venerdì 23 marzo 2018

L'AFFARE FACEBOOK-CAMBRIDGE ANALYTICA: IL FALLIMENTO (TEMPORANEO) DEL SONDAGGISMO "A LA LE BON"

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(Aveva intuito anche questo...anche se non poteva sospettare dove nel futuro si sarebbero svolte miliardi di conversazioni)


1. La storia di Facebook, Cambridge Analytica, dati sensibili, e voto manipolato si può riassumere così:
a) si decide di fare la "rivoluzione liberale" e, quindi, di usare le "forze materiali sterminate" a disposizione dell'oligarchia capitalistica, a base anglosassone, per rendere la comunicazione pubblicitaria ed il suo linguaggio pop - che aveva evoluto il sistema di mercato verso il consumismo di massa-, un metodo permanente di condizionamento cultural-accademico-mediatico
Tale metodo era stato ritenuto il più congeniale al fine di rendere accettabile la restaurazione dell'assetto economico-sociale, e quindi istituzionale, del capitalismo anteriore alla crisi del '29
Si trattava in sostanza di una grandiosa operazione di riconversione cosmetica della psicologia di massa, mirata a rendere accettabile l'impoverimento e la perdita di rilevanza nei processi politico-istituzionali, che sarebbe stata altrimenti percepita come perdita della democrazia (pluriclasse);

b) il successo di questa operazione aveva instaurato una proiezione identificativa di massa degli oppressi (classi economicamente subordinate) negli interessi degli oppressori ("i mercati", ovvero una timocrazia sempre più ristretta che guida "meritocraticamente" l'intero processo in senso autoconservativo delle proprie rendite), estendendo la capacità persuasiva degli slogan tecnocratici-pop a una riconversione in senso individualista "metodologico" di ogni propensione cognitiva e volitiva degli "individui" (cittadini-elettori); cioè creando una pervasiva "ideologia" unica (nel senso di totalitaria) antisolidale, narcisistica e competitiva assurta a filosofia esistenziale diffusa della masse "riconvertite";
c)  la "rivoluzione digitale" e il sistema della rete Internet hanno creato, poi, - su un terreno già reso fertile dal medium televisivo e dal suo codice pop già evolutosi in senso esasperato-, un'accelerazione del condizionamento culturale e mediatico che ha fatto però emergere due criticità, cioè dei costi imprevisti (ma in larga parte previbili) di una strategia politica altrimenti di straordinario successo:
- c1: la creazione di un disagio sociale ed economico altrettanto di massa, non chiaramente attribuibile da parte degli individui de-solidarizzati, perché ormai cognitivamente incapaci di correggere l'inversione dei rapporti causa-effetto (insita negli slogan tecno-pop di cui erano stati nutriti). 
A fronte della crescente distruzione di benessere, e di speranze nel futuro, che il sistema restaurato doveva inevitabilmente, cioè programmaticamente, produrre esisteva un "livello di intolleranza", un punto di "crisi di rigetto", stimati erroneamente: questo disagio era stato messo in conto, ma ci si prefiggeva di neutralizzarne le conseguenze politiche, e l'autoritarismo (tecno-pop) che avrebbe progressivamente instaurato, attraverso la mera intensificazione del sistema di condizionamento;
- c2: un sottoprodotto psicologico-culturale anch'esso di massa e altrettanto inatteso a mal calcolato: la sindrome Dunning-Kruger, cioè la convinzione degli individui cognitivamente condizionati in modo così profondo e prolungato, di essere abilitati ad avere "competenze", convinzioni e rivendicazioni razionalmente corrette e, addirittura, "scientificamente" fondate, precludendosi ogni ascolto e ogni dialettica con qualunque nozione, strumento cognitivo, approfondimento critico, che non fosse pre-compreso nel quadro narcisistico-individualista che creava l'illusione di ciascuno di essere "speciale", senza più avvertire il conformismo seriale di questo atteggiamento totalitario indotto.

d) La conseguenza di questi due elementi "imprevisti" è stata la perdita di consenso all'interno di un sistema intrinsecamente contraddittorio che affermava spudoratamente la "doppia verità" di perseguire la "libertà" per tutti, restringendola progressivamente e molto concretamente, almeno nella sfera delle comunità sociali, in modo drastico. Vale a dire, fino a giungere al punto di prospettare un classismo neo-medievale da riesplicitare al momento opportuno. 

e) Tale perdita di consenso è divenuta un problema sempre più incontrollabile, all'interno di una "rivoluzione liberale" che, nella sua versione tecno-pop cosmetica, rifugge dal rischio insito nel c.d. "effetto pretoriani"; cioè nel doversi rivolgere a livello globale, e quindi istituzionalizzato in via generale, all'interno della predicata globalizzazione (free-trade), all'autoritarismo poliziesco, per via della minaccia instrinseca nella creazione di un apparato di repressione violenta che tende ad autolegittimarsi ad una crescente spartizione di potere con i timocrati.

f) Nel tentativo di correggere questo crescente problema, i "controllori" hanno deciso di tentare di perfezionare il controllo mediatico-culturale, estendendolo al di là dei suoi tradizionali strumenti, - il sondaggio permanente a temi pre-costituiti e a soluzioni preventivamente indirizzate -, inseguendo le opinioni e le tendenze proliferate da questa massa individualista, ma affetta serialmente dalla sindrome Dunning-Kruger. 
Da qui, l'esigenza crescente di classificare, creare profili, rendere prevedibile, la direzione del neo-pensiero di massa, in modo da poter fornire preventivamente i nuovi slogan che potessero opportunamente stabilizzare, pur a fronte del superamento del "livello di intolleranza", il consenso.

g) Questa e null'altro, l'evoluzione che ha portato alla "crisi Facebook" e alla scontata utilizzazione delle propensioni dei consumatori di "politica-tecno-pop" nello stesso modo in cui vengono sì utilizzate le informazioni disponibili per il mercato dei beni di consumo di massa, ma essendo costretti ad adattarlo alla enorme accelerazione che il medium Internet ha dato allo scontento, all'insoddisfazione verso il vecchio sistema mediatico. Tutto questo prendendo atto (ma, come vedremo, in modo arrogante e sottostimato) del fatto che, il disagio oggettivo creato dall'impoverimento programmato dalla restaurazione, si doveva innestare su individui che avevano modo di esprimersi direttamente "al pubblico" e di esercitare, indidualisticamente e narcisisticamente, la propria comunicazione in modalità Dunning-Kruger; e quindi, in qualche modo, assurta a veicolo di (illusoria) neo-rilevanza politica
Una forma di mercato che ricalca, nel campo del messaggio politico, quello della distribuzione on-line, che manda progressivamente in crisi i sistemi non telematici e territoriali di distribuzione e vendita in precedenza utilizzati.

2. Quindi, la reazione attuale alle presunte distorsioni del voto (come se questo non fosse già quella gramsciana "numerazione", preorientata in forma strettamente idraulica che è la caratteristica essenziale nelle pseudo-democrazie "liberali") è solo il violento contrattacco di coloro che avevano predisposto e guidato il sistema e che pensavano di aver acquisito il privilegio strutturale ad essere titolari dei centri istituzionali di potere che ne garantivano la prosecuzione e la crescente istituzionalizzazione.
Insomma, si tenta una manovra di "diversione", del tutto contraddittoria, perché imperniata sulla pretestuosa violazione di una privacy che risulta tranquillamente violata in altre circostanze - come tutti ben sanno quando ricevono diluvi di mail-spam e le pubblicità personalizzate mentre navigano-, nonché sulla irrealistica denuncia di una presunta distorsione del consenso elettorale in base a messaggi manipolatori; i quali, però, non possono che essere stati, inevitabilmente, nei loro contenuti, una diretta conseguenza della manipolazione pluridecennale già in atto, così come attuata dalla pianificazione dei "centri di irradiazione" della "rivoluzione liberale".

3. In sostanza, denunciando come illegittima manipolazione l'estensione di una metodologia generale, - il sondaggismo permanente di derivazione pubblicitaria-, utilizzata (mutatis mutandis) in tutti i media tradizionali,  si evidenzia solo la propria incapacità di altrettanta efficacia nell'utilizzare il nuovo medium. Cioè si accusa il colpo e si confessa il proprio fallimento; senza però mostrare di averne compreso le cause.
Ed infatti, il problema non risiede nelle caratteristiche del medium - il web, i social -, ma negli effetti andati fuori controllo del processo totalitario tecno-pop: la strumentale diffusione di massa della sindrome Dunning-Kruger, - risultata finora molto utile, quando filtrata dai format televisivi-, e, comunque, il superamento del "limite di tolleranza" in termini di distruzione del benessere e delle aspettative della middle class. 
Certo, la orizzontalità comunicativa dei social, il loro costituire anche uno "sfogatoio" di decompressione psicologica collettiva, ha impedito il prevalere (dato incautamente come scontato) della profusione verticale della espertologia orwelliana, propria dei media più tradizionale e "passivi". 
Ma, ed è qui una delle più evidenti contraddizioni, sul piano dell'accelerazione del condizionamento commerciale l'orizzontalità, la falsa autonomia di giudizio, era finora risultata più che bene accetta. 

4. Probabilmente, si pensava che l'espertologia ufficiale, e l'autonarrazione eroica delle ONG, avrebbero governato senza scossoni il conformismo tecno-pop delle masse e perpetuato la proiezione identificativa.
Ma hanno sottovalutato, e continuano a sottovalutare, il fatto che slogan come casta-cricca-corruzione, l'uso distraente esasperato dei fatti di cronaca nera, il livore anti-Stato-spesa-pubblica-debito-pubblico-brutto, e le relative "classifiche" colpevolizzatrici, non erano antropologicamente idonei a pervadere le masse di un'incondizionata accettazione, politically correct, della globalizzazione.
Il fatto è che questi slogan, - che utilizzano un linguaggio violento e autoritario, sempre più istituzionalizzato, ed un tono moralistico severamente punitivo e colpevolizzatore-, si sono aggiunti al disprezzo ostentato per i "perdenti" della stessa globalizzazione unito alla "materialità" del superamento del limite di tolleranza nella decrescita infelice: questa insistenza maniacale e prolungata nel propinare "ulteriori dosi dello stesso veleno" (v p.1.7. sub d) - escogitazione di Le Bon, ben prima di Goebbels-, nel contesto creato con arrogante sicumera, non è stata esattamente una strategia lungimirante.
5. Dunque, qualunque sia la reazione che verrà adottata, possiamo già constatare (vedendo l'atteggiamento arroccato di talk-show e giornaloni) che questa non terrà conto degli errori di calcolo, intrinseci nel sistema restaurato: gli errori semplicemente non possono essere ammessi
Questi errori, infatti, sono strutturalmente ripetitivi di quanto già evidenziato dalla Storia del capitalismo "liberale", e quindi, una reazione conservativa, cioè fondata sugli stessi presupposti dell'azione svolta e sull'idea della loro irrinunciabilità e incontestabilità, non risolverà nulla.
O provocherà nuove forme di scontento, traslato in altre modalità di espressione (altrettanto impreviste...ma prevedibili) o condurrà i controllori a correre il rischio dell'effetto pretoriani

6. In ogni caso, coloro che hanno inteso svolgere, a livello politico e all'interno delle varie nazioni coinvolte, il ruolo privilegiato di controllori e guardiani del sistema mondialista, dovranno cedere il campo a una nuova generazione di mandatari della timocrazia globalista dei mercati: oppure, direttamente ai pretoriani...
O, infine, (forse, più verosimilmente) ai creatori di una nuova cosmesi, ricalibrata su un nuovo cumulo di slogan tecno-pop; che assecondino opportunamente la sindrome Dunning-Kruger di massa, divenuta il segno di una ribellione inconcludente - se non autolesionistica -, ma ormai divenuta incontrollabile attaverso la reiterazione ossessiva dei vecchi slogan.

Intanto, chiunque sia il mandatario di turno, ESSI, hanno già la soluzione (mondialista) di riserva...

63 commenti:

  1. Post molto interessante e profondo, che occorre leggere e rileggere più volte.

    A livello di 'memoria', non possono non tornare attuali le parole che scriveva Pier Paolo Pasolini sul 'Corriere' il lontano 9 dicembre del '73: "Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l'adesione ai modelli imposti dal Centro, è tale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L'abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la "tolleranza" della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all'organizzazione borghese: la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d'informazioni. Le strade, la motorizzazione ecc. hanno oramai strettamente unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema d'informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l'intero paese che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un'opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè - come dicevo - i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un "uomo che consuma", ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane. L'antecedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione: e il cattolicesimo, infatti, era formalmente l'unico fenomeno culturale che "omologava" gli italiani. Ora esso è diventato concorrente di quel nuovo fenomeno culturale "omologatore" che è l'edonismo di massa: e, come concorrente, il nuovo potere già da qualche anno ha cominciato a liquidarlo. Non c'è infatti niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane Donna proposti e imposti dalla televisione. Essi sono due persone che avvalorano la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s'intende, vanno ancora a messa la domenica: in macchina). Gli italiani hanno accettato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria)."

    E anche sulla sindrome di Dunning-Kruger, come non ricordare il Ray Bradbury di 'Farenheit 451'?
    "Offri al popolo gare che si possano vincere ricordando le parole di canzoni molto popolari, o il nome delle capitali dei vari Stati dell'Unione o la quantità di grano che lo Iowa ha prodotto l'anno passato.
    Riempi i loro crani di dati non combustibili, imbottisili di "fatti" al punto che non si possano più muovere tanto son pieni, ma sicuri d'essere "veramente bene informati".
    Dopo di che avranno la certezza di pensare, la sensazione del movimento, quando in realtà sono fermi come un macigno."

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    1. Magari gli italiani, quelli poveri, quelli che non vengono dalla buona borghesia, quelli che sono i plebei e i servi, avevano tutto il diritto di non poterne più di fatica, miseria, religione catechistica perbenismo sacrificio e povertà, e magari la Costituzione avrebbe potuto se attuata proporre altro cui tendere. Ovvio che la macchina abbia una funzione sedativa laddove certi diritti non agiscono. Ovvio anche che il contadino o l'impiegato non ne possano più di spezzarsi la schiena e vogliano vedere e fare altro che passare il tempo andando e tornando dalla messa. Il verO cittadinO ha il diritto di desiderare lo zucchero? Quanti borghesi sono nelle condizioni di porsi questo dilemma? Ma diventano così meno PITTORESKI, poi, i poveri, e così meno facili da rendere oggetto di carità piena di degnazione, quella che soddisfa tanto chi la elargisce perché ribadisce la sua piena superiorità materiale e intellettuale. Sì, pure quando è comunista di quelli buoni e doc, ante 1976.

