mercoledì 30 marzo 2016

IMMIGRAZIONE IN EUROPA E "€UROPEAN-WAY": LE PREVISIONI "DIMENTICATE" DEI TRATTATI

https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjulYRtxGE_uC8cPowGzrVUSOz0azJtUPyhInwYRpriB-8sQOqbRv42o1Ag_KeUN7WavCtb2DFWCibOUkzGpRmMK1WhZ2YyL4vxVn1Ym2HAp8Vl3UDBmCSghev1vpd69ZMupca8oDq03EY/s1600/gastarbeiter.jpg

1. La confusione mentale regna sovrana nelle dichiarazioni degli €uropeisti, istituzionali e "culturalizzati", ovverosia, ideologizzati a quella forma di mondialismo, sedicente progressista (ma che ha in sommo odio le Costituzioni democratiche dei diritti del lavoro), che finisce invariabilmente per predicare la...carità del gold standard mondializzato, come forma di promozione, addirittura, dell'etica cristiana.
Perchè di questo si tratta quando si teorizza l'assoluta priorità del mantenimento dell'euro in quanto tappa fondamentale di un percorso verso una moneta unica mondiale, indubbiamente sottratta alla sovranità dei singoli Stati (democratici e regolati da Costituzioni) e, di conseguenza, necessariamente affidata al sistema bancario liberalizzato e altrettanto mondializzato: questo assume così la forma di una governance "de facto", ma guardandosi bene dal chiarirlo ai cittadini che, a un certo punto, si trovano esposti al bail-in. 

Ed infatti, allorchè un trattato istituzionalizza tale assetto monetario (dove l'erogazione del credito diviene l'unica forma di emissione della moneta lecitamente praticabile), questo risulta l'effetto per il benessere e la democrazia dei cittadini degli Stati assoggettati al trattato stesso. Cioè un assetto che sottomette ogni tipo di istituzione "pubblica", sia statale, in via di "liquidazione" (perché obsoleta), che pseudo-internazionale; dunque governance  rispondente a interessi economico-finanziari "privatizzati" e resi "sovrani" da trattati che si intendono superiori alle Costituzioni.
In versione cristiana, ecco la non nascosta teorizzazione che ne fece Beniamino Andreatta tra un "inevitabile" "movimento per l'unificazione monetaria" mondiale, essendo la moneta nazionale "uno strumento sempre più obsoleto", e lo sviluppo, non a caso anticipatorio di Padoa-Schioppa, "in modo duro austero e forte" del "senso della cittadinanza universale": 


2. Presupposto, come direttiva principale, questo scenario, - che non bisogna mai dimenticare, dato che non è nè lo stato di eccezione derivante dall'immigrazione nè quello, ancor più "eccettuante", creato dal terrorismo, che lo pongono in discussione (anzi, lo rafforzano e ad esso occorre tendere con ogni mezzo: propagandistico, mediatico, accademico, e anche militare, ormai)-, dicevamo della confusione che regna sovrana negli enunciati e nelle decisioni preannunciate (come TINA) dall'€uropeismo in crisi (wanna be) di espansione.

Infatti, da un lato, dichiarano che il problema dell'immigrazione di massa nel territorio dell'Unione è qualcosa con cui dovremmo convivere a lungo, perché, a dire dell'UE e di tutte le organizzazioni mondialiste (in testa il Dipartimento di Affari Sociali ed Economici dell'ONU), esso è un fattore benefico di trasformazione e riequilibrio demografico, indispensabile per la sostenibilità sociale (certamente dello Stato minimo hayekian-mondialista).
Dall'altro lato, in varie versioni, che spesso si rincorrono e si contraddicono tra di loro, ci dicono che siamo in guerra con l'Islam, o coi terroristi antidemocratici: come se la democrazia fosse una preoccupazione dell'UE, che teorizza senza mezzi termini l'esautorazione dei parlamenti nazionali, e l'instaurazione di una governance tecnocratica modellata, secondo la versione esplicita della Venice Commission, su quella della World Bank

