ANTEFATTO.
Tralasciando per il momento la "questione ambientale" (per il cui ulteriore approfondimento rinvio a questo commento di "Correttore di Bozzi"), per l'argomento in questione muoverei da quanto ricordatoci da Arturo nella sua lunga citazione di Losurdo (La sinistra assente di Losurdo (Roma, Carocci, 2014, pp. 261 e ss.):
"Ma diamo uno sguardo alla storia del colonialismo nel suo complesso.Il Terzo Mondo e la «grande divergenza» a danno di esso sono in larga parte il risultato della deindustrializzazione e della decrescita imposte dall’aggressione colonialista e dall’apertura subitanea e violenta del mercato nazionale alle merci più a buon mercato provenienti dalla metropoli imperialista; un’apertura subitanea e violenta anche perché finalizzata al mantenimento e al rafforzamento del dominio coloniale: ancora nel 1810 la Cina vantava un prodotto interno lordo che costituiva il 32,4% del prodotto interno lordo mondiale mentre « l ’ aspettativa di vita cinese (e quindi la nutrizione) era circa a livelli inglesi (e perciò sopra la media continentale) persino a fine Settecento». Non molto diversa è la storia dell’ India che, sempre nel 1810, contribuiva per il 15.7% al p i l mondiale (Davis, 1001, p. 299). Proprio in seguito all’aggressione coloniale i due grandi paesi asiatici sono stati investiti da un ciclo di progressiva decrescita e sono caduti in una miseria disperata e fatale per milioni e milioni di persone; ed è per porre rimedio a tale situazione che si è imposta una politica di sviluppo autonomo."
Il tema, e ormai lo dovremmo sapere, è stato ampiamente trattato da Chang ne "The Bad Samaritans", anche con riferimento ai dati del secondo dopoguerra, come trovate illustrato qui e qui (notare che, così come ai nostri giorni, col colonialismo del liberoscambio e del gold standard, nessuno cresceva in modo rilevante e, ovviamente, le industrie altamente inquinanti proliferavano eccome, mentre, più che mai, "le risorse erano scarse", tanto che ne derivarono ben due guerre mondiali).
1. Per entrare in tema, rammentiamo che abbiamo cercato di definire le caratteristiche che contraddistinguono il colonialismo, rispetto all'area etnico-politica che lo subisce, collegandolo, nei tempi moderni, ai mutamenti che il capitalismo impone al demos, identificabile per legami territoriali di "prossimità" nonchè linguistici; dunque ai cambiamenti "strutturali" insiti in un capitalismo inevitabilmente, liberoscambista, nella sua forma più libera dai freni delle democrazie sociali sovrane, ovvero "globale" di stampo anglo-sassone (quando non fosse stato direttamente evoluto, come in un passato non troppo lontano dell'Europa, da un sistema imperiale multietnico e a base feudale, forma politicamente diversa ma che presentava gli stessi caratteri fondamentali):
"Il
"nuovo" (che si connette alla trasformazione generalmente derivante dall'instaurarsi del sistema capitalista), quindi, riflette l'affermazione di interessi prevalenti "oligarchici" e
normalmente contrapposti a quelli della maggioranza, all'interno della
comunità. E ciò anche quando, come spesso, anzi per lo più, si verifica, nascano da un'azione "innovativa" che si produce dall'interno della comunità "linguistica" medesima.
Da questa disomogeneità di interessi ed effetti, interni alla comunità "etnica" precedentemente identificabile, e promossa da forze espresse dalla stessa comunità, va naturalmente eccettuato il caso eclatante del mutamento indotto dalla guerra di conquista coloniale, in tutte le sue forme, "moderne" e più recenti.