      Io non ne posso più, scusate la rozzezza precomprensivo-narcisistico-edonistico-malthusian-abortista dello sfogo, di queste fustigazioni sulla scorta di un personaggio per lo più mal compreso e preso là dove fa comodo, forse amato proprio per la sua immagine di eroe solo e titanico in un mondo corrotto e omologato che riporta a ben altre tentazioni. E già tanto che questo brano è più complesso articolato e onesto di altre citazioni che van per la maggiore. Ma certe prediche ossessive, ossessive, ossessive, mi ricordano tanto quanto il: "un linguaggio violento e autoritario, sempre più istituzionalizzato, ed un tono moralistico severamente punitivo e colpevolizzatore-, si sono aggiunti al disprezzo ostentato per i "perdenti" della stessa globalizzazione" da parte dei portavoce del gran capitale di cui parla il post. Lo stesso disprezzo, la stessa violenza.

      Post di ricapitolazione di tanti temi più volte trattati, inclusa la necessità di sostituzione dei mandatari per usura dei precedenti, di cui apprezzo molto peraltro l'uso del termine "restaurazione". La mia incapacità precomprensiva lo trova da tempo il più adatto a descrivere quanto sta accadendo. Già a partire dal mero impatto letterale il termine è atto a smontare il pervadente rimprovero colpevolizzatore in merito all'incapacità di adattarsi al necessario cambiamento di cui è profondamente intessuta la propaganda liberista.

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    2. Bellissime citazioni.

      Se il consumismo è stata la sovrastruttura ideologica che ha garantito la massima alienazione in fase di ciclo economico espansivo, l'austerità è stata la dottrina moralistica che ha accompagnato la ristrutturazione regressiva dell'organizzazione sociale con la vittoria del blocco liberale su quello sovietico.

      In fase deflattiva il consumismo è riservato a coloro che "ce la fanno" e aumenta il disagio psicologico delle classi meno agiate.

      « la "tolleranza" della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana. »

      Della "tolleranza" su costumi e generiche minoranze del politicamente corretto liberal ne abbiamo a lungo discusso: ognuno faccia quello che vuole e la pensi come vuole. Basti che non si metta in discussione il manovratore economico-politico.

      La schmittiana tirannia dei valori: ogni punto di vista è un punto d'attacco. Chi ha la posizione di vantaggio impone il proprio a seconda del momento e della situazione concrete. Nel relativismo etico e morale l'incoerenza lascia massimo spazio al bipensiero orwelliano.

      Gli unici "valori" che non possono essere messi in discussione sono quelli per cui si possa immaginare un altro ordine al di fuori del capitalismo liberale.

      Lo Stato etico deve essere spazzato via insieme alla sovranità popolare in nome della totalitaristica "società aperta".

      « non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo.

      Il totalitarismo del liberalismo, facendosi religione monoteistica, assume in sé l'universalismo dei proseliti clericali, cementando ideologicamente la suprema fase dell'imperialismo: la globalizzazione finanziaria monopolare.

      Ray Bradbury sottolinea l'antisocratico sapere di sapere della massa atomizzata che esprime le privatissime (e fenomenologicamente infondate) opinioni personali al posto di formare un' "opinione pubblica" espressione di coscienza democratica.

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    3. @Pellegrina
      Grazie. Cito un medico di campagna di quelli che avevano fatto la guerra: "La tbc non è stata sconfitta dalla medicina. Certo, ha pure dato una mano, ma quello che conta è una buona alimentazione e un buon riscaldamento".
      E la tanto consumistica lavatrice... me le ricordo, le donne a rompersi la schiena e guadagnarsi i reumatismi al gorgogliante ruscello... oh quanta poesia... [segue linguaggio scelto da caserma]

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    4. Sicuri che P.P.P. facesse l'elogio del pauperismo?

      E se avesse voluto invece alludere al fatto che se i lavoratori avessero voce in capitolo nel processo produttivo avrebbero la possibilità di scegliere i propri consumi, secondo bisogni propri, anziché subire la propaganda pubblicitaria che storicamente ha promosso persino prodotti che possono nuocere alla salute (finché la legge non lo ha vietato)? Scegliere secondo criteri che possono essere anche in totale conflitto con lo scopo principe del Capitale, ovvero quello di crescere e moltiplicarsi senza limiti.

      Se l'industria automobilistica non avesse avuto il peso politico che ha avuto, per fare un esempio concreto, città, cittadine e persino paesi si sarebbero sviluppati in modo diverso, più "denso" (basta guardare i centri storici) ma al contempo con maggiori spazi vivibili. Abbiamo invece larghe strade riservate alle auto, marciapiedi e piazze che, se non vengono attentamente presidiate dalla polizia municipale, si trasformano in parcheggi permanenti.

      Il fatto che in molte periferie urbane, dormitori completamente sguarniti di qualsiasi servizio, sia praticamente impossibile vivere senza avere un mezzo di trasporto privato è il risultato di una scelta politica. Facciamo ingrassare i palazzinari che costruiscono escrementi di cemento in mezzo alla campagna e poi obblighiamo le persone a buttare ogni giorno 2/3 ore della propria vita a spostarsi, stressandosi nel traffico o sui mezzi pubblici insufficienti nelle ore di punta, da casa al luogo di lavoro e viceversa.

      Eppure abbiamo la tecnologia che ci permetterebbe di far lavorare tante persone più vicine al proprio domicilio, basterebbero sedi distaccate collegate fra loro telematicamente. E invece di lasciare campo libero ai centri commerciali (molti di proprietà estera), spesso periferici e raggiungibili solo in auto, una classe politica decente avrebbe dovuto proteggere il commercio al dettaglio sotto casa.

      Ancora: chi l'ha detto che possedere una lavatrice in casa e doversi fare il proprio bucato sia il migliore dei mondi possibili?

      P.S.: l'elogio imbecille della modernità è speculare all'elogio imbecille dei bei tempi andati — si prestano entrambi ad essere utilizzati dai portatori di grandi interessi.

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    5. Certamente hai ragione tu, Correttore: Pasolini non sta facendo l'elogio del pauperismo (come d’altra parte non credo nessuno qui intenda difendere il consumismo). E tuttavia l'uso di termini come "autenticità" e "concretezza" riferito alle vecchie culture popolari, già refrattarie alla propaganda fascista, non lo trovo dei più felici. Per dire, Cristo si è fermato a Eboli penso (spero) che l'abbiamo letto tutti e, volendo menzionare la scuola di Francoforte, ricordo che Adorno scrisse un breve ma penetrante libretto di polemica contro il concetto di "autenticità".

      Per sdrammatizzare le polemiche e risolvere gli equivoci citerei più che altro Pasolini stesso, in particolare il suo "Sviluppo e progresso".

      Come si vede l'interpretazione corretta è proprio quella che davi tu. E tuttavia il fatto che l'articolo citato da Lorenzo sia stato pubblicato sul Corsera e invece quello linkato no (ha dovuto aspettare gli Scritti corsari) non è forse senza significato.

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    6. Come spesso capita, Arturo mi legge nel pensiero ed ha anticipato un non trascurabile rilievo che anche a me pare importante
      (a conferma del fatto che un concreto "medium", nella sua consolidata e gloriosa attività, talora "fa il messaggio", cioè crea un contesto che indirizza).

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    7. E, tra le altre connesse osservazioni, quanto detto da ultimo, si estende anche a Facebook.
      Il che ci riporta ad un'omologazione preventiva, cioè ad un filtro intrinseco, che conferma semmai l'incapacità gestionale dii ESSI e dei loro mandatari pro-tempore a gestire tale mediium.
      Ma probabilmente fingono di esserlo stati (incapaci) e sanno benissimo che, in qualche modo, il tutto è riassorbibile

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    8. 《 A questo punto voglio però abbandonare la terminologia che io (artista!) uso un po’ a braccio 》

      Lo ammette umilmente....

      Umiltà sconosciuta agli antisocratici affetti da Dunning-kruger.

      Se fossero stati così umili i rigorosi francofortesi avrebbero studiato un po' meno Freud e un po' più Keynes.

      Come Pasolini sia potuto diventare un'icona della Sinistra postmoderna rimane un mistero delle infinite possibilità della dissonanza cognitiva.

      Comunque il problema della civiltà del consumo non ha solo un aspetto ideologico e mediatico: ha come sottostante delle politiche economiche liberiste.

      La retorica del "consumo di massa" sottende il massimo sviluppo industriale con la minima redistribuzione del reddito prodotto.

      Ovvero?

      Invece di alzare i salari il giusto si tengono bassi i prezzi delle merci tramite le economie di scala con la scusa del "consumo di massa".

      Cosa comporta a livello sociale?

      La graduale scomparsa dei piccoli esercizi commerciali in favore delle catene della GDO, ad esempio.

      Il tema dello sradicamento è da associarsi al modernismo reazionario della setta positivista della religione liberale.

      A differenza della sinistra moderna, i socialisti erano consapevoli che il progresso scientifico non avrebbe portato progresso sociale se non tramite la lotta politica.

      Il culto del moderno come "bello" a prescindere è un mito reazionario e antidemocratico.

      La sinistra moderna ha ucciso Hegel e la dialettica.

      Cosa c'è di più omologante, alienante e volto allo sradicamento del web? Cosa c'è di più consumistico e totalitario di Facebook che ti fa consumare GRATIS? La merce che viene scambiata dal consumatore disoccupato è la propria intimità.

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    9. Arturo: ponevo la mia interpretazione in forma interrogativa perché non ho familiarità col Pasolini scrittore, poeta, polemista (fatta eccezione per uno dei suoi più noti e citati articoli). Però non mi risulta fosse schizofrenico e di conseguenza ho pensato che avere familiarità con la sua opera cinematografica potesse bastare ad azzardare un contesto interpretativo.

      Il mio intento non era tanto polemizzare, perché comprendo le motivazioni che portano ad interpretare le parole di Pasolini in quel senso. Veniamo costantemente posti davanti a scelte fasulle, una di queste è proprio quella fra antico e moderno o, se vogliamo, fra conservazione e rivoluzione.

      Volevo attirare l'attenzione su questa trappola delle false dicotomie, che rimuovono efficacemente dalla nostra (o comunque di tanti) attenzione la condizione in cui ci troviamo a vivere, ovvero l'illusione della libertà: molte delle scelte che possiamo operare sono estremamente limitate e quasi ininfluenti sul corso e la qualità della nostra vita. Stanno a valle di scelte molto più importanti che sfuggono ad una mediazione democratica, nonostante lo sforzo dei costituenti.

      Però queste enunciazioni in astratto se da una parte hanno il vantaggio di catturare una casistica potenzialmente infinita di "possibili stati di cose" alternativi a quello che viviamo, dall'altra non sono sufficienti, non vengono incontro ad una diversa modalità di pensiero, più concreta (specifico per evitare incomprensioni: non è che una modalità sia migliore di un'altra in assoluto, sono semplicemente diverse e hanno punti deboli e di forza diversi).

      Per questo motivo tentavo di portare degli esempi concreti che chiarissero che non si tratta di fare il tifo per la modernità o i bei tempi andati, ma di esplorare e scegliere delle alternative, favorevoli alle classi non o meno agiate, che spesso la logica del mercato scarta a priori.

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    10. Reduce dalla recente lettura degli scritti corsari di PPP, sono felice di trovare una così attenta analisi di uno dei nodi fondamentali dell'opera: progresso e sviluppo.

      A una prima lettura anche io ero caduto nell'equivoco dell'elogio pauperistico "ai bei tempi andati". Solo in seguito alla lettura di quello scritto fondamentale si evince chiaramente cosa andava dicendo Pasolini in merito. Il problema del consumismo è in effetti quello evinto da Correttore, cioé COSA, QUANTO, PERCHE' e PER CHI produrre.

      Appare indubbio che il benessere fustigato da PPP fosse tutto sviluppo e poco progresso: ma era intanto qualcosa, in condizioni strutturali di enorme difficoltà (il PCI da lui tanto decantato s'è visto cos'era...). Una piccola base di partenza su cui si doveva innestare una robusta dose di "socializzazione dell'investimento" a mezzo pianificazione economica (vedi tentativi Fanfani) e dalla quale, una volta distrutti i vari capisaldi, s'è ripiombati nell'attuale abisso di reazione e decrescismo infelice.

      Per tornare a FB e alle sue recenti disgrazie preannunciate sibillinamente da Soros, la domanda da fare, almeno accettando le categorie d'analisi marxiane, è sempre una: cui prodest?

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    11. Il consumismo.
      In polemica con Moravia Pasolini ribadisce che il suo giudizio sul consumismo degli italiani viene arbitrariamente allargato a un giudizio sul consumismo in generale. Il suo rifiuto di tale operazione, che pure viene da un amico, è nettissimo: "Moravia nel rimproverarmi la mia ingenua indignazione contro il consumismo, confonde continuamente il consumismo in generale con il consumismo italiano; benché egli abbia perfettamente capito la mia OSSESSIVA e peraltro abbastanza ovvia DISTINZIONE tra i due fenomeni. Ora, se egli mi rimproverasse un'ingenua indignazione CONTRO IL CONSUMISMO IN GENERALE, AVREBBE RAGIONE. MA mi provi che io m'indigno contro il consumismo in generale: produca cioè un mio testo contenente una simile indignazione. In realtà, per quanto riguarda la fase consumistica del capitalismo mondiale io la penso esattamente come Moravia. Se egli invece mi rimprovera un'ingenua indignazione contro il consumismo italiano allora egli ha torto. Perché senza indignazione sarebbe impossible parlarne. E' da escludere la possibilità dell'oggettività, quando la gestione della rivoluzione consumistica è stata manipolata DAI GOVERNANTI ITALIANI[all'epoca democristiani ndP] in un modo e in un contesto criminale." e forse, per quanto riguarda i governanti italiani si puo' utilmente aggiungere (tratto da un diverso contesto ma in cui riecheggia sempre la questione del consumismo): "esso (il problema della criminalità) esiste è vero, ma si pone in un mondo dove le istituzioni borghesi restano solide e efficienti, e continuano a offrire dunque una contropartita".
      PPP, "Le mie proposte su scuola e tv", e "Due modeste proposte per eliminare la criminalità in Italia", ora in: Lettere luterane, Torino, Einaudi, 1976, p. 175, p.167-168.
      Non sarebbe certo segno di poca serietà ricordarlo quando ci si serve di questo autore.

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    12. « Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l'intero paese che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un'opera di omologazione distruttrice »

      In questo pezzo Pasolini parla di consumismo ideologico, omologante proprio come quello che ha caratterizzato la globalizzazione ma che, contestualmente, ha creato masse di disocuppati, la distruzione delle PMI, della manifattura e, in generale, a favore del terziario e del precariato. Lo stesso consumismo che c'era nell'800 ed era stigmatizzato da Veblen.