3. Insomma, sia come sia, saremmo in guerra e bisogna costituire un esercito europeo; naturalmente supportato da "riforme strutturali" che includono la riduzione del personale pubblico dipendente della difesa, l'operatività auspicata dei contingenti armati di contractors privati, la creazione di gruppi industriali privati, super-oligopolistici, accorpati a livello €uropeo (cioè l'acquisizione dell'industria della difesa dei paesi "debitori" da parte dell'industria privata dei paesi "forti"), e, però, investimenti in ricerca e sviluppo a carico dei bilanci degli Stati (senza tuttavia rinunciare al pareggio di bilancio, non sia mai!), perchè si sa, il "ritorno" di tali investimenti può essere gravemente incerto e non possono i privati perdere tempo visto che sono così cristiani e caritetevoli da fare gli interessi della "difesa comune".

In questa evidente contraddittorietà non c'è spazio per alcun ragionamento razionale, essendo l'emotività su cui si basa il controllo totalitario neo-ordo-liberista (anche Sapelli ce lo conferma), completamente intollerante verso qualsiasi ragione che la contraddica.

4. Ma val bene la pena di rammentare qualche precedente storico: movimenti migratori interni all'Europa ci sono stati in passato e, con tutta evidenza, non furono regolati nel modo in cui si vorrebbe attualmente imporre il flusso di coloro che "fuggono dalla guerra, dalla miseria e dalla fame".
Certamente, il periodo successivo alla seconda guerra mondiale, determinò in Europa problemi anche più gravi di quelli causati dalle crisi mediorientali e africane attuali. Negli anni e, anzi, nei decenni immediatamente successivi, infatti, in attesa degli effetti sociali ed occupazionali delle varie "ricostruzioni" (industriali e degli Stati di diritto) di un continente devastato, i flussi migratori tra Stati europei furono certamente imponenti. E gli italiani ne furono, purtroppo, protagonisti.
Come furono affrontati?

5. Seguendo un modello di risoluzione che oggi si è stranamente dimenticato: 
a) naturali carenze di manodopera e di base demografica erano certamente presenti (i morti, i disabili al lavoro e i deportati erano decine di milioni) e costituivano un problema per la ripartenza industriale, specie in attesa di poter ricostituire, con adeguati investimenti, gli impianti distrutti o, comunque, resi obsoleti dall'arresto delle attività economiche non strumentali all'apparato bellico. (Dapprima, va detto, furono utilizzati come lavoratori in stato di semi-schiavitù, i prigionieri tedeschi, ma questa fase, procedendo l'applicazione dei vari trattati di pace, finì entro il 1947-46);
b) Stati come il Belgio e la Germania (ma anche la stessa Francia), risolsero il problema stipulando trattati bilaterali con gli Stati che, come l'Italia, avevano un'incompiuta (quanto ad efficienza) base agricola e un'insufficiente base industriale, financo da ricostituire, per poter assorbire l'eccesso di manodopera determinato dal simultaneo ritorno dei vari combattenti e dalla carenza di investimenti praticabili (in attesa della riforma agraria - che, comunque, a dire di Caffè, rimase incompiuta nella sua dimensione programmatica "a tappe" che, pure, era stata elaborata dalla Commissione economica per la Costituzione-, e della ripresa industriale);
c) questi trattati bilaterali prevedevano una selezione della manodopera potenzialmente ammissibile alla emigrazione operata, sulla base di procedure di richiesta dello Stato "ricevente", dagli stessi uffici competenti dello Stato di origine. Questo modulo fu poi piegato alle esigenze della parte economicamente più forte, in quanto dapprima si volevano essenzialmente lavoratori italiani provenienti dalle aree già industrializzate e che non fossero comunque stati coinvolti in rivolte contadine e "occupazioni" delle terre: insomma, nei centri di raccolta (sotterranei della stazione di Milano o di Verona, non molto dissimili da lager) in territorio italiano, i funzionari belgi e tedeschi riselezionavano i cittadini italiani considerati più adatti e meno politicamente compromessi col "comunismo";
d) nel paese di destinazione, i lavoratori italiani venivano trasportati, dai treni-merce su cui avevano viaggiato, in appositi carri-bestiame, a della baraccopoli per essere allogiati. Generalmente si trattava degli stessi campi di prigionia usati dai tedeschi o dagli alleati durante il conflitto. Qui avveniva un'ulteriore selezione, dove i politicamente sgraditi e quelli fisicamente e psicologicamente inadatti al lavoro, in miniera, o nel facchinaggio più pesante, erano individuati sbrigativamente e rimpatriati;
e) dopo alcuni anni di applicazione di questi trattati, l'indirizzo di selezione mutò, perché ci si accorse che i meridionali italiani, essendo più privi di alternative e più disperati, erano meno portati all'abbandono e al rimpatrio di quelli del nord, che, a loro volta, venivano richiamati in patria dai parenti che, nel frattempo, avevano constatato la ripresa economica e dell'occupazione nelle aree industriali italiane, dove le condizioni di lavoro erano meno disumane di quelle imposte da begli o tedeschi;
f) nondimeno, i meridionali italiani, una volta stabilizzati, perché ritenuti affidabili e "produttivi" (naturalmente a livelli retributivi, e di condizione abitativa, più bassi di quelli che qualsiasi autoctono avrebbe mai accettato), e ritenuti perciò "preferibili", venivano incentivati a richiamare anche i parenti; ciò da un lato consentì ai paesi "riceventi" di evitare la straniazione e la potenziale destabilizzazione sociale legata alla presenza degli immigrati, dall'altro li rifornì di un ulteriore stabile flusso di manodopera a bassa retribuzione, che veniva socialmente emarginata e rinchiusa in enclaves chiuse nella memoria e nella nostalgia della terra di provenienza (dunque, l'assimilazione fu convenientemente molto lenta e completata dalla discriminazione selettiva nell'accesso ai livelli superiori di istruzione dei figli dei nostri emigrati: fenomeno, che dato il sistema istituzionale scolastico tedesco, è sostanzialmente ancora in atto).

