lunedì 15 gennaio 2018

LA LUNGA ATTESA DEL DOPO-ELEZIONI: OLTRE IL CONFLITTO SEZIONALE METODOLOGICO?

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1. Solo alcune brevi riflessioni.
Vi confesso che sarei tentato di entrare in "silenzio-blog" fino all'avvenuto svolgimento delle elezioni. 
Appare sempre più evidente, infatti che, dopo che il popolo italiano ha subito un crescendo pluridecennale di politiche di consolidamento del bilancio pubblico (tentato ed anche  fallito perché perseguito, tutt'ora, sulla base di idee economico-scientifiche rivelatesi approssimative nei loro presupposti e fini), i programmi delle forze politiche più importanti, glissano sulla loro posizione riguardo alla prosecuzione o meno di tale linea di politica economico-fiscale.
Il problema sta tutto, ovviamente, nelle fatidiche "coperture" da trovare dentro un ordinamento che, via fiscal compact e persino nella Costituzione, adotta l'obiettivo del pareggio strutturale di bilancio.

2. Questa stessa linea, peraltro, come abbiamo visto, ha convertito il futuro in una minaccia e quindi ha innescato negli elettori l'atteggiamento culturale diffuso del  cercare di indovinare, tra le righe di promesse elettorali cui non possono ragionevolmente attribuire un'eccessiva credibilità, come, dopo le elezioni, verrà distribuito, tra i vari segmenti di società non appartenenti alla elites "cosmopolita", il peso di ulteriori sacrifici economici, che determineranno una sorta di lotteria nell'infliggere un ancor più marcato peggioramento della propria condizione economica.

3. Che questo timore, interiorizzato da un intero popolo, permanga anche in queste elezioni, è abbastanza facilmente constatabile parlando con "l'uomo della strada".
Come è anche evidente che l'unica dialettica politica che può ancora funzionare è quella del cercare di identificare, pur con l'indispensabile vaghezza tipica di una fase preelettorale, la parte di non elite la cui condanna morale, in base ad un giudizio aprioristico già segnato dalla propaganda mediatica che soprassiede al controllo dell'intero processo, renda bene accetta una certa ripartizione sbilanciata del carico dell'aggiustamento fiscale. Questa individuazione della "parte cattiva" dei propri simili (all'interno della stessa barca), dovrebbe (nelle intenzioni) simultaneamente compattare ed attrarre, mediante una proiezione identificativa dalla forza emotiva irresistibile, il voto della restante parte di non elite (noi, quelli buoni).
Tale "sanior pars" moralisticamente  aggregata risulta solo emotivamente e illusoriamente vincente, poichè, in un intreccio di posizioni e di interessi interdipendenti, che vengono accuratamente dissimulati dal sistema mediatico, viene lo stesso colpita dall'aggiustamento: ma non se ne accorge, o è persino disposta a sopportare un certo peso, purché sia estirpato il male attribuito all'altro settore sociale maggiormente colpito.

4. Questo meccanismo di conflitto sezionale metodologico, viene così puntualmente definito da Rodrik:
"Le conseguenze politiche di una prematura deindustrializzazione sono più sottili, ma possono essere più significative.
I partiti politici di massa sono stati tradizionalmente un sotto-prodotto dell'industrializzazione. La politica risulta molto diversa quando la produzione urbana è organizzata in larga parte  intorno all'informalità, una serie diffusa di piccole imprese e servizi trascurabili. 
Gli interessi condivisi all'interno della non-elite sono più ardui da definire, l'organizzazione politica fronteggia ostacoli maggiori, e le identità personalistiche ed etniche dominano a scapito della solidarietà di classe.

Le elites non hanno di fronte attori politici che possano reclamare di rappresentare le non-elites e perciò assumere impegni vincolanti per conto di esse.
Inoltre, le elites possono ben preferire - e ne hanno l'attitudine- di dividere e comandare, perseguendo populismo e politiche clientelari, giocando a porre un segmento di non elite contro l'altro.
Senza la disciplina e il coordinamento che fornisce una forza di lavoro organizzata, il negoziato tra l'elite e la non elite, necessario per la transizione e il consolidamento democratico, hanno meno probabilità di verificarsi.
In tal modo la deindustrializzazione può rendere la democratizzazione meno probabile e più fragile."