      Siamo in recessioni da 10 anni, il consumismo è scomparso?

      Pier Paolo Pasolini poi si pone ANCHE del problema del "consumismo" inteso come politica industriale ITALIANA *necessaria* ai consumi di massa.

      È ovviamente un'accezione imprecisa, in quanta associa alla domanda aggregata le politiche dell'offerta: ma è lui il primo ad ammettere che usa la "terminologia a braccio".

      (Che poi, non essendo un economista, neanche lui sa chiarire in cosa consista questa "diversità" dal consumismo in senso generale)

      Il cosa e come produrre in Italia, per i suoi spettacolari paesaggi naturali e storici, per l'eterogeneità culturali e linguistiche, avrebbe dovuto avere una classe dirigente che fosse la più orientata agli interessi generali possibile, e meno compromesse con le logiche di profitto del capitale che, per motivi economicistici ed efficienza, privilegia il brutto e lo standardizzato - come dicevo più su - a sfavore del bello, del buono e - come è altresì stato notato - del "sano". (Come da Costituzione)

      È ovvio che, comunque, il consumismo inteso nella sua accezione storica, si accompagna direttamente alla questione del consumo di massa e alle scelte delle politiche industriali.

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    13. La conservazione e il progresso sono precompresi in significati che nulla hanno a che fare con la conservazione o meno della società in classi e il superamento dello sfruttamento di quelle subordinate.

      Keynes riteneva che l'avidità individuale su cui si basa il consumismo come fatto sociale, fosse necessaria "come motore" fintanto che non ci fosse stata la totale emancipazione dall'indigenza: così come tutte le altre esternalità negative che accompagnano i processi di industrializzazione.

      Pasolini è anche cosciente che certe aberrazioni dell'industrializzazione staliniana furono "obbligate".

      Tra l'altro, in riferimento al "potere conformante", come Marx e Schmitt, arriva ad una conclusione fondamentale sul "Potere": « Il potere non è un attributo o una proprietà di un individuo o di una classe di individui. Piuttosto, è ciò che sottende la stessa suddivisione tra soggiogati e soggiogatori, è l’elemento in virtù del quale è attendibile in prima istanza una “realtà” in cui alcuni sono soggiogati e alcuni altri sono soggiogatori. » Il Potere, che spinge tutti ad uniformarsi alla sua volontà, non è di per sé la "classe egemone"; questa è al limite una sua espressione: il Potere è impersonale. È altro dal potente: è alieno all'umano.

      « Il “consumismo” è una conseguenza necessaria dell’imporsi di relazioni di potere e, sempre in questo senso, esso costituisce un «nuovo fascismo», o più precisamente un «tecno-fascismo», cioè una nuova (più efficace) dittatura incondizionata del “volere”. »

      E questo scontro tra fascisti ed antifascisti, non è soprattutto "in questi termi" peculiarità italiana?

      « Mi chiedo, caro Alberto, se questo antifascismo rabbioso che viene sfogato nelle piazze oggi a fascismo finito, non sia in fondo un’arma di distrazione che la classe dominante usa su studenti e lavoratori per vincolare il dissenso. Spingere le masse a combattere un nemico inesistente mentre il consumismo moderno striscia, si insinua e logora la società già moribonda” »

      Si muove, con tutte le giuste licenze poetiche, nella polemica generale della scuola di Francoforte.

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    14. @Correttore: se ci si presta attenzione si noterà che i riferimenti a una plebea e volgare concretezza, quando si fanno certi discorsi, non arrivano MAI. Ma proprio mai. Sarà un caso, certo, il superiore intelletto e status sociale di chi li tiene e chi li ascolta rendendoli superflui e quasi screanzati.
      Ma non rendono superflui, però, diluvi moralistici che si appoggiano su un autore che sarebbe degno di altra attenzione e altro rispetto e che tendono sempre a stigmatizzare qualsiasi cosa non sia austerità e ordine morale. Perfettamente integrati nei " “poveri”, di “lavoratori”, di “risparmiatori” [oddìo, chi poteva], di “soldati”, di “credenti”".

      Chiedi se Pasolini fosse in ultima analisi per il pauperismo. Difficile dirlo, sia per mia scarsa conoscenza, sia per difficoltà obbiettiva nel ricavare una coerenza assoluta nella sua opera (c'è chi parla addirittura di "imperturbabile doppiezza" e se c'è una cosa cui rimane fedele è infatti la coerenza nella provocazione, nella ricerca di attenzione, questo è molto chiaro), Franco Benati, "Il Corsera", in Pasolini a casa Testori, Cinisello Balsamo, Silvana, 2012, p. 109-111. Razionalmente no, se si prende il testo linkato da Arturo, ma lì la cosa viene ricompresa in una prospettiva rivoluzionaria. Fino ad allora, si schiatta in un tugurio? Questo è un tema che attraversa anche il sobrio moralismo del PCI dell'epoca peraltro.
      D'altra parte, se c'è in PPP una condanna generale e senza appello del consumismo italiano c'è anche la sua estrema generosità nelle situazioni concrete, sulla falsariga del "peccato ma non il peccatore". Però allo stesso tempo lo smarrimento angosciato difronte alla scomparsa del sottoproletariato, del mondo che gli piaceva, lo porta a accenti veramente più che ambigui. Questa cosa non gliela si può toccare, da lucido e forte diventa perso e anelante. E i ragazzi sottoproletari e poveri che IN QUANTO TALI conoscono "il mistero della realtà" [!!!!? o madonna e la "mistica della mascolinità" gli fa un baffo!] e i ragazzi iraniani di Isphaan "dignitosi umili e innocenti" e mille altre note sparse nei suoi scritti rendono piuttosto evidente un registro duplice, che non riesce a fondersi in una posizione organica e chiara e palesa soprattutto una sua problematica profonda e irrisolta davanti a questo argomento. Quanto questo elemento pesasse l'aveva capito meglio di tutti Moravia e lo spiega perfettamente nel suo ricordo di Pasolini pubblicato il 9 novembre 1975 da L'Espresso e ora accessibile sul sito del centro studi a lui dedicato a Casarsa.
      [Segue]

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    15. [2 - seguito]
      "la sua grande scoperta: quella del sottoproletariato, come società rivoluzionaria, analoga alle società protocristiane, ossia portatrice di un inconscio messaggio di ascetica umiltà da contrapporre alla società borghese edonista e superba.
      Questa scoperta corregge il comunismo, fino allora probabilmente ortodosso di Pasolini; gli dà il suo carattere definitivo. Non sarà, dunque, il suo, un comunismo di rivolta, e neppure illuministico; e ancor meno scientifico; né insomma veramente marxista. Sarà un comunismo populista, “romantico”, cioè animato da una pietà patria arcaica, un comunismo quasi mistico, radicato nella tradizione e proiettato nell’utopia [E questo, detto nel 1975! dalla lucidissima intelligenza moraviana, spiega meglio di tutto perché venga caricato con entusiasmo oggi da personaggi politicamente sideralmente opposti a lui, ndP]. È superfluo dire che un comunismo simile era fondamentalmente sentimentale (do qui alla parola “sentimentale” un senso esistenziale, creaturale e irrazionale). Perché sentimentale? Per scelta, in fondo, culturale e critica; in quanto ogni posizione sentimentale consente contraddizioni che l’uso della ragione esclude. (...) Questa poesia civile, raffinata, manieristica ed estetizzante che fa ricordare Rimbaud e si ispirava a Machado e ai simbolisti russi, era tuttavia legata all’utopia di una rivoluzione sociale e spirituale che sarebbe venuta dal basso, dal sottoproletariato, quasi come una ripetizione di quella rivoluzione che si era verificata duemila anni or sono con le folle degli schiavi e dei reietti che avevano abbracciato il cristianesimo. Pasolini supponeva che le disperate e umili borgate avrebbero coesistito a lungo, vergini e intatte, con i cosiddetti quartieri alti, fino a quando non fosse giunto il momento maturo per la distruzione di questi e la palingenesi generale (...) Sarebbe ingiusto dire che Pasolini aveva bisogno, per la sua letteratura, che la cosa pubblica restasse in questa condizione; più corretto è affermare che la sua visione del mondo poggiava sull’esistenza di un sottoproletariato urbano rimasto fedele, appunto, per umiltà profonda e inconsapevole al retaggio di un’antica cultura contadina.
      [2 - segue]

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    16. [3 - seguito - grassetto mio]
      Ma a questo punto è sopravvenuto quello che, in maniera curiosamente derisoria, gli italiani chiamano il “boom” , cioè si è verificata ad un tratto l’esplosione del consumismo. E cos’è successo col “boom” in Italia, e per contraccolpo nella ideologia di Pasolini? È successo che gli umili, i sottoproletari di Accattone e di Una vita violenta, quegli umili che nel Vangelo secondo Matteo Pasolini aveva accostato ai cristiani delle origini, invece di creare i presupposti di una rivoluzione apportatrice di totale palingenesi, cessavano di essere umili, nel duplice senso di psicologicamente modesti e di socialmente inferiori, per diventare un’altra cosa. Essi continuavano naturalmente ad essere miserabili, ma sostituivano la scala di valori contadina con quella consumistica. Cioè, diventavano, a livello ideologico, dei borghesi.

      Questa scoperta della borghesizzazione dei sottoproletari è stata per Pasolini un vero e proprio trauma politico, culturale e ideologico. Se i sottoproletari delle borgate, i ragazzi che attraverso il loro amore disinteressato gli avevano dato la chiave per comprendere il mondo moderno, diventavano ideologicamente dei borghesi prim’ancora di esserlo davvero materialmente, allora tutto crollava, a cominciare dal suo comunismo populista e cristiano. I sottoproletari del Quarticciolo erano, oppure aspiravano, il che faceva lo stesso, ad essere dei borghesi; allora erano o aspiravano a diventare borghesi anche i sovietici che pure avevano fatto la rivoluzione nel 1917, anche i cinesi che avevano lottato per più di un secolo contro l’imperialismo, anche i popoli del Terzo mondo che una volta si erano configurati come la grande riserva rivoluzionaria del mondo.

      Non è esagerato dire che il comunismo irrazionale di Pasolini non si è più risollevato dopo questa scoperta. Pasolini è rimasto, questo sì, fedele all’utopia, ma intendendola come qualche cosa che non aveva più alcun riscontro nella realtà e che di conseguenza era una specie di sogno da vagheggiare e da contemplare ma non più da realizzare e tanto meno da difendere e imporre come progetto alternativo e inevitabile.
      Da quel momento Pasolini non avrebbe più parlato a nome dei sottoproletari contro i borghesi, ma a nome di se stesso contro l’imborghesimento generale. Lui solo contro tutti. Di qui l’inclinazione a privilegiare la vita pubblica, purtroppo borghese, rispetto alla vita interiore, legata all’esperienza dell’umiltà. Nonché una certa ricerca dello scandalo non già a livello del costume ma a quello della ragione. Pasolini non voleva scandalizzare la borghesia, troppo consumistica ormai per non consumare anche lo scandalo. Lo scandalo era diretto contro gli intellettuali, che, loro sì, non potevano fare a meno di credere ancora nella ragione. Di qui pure un continuo intervento nella discussione pubblica, basato su una sottile e brillante ammissione, difesa e affermazione delle proprie contraddizioni.
      Ancora una volta Pasolini si teneva alla propria esistenzialità, alla propria creaturalità. Solo che un tempo l’aveva fatto per sostenere l’utopia del sottoproletariato salvatore del mondo; e oggi lo faceva per criticare la società consumista e l’edonismo di massa. (...)

      Insomma: il popolo o il sottoproletariato che dir si voglia doveva restare fissato a ciò che tranquillizzava la sua costruzione intellettuale e esistenziale di borghese... e condividerne i sogni. Certo non molto marxista. Ma anche questo spiega il perché del suo successo odierno.

      La cosa che sarebbe interessante ritrovare perché farebbe fare un passo avanti alla questione è il pezzo di Moravia che polemizza con lui sul consumismo e a cui Pasolini risponde precisando che sta parlando del "consumismo italiano". Ma ancora non ci sono riuscita.

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    17. [seguito 4 e fine]
      Ma per tornare qui.
      E francamente sarebbe ora, prima di discutere di dove mettere le lavatrici, innanzitutto tenersele ben strette, insieme alla pillola malthusiana (e ciò non è così scontato). Guarda che la posta è molto meno cosmetica di quello che sembra (se fosse solo quello, riconoscerlo non mi darebbe problemi, come altre volte è accaduto).

      Quanto alle lavatrici, sì, ci sono anche quelle collettive, che peraltro sono perfettamente integrate nell'ordine del capitalismo svizzero, insieme alla moneta e alla politica valutaria - dev'essere quello il discrimine :-). Ma non senza lavatrice, please, e facciamoci grazia della morale sulla medesima.

      @Frank: ma grazie a te, davvero. Alle volte mi sembra che ci sia proprio un vizio di prospettiva sociale. Per rimanere nel tuo paragone: quando mai i moralisti apocalittici di queste parti metterebbero a fare il bucato la compagna di un alto magistrato? Certe morali, bucato o matrimonio o vita professionale o espressione del dissenso che siano, non sono fatte per loro e non lo saranno mai, esattamente come la morale e la legge dei sudditi nel XVI non era quella dei re e delle loro famiglie, che potevano leggere e scrivere e salvare e uccidere chi e quel che volevano o professare, in cappelle discrete ed eleganti, le credenze che preferivano.
      Non sono loro a rischio, e non certo per via della deflazione salariale.

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    18. [P.S.: che poi le folle che abbracciano il cristianesimo non mancassero di ricchi e ricche aristocratiche - con tanto di folle di schiavi al seguito ficcati in convento su due piedi - se lo scorda pure Moravia...]

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  2. Aggiungerei che si tratta anche di un pretesto per vendere (senza creare eccessivi allarmismi di carattere strutturale) azioni di un titolo cresciuto eccessivamente di prezzo (come molti altri, soprattutto in rapporto all'economia reale).

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  3. Come non citare Debord:

    Non si può contrapporre astrattamente lo spettacolo e l’at­tività sociale effettiva; questo sdoppiamento è esso stesso sdoppiato. Lo spettacolo che inverte il reale viene effetti­vamente prodotto. Nello stesso tempo la realtà vissuta è materialmente invasa dalla contemplazione dello spetta­colo, e riprende in sé l’ordine spettacolare dandogli una adesione positiva. La realtà oggettiva è presente da en­trambi i lati. Ogni nozione così fissata si fonda solo sul suo passaggio nell’opposto: la realtà sorge nello spettacolo, e lo spettacolo è reale. Questa alienazione reciproca è l’essenza e il sostegno della società esistente.