6. Al di là della cronistoria di dettaglio di questi eventi, che certamente testimoniano la non novità delle grandi migrazioni di massa in Europa, e che potete trovare più o meno crudamente illustrati qui e qui (ex multis), è evidente che le soluzioni adottate, - pur quando, si badi bene specialmente nell'esperienza tedesca, erano già operanti i trattati OECE (poi OCSE) e i primi trattati europei CECA e Euratom-, erano improntate a:
a) fissazione annuale di contingenti da parte del paese di destinazione e selezione degli "aspiranti" operata essenzialmente sul territorio di provenienza, da parte di organismi e funzionari sia nazionali che del paese di destinazione, secondo procedure fissate nei trattati bilaterali (anche se poi, come abbiamo detto, in pratica "forzate" a favore della discrezionalità esercitata di fatto dai selettori stranieri operanti in territorio nazionale);
b) assicurazione dell'occupazione all'arrivo, ma sottoposta sia a un'ulteriore selezione "in loco" che ad un periodo permissivo "legale" iniziale limitato (generalmente a un anno), al cui termine, se la autorità e i dirigenti delle imprese non erano soddisfatti, si procedeva alla revoca del permesso di lavoro e al rimpatrio;
c) forte ciclicità dell'immigrazione stessa, in funzione della corrispondente ciclicità dei settori industriali interessati, con contingentamenti e rimpatri accelerati in caso di crisi occupazionale del settore. A ciò si unì poi la mitigazione delle mera importazione di forza lavoro col consentire i "ricongiugimenti", cosa che garantiva sia futura forza lavoro senza dover ricorrere all'applicazione del trattato bilaterale, sia la più sicura assimilazione dei familiari insediati, seppure segregati in condizioni di mobilità sociale, in particolare sotto il profilo dell'accesso ai livelli più alti di istruzione,  istituzionalmente delimitate;
d) la successiva crescita dell'economia italiana, a complemento di ciò, indusse poi il fenomeno dei "ritorni" nei paesi di origine, contribuendo ulteriormente a calmierare i problemi di impatto socialmente destabilizzante sulle comunità sociali e politiche di destinazione.