Riservandoci un maggior approfondimento, la conquista coloniale è quella operata da un gruppo vivente su un distinto territorio, avente una distinta lingua e tradizione culturale, e tesa ad instaurare uno stabile e unilaterale assetto predatorio delle risorse del gruppo territoriale assoggettato, che viene controllato da un governo che:
a) è situato, nel suo vertice decisionale, nel territorio del gruppo dominante;
b) esclude istituzionalmente la partecipazione di esponenti del gruppo assoggettato a ogni forma di governo e di determinazione dell'indirizzo politico.
Da questa disomogeneità di interessi ed effetti, interni alla comunità "etnica" precedentemente identificabile, e promossa da forze espresse dalla stessa comunità, va naturalmente eccettuato il caso eclatante del mutamento indotto dalla guerra di conquista coloniale, in tutte le sue forme, "moderne" e più recenti.
Riservandoci un maggior approfondimento, la conquista coloniale è quella operata da un gruppo vivente su un distinto territorio, avente una distinta lingua e tradizione culturale, e tesa ad instaurare uno stabile e unilaterale assetto predatorio delle risorse del gruppo territoriale assoggettato, che viene controllato da un governo che:
a) è situato, nel suo vertice decisionale, nel territorio del gruppo dominante;
b) esclude istituzionalmente la partecipazione di esponenti del gruppo assoggettato a ogni forma di governo e di determinazione dell'indirizzo politico.
Insomma, (al di fuori del caso del colonialismo, e peraltro solo tendenzialmente), parlare una lingua o un dialetto comuni non elimina il fatto che alcuni - pochi e autoproclamatisi "legittimati" al di sopra delle vecchie "prassi e usanze"-, in
quanto divenuti capaci di dirigere l'assetto sociale, si avvantaggiano a
danno di altri che, pur condividendo lo stesso idioma (e una certa tradizione territorial-culturale), subiscono le decisioni dei primi."
2. Vale ora la pena di fare una precisazione: l'eccettuazione della colonizzazione dal "corso" generale dell'innovazione capitalista, non si contrappone ad esso ma ne costituisce una forma complementare. In altri termini, il colonialismo delle aree forti (economicamente e militarmente) verso quelle più deboli, non è una deviazione contraddittoria del capitalismo, ma una sua speciale manifestazione legata all'imperialismo che si lega connaturalmente al liberismo (ovvero alla sua esportazione politica che accompagna e consolida quella intesa in senso economico: altro che esportazione della democrazia!).
Quindi, la forma complementare del colonialismo risulta storicamente quasi immancabile; cioè, una tendenza ricorrente che, ferme le sue caratteristiche essenziali, si rinnova ai nostri giorni in forme politiche (solo) apparentemente nuove, lasciando inalterata la sostanza dell'allargamento dei mercati dell'area politica dominante a danno dell'area "dominata".
Quindi, la forma complementare del colonialismo risulta storicamente quasi immancabile; cioè, una tendenza ricorrente che, ferme le sue caratteristiche essenziali, si rinnova ai nostri giorni in forme politiche (solo) apparentemente nuove, lasciando inalterata la sostanza dell'allargamento dei mercati dell'area politica dominante a danno dell'area "dominata".
Ma, va chiarito, anche all'interno di quest'ultima, o meglio del gruppo etnico-linguistico "dominato", esiste una riproduzione del conflitto sociale, sebbene, appunto e proprio a seguito dell'assetto (neo)coloniale, trasposta all'interno di una gerarchia (sostanzialmente simile a quella feudale).
L'elite del paese dominante, infatti, si serve efficacemente di una elite designata, ma pur sempre subordinata, del paese dominato, per imporre la effettività del sistema.
La elite dei "colonizzati" collabora per un proprio vantaggio e ottiene, almeno nelle intenzioni, di risolvere il proprio problema di controllo sociale, all'interno del conflitto sociale che avrebbe comunque dovuto fronteggiare, pur rinunciando alla piena potenzialità dei propri profitti economici.