    Per descrivere lo spettacolo, la sua formazione, le sue fun­zioni, e le forze che tendono alla sua disgregazione, bisogna fare delle distinzioni artificiali tra elementi inseparabili. Analizzando lo spettacolo, si parla in una certa misura il linguaggio stesso dello spettacolare, poiché si passa sul ter­reno metodologico di questa società che si esprime nello spettacolo. Ma lo spettacolo non è nient’altro che il senso della pratica totale di una formazione economico-sociale, il suo impiego del tempo. È il momento storico che ci con­tiene.

    Il carattere fondamentalmente tautologico dello spettacolo deriva dal semplice fatto che i suoi mezzi sono nello stesso tempo il suo fine. È il sole che non tramonta mai sull’impero della passività moderna. Esso ricopre tutta la superficie del mondo ed è immerso per l’eternità nella propria gloria.

    La società che poggia sull’industria moderna non è fortui­tamente o superficialmente spettacolare, è fondamental­mente spettacolista. Nello spettacolo, immagine dell’eco­nomia regnante, il fine non è niente, lo sviluppo è tutto. Lo spettacolo non vuole giungere a nient’altro che a sé stesso.

    https://www.marxists.org/italiano/sezione/filosofia/debord/societa-spettacolo.htm

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  4. Sulla citazione di Pasolini noto anche io, ma potrò sbagliarmi, un certo disprezzo "borghese elitario" per il popolo italiano che si affranca, certamente con i suoi limiti, e certamente sotto l'influsso della propaganda pubblicitaria capitalista, dalla miseria; affrancamento dalla miseria avvenuto anche per mezzo degli effetti, parziali e limitati, della messa in pratica della nostra Costituzione e della connessa industrializzazione di Stato. Chi ha conosciuto miseria, disoccupazione, caporalato, stipendi da fame è naturale, ed anche auspicabile, che aspiri prima di tutto ad un benessere materiale; un benessere materiale che molti intellettuali comunisti (ma invero borghesi elitari) hanno però sempre condannato, perché non portava appresso le buone letture e le buone maniere dei borghesi (come l'andare a teatro in pelliccia pregiata ad ascoltare concerti e opere liriche alte e colte). Certo è che chi vive sempre così in alto e ha avuto la possibilità di dedicarsi allo studio dei "grandi" della poesia e della letteratura, perché il destino lo ha esentato dallo spezzarsi la schiena prima nei campi e poi in fabbrica, non veda poi altro che degrado nel benessere raggiunto da un operaio del dopoguerra che, dopo anni di sacrifici in fabbrica, riesce finalmente a comperarsi una macchina proletaria con cui andare in campagna i fine settimana insieme a moglie e figli per rilassarsi un po (come mio padre faceva con me). Poi è una dato che certe forme di consumo, come la TV e i giornali, siano state usate per veicolare virus ideologici sotto forma di spettacoli-anestetici per la popolazione, con l'obiettivo di portarla ad abbracciare valori prettamente individualisti e competitivi, anziché collaborativi, etici, socialisti, solidaristici; questi valori hanno in seguito veicolato il messaggio che l'aspirazione al benessere e al "consumismo" non è più per le masse, ma solo per coloro che competono darwinisticamente e "ce la fanno"; per i pochi, per l'élite autoselezionata e "meritevole" che si esalta in TV e nei media "alternativi". E gli altri non sarebbero altro che prodotti di scarto, rifiuti, sovra natalità, da eliminare ed estirpare, per il bene di Gaia.
    Fatta questa dovuta considerazione sugli effetti ideologico-anestetici di certe forme di consumo, a me sembra però che il Pasolini tenda a buttare via il bambino (l'emancipazione dalla miseria e dal lavoro schiavile, l'aumento del benessere) con l'acqua sporca (le tecniche di propaganda e la diffusione di valori per controllare le masse). Inoltre noto in Pasolini, così come in tutti i decresciti, un certa nostalgia di un "paradiso perduto" contadino e tradizionale, un paradiso, che non è mai esistito se non come forma idealizzata e sognata da qualche intellettuale radical chic.

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  5. Quando la periferia era staccata dal centro non è che la società fosse più "umana" se non nel pensiero di qualche sognatore:
    "Nella foto scattata prima della demolizione avvenuta tra il 1882 e il 1890, l'antico lazzaretto di Milano, di cui resta la chiesa (oggi San Carlo) e qualche pezzo in via San Gregorio: fino all'abbattimento il veccho edificio semidiroccato era occupato da decine di famiglie povere e la chiesa serviva da fienile. Perfino in provincia di Milano, secondo l'inchiesta Jacini, le stalle "di solito sono piccole, basse tenute chiuse con molta cura, massime d'inverno, troppo umide, sudice, fetenti e ovunque ingombre di ragnatele, le quali a detta di bifolchi sono necessarie per accalappiare le mosche. E in cotesti schifosi siti i contadini passano d'inverno gran parte del giorno, e tutte le lunghe sere!"."
    "La relazione del medico condotto Luigi Alpago Novello che aveva lavorato tra i contadini trevigiani nella seconda metà dell'Ottocento, all'epoca in cui fu scattata questa foto a una famiglia vicentina, toglie il respiro: "Gli individui di una famiglia di contadini sono valutati in ragione dell'utile che apportano. La morte di quelli che sono impotenti o poco adatti al lavoro o giacciono a letto da qualche tempo è un fatto che ha minore importanza e cagiona molte volte minor dolore della morte, non dirò di un grosso animale bovino, ma anche di una semplice pecora. (...) Se si ammala un bovino la famiglia si butta nella disperazione corre dal veterinario (se la cura è gratuita) o da un empirico ed eseguisce tutte le operazioni appuntino... Spesse volte si percorrono molti chilometri per chiamare il veterinario affinché venga a visitare un vitello "che ha poca voglia di mangiare"; si lasciano invece ammalarsi e morire i bambini senza far appello al medico o senza per lo meno eseguire le di lui prescrizioni"."
    http://no-miedo.blogspot.it/2010/11/litalia-povera.html

    Che gioia!! Che valori!! Che umanità!!

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    1. E, soprattutto, quanta concretezza e autenticità. Se è per quello anche le guerre e i terremoti sono autentici e concreti: qualcuno ne dubita?
      Il fatto che il consumismo sia una forma distorta imposta al benessere e che si accompagni a grandi strumenti di manipolazione non toglie che la miseria sia sempre stata apprezzata e lodata solo da chi non la provava ai suoi gradi "seri".

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    2. Sulla definizione di consumismo data da Bazaar ero e sono perfettamente d'accordo. L'equivoco nasce, come alcuni hanno segnalato, da cosa si intende veramente per consumismo, perché di definizioni al riguardo ne ho sentite parecchie. E alcuni autori fanno un tutt'uno tra consumo di massa volto all'aumento del benessere e all'emancipazione dalla misera delle classi subalterne e l'aspirazione alla sempre maggiore ricchezza e al successo individuale, allo status, per mezzo della competitività, che sono invece sintomi di degenerazione antisocialista. Su Pasolini, non conoscendolo bene (riconosco i miei limiti), ho detto all'inizio che potevo anche aver inteso male quello che voleva comunicare. Altri hanno fatto bene a chiarire la reale posizione dell'autore sul tema, e mi fa piacere.

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  6. L'oligarchia capitalistica, a base anglosassone, è arrivata al capolinea.
    Prima si è scavata la fossa cercando di imporre un mondo unipolare ed oggi si sta seppellendo insieme al suo maggiore idolo: il consumismo.
    Il consumismo è stato l'unico punto di forza dell'occidente, la base ideologica per asserire la superiorità sistemica del capitalismo occidentale e per poter ostentare il disprezzo verso i 'perdenti della globalizzazione'.
    Senza la promessa di poter perpetuare il consumismo di massa (non solo per chi ce la fa) non basteranno neppure i pretoriani.
    Il reddito della gleba poi non potrà essere la 'soluzione mondialista di riserva' perchè non solo costituisce la negazione del consumismo ma perchè tale ipotesi non viene minimamente contemplata dai poli antagonisti (che puntano invece decisamente sulla crescita del capitalismo pubblico e privato).
    Nel lungo termine chi cresce stabilmente prenderà ineluttabilmente il sopravvento su chi decresce.
    A proposito, lunedì potrebbe manifestarsi il primo segno visibile dell'inizio della fine del petrodollaro.

    https://www.zerohedge.com/news/2018-03-22/china-one-signature-away-dealing-dollar-death-blow

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  7. Ottima descrizione delle strategie di costruzione/conservazione del consenso insite nel piano di restaurazione dell'ordine internazionale dei mercati. Solo un'osservazione: la mappa non è il territorio. E questo vale sia per gli estensori del "piano", che per chi ce lo ha mirabilmente descritto.

    In ogni caso la situazione è così "interessante" che vorrei vivere altri cento anni per vedere come va a finire. Sempre che, prima di allora, non facciano saltare in aria il pianeta.

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    1. Di certo nella stanza dei bottoni non abitano personaggi che fanno della cooperazione tra Stati il loro mantra http://www.middleeasteye.net/news/john-bolton-donald-trump-314509430

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  8. Sono piuttosto stupito del numero di riscontri wuminghiani su Pasolini.

    Ora, come la maggior parte delle sue riflessioni, quella riportata da Lorenzo mi sembra chiara come più chiara non poteva essere: con quella chiarezza con cui solo un artista e difficilmente un filosofo riesce a comunicare.

    Il CONSUMISMO: « Il concetto di ‘consumo vistoso’ è stato utilizzato da T.B. Veblen per descrivere la propensione ad acquistare beni apprezzati non tanto per il loro valore intrinseco, quanto per l’attribuzione di status sociale di classe agiata, che dal loro possesso può derivare. [...] (F. Hirsch) Sono desiderati e acquistati proprio perché segnalano distinzione e status sociale, ma la loro offerta non può essere aumentata più di tanto, sia perché scarseggiano, sia perché il loro godimento si deteriora quante più persone vi accedono [...] La concezione della società tecnologica come sistema totalizzante, che massifica i comportamenti degli individui nei modelli di mercato, portò H. Marcuse alla critica radicale della ‘società affluente’ e dei suoi strumenti di repressione collettiva. Gli stessi temi, ripresi dagli autori della scuola di Francoforte (M. Horkheimer, T.W. Adorno, J. Habermas) »

    Tutti questi pericolosi neoliberisti borghesi la pensavano come Pasolini.

    Ma qualcuno mi riesce a spiegare come fa ad essere il consumismo conforme alla socialistica emancipazione dalla miseria?

    Ora il consumismo è una forma di socialismo?

    Ma io sono allibito.

    Il consumatore e il lavoratore sono la medesima categoria sociologica?

    Un sindacato è un'associazione di consumatori?

    Struttura e sovrastruttura sono la medesima cosa quando si parla di domanda aggregata?

    L'ammiccamento ad arricchirsi della propaganda stigmatizzato da Caffè negli anni '80, cosa era, una condanna moralistica di un borghese riservata a coloro che si volevano emancipare dalla miseria?

    Ma è il modo di interpretare un testo?

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  9. Il cavallo di battaglia della controrivoluzione neoliberale, stigmatizzato dai grandi marxisti degli anni '60, frustrati e scoraggiati dalla dimensione imprevista del problema, che hanno dovuto persino tirare in mezzo Freud per affrontare il "nuovo totalitarismo", riesce a venire associato al socialismo. Dopo tutto il lavoro fatto qui.

    L'edonismo radicale di Fromm ridotto a "finalmente la domenica si fa la scampagnata": « Da sempre sono esistiti individui convinti che per essere felici sarebbe bastato raggiungere il piacere, il potere, la fama e la ricchezza, e che l'unica cosa da imparare non fosse tanto l'arte di vivere quanto il modo per ottenere abbastanza successo da acquisire i mezzi per vivere bene. Eppure, se anche esistevano individui e gruppi che praticavano il principio di un edonismo radicale, tutte le culture avevano maestri di vita e maestri di pensiero. »

    Il concetto di alienazione e sradicamento sono alla base del socialismo: a partire dello sradicamento delle masse contadine che abbandonavano le campagne per vendersi come salariati in città.

    Il consumismo è ***exclusive***: non ha nulla a che fare con la socializzazione economica, il potere d'acquisto, e la relativa inclusività

    Per fortuna che c'è almeno stato chi ha citato Guy Debord. Non ho parole.

    Certo è che intellettuali che si occupano solo di sovrastrutture non possono che risultare indigesti a chi deve tirare a campare: ma allora, da questo punto di vista, anche Keynes si rivolgeva alle élite culturali e politiche. Quindi?


    Ma solo io trovo evidente che consumismo e decrescismo sono due facce della stessa medaglia?

    Nessuno nota che il "consumismo" sta al darwinismo sociale come la "decrescita felice" sta al malthusianesimo?

    Quando si parla di totalitarismo liberale...

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    1. Consumismo e decrescismo sono due facce della stessa medaglia, peraltro forgiata dallo stesso fabbro (neoliberista).

      Non per niente quelli che oggi dicono che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità sono gli stessi che incitavano Berlusconi a "fare come Menem in Argentina". Non per niente quelli che stigmatizzano la società dei consumi pre-crisi erano gli stessi a cui quell'economia fondata su montagne di debiti fatti per acquistare beni di consumo in sovra-produzione andava benissimo. Non per niente quelli che "lo stato è come una famiglia e non deve fare debiti" sono gli stessi che, prima del 2008, incitavano i padri di famiglia a fare debiti anche se non avevano un vero lavoro......

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    2. consumerism - mass consumption - conspicuous consumption

      In italiano tutti e tre i termini inglesi si traducono genericamente con consumismo e questo genera spesso confusione.

      Tuttavia da assiduo fequentatore del mercato rionale di Casal dei Pazzi (vicino alla borgata di Rebibbia, dove P.P. Pasolini visse alcuni anni e dove c'è anche una targa di travertino commemorativa - http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/06/30/pasolini-la-piazzetta-di-rebibbia.html) posso testimoniare che il significato largamente prevalente dato a consumismo dai frequentatori del mercato e' quello di 'mass consumption'.

      Si e no l'1% dei frequentatori sarebbe infatti in grado di comprendere la sottigliezza di un 'consumerism' o di 'conspicuous consumption'.

      Mettere quindi in relazione il consumismo/'mass consumption' così inteso con il 'darwinismo sociale' non mi sembra corretto mentre ha perfettamente senso in caso di 'conspicuous consumption'.

      Chiudo con una battuta: non credo sia stato per caso che per millenni l'unica 'decrescita felice' nota all'umanità sia stata la 'mestitia post coitum'. Chi teorizza questo ossimoro in altri contesti ha già perso.

