare la valenza italiana che assume oggi la festa del lavoro, derubricata, in chiave di supremazia del vincolo €uropeo, a "festa supply side del mercato del lavoro perfettamente flessibile & della competitività" (ovvero "del vincolo esterno").
La questione è presto detta: dal momento in cui la stabilità monetaria, la liberalizzazione dei capitali, della forza lavoro e delle merci, con la perfetta flessibilità del prezzo del lavoro (cioè l'ordine internazionale del mercato pp. 3-4), divengono la cornice politico-istituzionale priva di alternative (l'alternativa della legalità costituzionale è infatti "obsoleta", inefficiente e comunque assoggettabile a illimitata abrogabilità di fatto da parte delle regole €uropee), occorre rammentare che:
"Nulla più della globalizzazione istituzionalizzata indulge a rilevare gli effetti del "vincolo esterno", cioè dell'indebitamento commerciale (e quindi privato) con l'estero dei vari paesi. E a trarne le conseguenze in termini di politiche che si impongono sui singoli Stati nazionali: politiche, a loro volta, riflesso automatico e condizionale delle regole precostituite nei trattati e per l'azione delle istituzioni organizzate che essi prevedono".


6. Altro che festa del lavoro dunque: la "festa supply side del mercato del lavoro perfettamente flessibile&della competitività" è il punto culminante di questa sequenza vincolistica €uroprogrammatica (p.6):
- instaurazione dell'area di libero scambio
- adozione di una moneta unica
- innesco degli squilibri commerciali
- stato di necessità insito nella privazione della moneta nazionale (come tale sovrana e democratica)
- accesso all'unica via di uscita delle riforme strutturali incentrate sulla precarizzazione e flessibilizzazione del lavoro
- loro recepimento sanzionato dalla mancata concessione della liquidità necessaria per far fronte al debito verso i paesi creditori dell'area.
7. Il fatto è che gli italiani, - in modo diffuso, e dunque anche, e inammissibilmente, in una parte consistente della classe lavoratrice-, "sono nel loro complesso fortemente patrimonializzati, rispetto allo standard considerato ammissibile dal paradigma ordoliberista (almeno per un paese "inferiore", in quanto "porco", che non fa mai abbastanza le "riforme").   
Sempre rammentanto che il sistema €-ordoliberista delle "riforme" è uno strumento strategico per instaurare il modello socio-economico che piace a Wall Street, per i motivi molto ben indicati da Bazaar in due commenti in successione Tanto più che, come evidenziava De Grauwe, tale ricchezza è anche meglio distribuita che negli altri grandi Stati dell'eurozona, cioè appartiene a tanti, invece che a pochi (brutti italiani, cattivi, che se la godono senza meritarselo!).   
Un difetto non da poco agli occhi degli ordoliberisti tedeschi e loro organi €-satellitari e che, come al tempo delle guerre delle cannoniere, un egemone colonialista, non può tollerare (e, infatti, la Cina, paese più ricco del mondo, sul finire degli anni '30 dell'800, se ne accorse a sue spese)".
Ergo: occorre, con ogni mezzo, porre gli italiani nella condizione di DOVERSI indebitare (preferibilmente verso creditori esteri) e di essere "vincolati" a "realizzare" la loro garanzia patrimoniale, così ghiotta, escogitando una serie di meccanismi collegati per renderli insolventi (cioè incapaci di ripagare il debito con i loro redditi).

Lo schema funziona così: fingendo strumentalmente di voler individuare nel debito pubblico la causa della crisi economica (specifica dell'area euro), si era arrivati, in realtà, a una prima spennatura: in nome degli spread, propinando che il debito pubblico italiano, nel 2011, fosse insostenibile, quando ciò non era vero, come ben sapevano gli stessi ideatori di questo primo attacco. 
L'effetto-Monti (che trova però ampi antecedenti nelle manovre a raffica di Tremonti e un seguito nella coerenza dei governi sucessivi, fino ad oggi), ha, ad una prima "lettura", portato alla distruzione della domanda interna per correggere gli squilibri dei conti con l'estero, mentre si è comunque finanziato allegramente il meccanismo dei fondi europei (ESFS e ESM), a effetto cumulativo di indebitamento pubblico italiano pro-domo dei sistemi bancari di Germania e Francia".

8. Mai come su questa "edizione" della "festa supply side del mercato del lavoro perfettamente flessibile & della competitività" incombe un "arifate presto" di dimensioni fiscali magnificate (in senso percettivo-quantitativo e anche "enfatico) e, ove effettivamente realizzato, a carattere "finale".  
Ce lo dice chiaramente il DEF, a pag.5, nella sua parte effettivamente rilevante: quella che quantifica la misura del consolidamento fiscale (dichiaratamente orientato più alla nuova spending review che alla maggior imposizione fiscale, limitata, parrebbe, a misure di contrasto dell'evasione e di ampliamento della base imponibile mediante riduzione di detrazioni e deduzioni fiscali...trattasi, in quest'ultimo caso di "illusione finanziaria", ma transeat...).

9. Un punto di PIL all'anno di consolidamento fiscale per i prossimi due anni, dunque, non ce lo toglie nessuno. 
Basta confrontare l'ammontare del crescente avanzo primario che viene garantito (all'€uropa) dal DEF, da attestare in prossimità del 3% del PIL già nel prossimo anno, per salire verso il 4% nei due anni successivi.
Ora questa misura di intervento fiscale, certamente gradito all'€uropa che lo richiede (anche più drasticamente e rapidamente), risulterà inevitabilmente deflazionista e orientata a far aumentare ancora la disoccupazione/sottoccupazione e, di conseguenza, l'insolvenza di famiglie e imprese

10. Dunque, mai come in questo 1° maggio, - ancor più che in quello che seguì l'estate del 2011 (dati i livelli di partenza del reddito e della disoccupazione)-, la prospettiva è quella della realizzazione della garanzia patrimoniale collettiva, e privata, delle famiglie dei lavoratori.
Di questo scenario incombente, dei suoi effetti macroeconomici e occupazionali effettivi, non si parla oggi, 1° maggio 2017. Si parla di tutt'altro. 
Chissà perché. 
Certamente non ne parlano i sindacati che, pure, oggi più che mai, dovrebbero essere in allarme rosso, cioè letteralmente "non dormirci la notte", per le prospettive che la presenza italiana nell'eurozona (col suo cumulo di obblighi incessanti), proietta sul "mercato del lavoro".
Festeggiamo invece la "competitività" e l'apertura illimitata del mercato del lavoro: non sia mai che si sia protezionisti, confondendo tale non univoco concetto col vincolo esterno, artificialmente imposto in via istituzionale dai trattati €uropei...