3. Insomma, essendo il controllo istituzionale il vero scopo ultimo del neo-liberismo (Kalecky, ma anche Kalergy, da visioni opposte, ce lo indicano chiaramente), la sua globalizzazione, inscindibilmente preannunciata dalla liberalizzazione dei capitali e dalle "banche centrali indipendenti", fa accontentare le elites locali che tendono, abbastanza di buon grado, ad accettare la subordinazione strutturale del proprio potere economico, nonchè del proprio ruolo politico (confinato a quello di "delegati" o "margravi" come abbiamo visto qui) in cambio della c.d. stabilità.
La stabilità politica e sociale invocata dalle elites, sia dominanti che "delegate", coincide poi con quella monetaria, che è null'altro che un modo di dire che si pone sotto controllo il mercato del lavoro, quindi la causa considerata come determinante ed essenziale dell'inflazione (che è percepita come ragione principale della perdita del vantaggio fondamentale perseguito, cioè la continuità dell'assetto sociale instaurato).
Hayek, con implicazioni attualissime viste qui, e, in parallela "convergenza", Einaudi, con articolati ragionamenti (v.addendum), sono piuttosto chiari sul punto: entrambi dimenticano che se è vero che anche un "salariato" è un creditore, ciò non vale per la condizione a cui le politiche monetariste e deflazioniste lo portano: quella di disoccupato, che non deve avere alcun salario da nessuno (tanto più che entrambi considerano il sistema pensionistico pubblico un bieco "privilegio" da limitare, o meglio da estirpare, limitando ancor più la stessa astratta possibilità di quel creditore "piccolo" che dovrebbe essere, chissà perchè, il primo interessato alla deflazione).
4. Vi riporto quindi un interessante brano illustrativo del fenomeno di gerarchia e sottoordinazione decrescente, e quindi di asservimento "stratificato", che comporta il colonialismo, anche nelle sue forme nuove ma sostanzialmente identiche, mediante il collaborazionismo delle elites locali.
Lo ritraggo da una poderosa trilogia di romanzi, su questo tema, scritti da un autore indiano di cultura anglosassone, Amitav Ghosh, in particolare da "Diluvio di fuoco" (Neri Pozza, 2015, pagg.60-61).
In breve, si tratta di una conversazione tra un "informatore" bengalese, residente a Canton per varie disavventure, e un mandarino della "intelligence" cinese, nel pieno della crisi dell'oppio tra Cina e Inghilterra:
"...All'epoca gli ufficiali cinesi erano giunti alla conclusione che i sepoy erano schiavi e che gli inglesi non si fidavano delle loro capacità di combattenti, e che per questo se n'erano andati da Macao senza opporre grande resistenza.
"Ma i sepoy non sono schiavi" Ho protestato. "E al pari dei soldati inglesi vengono pagati".
Ricevono lo stesso onorario dei soldati inglesi dai capelli rossi?
"No" ho dovuto riconoscere. "Sono pagati molto meno, circa la metà".
Vengono trattati allo stesso modo? Mangiano e alloggiano insieme, le truppe indiane e quelle inglesi?
"No" ho ammesso "Alloggiano separatamente e ricevono un diverso trattamento".
E gli indiani possono raggiungere posizioni di comando? Ci sono ufficiali indiani?
"No" ho detto "I ruoli di comando sono riservati agli inglesi".
...Perciò gli indiani combattono per una paga inferiore, sapendo che non potranno mai raggiungere posizioni di comando. Giusto?
"...Ciò che voi dite è vero".
Ma allora perché combattono?
Non sapevo cosa rispondere. Come fai a spiegare una cosa che tu stesso non capisci? Mi sono limitato a dire: "Combattono perché è il loro lavoro. Perché è così che si guadagnano da vivere".
Dunque vengono da famiglie povere?
"Vengono da famiglie di agricoltori" ho detto. "Vengono da certe zone all'interno del paese. Ma non sono poveri, molti vengono da famiglie di alto rango e molti sono proprietari di terre".
...Perché dunque rischiano la vita, se non per necessità?