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    3. @Cellai: tuttavia il primo a non fare tante, benché doverose, sottigliezze è proprio Pasolini. Quando stigmatizza chi va in chiesa in macchina, per restare a un esempio portato qui. Che la feticizzazione consumista possa essere in primo luogo feticizzazione della liberazione dalla fatica, se non dal bisogno, è sfumatura che non pare troppo interessarlo. Lui ce l'ha con quegli italiani e deve predicare, salvo poi fare le precisazioni che fa a Moravia (il quale, malgrado l'esecrazione di prammatica, dal canto suo è ben attento a salvaguardare la necessità di una vita, come scrive lui "decente e moderna" per tutti). Purtroppo ancora non riesco a individuare il testo preciso cui Pasolini risponde.

      Chi sa cosa avrebbe pensato Pasolini della vita da Hartz IV che pubblicava poche settimane fa Voci dalla Germania. Una perfetta vita senza consumismo attivo, che fa appunto estasiare uno dei commentatori di quel blog. Dopo tutto "l'essenziale" c'era, e se per cultura e istruzione sono previsti 40 euro al mese, non è forse consumismo anche l'industria culturale [degli e per gli altri, ovviamente]?
      Ma poi, siamo certi che i suoi sottoproletari e proletari ignorassero il bisogno del "superfluo"? E purtroppo chi martella contro un generico edonismo non scrive cose troppo diverse, né meno tendenti a stimolare una sorta di autofustigazione. Sempre maiali siamo considerati.

      Davvero fuori dalla miseria e dal bisogno non esisterebbe più tale impulso? Esigenza fondamentale di un certo tipo di persone dedite ad attività intellettuale è crederlo, non necessariamente per scopi limpidi. Ad esempio per "rifiutare la modernità" e ritornare sotto pretesi valori perduti, non necessariamente pasoliniani, che personalmente non condivido, ritenendoli finalizzati a una oppressione economica e non solo (esattamente come lo furono nel passato da cui sarebbero scaturiti) e non vedendovi una scelta praticabile per i ceti bassi ai quali appartengo che da tale sistema non sarebbero molto meglio trattati. Anche se questa opinione mi mette al di fuori da un sistema di valori che credo sia quello ultimo anche di questo pur a me assai caro blog.
      Ma credo tutto questo fosse già abbastanza chiaro.

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  10. (Certo è che questa difficoltà di ragionare in modo dialettico - Hegel! - è stata sfruttata in modo perfetto; le classi egemoni possono così escogitare qualsiasi "divide et impera": fascisti contro antifascististi, moralisti confessionali contro paladini dei diritti borghesi, austeriani contro edonisti, suprematisti bianchi contro autorazzisti... consumisti contro malthusiani. Ma Pasolini malthusiano non si può proprio sentire...)

    (Tra l'altro è la civiltà dei consumi che ha permesso, all'interno della rivoluzione liberale, di far identificare massivamente gli oppressi con gli oppressori. L'alienazione suprema)

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  11. Il seguente brano di Massimo Bontempelli [1], come sempre lucidissimo, e di cui raccomando la lettura integrale, ci aiuta a capire a che cosa si riferiva Pasolini quando parlava di ''nuovo fascismo''.

    "L'odierna stupidità crede che l'epoca dei totalitarismi sia ormai trascorsa, in quanto dà per scontato che i totalitarismi siano soltanto fascismo, nazismo, comunismo. Ma cosa significa totalitarismo? Significa che i diversi ambiti e livelli della vita collettiva hanno perduto la loro specifica autonomia, ed obbediscono ad una medesima ed unica logica di potere. Questa logica di potere è rappresentata nel totalitarismo politico dallo Stato e dal partito unico variamente intrecciati (nell'Italia fascista, ad esempio, il totalitarismo, peraltro assai incompleto, faceva perno sullo Stato, mentre nella Germania nazista soprattutto sul partito). Ma quello politico non è l'unico totalitarismo concepibile, e neanche quello compiuto. Noi oggi viviamo dentro un totalitarismo economico, gradualmente impostosi da un quarto di secolo, rispetto al quale quello di un qualsiasi Stato fascista è un totalitarismo all'acqua di rose. Certo, un totalitarismo economico non appare visibile come tale alla stessa stregua di un totalitarismo politico, e risulta anzi del tutto invisibile ai più, ma, proprio in ragione di questo suo rimanere ben nascosto, esso penetra molto più profondamente nelle anime, instupidendole ed anestetizzandole spiritualmente come nessun dittatore avrebbe mai potuto fare, e diventando così totalitario al massimo grado.

    Il mondo in cui oggi viviamo è compiutamente, esasperatamente totalitario. Questo è semplicemente un fatto. Si è detto, infatti, che il totalitarismo indica, nella sua nozione, la mancanza di autonomia dei diversi ambiti e livelli della vita collettiva, subordinati tutti ad una medesima ed unica logica di potere. Ed oggi non c'è ambito e livello della vita collettiva che non sia assoggettato alla logica esclusiva dell'economia, ridotta a sua volta a pura logica mercantile del profitto aziendale."

    A comprova della mia tesi, propongo un accostamento a un intervento di Pasolini---riferimento che non è presente nello scritto di Bontempelli---perché mi sembra interessante far notare certe concordanze di vedute tra i due autori.

    Bontempelli scrive, a pagina 98 (op. cit.):

    ''[il totalitarismo neoliberista] penetra molto più profondamente nelle anime, instupidendole ed anestetizzandole spiritualmente come nessun dittatore avrebbe mai potuto fare, e diventando così totalitario al massimo grado.''

    Pasolini dice, nel documentario della Rai ''La forma della città'':

    ''[...] E allora io penso questo: che il fascismo, il regime fascista, non è stato altro, in conclusione, che un gruppo di criminali al potere, e questo gruppo di criminali al potere non ha potuto in realtà fare niente, non è riuscito a incidere, nemmeno a scalfire lontanamente la realtà dell'Italia [...]''

    Naturalmente questo brano di Pasolini andrebbe integrato da tutto il corpus delle sue riflessioni in merito alla società: Scritti Corsari, Lettere luterane, Descrizioni di descrizioni, Il volgar eloquio, Il caos, Il sogno del Centauro, e Le belle bandiere. Simmetricamente, lo scritto di Bontempelli che ho citato andrebbe integrato da tutto il corpus delle sue riflessioni. Le concordanze sono notevoli. Suggerisco, in particolare, la lettura del libro di Bontempelli sul Sessantotto, molto più lucido e chiaro di quello scritto da Costanzo Preve.



    [1] Massimo Bontempelli "L'agonia della scuola italiana" (2000) Editrice C.R.T. (ora Petite Plaisance).

    Tutto il capitolo 6 di questo libro di Bontempelli si trova riprodotto in

    http://telegra.ph/Lagonia-della-scuola-italiana-10-26

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  12. Non basta leggere un autore per giudicarlo: bisogna anche averlo compreso. Osservo che molti commenti qui sono stati scritti da chi non lo ha nemmeno letto.

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  13. Gramsci:

    "Le idee e le opinioni non "nascono" spontaneamente nel cervello di ogni singolo: hanno avuto un centro di irradiazione e di diffusione, un gruppo di uomini o un anche un uomo singolo che le ha elaborate e le ha presentate nella forma politica di attualità.".

    http://orizzonte48.blogspot.com/2017/11/la-lunga-marcia-segreta-della.html

    Per quanto riguarda il consumismo:

    Bazaar4 luglio 2016 17:57

    Come sai, il consumo è una cosa, il consumismo è un'altra cosa.

    Quest'ultimo, nel secondo dopoguerra, si è manifestato come sovrastruttura delle costituzioni materiali - ovvero della struttura sociale reale - in funzione "anti-keynesiana". In che senso: il consumismo, propriamente definito come da Veblen, ovvero come forma di consumo veicolato dall'immagine, dal prestigio, dallo status symbol, ha avuto il ruolo di disintegrare la coscienza di classe in una fase del capitalismo in cui le disuguaglianze dovevano diminuire aumentando i consumi in funzione anti-comunista e anti-russa.

    Le democrazie sociali dovevano rimanere al "guinzaglio": la scarsità delle risorse è la sovrastruttura che cosmetizza il ben più strutturale "vincolo esterno" di cui si è approfondito in questi spazi. (Quello che in Italia è stato rappresentato da Einaudi, dal Quarto Partito, dalla "mano invisibile" del governo sovranazionale dei mercati, dalla moneta unica, dall'europeismo, dal mondialismo, ecc.). I finanzieri non si chiamano "strozzini" per nulla.

    I subalterni dovevano identificarsi con la leisure class, con il suo stile di vita e introiettare la sua morale... fino a che la shock-doctrine neoliberista ha ricordato loro che "non se lo possono permettere".

    Per motivi di classe, non certamente per motivi ecologici: la società dell'immagine o l'ecologismo sono solo altre sovrastrutture, ossia altri mulini a vento contro cui i geni della scuola di Francoforte, ed i Don Chisciotte progressisti in genere, si sono scagliati per decenni.

    E i neo-malthusiani del Club di Roma hanno servito lo sfilatino a tutti... "sfilatino" non solo "sovrastrutturale".

    (Purtroppo il nominalismo, nella comunicazione, non è solo "forma": è sostanza.

    Far capire che i liberali non disquisicono della nostra libertà, che la libera concorrenza è solo quella tra disoccupati, o che il consumismo non si riferisce alla quantità (D) che si "consuma"... è proprio la sfida di chi fa divulgazione

    Per il resto ti capisco perché siamo tutti nella stessa barca)

    https://orizzonte48.blogspot.com/2016/07/globalizzazione-delocalizzazione.html?showComment=1467647828338#c138007860108538347

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  14. Da vecchio lettore di Pasolini, mi permetto di far notare che l’imputazione di ‘decrescista’, o quella di essere un elitario che guarda con snobismo alla emancipazione della classe lavoratrice, mi sembrano alquanto ingenerose. Stiamo parlando non di un filosofo, né tantomeno di un economista, ma di un intellettuale, che guardava ai fenomeni sociali con un approccio intuitivo, non certo con la pretesa di fornire una lettura organica della evoluzione della società italiana di quegli anni. E alcune delle sue intuizioni, prima fra tutte quella fin troppo citata sulla battaglia di Valle Giulia nel ’68, non si può negare siano da considerarsi assolutamente centrate.Schierarsi in quel momento dalla parte dei poliziotti (i veri proletari) e contro i figli di papà che manifestavano contro lo Stato, pronti a diventare vent’anni dopo i cantori della società globalista e neo liberista, non era facile, e credo gli sia costato parecchio. La sua critica ai nuovi valori della società capitalistica anticipava di parecchi anni le analisi che molti hanno poi compiuto, su consumismo e meccanismi di persuasione veicolati dai media (argomento questo di clamorosa attualità). Quanto alle sue origini sociali, forse va ricordato che era un piccolo borghese, nato da una famiglia di modeste origini, e che prima di raggiungere una relativa agiatezza come regista e scrittore, attraversò lunghi periodi di ristrettezze economiche. Non credo quindi ci fosse snobismo nella sua visione della società e, nel caso, non sarebbe certo da attribuirsi a una condizione sociale ed economica privilegiata. Che poi la sua figura e i suoi scritti siano stati usati e spesso strumentalizzati, in particolare da una certa sinistra globalista (Wu Ming, Zero Calcare, ma se ne potrebbero citare un centinaio) è indubbio, ma questa è un’altra storia, e non dovrebbe indurre a rileggerlo secondo categorie e contesti che non gli appartengono.

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    1. [1 di 2]
      Non si può fare a meno di chiedersi sulla base di quali fonti si ritenga, a partire da un testo letterario, cioè di finzione, di essere così perfettamente al corrente della composizione socioeconomica delle forze di polizia in azione nei pestaggi di Valle Giulia. Sarebbe molto interessante condividerle per capire meglio la situazione. Così come si vorrebbe sapere su quale evidenza si basi la definizione di "figli di papà" come provenienza socioeconomica degli studenti.

      Pasolini scrive una (brutta secondo lui e per quanto mi riguarda pure) poesia, molto efficace dal punto di vista polemico, sicuramente meno efficace da quello politico e letterario, dato che essa viene strumentalizzata sistematicamente per porlo rispetto al '68 in una posizione che non ha mai assunto, anzi, totalmente distante da ciò che ne pensava. E da un punto di vista letterario non gli va meglio: lo stesso Pasolini, durante una tavola rotonda organizzata dall'Espresso con gli studenti a proposito dei suoi versi, definisce del tutto "ironico e autoironico" il proprio testo, cosa che nessuno allora pare avere colto né tantomeno ora, malgrado il tempo trascorso che dovrebbe favorire l'analisi critica. E meno male, che voleva essere ironico, con quelle penose commozioni oleografiche sui gerani e gli orticelli e i poveri sottomessi e smunti e muti (una fissazione!). E che: " Il pezzo sui poliziotti è un pezzo di “ars retorica”, che un notaio bolognese impazzito potrebbe definire una “captatio malevolentiae”: le virgolette sono perciò quelle della provocazione." E scriverà su Tempo illustrato un anno dopo, il 16 maggio del 1969: "Nella mia poesia dicevo, in due versi, di simpatizzare per i poliziotti, figli di poveri, piuttosto che per i signorini della facoltà di architettura di Roma [...]; nessuno dei consumatori si è accorto che questa non era che una boutade, una piccola furberia oratoria paradossale, per richiamare l’attenzione del lettore, e dirigerla su ciò che veniva dopo, in una dozzina di versi, dove i poliziotti erano visti come oggetti di un odio razziale a rovescio, in quanto il potere oltre che additare all’odio razziale i poveri – gli spossessati del mondo – ha la possibilità anche di fare di questi poveri degli strumenti, creando verso di loro un’altra specie di odio razziale...". Nel frattempo Pasolini firmava uno dei giornali più importanti del'68 come direttore responsabile, per consentirne l'uscita, dato che era giornalista professionista, contrariamente ai figli di papà che concretamente lo redigevano (ma se erano così benestanti e di buona famiglia, che gli costava farsi mettere da papà in una redazione compiacente per prendersi il titolo professionale e fare da sé? Ma noi che ci beiamo delle "intuizioni", si sa, dubbi, mai.).
      [segue]

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    2. [2 di 2] seguito:

      Ma allora ben gli risponde uno studente dicendo che gli studenti che ha in mente Pasolini non sono gli studenti del '68, ma gli studenti degli anni'10, dell'Italia giolittiana, che meglio rientrano nella visione arcaizzante che Pasolini vuole imporre rispetto a un mutamento sociale che detesta perché gli toglie l'immagine idealizzata - e in qualche modo dipendente dal suo verbo - che ha voluto costruirsi del sottoproletariato disperato delle borgate. Che senza dubbio Pasolini conosceva, mentre conosceva senz'altro meno gli studenti, almeno allora, ma mi resta qualche dubbio sul fatto che da quell'ambiente sottoproletario, spesso confinante con la microcriminalità, venisse la maggior parte delle forze di polizia schierate alle manifestazioni.