5. Dunque questo meccanismo ha tutt'ora un discreto successo, almeno in Italia, nell'assicurare alle elites la sostenibilità del processo elettorale, svolgendo il suo ruolo di "stornare" l'attenzione dal problema sistemico di un'economia neo-liberista liberoscambista, e come tale totalitaristicamente pervasiva di ogni aspetto istituzionale.
E, sempre in Italia, svolge anche il ruolo di deviare l'attenzione dal problema della moneta unica, che è un aspetto strutturale fondamentale di tale neo-liberismo istituzionalizzato, immettendo nel discorso politico serie casuali secondarie o irrilevanti, appunto moraleggianti, ma anche rivestite di tecnicismo-pop, per spiegare le ragioni della crisi italiana.
Al riguardo rammentiamo la premonizione che aveva formulato Caffè (naturalmente del tutto invano). In essa è perfettamente spiegato tutto ciò che sta accadendo:
"Nel suo manuale (Lezioni di politica economica, a cura di N. Acocella, Bollati Boringhieri, Torino, 1990) Caffè mette in guardia per ben tre volte contro l’ipotesi di una moneta unica europea. Eccovele:
pagg. 110-11: “Il difficile cammino della integrazione europea viene reso più arduo sia dalla pretesa di anticipare gli eventi, prima che se ne siano stabilite le basi (ad esempio ‘la moneta europea’); sia dalla pretesa di non tener conto delle fasi congiunturali avverse, come se la Comunità fosse stata configurata soltanto in vista di periodi favorevoli.”;
pagg. 298-99: parlando del gold standard: “In esso coesistevano varie e distinte monete (sterlina, dollaro, marco, franco ecc.), ma, attraverso il vincolo dei cambi fissi e sin quando fossero rispettate le “regole del gioco” necessarie per il buon funzionamento del gold standard (le regole, cioè, elencate a p. 294), si può dire che sostanzialmente la situazione era molto analoga a quella che comportasse l’esistenza di una moneta unica
Le singole economie nazionali dovevano adattarsi alle esigenze di uno standard monetario intemazionale: questo assicurava la stabilità dei cambi; ma non la stabilità dei prezzi interni dei singoli paesi che dovevano adattarsi, come si è visto, per assicurare il riequilibrio delle bilance dei pagamenti.
La stabilità dei cambi favoriva lo sviluppo degli scambi e degli investimenti internazionali; ma imponeva questo vincolo di adattabilità delle economie interne, adattabilità che molto di frequente si realizzava attraverso la disoccupazione e in genere la più o meno prolungata sottoutilizzazione delle risorse disponibili. E opportuno non perderlo di vista oggi che (in mutate condizioni) si prospettano possibilità di una “moneta unica" nell’ambito di aree integrate.
”.


6. Capirete dunque perché, in assenza di una chiara proposizione di questi problemi da parte di tutte le forze politiche impegnate nella campagna elettorale, non si può seriamente prevedere il senso pratico, cioè concretamente avvertito nella propria vita, di un qualunque esito elettorale
Ad essere obiettivi, per completezza, si può riconoscere che, senza astrazioni teoriche e proposizioni sistemiche, Matteo Salvini, sta compiendo un tentativo di proporre un paradigma di "crescita inclusiva" e (accettabilmente) non conflittuale all'interno della non-elite. La sua personale "comunicazione" relativa a questa linea è, se non altro, l'unica riconoscibile a livello di partiti maggiori.
La riuscita del suo tentativo, al di là del "merito" specifico delle sue proposte (che pure è un aspetto non trascurabile), è soggetta a condizioni che la rendono obiettivamente incerta: sia quanto alle linee concrete delle misure attuative che ne conseguirebbero, sia rispetto alle condizioni di alleanza politica che le renderebbero fattibili.