"Be'" ho detto "è difficile da spiegare, ma è perchè molti appartengono a clan" - non riuscivo a trovare una parola per "casta"- che si sono sempre guadagnati da vivere combattendo. Dichiarano la loro lealtà a un capo e combattono per lui. Un tempo i loro capi erano sovrani indiani, ma da qualche anno la Gran Bretagna è diventata la maggiore potenza. Da allora i sepoy combattono per gli inglesi come prima facevano per raja e nawab. Ai loro occhi non fa una grande differenza".
5. Il tema ritorna poco dopo (pag.89), nel romanzo, in un'altro dialogo che si svolge tra un vecchio soldato-proprietario terriero e un sottufficiale dei sepoy, reclutatore per conto della Compagnia delle Indie (entità formalmente commerciale che, inizialmente, esercitò il controllo politico-militare di colonizzazione inglese, rispondendo però alla Corona, oltre che ai suoi "investitori").
Il passaggio è cruciale, se rammentiamo le ragioni della "stabilità" dell'assetto sociale che, comunque, il colonialismo riesce a garantire alle elites ne loro vari "strati", elites intese, quantomeno, come parte già avvantaggiata dall'assetto sociale precedente all'arrivo degli stranieri colonizzatori:
"Però Bhyro Singh, non c'è izzat (onore, ndr.) nel lavorare per i firangi mangiatori di vacche"
"Ma anche i musulmani sono mangiatori di vacche" disse lui. "E questo non vi ha impedito di mandare vostro figlio a Delhi per entrare nell'armata del Moghul, no? Per i nostri padri e i nostri nonni servire i badshah musulmani è sempre stato un onore. E lavorare per la compagnia è un onore anche più grande, dal momento che gli inglesi stanno purificando l'Indostan.
Per migliaia di anni in questo paese tutto è decaduto e si è degradato, la gente si è mischiata così tanto che è diventato difficile fare distinzioni. Sotto gli inglesi invece ognuno deve stare al suo posto, ognuno coi i suoi simili: i bianchi coi bianchi, mentre noi ce ne stiamo per conto nostro. Sono loro i veri difensori della casta...".
6. Naturalmente, tutto questo discorso può risultare accettabile solo non considerando i vantaggi collettivi, cioè dell'intero corpo sociale assoggettato, e che TUTTI i suoi componenti possono ritrarre, che discendono dal non essere sottoposti allo sfruttamento coloniale di potenze estere: la questione del trattamento economico dei sepoy, differenziato da quello dei soldati inglesi e la preclusione ai ruoli di comando effettivamente decisionale, dovrebbero essere indicativi di ciò. Dovrebbero: attualmente, mutatis mutandis, ciò appare del tutto sfuggire ai nostri concittadini.
Per lo meno a quella maggioranza delle classi economicamente privilegiate, almeno in passato, che sostengono l'euro e l'Unione europea, pur subendo la inarrestabile restrizione della propria stessa predominanza socio-economica (cosa che appare miope e suicida, come vedremo nel finale, affidato ad un'altra puntuale citazione).
(E infatti i sepoy si ribellarono; ma quando ormai era troppo tardi. Ci volle poi Gandhi che, però, non respingeva il sistema delle caste, cioè la tradizione presuntamente etica della stabilità sociale gerarchizzata, ma lo voleva solo mitigare; la Costituzione indiana, (solo) in teoria, superò il sistema grazie al democratico B.R. Ambedkar)
7. Se poi facessimo le dovute modifiche lessicali ed eliminassimo il termine "casta" (oggi utilizzato in senso spregiativo, opposto a quello usato nel contesto sopra riportato, cioè come ostacolo, derivante dalla organizzazione legale degli Stati a democrazia parlamentare, al ripristino delle gerarchie "naturali": i neo-liberisti le definiscono tali facendole coincidere con la "razionalità" superiore alla stessa legislazione dei parlamenti democratici), il discorso del "reclutatore" mostra tutta la sua fascinazione attuale.