      Se quel testo, al momento della sua creazione, lascia intuire qualcosa è non già la reale fisionomia di poliziotti e studenti, bensì la sua efficacia nel rappresentare l'angoscia dell'intellettuale borghese, per di più per lungo tempo legato a un partito estremamente irregimentato e irregimentante, all'idea dell'avanzata di un diverso tipo di ribelle e di giovane, più istruito e più emancipato, che potesse non avere più bisogno di lui e del suo mondo e dei suoi sogni; così come il bisogno inesausto e spasmodico di polemica e di riconoscimento che percorre tutti i suoi scritti giornalistici. Fosse pure da parte di quei pretesi figli di papà che certo avrebbero reagito con rabbia o dispiacere a quanto scriveva più degli altri che si limitavano a eseguire gli ordini censori e peggio più volte impartiti nei suoi confronti e sulla cui violenza Pasolini non si faceva illusioni.

      Si potrebbe se mai ipotizzare che gli studenti che Pasolini ha difronte sono i figli della Costituzione: sono coloro che hanno potuto beneficiare di vent'anni di diritti economici e sociali, per quanto ostacolati e boicottati dal quarto partito; e non sono certo, o non sono più soltanto i "figli di papà", la cui partecipazione a Valle Giulia e al '68, ancor più rispetto alla loro consistenza numerica tra gli iscritti all'università di allora, resta appunto tutta da quantificare. E ancora più da quantificare e da analizzare è la percentuale di coloro che parteciparono al '68 per poi divenire cantori della globalizzazione liberista e la loro origine economico-sociale. Percorsi individuali, compiuti a decenni di distanza, non possono essere ascritti tout court alla passata partecipazione a un movimento collettivo che coinvolse la loro generazione in età assai giovane e che si concluse con una sconfitta, non con una vittoria che abbia reso egemoni quelle richieste o semplicemente quelle posizioni. Né si può pensare alle evoluzioni dei percorsi individuali in termini di mero determinismo biografico. Sono mistificazioni di rozzezza intellettuale e storica inaccettabile, altro che riconoscimento di "intuizioni".

      Nel descrivere i poliziotti e gli studenti P. non si basa su alcuna evidenza concreta; fa piuttosto quello che nelle Luterane rimprovererà di fare a Moravia (mi sembra) in merito al massacro del Circeo. Descrive "il poliziotto" e "lo studente" che non conosce, come Moravia, contrariamente a lui, non conosce concretamente il tipo de "la Borgatara" incarnata da Rosaria Lopez. E meno ancora lo fa chi quei cinque versi di una ben più lunga poesia strumentalizza sistematicamente e rozzamente. Altro che invocare le strumentalizzazioni altrui.

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    3. Premesso di non avere fatto ricorso nè in questo nè in altri casi ad alcuna 'rozza strumentalizzazione', che lascio ad altri, ognuno può fare le sue analisi storico-sociologiche. Certo non è questa la sede per fare una disamina approfondita del ’68, o affrontare la composizione sociale degli studenti contestatori, è ovvio che la mia definizione di figli di papà era una estrema semplificazione, necessaria per restare nei limiti di un breve commento. Non credo mi si debba spiegare che il fenomeno era complesso, che manifestavano anche gli operai, che non tutti gli studenti erano ricchi borghesi, ecc. Penso che ai lettori di questo blog si debba attribuire un livello minimo di cultura storica e politica, io almeno lo faccio, e mi aspetto analogo atteggiamento in chi dissente dalle mie opinioni, peraltro espresse con senza offendere nessuno. Lezioni di storia e di diritto le prendo volentieri da 48, e sono qui da anni a leggerlo sempre con la stessa attenzione, ma francamente non da chi come me è qui in veste di commentatore.

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    4. Purtroppo non solo che fossero figli di papà è tutto da dimostrare, ma lo è anche che fossero in percentuale significativa pronti a diventare cantori della globalizzazione e che lo siano divenuti. Non è questione di "semplificazione da commento": è il commento che generalizza basandosi sul trascurabile campione di una qualche decina di individui che hanno grande visibilità mediatica, spesso allora come ora. Mentre il '68 coinvolse migliaia di persone ignote allora quanto adesso (con gran disappunto di chi tenta oggi di indagare con metodi appunto meno "intuitivi" e "semplificatori" quel periodo storico). E altre che non divennero affatto cantori della globalizzazione.
      E non è nemmeno logico:
      non è assolutamente dimostrato e nemmeno indagato un nesso reale e non rilevante dell'immaginario tra militanza sessantottina e le posizioni pro globalizzazione. I pochi individui in questione potrebbero avere sviluppato tali posizioni in modo totalmente autonomo dalla partecipazione al '68. Oserei dire che data la quantità e varietà generazionale di cantori della globalizzazione oggi in grado di esprimersi, rispetto alla percentuale coloro che lo fanno dopo aver partecipato al '68 dal lato delal contestazione studentesca, la correlazione risulta altamente improbabile, mentre è molto più probabile l'inverso.
      Una simile posizione dimostra solo le idee di chi la sostiene, che, per motivi da appurare, paiono più ansiose di riallacciare cio' che accadde allora a cio' che oggi viene identificato come negativo, che a indagare cosa sia veramente accaduto.

      Per quanto mi riguarda ritengo invece che sia molto più verosimile il processo opposto: è dalla sconfitta del '68 che nascono tali riposizionamenti, dalla reazione che ne segui' e che Pasolini stigmatizzo' con parole di fuoco, già nei Corsari, non in un poema, sia pure civile.
      Tale sconfitta che si manifesta in ultimo con il cosiddetto riflusso, o ritorno nel privato, cioè con la ripresa di uan posizione fondamentalmente individualistica di vita, fu vissuta allora con profondo disagio e disperazione da parte di chi aveva partecipato a un momento percepito, al contrario, come profondamente collettivo. E pure anticonsumistico, persino da Moravia... (di fatto i giovani che uscivano di casa allora, uscivano spesso anche da molto conforto materiale e conducevano una vita quanto mai spartana e "antiborghese"). Ma quel modello fu sconfitto.

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  15. Comunque al di là di come la pensasse il Pasolini al riguardo del consumismo (lo decideranno gli storici della poesia e della letteratura)....

    Adesso ho capito!........il male assoluto è il consumismo (qui inteso come lo intendono gli austeriani più radical chic, cioè tutto che fa vivere l'operaio "al di sopra delle sue possibilità" di sopravvivenza) che ha corrotto le classi operaie, le quali ritroveranno la loro moralità e il rispetto delle regole solo ritornando a vivere di pane e cipolla (quando c'è) nelle case contadine, senza fognature e reti elettriche, e ritornando fedeli alle antiche tradizioni, cioè al caporale e al parroco di quartiere a KM0, abbandonando perciò tutti qui desideri e i vizi artificiali e dannosi per il bene del spirituale del proletario, e che non sono altro che il frutto di un capitalismo sfrenato e "senza regole", che tende a fare guadagnare sempre più soldi ai lavoratori per il solo fine di far aumentare i profitti dei capitalisti per mezzo dei maggiori "inutili" consumi.... perché i desideri e i vizi del dopoguerra non sono certo dovuti della tentata messa in pratica, con tutti i suoi limiti, della nostra Costituzione, all'industrializzazione di Stato, e agli auspicati stipendi dignitosi per i lavoratori come diritto costituzionale!!! Siamo noi che PENSIAMO DI SAPERLA PIÙ LUNGA dello sfigato operaio che, dopo secoli di austero zappare la terra 16 ore al giorno per due soldi, coi suoi risparmi, frutto del lavoro in una fabbrica statale, si comprava una macchina a rate per andare poi in campagna il fine settimana con moglie e figli...non per zappare, ma...a GODERSI UN PO'... (ops...mi sono sbagliato) volevo dire....a contemplare un po' il cielo limpido e azzurrino sopra i prati in fiore.
    Perché quando è troppo è troppo: e il motorino, e la macchina, e il televisore, e il computer, e mangiare al ristorante, e il gelato, e le vacanze d'estate, ecc. BASTA, BASTA, GAIA NON VUOLE, non ce la possiamo permettere questa vita di dissolutezza frutto del CAPITALISMO SFRENATO CHE TENDE A FARE SOLO I PROPRI PROFITTI DISTRUGGENDO IL PIANETA! VIZIATI!! VIZIATI!! La povertà e la vita austera sono invece la "vera" strada della solidarietà e della spiritualità, della VIVOLUZIONE:

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  16. "La povertà negli ultimi decenni dell'Ottocento era tale, spiega Marco Porcella nel libro "La fatica e la Merica", che una fonte di guadagno "dovuta totalmente al sacrificio delle donne contadine" era allevare gli orfani al posto dello stato: "Erano quasi sempre illegittimi abbandonati (esposti) alla Ruota, che nelle città maggiori non mancava mai. Nei paesi, in mancanza della Ruota, li abbandonavano (o fingevano di abbandonarli) sui gradini delle chiese, sull'uscio del parroco o, in seguito, nelle mani della levatrice. (...) Una buona parte degli esposti, deboli, denutriti, infreddoliti, prematuri, moriva nei primi giorni. Per i sopravvissuti si calcolava come normale - in assenza di epidemie e circostanze eccezionali - una mortalità del 33 %. In maggioranza prendevano la via dei mon­ti, perché le balie contadine, a differenza di quelle cittadine, aveva­no superato, per abitudine e per necessità, il " pernicioso pregiudi­zio " che invece si diceva trattenesse quelle cittadine. Si credeva che il " figlio della colpa " trasmettesse alla nutrice, e quindi al fratello di latte, figlio legittimo, malattie immonde e terribili come la sifili­de, che in verità veniva diagnosticata come causa di morte o di gravi menomazioni nel 10% degli esposti. (..) Trascorso l'anno l'infante " da latte " diventava infante " da pane " e poteva essere allevato fino al dodicesimo anno d'età, dopo il quale l'ospedale cessava di corrispondere qualsiasi retta"."
    http://no-miedo.blogspot.it/2010/11/litalia-povera.html

    Fate legge di queste celestiali parole:

    .....che via sublime il dividersi col tuo vicino il tozzo di pane che ti è stato gettato in mezzo alla strada in modo distratto...

    La mia prossima battaglia per "elevare" moralmente le classi subalterne sarà quella di appostarmi di fronte a tutte le peccaminose gelaterie del circondario, e tentare di fermare tutti QUEGLI proletari con insulsi appetiti, che ancora possono permettersi una pausa gelato, dicendogli; precari, disoccupati, sottoccupati, sfruttati, entrando in queste gelaterie contribuite a distruggere il pianeta, GAIA NON VUOLE!! VERGOGNATEVI!! La catena del freddo, che contribuisce ad innalzare i consumi inutili e puramente viziosi e leccorniosi, come i gelati (l'ennesimo desiderio artificiale, che ha corrotto i poveri e umili proletari, indotto da un capitalismo sfrenato per mezzo della pubblicità occulta!), consumando tonnellate di combustibili, e distribuendo a destra e a manca inutili redditi e lavori a migliaia di minions affamati, sta portando il pianeta verso la catastrofe globale! VERGOGNATEVI! L'inferno è alle porte! Nella vostra vita dissoluta e viziosa ognuno di voi precari e disoccupati occidentali ha mangiato più gelati di un MILIARDO di africani messi assieme, i quali, nonostante ciò, sono più felici di voi! Perché non è l'avere che crea la felicità cazzo! La via della felicità passa per la morigeratezza, le rinunce, la preghiera e IL CILICIO!! Per saziarvi vi basti una minestrina e una foglia di insalata dell'orto, e, la domenica, dopo la messa, un tozzo di pane imbevuto nel vino del vostro vicino a KM0! Siate felici di rimanere senza lavoro e vivere di redditi di sussistenza, perché il lavoro nelle fabbriche del capitalismo sfrenato crea solo voglie e oggetti inutili, che sono poi desiderati e consumati, e ciò conduce al peccato e al demonio. E se non vi hanno ancora convinto le parole dell'umile e "poverello" papafrancesco che lotta solitario contro il "consumismo" e controilcapitalismosfrenatochetendeafaresoloipropriprofitti©, lo stesso papafrancesco che si batte anche per accoglietelitutti©, siate dannati per l'eternità! Ah!, domani prendo l'aereo, vado da Sai Baba ad studiare la via orientale all'elevazione spirituale, per poi, una volta ritornato qui in Italia, impegnarmi politicamente a fonderla ecumenicamente con quella cristica! Quante anime potrò salvare facendo ciò!!!

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  17. Mi sa che caschi a fagiolo l'ultimo lavoro di Voci dall'Estero http://vocidallestero.it/2018/03/24/ft-le-multinazionali-pagano-meno-tasse-rispetto-a-10-anni-fa/

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  18. "Ed infatti, il problema non risiede nelle caratteristiche del medium - il web, i social -, ma negli effetti andati fuori controllo del processo totalitario tecno-pop: la strumentale diffusione di massa della sindrome Dunning-Kruger, - risultata finora molto utile, quando filtrata dai format televisivi-, e, comunque, il superamento del "limite di tolleranza" in termini di distruzione del benessere e delle aspettative della middle class."

    Gli 'apprendisti stregoni' (usciti sconfitti dalle elezioni) non hanno ancora neppure intuito la portata del processo innescato dalla loro perdita di controllo.

    Prendiamo il caso di questa notizia apparentemente innocua:
    https://scenarieconomici.it/le-curiose-schiere-dei-legionari-onorari-francesi-in-italia-quante-legion-dhonneur-tra-i-pd/

    Se non fosse già stato estesamente superato il limite di distruzione del benessere e delle aspettative della classe media nessuno vi avrebbe prestato particolare attenzione.

    Ma in un contesto di impoverimento diffuso e di deflazione serpeggiante, costellato da una moltitudine di passaggi di primarie aziende e banche (ormai ex-italiane) nelle mani di soggetti francesi (che licenziano e la fanno da padroni in casa nostra), assume una luce particolarmente sinistra.

    Anche un analfabeta come 'Gasperino er carbonaro' (https://www.youtube.com/watch?v=lQYKGMY9rC8 "Allora io vado in cantina, e tu te ne vai affanculo, brutto ladro...") è infatti perfettamente in grado di capire che se ti danno la "Legion d'Onore" è perchè hai fatto gli interessi della Francia 'in forma eroica' e se sei un cittadino italiano, peggio ancore se sei pure un funzionario pubblico, vuol dire che NON hai fatto (e comunque NON appari neppure più fare) gli interessi dell'Italia.