7. Una conclusione è perciò vincolata: la coerenza e la sostanza dell'azione politica di qualunque forza che sarà in grado di dar vita a una maggioranza, saranno immaginabili solo dopo le elezioni, quando si confermeranno, modificheranno o rimescoleranno le "alleanze" e un qualche governo inizierà ad attuare non tanto un programma elettorale (sulla cui validità vincolante rispetto all'indirizzo politico effettivo, per esperienza pluridecennale, l'elettore ha appreso a non fare alcun affidamento), quanto ciò che realmente consentono i rapporti di forza all'interno dell'unione europea
E sapendo che questi rapporti di forza sono stati e saranno, prima di tutto, determinati dal peso della volontà delle elite nazionali, riassumibili nella formula del Quarto Partito.
Per questo, oggi, non saprei neppure cosa commentare: abbiamo davanti essenzialmente una lunga attesa, infarcita di lunari polemiche e di spaventose strumentalizzazioni. I fumi di questo immane gioco delle parti potrebbero solo intossicarci e farci perdere la lucidità. 

16 commenti:

  1. il commento di Bazaar riportato da Luca nel post precedente mi ha indotto a riflettere sulla mancanza di mobilitazione delle masse, un elemento indispensabile, correggetemi se sbaglio, perché si eserciti quella "pressione ininterrotta" preconizzata dalla Luxemburg; mi viene spontaneo collegarlo alla prima parte di questo post, laddove si cita Rodrik, e si tratta della capacità di organizzare le masse per mobilitarle in una determinata direzione: funzione tradizionalmente svolta dal partito e dal sindacato, oggi completamente screditati agli occhi delle non élite che dovrebbero rappresentare.
    che sia venuta a mancare la rappresentanza organizzata di classe mi sembra palese, ma non sono convinta che "le identità personalistiche ed etniche dominano a scapito della solidarietà di classe": questo succede sicuramente nella rappresentazione data dai media, ma non è detto che avvenga nella realtà.
    Nella realtà potrebbe anche accadere che quelle non élite che hanno perso una rappresentanza comune e subìto la diaspora, tentino di riaggregarsi dal basso nelle uniche forme messe a disposizione da Essi, ovvero in difesa di interessi settoriali, perché strutturalmente, nel mondo ordoliberista, non può esserci altra offerta di rappresentanza. In altre parole ci si organizza come si può, con gruppi spontanei e/o associazioni, e ci si mobilita su problemi circoscritti con tutta la gamma dei mezzi a disposizione, dai social alla piazza.
    Potrebbe anche darsi che, nella realtà, l’avanguardia ci sia, agguerrita e dai numeri ragguardevoli, grazie soprattutto alla mole indicibile di scempi perpetuati da questo Governo in ogni ambito della vita individuale e sociale (Scuola, sanità, lavoro, pensioni, agricoltura, territorio, informazione, cultura, lo stesso terzo settore, - praticamente non hanno risparmiato niente) e che non chieda altro che essere mobilitata (possibilmente da qui al 4 marzo) perché altri si sveglino, ma che prima di tutto necessiti che qualcuno sappia riconoscerla ed indirizzarla (più che plasmarla).
    Se così fosse, molto interessante potrebbe essere l’esperienza di “Attuare la Costituzione”, che mi pare si proponga di lavorare dal basso, Comune per Comune: ci si potrebbe chiedere, ad esempio, se un rapporto dialettico tra Attuare la Costituzione e le associazioni locali - le cui istanze settoriali possono essere ricondotte appunto alla mancata reale attuazione della Costituzione, possa contribuire al superamento della segmentazione in “identità personalistiche ed etniche” e, in caso affermativo, se nel lungo periodo, questa dialettica possa contribuire alla nascita di nuove forme di organizzazione e mobilitazione di “classe”.