7. In sintesi, si può dire che il sistema ebbe una certa funzionalità, pur con i suoi ovvii inconvenienti, riassumibili nella formula: non ci sono pasti gratis, meno che mai che per degli stranieri, e meno che mai ci si può aspettare che vengano stesi tappeti rossi per un'integrazione che, come evidenziano le cronache del tempo, ad es; in terra tedesca, passavano per una comunicazione politica e misure normative che rassicuravano i tedeschi sulle preferenza loro accordata per l'accesso ai lavori più appetibili.

Rimane il fatto che tale sistema aveva dei contenuti concordati essenziali, considerati connaturali: il reclutamento-collocamento e il convolgimento burocratico e istituzionale congiunto, sul territorio di "origine" dei responsabili amministrativi di entrambi gli Stati, secondo esigenze e contingenti programmabili stabilite negli accordi bilaterali, nonché la selezione ulteriore, in funzione di convenienze anche di orientamento politico e atteggiamento "cooperativo", compiuta nel paese di destinazione. Che, comunque, si riservava sia ulteriori selezioni all'arrivo in base a criteri di ulteriore "gradimento", sia l'adozione di un sistema di temporaneità dell'occupazione assicurata, che quello di misure normative studiate per tenere sotto un certo controllo l'inserimento-mobilità sociale dei nuovi arrivati (e delle loro stesse famiglie ricongiunte).

8. Ora, pur nella, molto presunta, nuova sensibilità verso i "diritti umani" dell'attuale €-clima ideologico-mediatizzato (diritti che, se escludiamo quelli di tutela del lavoro, smantellati a tappe forzate in tutta €uropa, si riducono a formule cosmetiche su accoglienza e forme di assistenza sociale, anch'esse progressivamente tagliate, come ben sappiamo), è facile avvedersi come questa soluzione sia tutt'ora e vantaggiosamente praticabile.
Va, infatti, considerato che i paesi di provenienza dell'attuale immigrazione - che furiosamente e "curiosamente" viene lasciata premere direttamente alle frontiere dei paesi di destinazione- sono statisticamente ben noti e, comunque, facilmente accertabili, e che solo una percentuale minima, in termini quantitativi, dei "disperati", ha i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato, o persino della condizione di protezione umanitaria o sussidiaria (cfr; art.78, par.1, del TFUE: concetti non ben precisati, semplicemente perché non precisabili sul piano materiale, storico e politico, e che dunque si prestano a arbitrii e manipolazioni del tutto contingenti, cioè a una discrezionalità priva di una seria predeterminazione legale dei suoi criteri di esercizio).
Si consideri che, quanto al 2014, ad esempio, "su 36.270 stranieri richiedenti lo status di rifugiato, il 10% (3.641) l'ha ottenuto, il 23% ha ricevuto protezione sussidiaria, il 28% quella umanitaria. Pari al 39% le domande respinte". E questa statistica esclude dal computo quegli immigrati che non hanno inoltrato alcun domanda di asilo, che sono la maggioranza, considerando che, nello stesso 2014, gli arrivi sono ammontati a circa 170.000 persone.

NB: I dati della tabella sottostante riguardano, nei vari Stati interessati, l'esito delle pratiche attivate dai richiedenti uno status di profugo o similare, non il numero totale degli immigrati in arrivo, che è molto maggiore: quelli che non fanno richiesta, infatti, sono, per loro stessa ammissione, degli immigrati "illegali" ai sensi dell'art.79 TFUE, cioè espressione del fenomeno che tale norma imporrebbe all'Unione di contrastare:
 

9. Essendo questi i fatti, non si vede perché l'Unione europea e, più ancora, gli Stati-membri non abbiano, di fronte alla situazione emergenziale protraentesi ormai da anni, attivato gli accordi bilaterali modellati sulle precedenti esperienze, interne all'Europa, che consentirebbero di evitare il tragico spettacolo permanente della disperazione e dell'ammasso umano, sfruttando, anzi, doverosamente applicando, le stesse clausole dei trattati.
Va infatti ricordato che l'art.78 TFUE  sopra citato, se letto in buona fede, si riferisce chiaramente a flussi peculiari, cioè determinati da eccezionali e imprevedibili eventi circoscritti a uno "Stato terzo" manifestamente in stato emergenziale, e non coinvolgenti in modo stabile e prolungato, data l'evidente ratio di eccezionalità della normativa, intere aree continentali o addirittura interi continenti.