    Se il fenomeno delle onoreficenze estere fosse confinato agli artisti di chiara fama non ci sarebbe problema (sempre se fosse rispettata la legge n. 178/1951 http://www.portalearaldica.it/download/menu/3)%20la%20legge%20178-51.pdf).
    Ma quando politici ed imprenditori vengono insigniti 'in massa' mentre gli IDE francesi assumono dimensioni patologiche...

    Ma come non inorridire di fronte ad una cosa del genere?

    https://www.prpchannel.com/prp-channel/pinotti-riceve-la-legion-donore/

    Mentre Gentiloni ed il governo (di cui la Pinotti faceva parte) tentavano di regalare pure il mare?

    Ed ancora, politici ed ex-ministri piddini vari, avranno mai sentito l'esigenza di rispettare la legge n. 178/1951 (cioè di chiedere l'autorizzazione governativa prima di accettare la Legion d'Onore)?

    Per il prossimo governo di centro-destra questa potrebbe essere un'altra arma di scambio per ottenere la fiducia dai 5*: alimentare la furia giacobina dei livorosi elettori 5* incanalandola verso dei veri nemici di classe dei lavoratori (che per giunta appaiono pure chiaramente asserviti ad interessi esteri).

    Sono anche io (come si può vedere) un acceso sostenitore della tesi che i conti in politica vanno regolati fino in fondo (e senza pietà) quando si insedia una nuova maggioranza (vae victis) e tengo sempre in massimo conto il vecchio detto di mio nonno 'il medico pietoso fa la piaga puzzolente'.

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    1. Giusto per precisione: l'autorizzazione del Ministero degli Affari Esteri è richiesta dalla legge solo per l'uso in territorio italiano dell'onorificenza di cui parli. La semplice ricezione non richiede tale formalità. M.

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    2. La foto della Pinotti con l'onoreficenza in petto è stata scattata all'interno di una sede istituzionale del governo della Repubblica Italiana.

      Esistono analoghe foto per molti degli altri insigniti.

      A me pare una violazione pacchiana della legge 178/1951.

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  19. In ogni caso, coloro che hanno inteso svolgere, a livello politico e all’interno delle varie nazioni coinvolte, il ruolo privilegiato di controllori e guardiani del sistema mondialista, dovranno cedere il campo a una nuova generazione di mandatari della timocrazia globalista dei mercati”.

    Credo innanzi tutto che la Sassen abbia letto Basso:

    … gli Stati Uniti tend[ono] ad evitare le spese e i rischi del dominio politico diretto e della conseguente occupazione militare, cioè il dominio coloniale classico, che considerano una forma antiquata. Essi preferiscono sempre servirsi, nei paesi su cui estendono il loro dominio politico-economico, DI UN POTERE LOCALE, cui concedono il loro appoggio e CHE FANNO PARTECIPARE IN PIÙ O MENO PICCOLA PARTE AI PROFITTI DEL LORO SFRUTTAMENTO, e a cui affidano il compito di governare i singoli paesi nell’interesse del capitale americano.

    QUESTO POTERE LOCALE può essere rappresentato da gruppi o ceti diversi, a seconda dei paesi, ceti capitalistici…; ma gli Stati Uniti preferiscono in generale aiutare la formazione di UNA BORGHESIA CAPITALISTICA DI TIPO COSMOPOLITA, più legata cioè agli interessi della finanza internazionale che allo sviluppo economico e politico del proprio paese.

    È un’opera di DENAZIONALIZZAZIONE che l’imperialismo tende a compiere per questa via, che si accompagna ad un’azione mirante a distruggere le tradizioni locali e a sostituirle con il gusto standardizzato americano (Reader’s Digest, Hollywood, gomma, Coca Cola, ecc.). Questo metodo di governo indiretto offre numerosi vantaggi: non solo, come si è detto, implica minori spese e minori rischi, non solo non richiede una vasta burocrazia specializzata, come una burocrazia coloniale inglese che fa difetto agli Stati Uniti, non solo non urta contro le tradizioni del popolo americano, ma offre la possibilità anche agli ideologi dei paesi dominati, che giudicano sulla base delle idee che essi si fanno della realtà superficiale, anziché sulla base della realtà profonda, di considerare salvaguardati gli “immortali principi”, e di credere al trionfo della democrazia e della libertà.

    Nei paesi ove il capitalismo ha dietro di sé una lunga storia, dove ha raggiunto un alto grado di sviluppo compiendo intiera la propria rivoluzione in modo da distruggere i residui precapitalistici … QUESTA CLASSE DIRIGENTE DI PLUTOCRAZIA COSMOPOLITA è già formata e dirige già il proprio paese, avendo al proprio servizio, come fattore di coesione e di stabilità dell’ordine sociale, un ceto medio completamente maturo per questa sua funzione
    (segue)

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  20. Quale complemento necessario di questa opera di snazionalizzazione e di assoggettamento, si svolge…quella della spersonalizzazione… cioè la sostituzione di un unico gusto e di un unico contenuto standardizzato di produzione americana ai contenuti tradizionali e alle infinite varietà personali.

    Soccorre in questa direzione il processo che si può chiamare di “massificazione” , per cui gli uomini vengono aggregandosi in grandi masse e dalla loro partecipazione alla vita di massa viene progressivamente schiacciata ogni tendenza all’autonomia personale e sviluppate invece le tendenze gregarie.

    Io ho cercato di dimostrare altrove come nella società socialista il problema dei rapporti fra il singolo e la collettività sia risolto nel senso di favorire lo sviluppo della personalità di ciascuno e di dare a ciascuno il suo posto di responsabilità nell’armonia di una vita collettiva che si sviluppa dalla volontà e dallo sforzo solidali di tutti, laddove nelle società capitalistiche l’ingigantirsi della potenza dei monopoli, di una potenza cioè che discende dall’alto, dà allo sviluppo del processo produttivo il carattere di un progressivo annullamento di ogni valore personale: l’uomo crede di conservare anche nella vita di massa (agglomerati urbani, grandi imprese economiche…divertimenti standardizzati, colonie infantili, cinematografi, radio, grande stampa, ecc.)… una sua sfera di autonomia individuale, ma in realtà il contenuto di questa sfera è imposto dall’esterno e ridotto a un valore insignificante.

    Un abile sfruttamento che di questa tendenza è fatto dai regimi totalitari, una violentazione psicologica delle masse sapientemente diretta dall’alto, tende a diminuire sempre più la capacità critica dell’uomo, la sua facoltà di resistenza alla propaganda, la sua attitudine alla elaborazione e formulazione di idee: si inculca all’uomo la paura di ogni opinione personale, il timore della responsabilità, la tendenza a ricevere passivamente le idee espresse da una forza organizzata, cioè idee della propaganda ufficiale…

    un compito principalissimo in questo campo, di natura preventiva, è affidato alle istituzioni che hanno per scopo anche non dichiarato o che comunque contribuiscono alla formazione delle coscienze: la scuola, la stampa, il cinematografo e, più importante fra tutte, la Chiesa cattolica, la quale...risponde allo scopo di violare l’intimità delle coscienze, di distruggervi in radice ogni conato di autonomia di pensiero, di instillarvi il principio della rassegnazione e dell’ubbidienza, e ha inoltre… l’inestimabile vantaggio di un’organizzazione mondiale accentrata e disciplinata ad un unico supremo potere, e quindi meglio rispondente alle esigenze mondiali dell’imperialismo. Si tratta cioè di utilizzare tutti i mezzi che servono non solo ad ostacolare ogni sforzo che salga dal basso, ogni sforzo cioè di autoemancipazione delle masse, ma addirittura che mirano a distruggere lo spirito critico dell’uomo, rendendolo così facile preda della propaganda ed incapace di ogni reale autonomia: METODO DI ASSERVIMENTO PREVENTIVO, assai meno costoso e di maggior rendimento che non i metodi repressivi della violenza poliziesca
    [L. BASSO, La lotta di classe oggi nel mondo VII, Conclusioni, Quarto Stato, maggio 1950, n. 5, 8-26]. (segue)

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  21. Quindi “… Elemento caratteristico della presente situazione mi sembra essere il passaggio dai capitalismi nazionali all’internazionalizzazione del capitale: ovunque le grandi società multinazionali tengono il campo, ognuna di esse più potente e più ricca della maggior parte degli Stati indipendenti, ognuna decisa a ricorrere a qualunque mezzo pur di conquistare o di mantenere sul mercato mondiale il dominio di determinati settori, i rifornimenti di materie prime, gli sbocchi ai propri prodotti, la penetrazione della propria rete di interessi….ciò comporta che I CENTRI DI DECISIONE DA CUI DIPENDE LA NOSTRA VITA QUOTIDIANA SI SPOSTANO SEMPRE PIÙ LONTANO, fuori addirittura dai confini del Paese in cui viviamo, senza alcuna possibilità di interferire in queste decisioni che ci riguardano da vicino…

    A questo potere oscuro, lontano, misterioso, kafkiano nel senso più pieno della parola, l’uomo contemporaneo reagisce o con la contestazione dell’autorità fino alla rabbiosa rivolta, o con la fuga e il rifiuto di questa società, o infine con l’accettazione conformistica della legge, con la rinuncia a ogni responsabilità, con il rifugio nell’egoismo più piatto, nel consumismo e nella ricerca a qualunque costo del successo e del BENESSERE INDIVIDUALE. Ma ognuna di queste reazioni distrugge non solo il tessuto connettivo della società, il senso dei valori comunitari e della partecipazione cosciente e responsabile alla vita sociale, ma distrugge anche le ragioni più profonde della vita di ognuno, le radici stesse della personalità…

    IL FASCISMO È LA MINACCIA MORTALE PER OGNI POPOLO CHE NON ABBIA IL SENSO DELLA RESPONSABILITÀ STORICA che gli incombe, perché è la forma più semplice di riduzione in schiavitù che la nuova società comporta. Naturalmente non si tratterà più del fascismo nelle vecchie forme, ma di forme autoritarie più consone al mondo di oggi; che POSSONO ESSERE DITTATURE MILITARI (come nell’America latina e in molti altri Paesi del mondo, anche nel nostro bacino mediterraneo), oppure possono nascondersi dietro UN REGIME FORMALMENTE PARLAMENTARE in cui tuttavia l’uomo di oggi non può più trovare adeguata soddisfazione alle proprie esigenze di partecipazione…
    ” [L. BASSO, Le radici del malessere, Il Giorno, 13 giugno 1974].

    Il benessere, quindi, ma antitetico a quello prefigurato dall’art. 3, comma II, Cost.: “… L’utile economico, il guadagno, il benessere, queste aspirazioni tipiche della società borghese, sono diventate a poco a poco anche gli ideali degli strati privilegiati della classe operaia; la civiltà di tipo americano, basata essenzialmente sul rapido e intenso consumo e sullo sviluppo dei beni di consumo durevoli, si è imposta sempre più come un modello anche nell’Europa occidentale, dando luogo a quel processo che ho descritto altra volta su questa rivista: la classe dominante attraverso i mezzi di violentazione psicologica di cui può disporre grazie alla tecnica moderna, crea nelle masse solo quei GUSTI E QUEI BISOGNI CHE NON SOLO ESSA PUÒ SODDISFARE ma la cui soddisfazione risponde agli interessi di vendita e di profitto della classe dominante stessa;

    i partiti operai, prigionieri della pura tattica contingente, presi nel gioco meramente elettorale, si mettono a rimorchio delle masse per assecondarne i gusti senza discriminazione, rinunciando a qualsiasi VISIONE TOTALE DELLA SOCIETÀ E DEI RAPPORTI UMANI, a qualsiasi subordinazione delle rivendicazioni singole ad una strategia globale, a qualsiasi lotta effettiva per il potere, sacrificando così alle speranze di piccoli vantaggi immediati (vantaggi, comunque, non di classe ma di partito o di categoria) ogni criterio di valutazione più profondo, ogni riferimento non soltanto verbale ad una superiore civiltà socialista…
    (segue)

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  22. In questo svuotamento totale di ogni contenuto socialista e di ogni valore autonomo, risiede appunto quel che noi denunciamo come il CARATTERE SUBALTERNO DELLA SOCIALDEMOCRAZIA verso il capitalismo moderno, carattere subalterno che fa si che il movimento operaio occidentale non rappresenti più un’alternativa alla vecchia società, MA AL CONTRARIO UN TENTATIVO DI PERPETUARLA CORREGGENDOLA NEL PARTICOLARI. È così che a poco a poco in questo dopoguerra si è venuta vanificando la prospettiva di una sinistra che oggi si può dire praticamente scomparsa ma alla cui rinascita noi crediamo e vogliamo tenacemente lavorare. Perché certo non si può parlare di “sinistra” a proposito di quelle prospettive mezzo neoliberali e mezzo socialdemocratiche di cui si parla di quando in quando e a cui può anche arridere qualche successo ma solo come appendice di un rafforzato dominio del grande capitale sull’Europa occidentale…” [L. BASSO, Meta del socialismo è solo il benessere? Problemi del socialismo, giugno 1960, n. 6, 548-552].

    Basso, tuttavia, nel 1976, si chiedeva: “… questa civiltà occidentale può ancora assicurare agli uomini progresso e libertà? ” [L. BASSO, La catena delle dittature, Il Messaggero 30 marzo 1976].

    Il capitalismo imperialista, cioè, giunto all’attuale fase di sviluppo e di contraddizione, può/vuole soddisfare ancora quei “bisogni” strutturalmente funzionali alla sua perpetuazione (anche attraverso il consumismo inteso come valvola di sfogo alienante)? Penso proprio di no.

    Nessuna cosmesi potrà quindi fungere da ulteriore meccanismo “di integrazione” (come lo chiamava sempre Basso). Per questo temo che, di fronte alla disperazione montante, da un fascismo “formalmente parlamentare”, si passerà alla dittatura militare-poliziesca, cioè al meccanico impedimento gramsciano. In uno scenario molto simile a quello dell'America Latina anni ’60 e ’70.

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    1. Una cosa però bisogna rammentarla: Basso constata, un po' di sfuggita, l'urbanizzazione come processo centripeto irresistibile del capitalismo.

      Antropologicamente, questo è il fenomeno centrale del capitalismo industrializzato, quello che, anche sul piano della prassi marxista, crea le stesse condizioni essenziali della coscienza di classe.

      E' difficile però, una volta preso atto dell'urbanizzazione, uscire dalla dicotomia: "pseudo-cultura del consumo come status symbol sostitutivo delle identità rurali"-"rigido controllo statalizzato dei beni industriali disponibili per evitare la massificazione dell'effetto "imitativo"".

      Veblen, a mio parere, segna un tracciato da cui è difficile sottrarsi, per chiunque, non solo per la leisure class in senso primo-novencentesco: aumentando il benessere, attraverso l'aumento (redistributivo) della domanda aggregata, le dinamiche di consumo post-rurali (dico per brevità; e specialmente in un paese come l'Italia, strutturalmente non autosufficiente dal punto di vista agricolo e "costretto" alla creazione di valore via manifatturiero), estendono inevitabilmente il comportamento "leisure" verso strati crescenti della popolazione.