Le sue premesse sull'inarrestabile decadimento dell'ordine sociale, divenuto costume degenerato di un popolo ormai irredimibile, somigliano (non troppo) sorprendentemente a quelle di Travaglio.
Dunque, l'asservimento al dominatore estero, implica un recupero etico a cui non c'è alternativa.
E questo basta a giustificare la perdita della sovranità. Sempre e comunque. Ma anche a ribadire che, al riparo dello stesso dominatore estero, quelle gerarchie che corrispondono all'ordine naturale, perciò incontestabilmente "sane", (quali che esse siano nella concezione storico-culturale di coloro che le invocano), sono più importanti della stessa democrazia e della sovranità in senso moderno, per definizione immeritate e sacrificabili all'ordine naturale dell'etica da restaurare (naturalmente, oggi, è quella dei "mercati", depositari dell'efficienza e dell'etica: a prescindere da qualsiasi verifica storica sull'attendibilità di questa fede assoluta).
8. Per chiudere il cerchio, attualizzando ai nostri giorni lo schema storico-politico tratteggiato, risulta particolarmente eloquente quanto detto da Alberto Bagnai in questo post, nella parte dedicata agli imprenditori veneti (ma, ovviamente, se si è dotati di normale comprendonio, non solo a loro):
"Ai cari amici imprenditori del Veneto, dai quali sarei dovuto andare
oggi, ma mi sono rifiutato di farlo quando ho visto che l'evento
prendeva una piega non costruttiva, mi limito a dire una cosa.
Voi avete difeso finora l'euro per due motivi: uno etnico e uno economico.
Il motivo etnico: purtroppo voi veneti prendete il meglio delle altre regioni italiane: siete spocchiosi come un fiorentino (prendete me ad esempio), e piagnoni come un napoletano. Voi credete veramente che se non vi avesse rovinato Campoformio (pianto), a quest'ora potreste competere da pari a pari con la Germania (spocchia), e quindi che se siete costretti a chiudere le vostre aziende la colpa non è del fatto che l'euro soffoca l'economia italiana, ma dello Stato ladro, dei terroni, ecc.
Preciso subito una cosa: voi non siete la Germania (perché non avete il suo peso geopolitico): siete meglio della Germania, e lo avete dimostrato tutte le volte che avete avuto le mani libere. E allora perché avete difeso un sistema che vi legava le mani?
Subentra il motivo economico: purtroppo voi imprenditori (rectius: i meno brillanti di voi) siete entrati nel simpatico schema Ponzi che qui descrive un vostro collega: le banche, pare, vi finanziavano se voi partecipavate alla loro ricapitalizzazione. Non è mica una novità, succede dappertutto. Sarà la magistratura a accertare i fatti e la loro rilevanza giuridica. Quella economica la si può intuire.
Ora, cari amici, vorrei farvi notare una cosa. Per anni avete creduto che, una volta entrati in questo giro, l'euro vi tutelasse, e questo perché persone prezzolate dal grande capitale (che non siete voi, e che è vostro nemico) vi dicevano che recuperare sovranità monetaria vi avrebbe fatto perdere dall'oggi al domani il 20% del vostro capitale. Una cosa che non è mai successa: mai e da nessuna parte una svalutazione è stata accompagnata da un pari crollo della ricchezza in termini reali (motivo e dati per l'Italia sono qui)...
Voi avete difeso finora l'euro per due motivi: uno etnico e uno economico.
Il motivo etnico: purtroppo voi veneti prendete il meglio delle altre regioni italiane: siete spocchiosi come un fiorentino (prendete me ad esempio), e piagnoni come un napoletano. Voi credete veramente che se non vi avesse rovinato Campoformio (pianto), a quest'ora potreste competere da pari a pari con la Germania (spocchia), e quindi che se siete costretti a chiudere le vostre aziende la colpa non è del fatto che l'euro soffoca l'economia italiana, ma dello Stato ladro, dei terroni, ecc.