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    1. Credo di no.
      E risulta evidente alla prova dei fatti attuali.
      L'organizzazione spontanea di interessi settoriali, al di fuori di una visione scientificamente corretta e consapevole della struttura conflittuale degli assetti di produzione, - cioè di ciò che esattamente la Costituzione vuol risolvere-, è solo una variante del conflitto sezionale.
      Ed è sostanzialmente estranea alla stessa attuazione della Costituzione (che non è un processo settoriale conducibile su basi analitiche e/o "tematiche": per definizione normativa: artt. 1, 3 e 4 Cost.).
      http://orizzonte48.blogspot.it/2015/03/democrazia-partiti-di-massa-e.html

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  2. Metto nella discussione quello che ho:il vissuto degli ultimi anni.Mi sono riavvicinato alla politica ,dopo essermene allontanato ,partendo da istanze molto "basiche"acqua ,ambiente,trasporti.....Nel mio comune volevano privatizzare l' azienda del servizio idrico,volevano fare una tratta autostradale in una zone in frana nel perimetro dell' abitato per farci passare i tir che scendono dai traghetti con le Grecia (sono di Ancona).Dopo un po' mi sono accorto che ero insofferente verso degli effetti di cause che apparivano all' inizio lontane .La privatizzazione dell' acqua m' è apparsa, poi, conseguenza dello smantellamento dello stato dei diritti sociali(la democrazia senza di essi ,semplicemente non è) e della disapplicazione della Costituzione,come la trasformazione d'un quartiere popoloso della mia città in un ghetto asfissiato dalle polveri sottili dei tir in transito ,s'è palesata come la conseguenza della divisione internazionale del lavoro ,in base ai vantaggi comparati,che ha reso la Grecia un Paese costretto ad importare tutto o quasi.Ma questa consapevolezza l' ho maturata ,anche grazie al ricordo di una militanza giovanile che mi rendeva predisposto ad astrarre le esperienze di "base".Gli altri,anche se spesso capaci e perspicaci, continuano a seguire il "Capo politico"e ad accontentarsi dell' "onestà" e della "nuova Europa"

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  3. caro Gilberto, se mi permetti, il percorso di consapevolezza che illustri mi pare sia stata un’esperienza individuale, altri possono essersi aggregati e mobilitati - ad esempio gli abitanti della zona in frana per opporsi alla tratta autostradale, e tra tante teste magari ce ne sarà stata una come la tua che, vedendo il quadro di insieme, ha aiutato anche gli altri dotati di meno strumenti a prendere consapevolezza del quadro generale.

    Attuare la Costituzione potrebbe appunto servire da quadro di riferimento, fornendo quella visione scientifica corretta della struttura conflittuale degli assetti di produzione e di come la Costituzione vuole risolverli, rendendo consapevoli le organizzazione di interessi settoriali della loro fittizia segmentazione

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  4. In any case, no liberalization of international trade can be expected by itself to change radically this situation of open international disintegration or this trend towards an increasingly widening gap in levels of production and consumption and of living standards. By itself “freer trade” would even tend to perpetuate stagnation in the underdeveloped regions.
    Migration, capital movements, international aid, and trade are not the primary means of achieving this closer integration. In a real sense they are the products of integration, not the cause.


    There is one thing, however, that we do know about any new system of better international relations among the advanced countries which may eventuate: it will bear little resemblance to the old, pre-1914 system with its gold standard, free labor and capital movements, and multilateral trade.” (G. Myrdal, An International Economy, Harper & Brothers, N. Y., 1956, pag. 3).

    Non credo che gli argomenti di discussione ci mancheranno. ;-)

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    1. Forniscici pure il più ampio contesto in cui colloca queste "better international relations": questo estratto non consente di valutare compiutamente a quali forme istituzionali si riferisca (siamo nel pieno trentennio d'oro...)