      Nessuna ideologia e/o nessun grado di coscienza culturale possono evitare questo effetto: a meno di adottare un'etica autoritaria.

      Ogni emancipazione compatibile col sistema di mercato, quand'anche inteso in senso keynesiano, ha il suo prezzo antropologico (per quanto adattativo a condizioni alterate come l'urbanizzazione per poli a dimensione crescente).

      In altri termini, per quanto ipocrita a livello di teorizzazione politica, la libertà di scelta si presenta come tendenza primaria, spontanea, in ogni individuo: questi reagisce quindi spontaneamente alle condizioni organizzate della società in cui è cresciuto.
      Una volta instaurate condizioni alterate di socializzazione, la repressione autoritaria diventa più costosa della difesa strumentale della proprietà elargita a piccole dosi, ma massificate, a tutti i consociati...

      Un problema quasi irrisolvibile, entro visioni che considerano la Storia in termini non integrali e cioè, antropologicamente selettivi.

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  23. Al di là dei comprensibili sfoghi sul moralismo pauperistico che accompagna le politiche malthusiane... la fenomenologia è un gigantesco OT.

    Capisco anche che per taluni far convivere radicamento culturale con progressismo sociale è un atto del pensiero impossibile. Infatti la propaganda laica e clericale ci gioca da secoli. Ricordo, a tal proposito, che Marx ed Engels guardavano all'antichità con grande interesse, trovando nei moderni studi antropologici modelli sociali a cui richiamarsi.

    Sì, i padri della moderna lotta alle ingiustizie sociali guardavano ai modelli di comunità in un'era in cui l'acqua calda era quella generata dai fenomeni vulcanici. Quindi?

    Ma il punto è che c'è chi riporta testi che, non comprendendoli, non si rende conto che testimoniano il contrario di ciò che prova a dimostrare. In una costruzione disorganica ed incoerente volta a dimostrare in ultimo qualcosa di comunque plausibile e condivisibile... che rimane comunque OT.

    Una serie di argomentazioni e citazioni mal interpretate per dimostrare che, effettivamente, l'autore viene mal interpretato. Su cose complesse e raffinate di un teorico politico? Su imperscrutabili sfumature espressive di un'opera artistica? No. Su una chiara presa di posizione sulla propaganda omologante (e sradicante) che ha accompagnato l'industrializzazione e il "consumo di massa". L'intelligenza analitica rimane sottotono: ciò che ha generato il fascismo, col suo tentativo omologante, è vivo e vegeto, ed è travestito da consumismo. E la storia gli ha dato ragione.

    La citazione di Pasolini di Lorenzo era coerente al post, non soffriva di iconoclastia, ed era chiara.

    Quando si passa dai contenuti emotivi tipici della comunicazione quotidiana, a quelli più logici e razionali, si fa il deserto dialettico.

    Un pensiero non organico ed incoerente che difende qualcosa di non dichiarato e che ha natura emotiva, di "non elaborato", è un importante risultato dell'atomizzazione e della privatizzazione dell'opinione.

    I subalterni sono psicologicamente soli e chiusi a riccio nel difendere la propria personalissima descrizione del mondo che altro non è che il riflesso dell'immagine falsa del sé.

    Con lo slogan "ognuno ragioni con la propria testa", un sistema "impersonale" ragiona per tutti.

    E, forse, una manifestazione di questo sistema è proprio quello degli (a)social network....

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    1. Caro Bazaar, hai perfettamente ricollegato il senso (per così dire, benevolmente), di un dibattito che, secondo il mio (stupito) punto di vista, si è sviluppato in modo manifestamente OT, e causato dal fraintendimento del commento di Lorenzo, ai temi del post.

      Prendiamo atto che anche questo, sia pure "a modo suo", è un social medium: e il mezzo, talora, non può che prendere il sopravvento sui contenuti.

      In fondo, come aveva evidenziato Arturo, era successo anche con il fatto della pubblicazione del pensiero (direi piuttosto chiaro e condivisibile) di Pasolini, sul Corsera...

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    2. Mi sto rileggendo Engels "L'origine della famiglia della proprietà privata e dello Stato",tanta roba che le persone che ho intorno prenderebbero(se gliene parlassi)per un racconto fantascientifico.Rimango ignorante,ma grazie a te a48 a Maimone ad Arturo & C,un pochetto meno

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  24. Hayek non avrebbe potuto sperare in un mezzo migliore dei social per il suo progetto http://theantimedia.org/10-social-media-networks-instead-facebook/

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  25. Queste parole di Basso citate da Francesco sono considerevoli.
    Se per consumismo si intende tentativo di omologazione delle coscienze, consumi standardizzati, desiderio spasmodico di avere sempre di più, di vincere e avere successo, avevo già detto che ero d'accordo e sono tutt'ora d'accordo.
    Se per consumismo si vuole però intendere l'aumento del potere d'acquisto degli operai, l'elevazione dalla miseria, anche in modo imperfetto, come si è detto, e con tutte le interferenze del capitalismo internazionalista, la questione mi lascia più interdetto. Io tendo a vedere il bicchiere mezzo pieno.
    Ho sempre sostenuto anch'io che lo sviluppo della personalità e delle peculiarità individuali sia fattore essenziale di una società socialista non omologata.
    Ma questo sviluppo della personalità si deve fondare su basi materiali e un'industria di Stato controllata dalla classe lavoratrice.
    Ci sono cose materiali di base che sono necessarie a qualsiasi società che voglia far poi progredire spiritualmente le persone, e non le considero omologanti: del buon cibo, delle case (si spera costruite con criteri di bellezza e accoglienti), dei letti, delle lenzuola, dei mezzi di trasporto, delle strade, dei vestiti, delle scarpe, degli ospedali, delle scuole, naturalmente adattate alle realtà nazionali; quindi, il fatto che come base, tutti tendiamo a desiderare cose più o meno simili, vogliamo nutrirci per sopravvivere, vogliamo delle scarpe confortevoli, così come vogliamo coprirci con delle lenzuola, dormire su un letto morbido, essere curati in un ospedale che funzioni, frequentare una scuola pubblica indipendente che insegni veramente qualcosa (come per qualche tempo è stato nel dopoguerra), aspirare a spostarci con dei mezzi di trasporto efficienti per andare a visitare qualche luogo stupendo della nostra penisola durante i weekend, vuol dire che siamo omologati e vittime dei desideri indotti dal capitalismo?
    Sicuramente ognuno di voi, compreso io, avrà avuto voglia di mangiarsi un gelato in vita sua, magari artigianale, al cioccolato o alla fragola; il fatto che allora ci piaccia ad entrambi un bel gelato artigianale alla fragola o al cioccolato, e in giro per l'Italia ci siano migliaia di gelaterie che vendono gelati alla fragola, ci rende omologati e distrugge il nostro pensiero critico?
    Sinceramente la mia creatività e indipendenza personale troverei difficile esprimerla anche nella "locale" e poverissima società contadina precapitalista, ricca di cotante "tradizioni", controllata dai caporali di quartiere e dal sermone colpevolizzante del prete (che è invece esaltanta da certuni), come parimenti troverei difficile esprimerla se tutti i weekend andassi a vedere film di supereroi hollywodiani, bevessi cocacola e leggessi il corriere della sera (ma per fortuna in Italia abbiamo anche avuto la possibilità, nel dopoguerra, di andare a mangiare e bere cibo italiano tradizionale e "consumare" tanti altri prodotti delle nostre aziende); anche se probabilmente ho ancora tanta strada da fare e sicuramente sono manipolato anch'io.
    Ma la domanda che mi chiedo adesso è quella che si è posto anche Francesco: ma il capitalismo liberale cosmopolita vuole ancora omologare le sterminate masse di subalterni oppure vuole semplicemente portare la maggior parte di esse all'estinzione programmata? La società McDonalds con gusti standardizzati mondializzati, che sopprime i gusti nazionali, annulla la creatività e il pensiero critico e manipola i desideri, è ancora in fase di edificazione oppure "l'ebbrezza" del gusto unificato mondialista sarà solo "consumata" da pochi? Perché se fosse in fase di edificazione questo tipo "meno peggio" di società, dove per lo meno le persone sotto fatte sopravvivere con gusti standardizzati i neoliberisti dimostrerebbero per lo meno una recondita "umanità"; ma io penso che abbiano in mente qualcosa di peggio; quel peggio che molti hanno già iniziato a provare sulla propria pelle.

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  26. "Ciò in cui credono e che fa affannare i sottoposti"viene veicolato non con "discorsi lunghi"ma con l'esposizione ossessiva (da parte dei media)di archetipi che hanno la sinteticità e l' efficacia e l'
    evidenza del fatto,del gesto,dell' aspetto.La non conformità a tali archetipi è vissuta come menomazione e colpa di cui vergognarsi e causa di sofferenza per l'esclusione che da essa deriva.

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    1. Correggimi se ho interpretato male il tuo pensiero. A me sinceramente non è che causa esclusione meramente psicologica il non potermi conformare a certi modelli archetipici di ricchi e vincenti, veicolati dalla TV, dei quali me ne sono sempre battuto le palle, perché i francofortesi e il Debord li lessi almeno 25 anni fa.
      Debord, Fromm ecc. erano i miei idoli almeno fino a 15 anni fa; dopo ho sperimentato sulla mia pelle che quello che dicevano loro non era più applicabile alla mia esperienza della vita quotidiana.
      Perché quello che i geni francofortesi forse non avevano intuito è che adesso siamo arrivati ad un punto dove persone come me ottengono solo lavoretti saltuari e mal pagati, non hanno un reddito fisso, non possono crearsi una famiglia, non vedranno un briciolo di pensione, non saranno curati da nessuno se si ammalano, non hanno una famiglia alle spalle che li aiuti nei momenti difficili; quindi, interpretare come sofferenza meramente psicologica derivante da una non conformità a modelli vincenti una condizione come la mia che è invece timore OGGETTIVO di finire in mezzo alla strada e di morire senza un ospedale che mi curi e una società che mi aiuti, se permetti è un "pochino" diversa.
      La mia non è sofferenza meramente psicologica perché crederei di essere povero, ma in realtà sono ricco perché mi rapporterei a modelli troppo alti veicolati dai media; la mia è autentica sofferenza quotidiana nel cercare di procurarmi il minimo per vivere; la mia è sofferenza di cambiare 10 lavori mal retribuiti in dieci anni, intervallati da periodi di spasmodica ricerca di un reddito per pagarmi l'affitto; quella sofferenza che alcune generazioni precedenti, dal dopoguerra in poi, non avevano mai vissuto. E' un ritorno indietro di parecchi decenni. Di secoli.
      L'esclusione per me deriva dal fatto che i "compagni" continuino a interpretare la mia sofferenza con strumenti di pensiero elaborati 40 o 50 anni fa in pieno boom economico delle società occidentali, dove i pericoli paventati erano ben diversi da quelli che si sono poi espressi nelle società capitaliste odierne.
      La macchina ce l'ha avuta solo mio padre, e sinceramente non la vedevo come qualcosa di alienante quando si andava a fare delle gite il fine settimana. Adesso io non ho una casa, pago quasi 500 euro di affitto, non posso comprarmi niente se non del cibo e poche altre cose; bello e confortante che i "compagni" interpretino questo mio stato come "meramente" psicologico.

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    2. Però...hai fatto quattro lunghi interventi e mi pare che tu abbia chiarito abbondantemente il tuo punto di vista.

      Hai mostrato (e non solo in questa discussione) che possiedi la cultura e la consapevolezza per non essere condizionato dal meccanismo del consumismo. Ok...

      Hai fatto presente che il capitalismo istituzionalizzato attuale produce un livello materiale di impoverimento, i working poors precarizzati, che renderebbe, secondo te superflua, la denuncia attuale del fenomeno consumismo, risalente ad un'altra epoca dello sviluppo capitalista.

      Il tuo nick, di per sé, descrive la causa degli effetti personali che denunci: "l'essenza" del problema è la moneta unica e l come e il quanto a lungo vorranno conservarla. E anche, oltre a ciò, se utilizzeranno un altro complesso di strumenti per PERPETUARE COMUNQUE QUESTO CAPITALISMO OTTOCENTESCO.

      Ma nessuno, nemmeno in questa discussione (e oggettivamente non poteva essere diversamente) nega i punti che ribadisci: tanto più che, in questa sede, si è denunciato il fenomeno abbondantemente nei suoi presupposti economici e istituzionali.
      PER ANNI (gratis e a proprio rischio e pericolo, per la verità).

      Non è dunque qui che manca l'esatta individuazione dei meccanismi causali e della dimensione quantitativa del fenomeno.

      D'altra parte, volendo essere corretti sul piano cognitivo, si può UTILMENTE astrarre ed essere più precisi, evidenziando che quelli che vivi, MA NON SOLO TU (e penserei pure a quanto si conosca un interlocutore su questo blog, nella SUA di esperienza personale, di sofferenza e di incertezza materiale), sono gli effetti del gold standard.
      Ma...c'è qualcuno qui che lo nega e rafforza perciò, in qualunque modo, il sistema che sta travolgendo la tua esistenza, (ma non solo la tua)?

      Rimaniamo entro il senso delle proporzioni: una soluzione la si trova, FORSE, promuovendo la coscienza collettiva e la prassi attiva che ne consegue.
      Neppure scrivendolo tutti i giorni o quasi - come pure cerca di fare, UNICO, questo blog- avremmo la certezza di ottenere un qualche risultato utile.

      Tutto sta a vedere quante persone si impegnano per una prassi CHE SIA ANIMATA DA UN INTERESSE META-PERSONALE, traducendo ciò in azione prima congnitiva-diffusiva e poi, forse, politica.

      Questo però non conduce a dover contrastare e entrare in dialettica oppositiva con chiunque, nei commenti, dia il suo contributo: i commenti, in teoria, riguardano il tema del post, non la negatoria della tua esperienza personale e il suo inquadramento del modello economico e istituzionale attuale.

      Ci siamo capiti?

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    3. Più chiaro non potevi essere ...e se ho capito io :)

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    4. Questo post riassume tutto ciò che serve per capire la storia degli ultimi 30+ anni, secondo me, e molto anche della Storia di sempre. Non solo i recenti fatti del social e della privacy. Uno spettacolo. Un gioiello. C'era da aspettarselo, direte. Ma questo è così profondo e "liberatorio", che va letto e riletto, come dice Lorenzo. Da far leggere e studiare. Questo post fa maturare il sistema immunitario del "giovine" che pensa alla società e alla politica. Basterebbe solo che "laggente capischeno" questo post. Sta tutto qui. Grazie Presidente.

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