Preciso subito una cosa: voi non siete la Germania (perché non avete il suo peso geopolitico): siete meglio della Germania, e lo avete dimostrato tutte le volte che avete avuto le mani libere. E allora perché avete difeso un sistema che vi legava le mani?
Subentra il motivo economico: purtroppo voi imprenditori (rectius: i meno brillanti di voi) siete entrati nel simpatico schema Ponzi che qui descrive un vostro collega: le banche, pare, vi finanziavano se voi partecipavate alla loro ricapitalizzazione. Non è mica una novità, succede dappertutto. Sarà la magistratura a accertare i fatti e la loro rilevanza giuridica. Quella economica la si può intuire.
Ora, cari amici, vorrei farvi notare una cosa. Per anni avete creduto che, una volta entrati in questo giro, l'euro vi tutelasse, e questo perché persone prezzolate dal grande capitale (che non siete voi, e che è vostro nemico) vi dicevano che recuperare sovranità monetaria vi avrebbe fatto perdere dall'oggi al domani il 20% del vostro capitale. Una cosa che non è mai successa: mai e da nessuna parte una svalutazione è stata accompagnata da un pari crollo della ricchezza in termini reali (motivo e dati per l'Italia sono qui)...
...Senza il vostro sostegno il paese non può liberarsi.
Quelli che creano
il valore di cui le banche altrui vogliono appropriarsi siete (anche)
voi.
Siete veramente sicuri che farsi espropriare da uno Stato altrui
per odio ideologico verso il proprio Stato sia un'ottimissima idea? Perché
se avete accettato l'euro è per questo: perché pensavate che avrebbe
costretto lo Stato ladro a disciplinarsi (e per tutelare il valore
nominale di quei risparmi che ora i tedeschi vi hanno detto in faccia
che si prenderanno)."
http://www.amazon.it/Vecchi-trucchi-strategie-politica-americana/dp/8884742617/ref=sr_1_1?s=books&ie=UTF8&qid=1452257527&sr=1-1&keywords=vecchi+trucchi
RispondiEliminaEn passant.
RispondiEliminaTravaglio.
Costui è un liberale che ha dichiarato (a causa dell'indisciplinato margravio Silvio Berlusconi... ndr) che si sarebbe "rifugiato a sinistra".
"Sinistra" diessina/piddina notoriamente socialista/laburista di cui ha potuto beneficiare la nostra Costituzione fondata sul lavoro... ma transeat.
D'altronde, colui che ha definito gli italiani "delle merde" (giustamente, dato il noto applauso rucevuto dagli italiani stessi) lo fa in conformità della tradizione liberistico-spaghettiana che spadroneggia sui mezzi d'informazione confindustriali.
Un eroe della reazione modernista grillina.
(E sul rapporto tra "modernismo reazionario", "innovazione tecnologica" e "progressismo sociale" ci vorrebbe qualche citazione di George Bernard Shaw del prof. Pozzi)
Non ci si stupisca quindi dell'autorazzismo travaglino: è figlio di questo.
Corsi e ricorsi della Storia.
« Anche solo uno sguardo alla vita culturale durante la Repubblica di Weimar ne mostra in maniera inequivocabile la complessità: soprattutto per quanto riguarda argomenti in qualche modo connessi con la politica, si evidenzia una tale varietà di posizioni da risultare quasi impossibile analizzarle tutte per esteso. Ad ogni modo, ciò che appare davvero notevole sono la frequenza e la forza con cui gli oppositori del regime repubblicano si scagliarono contro lo status quo, partendo anche da posizioni politiche diversissime, ma con l’intento, loro malgrado comune, di favorire la fine dell’ordinamento democratico liberale. »
Elena Sciarra, 2003
Chissà che influenza avevano i creditori esteri della Repubblica di Weimar?
I creditori esteri a seguito di (sconfitta in) guerra non sono dissimili dagli investitori esteri a seguito di svendita-privatizzazione e di auto-deindustrializzazione mediante vincolo monetario...esterno: in entrambi i casi si apre la via alla governance esterofila mediante trattati ineguali (almeno se non si è dalla parte giusta).