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    2. L’ho appena iniziato: sono le prime pagine. (E Myrdal è molto esigente. Ma perché no?). Questo l’intero passaggio fra le due citazioni:

      They can help, but they cannot be relied upon to do the job. The major task is first to force economic development in the underdeveloped countries to the point where a more unified world system can be solidly built.
      In the poor and backward countries this task will have to take the form of measures to start the process towards national integration; for the main weakness of these countries is undoubtedly that even nationally they are badly integrated. A number of steps must certainly be taken which—to put it mildly—in the short term are not calculated to promote closer international integration. Yet without national integration the present enormous differences in standards and rates of development will be maintained and even increased.
      These countries need national integration—and, if possible, regional cooperation—also in order to win bargaining power, a very necessary condition for the achievement of some political balance in the world. It would be a poor international integration of a democratic world that left so little bargaining power in the hands of the great majority of its peoples.
      The practical problem is to find a modus vivendi which promises steady progress towards international integration. A short-term solution in more absolute terms is out of the question.
      Meanwhile, and mainly for independent reasons, the advanced countries themselves have not yet found a new and viable international balance among their national economies. In the world setting this is the smaller and simpler, practical problem, but much the greater part of current international discussion is presently devoted to it. As an element in the greater complex of world problems, the international integration of the advanced countries is not unimportant, particularly because a solution would create a climate where we could tackle with more zeal and vigor the much bigger task of promoting the development of the underdeveloped countries.
      Unfortunately, there are no valid reasons to expect an early solution even of this simpler problem.

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    3. Bè, il buon Gunnar è probabilmente stato il massimo esperto di economia in via di sviluppo del XX secolo, tra i più grandi economisti keynesiani che hanno permesso di rendere la Svezia quel grande paese socialista che è stato e che ora agonizza sotto la furia dei liberisti sociopatici. Un gigante.

      Naturale che sapesse nei minimi dettagli il cuore della questione, che poteva dire? se una cosa è certa è che l'unico modo sicuro per tornare all'imperialismo guerrafondaio e al colonialismo è ritornare al sistema di parità aurea con accordi multilaterali... tipo l'Unione Europea...

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  5. In effetti non ci resta che attendere il 4 marzo, anche se l'attesa potrebbe essere maggiore. Azzardando una previsione direi che con questa legge elettorale probabilmente si delineerà un parlamento senza maggioranze o con maggioranze diverse alla Camera e al Senato, il che costringerà i partiti (formalmente diversi tra loro, ma sostanzialmente identici in quanto, chi più chi meno, come evidenziato all'inizio del post, schiavi della logica delle coperture e quindi dell'attuale assetto politico-economico) a tentare una negoziazione disperata che dovrà giungere il prima possibile ad un compromesso perché i media e il PdR evidenzieranno la necessità, in nome della stabilità, della credibilità e della governabilità, di evitare il "rischio" di un nuove elezioni, anche perché costano e, si sa, non ci sono i soldi... Questo comporterà per chi siglerà il compromesso di sacrificare la coerenza che aveva promesso e la credibilità che si era conquistato, e sarà interessante constatare il livello di "resistenza a cedere" dei vari partiti, soprattutto quelli che in questi anni sono stati all'opposizione, dopo mesi a ripetere cosa avrebbero fatto e cosa invece no.

    Quindi in conclusione - questo scenario che sembrerebbe preannunciare un copione identico a quello del 2013, anche con riferimento alla dichiarazione di illegittimità costituzionale del rosatellum dopo il voto (sono stati depositati 3 ricorsi presso i tribunali di Firenze, Roma e L'Aquila http://www.lanotiziagiornale.it/tre-ricorsi-urgenti-sul-rosatellum-cosi-la-legge-elettorale-puo-arrivare-alla-consulta-prima-delle-urne/ ) che darebbe maggiore forza al nuovo governo fornendogli un obiettivo, l'ennesima riforma elettorale - può invece far sperare in due cose:
    1)che le condizioni siano così inaccettabili da far si che i partiti che sono stati all'opposizione, (che saranno maggioranza, in attuazione del principio dell'alternanza senza alternative forte da alcuni decenni), non siano disposti a cedere per la realizzazione di un compromesso troppo costoso, aprendo così necessariamente la strada a nuove elezioni da svolgersi magari con la legge elettorale riformata, nel frattempo, dalla corte costituzionale. Non uno scenario auspicato dalle elites, io credo.
    2)che il risultato di nuove elezioni ad esito di tale scenario alternativo "segnali la non-effettività del sistema preannunciando e inducendo un'evoluzione verso la sua implosione".