Ce lo conferma lo stesso trattato: al successivo art.79, infatti, l'Unione nel configurare una "politica comune" di gestione dei flussi migratori:
a) si pone, al par.1, l'obiettivo prioritario del "contrasto rafforzato alla immigrazione illegale e alla tratta degli esseri umani". 
E dov'è tale azione comune di contrasto rafforzato, che è evidentemente diversa dal principio del "non respingimento" e della protezione sussidiaria e dei rifugiati, che riguarda situazioni eccezionali e imprevedibili?;
b) enuncia il seguente fondamentale principio (par.5): "Il presente articolo non incide sul diritto degli Stati membri di determinare il volume di ingresso nel territorio dei cittadini di paesi terzi, provenienti da paesi terzi, allo scopo di cercarvi un lavoro indipendente o autonomo";
c) infine, volendo attribuire alla normativa europea una certa previdenza sugli esiti emergenziali dei principi dell'art.78, lo stesso art.79, al par.3, mostra come la degenerazione, fuori dai suoi presupposti giustificativi nel trattato, di una fase emergenziale non si risolva con la permamente apertura delle frontiere che, anzi, fuori dalla condizione di imprevedibiltà, origine circoscritta ed eccezionalità, (caratteri che la dimensione e la durata attuale del fenomeno ormai smentiscono), deve considerarsi non consentita e da correggere. Ed infatti, il par.3 così prevede:
"L'Unione può concludere con i paesi terzi accordi ai fini della riammissione, nei paesi di origine o di provenienza, di cittadini di paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni per l'ingresso, la presenza o il soggiorno nel territorio di uno degli Stati membri". 
E dove sono, dopo anni e anni di incremento vertiginoso del fenomeno della immigrazione illegale (ce lo dicono le statistiche) questi accordi, coi ben identificabili paesi terzi, per il rimpatrio di coloro che non soddisfano ora e poi le condizioni di ingresso in €uropa?

10. In conclusione, se gli Stati, nel quadro dei trattati europei, avrebbero ben potuto impostare dei trattati bilaterali coi paesi di maggior provenienza della immigrazione economica, per regolare i flussi migratori in funzione delle proprie effettive esigenze occupazionali, se l'Unione non ha concluso gli accordi di rimpatrio con questi stessi paesi (anche di coloro che "non soddisfano più" le condizioni di entrata), ci sarà un motivo razionale?
Forse che la disoccupazione dei legalmente residenti in €uropa non è un problema attuale, eclatante, disastroso, e, alle condizioni di governance economica dell'UEM, rivelatosi in concreto irrisolvibile?
Non è dunque un problema espressamente preso in esame dati trattati con le loro esplicite previsioni?