EliminaEntrambi i tipi di creditore (a funzione equivalente, rispetto al controllo delle politiche economiche e fiscali) contano moltissimo nel determinare gli assetti politico-elettorali interni, tramite un diffuso controllo dell'opinione pubblica: naturalmente raggiunto per via mediatico-culturale (se si tratta di una democrazia in cui il voto si debba svolgere o debba essere impedito "democraticamente").
Negare o non accorgersi che ciò accada, - mentre siamo invasi da un profluvio di "facciamo come", giudizi immancabilmente critici di agenzie e associazioni internazionali, classifiche di organizzazioni internazionali nonchè pareri televisivi di espertoni esteri e non, ma spudoratamente orientati-, appare frutto di inspiegabile miopia in qualsiasi professionista dell'informazione.
"Gandhi considerava il principio di ereditarietà, cioè l'anima del sistema castale, eterno e indiscutibile. Pulire i cessi era una sorta di "dovere religioso".
RispondiEliminahttp://www.panorama.it/cultura/libri/eliminazione-delle-caste-arundhati-roy-gandhi/
Qui in Italia adesso per riportarti al tuo "naturale" stato di subalterno, dopo averti tolto il lavoro, dopo aver smatellato l'industria statale (perchè ce lo chiede l'Europa liberista) che era un volano per l'economia, e poteva anche esserlo per l'innovazione tecnologica maggiormente ecosostenibile, dopo tutto ciò, anche se hai tre master, devi lo stesso andare a pulire i cessi come "dovere morale", perché i nostri governanti europeisti ti dicono che se non lo fai sei un choosy e un bamboccione, mentre loro, l'elite dei moralisti, piazzano figli, amici, parenti nei posti prestigiosi di potere e con buoni salari, come si era sempre fatto nelle "buone" e vecchie società predemocratiche. A noi che siamo rimasti in mutande (disoccupati o pulitori di cessi part time) non ci resta che la religione della "decrescita felice", una "filosofia" già elaborata da decenni per gli schiavi dell'economia globalizzata, una filosofia creata apposta per trasfigurare, agli occhi degli schiavi, l'oggettiva condizione di schiavitù in una condizione di auspicata "libertà". Una sorta di brainwashing. Infatti, colpisce veramente l'immaginazione il riflettere sul fatto che un uomo come Ivan Illich, che chiedeva l'abolizione del welfare (sanità, istruzione, diritto al lavoro), e finanche del diritto di voto, sia stato inserito nel filone libertario, anzichè in quello a lui più consono del conservatorismo reazionario insieme a personaggi come Padoa Schioppa. Illich e i decrescisti dopo di lui, hanno avuto l'immaginazione artistica di capovolgere la realtà e di rappresentare una condizione oggettiva di minorità e di mancanza di democrazia, risorse e opportunità (quella dei "bei" vecchi tempi andati) come la condizione di migliore libertà, emancipazione e creatività per le classi subalterne; Il libro Descolarizzare la Società di Illich è del 1971. Solo uno che aveva studiato alla PRIVATA Pontificia Università Gregoriana poteva dire agli altri che le scuole pubbliche non servono e sono dannose. Nel frattempo, con The Limits to Growth del Club di Roma hanno iniziato a farci sentire in colpa perché il nostro benessere stava aumentando; il messaggio sottinteso era che le classi subalterne che si stavano emancipando dalla povertà e dal bisogno stavano distruggendo il pianeta. Poi è nata la truffa pseudoscientifica della CO2 industruale come UNICA causa di un global warming che, SENZA ALCUNA PROVA SCIENTIFICA, avrebbe portato il pianeta alla catastrofe. Nel 1973 nacque la Trilaterale. Nel 1975 uscì il lavoro "la crisi della democrazia" di Samuel P. Huntington dove si criticava l'eccesso di democrazia nei paesi occidentali. Tutte queste cose sono successe tra la fine degli anni sessanta e l'inizio degli anni settanta in cui, caso raro nella storia, le classi subalterne si stavano sollevando dal loro stato di subalternità e stavano gondendo sempre di più dei frutti delle Costituzioni democratiche e del welfare state.