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  6. Tutti tacciono anche sulla scuola. Preoccupante.

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  7. "I fumi di questo immane gioco delle parti potrebbero solo intossicarci e farci perdere la lucidità."

    In circa due mesi si vota in Italia (4 marzo), in Russia (18 marzo), in Ungheria (8 aprile) ed in Inghilterra (9 maggio elezioni locali).

    https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_elections_in_2018#Europe

    A giorni sapremo anche l'esito delle elezioni presidenziali nella Repubblica Ceca (dove dovrebbe svolgersi a breve il secondo turno).

    Apparentemente l'unica incertezza nelle elezioni in Russia è se Vladimir riuscira' a superare il 75% dei voti.

    In Italia, una eventuale vittoria della Lega (basterebbe un 15% su scala nazionale) avrebbe presumibilmente anche un forte effetto volano in Ungheria.

    In Inghilterra una eventuale sconfitta dei Tories potrebbe ripercuotersi in parte sui tempi della Brexit.

    Personalmente credo che "si può seriamente prevedere il senso pratico, cioè concretamente avvertito nella propria vita, di un qualunque esito elettorale": non appena arriverà il prossimo 'shock esterno' (che non dipende dall'esito elettorale), mi aspetto la forte tosatura dei risparmi (per chi li ha) ed uno su due che faticherà a lavoricchiare 15 ore (malpagate) al mese (io sono già in questa condizione, per cui ho ben poco da perdere).

    Comunque mi auguro pure che il governo di coalizione in carica in quel momento (cosa che non è affatto scontata, perchè potrebbe essersi insediata già la Troika) includa la Lega di Claudio Borghi Aquilini.

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  8. Nell’agosto del 1945 , a 4 mesi dalla liberazione, si riunivano in congresso a Milano i Comitati di Liberazione dell’Alta Italia e dell’Italia Centro-Meridionale. Nel numero unico titolato “Unire per costruire” è contenuto questo discorso:

    Ci avviciniamo alla Costituente. Quali ne sono i fini? Il Popolo desidera il ripristino delle libertà politiche, la libertà di pensiero, la libertà di associazione, la libertà di stampa, tutte le libertà tradizionali, ma sa che queste libertà non sono più sufficienti, perché se i lavoratori avessero la libertà di pensare ma non avessero il pane ed il lavoro, la Costituente segnerebbe un grande fallimento.

    Se il popolo italiano non constatasse nelle disposizioni della Costituente che l’Italia cammina per dare ai lavoratori la certezza dell’avvenire, per realizzare il benessere, noi avremmo fatto della Costituente una grande giostra politica che si convertirebbe in una beffa sociale. Noi dobbiamo perciò ricordare e precisare che I FINI DELLA COSTITUENTE DEVONO ESSERE SOPRATTUTTO SOCIALI
    ”.

    Mi dispiace dirlo, ma non c’è da aspettarsi nulla dal dopo-elezioni, soprattutto da classi politiche che non hanno mai interiorizzato che i fini della Costituente (e quindi della Costituzione) erano e sono FINI SOCIALI.

    La “beffa sociale” gli italiani la stanno sperimentando sulla loro pelle ormai da decenni. E temo che ci attenda la solita “grande giostra politica” come ulteriore tappa verso l’Aufhebung

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  9. Ammesso e non concesso che Salvini riesca a evitare "sabotaggi" della linea-Borghi dentro la coalizione e la stessa LN, ritenere possibile una attuazione effettiva della Costituzione "da destra" mi pare alquanto improbabile.

    Scartato il disperato bisogno contingente del voto cd. populista, tutti i partiti attuali sono espressione di interessi di classe ben determinati e ben riconducibili a quei conflitti sezionali tra non-elite qui ben descritti (partite iva contro PA; studenti contro pensionati; lavoratori precari contro "privilegiati"; etc.).

    Il superamento delle barriere imposte da €ssi nell'ottica di un fronte del Lavoro contro il quarto partito e la rendita parassitaria mi pare ancora lontano da venire, e forse non lo vedremo mai.

    Uno scenario "neoresistenziale" (CLN 1943-1945) è ad oggi irrealizzabile.

    Non ci resta che studiare e lavorare culturalmente...

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  10. OR WHOM THE BELL TOLLS
    (otc, “ Per chi suona la campana”, 1940)

    Dal silente silenzio di un “uomo della strada” che raccatta, per differenziare, i grassi idrogenati dai marciapedi del “sapere” saputo e, acquisita l'equivalenza delle fondamenta dell'aritmetrica basale, sono a considerare i quesiti della valenza delle sequenze successive (a cominciare dalla stupefacente successione del Fibonacci poi ai limiti, le derivate, gli integrali ..) magari per comprendere e rappresentare con metodologia scientifica le relazioni tra variabili indipendenti e da quelle dipendenti di una “equazione” esplicita.

    Nella stesura della equazione - la “buona pratica” - porterebbero a considerare le “dipendenze” delle variabili per giungere alla validazione del risultato ma soprattutto della tesi che si vuole sostenere.

    La relazione tra le “ indipendenze” in una rappresentazione geometrica, X & Y risultano entrano entrambe variabili supposte “indipendenti” in un piano: in un figura “geometrica” (p.e. in “cerchio”, l'una – il raggio – configura lla “circonfenza” e il contenitore).

    Qui mi taccio: chi ha 'recchie intenda e discreti tra i .. batacchi.

    PUNTO

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  11. Banalizzando Rodrik, la possibilità di solidarietà sociale trova il suo presupposto nella aggregazione, fisica prima di tutto, delle persone.
    La caratteristica principale delle fabbriche era che vi erano centinaia o migliaia di persone poste fisicamente nello stesso luogo e accomunate da elementi di vita pratici e a tutti evidenti (il tipo di lavoro, il rapporto con i superiori, il salario, il mangiare insieme, i trasferimenti, i sindacati...).
    Ciò rendeva naturale a queste persone comprendere la comunanza di interessi e 'sentire' empaticamente il proprio simile, piuttosto che come un competitore.
    Di qui alla rappresentanza politica, il passo è breve.
    Un fenomeno analogo, e per alcuni aspetti anche più incisivo, si verificò nelle lotte agrarie, dove partirono i primi movimenti di rivendicazione dei diritti (contro i quali venne creato e finanziato il fascismo...).
    Ma oggi il lavoro è cambiato, non solo in esito alla deindustrializzazione. È cambiato anche nelle poche, residue fabbriche, dove il modello dell'impiegato organico ha sostituito quello dell'operaio.
    Il nuovo paradigma del lavoro si basa su una totale e supina collaborazione verticale a fronte dell'assenza di ogni solidarietà orizzontale, assenza favorita dai molti fattori di disarticolazione sociale (inurbamento, immigrazione, solitudine, assenza di iniziative di 'incontro' che non siano cosmetiche occasioni di buonismo o all'apparente opposto di istigazione di odio verso i propri simili) che rendono impossibile cogliere la comunanza di interessi.
    Oggi il mondo del lavoro è quanto di più umiliante e diseducativo una persona possa conoscere. Dubito fortemente possa partire o anche solo passare di lì una qualche forma di presa di coscienza sociale.
    Parafrasando Marx, siamo già arrivati al punto in cui non abbiamo altro da perdere se non le nostre catene, peccato che si tratti di catene mentali.

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  12. OT - Tesi, antitesi, sintesi.

    Tesi: I robot ci porteranno via il lavoro (sottinteso, la paga).

    Antitesi: I robot faranno aumentare le paghe.
    (http://tass.com/economy/985352)

    Visto che Medvev cita pure Marx a sostegno della antitesi, questo è un classico caso in cui preferisco l'antitesi.

    Mi sa che B ha pagato nel 2011 l'amicizia personale con Vladimir, altro che minaccia di uscire dall'euro....

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