@stop
EliminaÈ corretto: infatti è proprio in quel periodo che si colloca la controrivoluzione liberale.
Il sessantottino "vietato vietare", l'istituzione del premio Nobel all'economia, i think tank che cominciano a proliferare, l'esplosione degli accordi di Bretton Woods, la stagflazione, la mercificazione pop dell'arte, la strategia della tensione in Europa, le quinte colonne che cominciano ad infilarsi nel cuore del sistema sovietico per il redde rationem...
Farei notare che i libertari moderni non sono i socialisti anarchici della Rivoluzione francese.
Sono gli anarco-capitalisti partoriti dai reazionari filomedievisti della scuola austriaca! :-)
Questi hanno un'ideologia ancora più rozza e composta da slogan virali per dare un aspetto "emancipativo" al tragicamente scostante paradigma neoclassico: un inferno matematico per impedire ai professionisti dell'economia di dire l'ovvio: che l'istituzione accademica è espressione dei rapporti di forza tra capitale e lavoro.
Un'ideologia che sconta anche gli elementi più "raffinati" del modello istituzionale hayekiano. Infatti spopola dove i neuroni scarseggiano: nel Paese della statua - appunto - della libertà...
I neocons sono i più libertari d'America.
Quando si parla di liberalismo e libertarismo in filosofia politica, si parla di schiavismo, di reazione.
“L'elite del paese dominante, infatti, si serve efficacemente di una elite designata, ma pur sempre subordinata, del paese dominato, per imporre la effettività del sistema.
RispondiEliminaLa elite dei "colonizzati" collabora per un proprio vantaggio e ottiene, almeno nelle intenzioni, di risolvere il proprio problema di controllo sociale, all'interno del conflitto sociale che avrebbe comunque dovuto fronteggiare, pur rinunciando alla piena potenzialità dei propri profitti economici. “
Mi studio ( e ristudio) anche questo suo ultimo scritto con relativi commenti (stopmonetaunica sintetizza ed esprime cio’ che confusamente sentivo ndr) . Ora ho capito ( forse non è in tema ma secondo me qualcosa mi dice che invece si’) che la vera ragione che mi ha indotto a spedire il suo ultimo libro- raccomandata A-R – il giorno 7 gennaio 2015- “ la Costituzione nella palude” a questa Associazione per la Costituzione di Reggio Emilia ( Reggio Emilia è città del tricolore ndr) alla cui vicepresidenza siede un avvocato fra l’altro e che come unico indirizzo recuperato è quello della sede della camera del lavoro locale – in estrema sintesi è proprio questo suo illuminante scritto, corredato dai commenti.
Non ho idea di quale sarà il risultato, ma “qualcosa” mi diceva di farlo. Cordiali saluti a tutti.
Cara Bruna, la tua iniziativa illustra, senza bisogno di commenti (per chi veramente vuole capire e rendere effettiva la propria consapevolezza), esattamente ciò che il commentatore Duccio Tessadri trova così arduo tradurre in pratica.
EliminaE non importa quali siano i risultati (in termini sia di mutamento del paradigma, ambizione fuori dalla sfera di controllo di un'azione impeccabile per chi la intraprende, sia di gratificazione personale): ciò che conta è l'intento oggettivo e non "autoriferito". Un intento, piuttosto, legato a quel "raggio di fede" che dovrebbe illuminare le nostre vite, come rammentavano i Costituenti
http://orizzonte48.blogspot.it/2014/11/antifascisti-su-marte-la-cecita-sul.html P.2
Grazie (non per la mia modesta opera ma da parte mia per conto di molti)