11. Certo, qualche problemino, ORA, a trovare organi dei paesi terzi legittimati a concludere dei trattati bilaterali e con l'Unione ci sono: ma la situazione sopravvenuta della Libia, visto il suo ruolo di passaggio-vettore della migrazione africana, era ben prevedibile, una volta scatenata la guerra contro Gheddafi. Anche considerando, appunto, che dalla Libia, essenzialmente, non scappano i libici, ma coloro che, provenienti da gran parte dell'Africa, uno Stato libico legittimo secondo il diritto internazionale, piuttosto, teneva sotto un certo controllo (per quanto ricattatorio).
E destabilizzare sistematicamente il medio-oriente con crociate per la democrazia aveva lo stesso risultati molto prevedibili di medio e lungo termine.
Tra l'altro nulla impedisce di concludere, anche attualmente, accordi bilaterali con Stati come la Tunisia, il Marocco, la Nigeria e via dicendo, anche implementando presso il territorio di questi Stati, o Stati simili, centri a gestione congiunta di selezione e verifica non solo della condizione di "rifugiato" o di "protezione umanitaria", ma pure di quella della "eleggibilità" del mero migrante economico.
Almeno, dovendo prendere delle decisioni in quadro giuridico certo e predefinito, si dovrebbe ammettere, nel caso dei "migranti economici", che la situazione dell'occupazione, nella maggior parte dell'eurozona, non è, in questo (lungo) momento, tale da rendere economicamente e socialmente opportuna tale tipologia di immigrazione.
E magari, si dovrebbe pure spiegare ai cittadini europei perché le cose stanno in questo modo (ben diversamente da quello che accadde nella fase di ricostruzione che seguì alla seconda guerra mondiale).

Invece, si continua con la politica dell'ammasso e degli arrivi alle frontiere dell'Unione, che sono esattamente l'opposto dei trattati bilaterali che il trattato avrebbe previsto e anzi, nelle condizioni attuali, imposto, per regolare i flussi di immigrazione e per combattere quella illegale e la tratta degli esseri umani.
Evidentemente, prevenire il terrorismo dei disadattati "programmatici", nelle sue più ovvie cause scatenanti, non è un obiettivo razionalmente affrontabile in sede €uropea.
Evidentemente la soluzione preferita è l'esercito europeo delle multinazionali private e delle privatizzazioni sovranazionali...

15 commenti:

  1. In questo contesto, credo rilevi la proposta di regolamento COM(2015)671 sull'istituzione dell'Agenzia di Guardia costiera europea. Rilevano, in particolare le profonde limitazioni alla sovranità nazionale recate dagli articoli 7 e 12, in base alla quale sembra che la futura Agenzia possa individuare le "vulnerabilità" dei singoli stati (ed imporre adeguamenti), praticamente senza contrappesi....

    In ogni caso, il provvedimento incide sul controllo delle frontiere, che è uno dei profili più rilevanti della sovranità.

    Lo sottopongo pertanto all'attenzione.

    https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2015/IT/1-2015-671-IT-F1-1.PDF

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    1. Il problema di tutte queste ideone internazionaliste è sempre il finanziamento: agendo (eh sì, sono "agenzie") come delle società commerciali non solo sono soggette a partecipazioni di controllo e a patti di sindacato, fin troppo facili da anticipare, ma le regole che a valle divengono poi legittimate a dettare ai cittadini, sono estranee a qualsiasi accountability democratica.

      Fin troppo ovvio, dirai: ma giunti a questo livello di interferenza sulla sovranità democratica, stiamo ormai varcando il limite di qualsiasi traccia dello Stato di diritto.

      Le regole vengono sottratte a qualsiasi problema di consenso, il finanziamento diviene un automatismo impositivoi aggiuntivo che sfugge alla decisione dei parlamenti (come la contribuzione ai fondi europoidi), e, sopra ogni cosa, gli atti delle n€o-autorità non sono soggetti a regole allegabili in giudizio davanti ai giudici dei paesi i cui cittadini vengono colpiti da questo nuovo autoritarismo legibus solutum

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  2. Vai a far capire che l'unico "piano Kalergi" esistito è stato proprio quello di creare una federazione mondiale de-sovranizzante, ovvero de-democratizzante.

    Coudenhove-Kalergi, il PR che passò la vita tanto a cercare di federare gli Stati europei, quanto quelli di tutti gli altri continenti.

    Da Paneuropa, all'unione pan-americana, a quella pan-africana a cui i trattati di libero scambio sono propedeutici.

    Coudenhove-Peter-Pan-Kalergi.

    Poiché l'aristocratico faceva l'aristocratico, passava la sua vita a frequentar i salotti buoni e ad ammazzare il tempo sfogando l'angoscia di non essere mai stato amato dal padre.

    Tra nobili non si usa: i figli sono i primi a subire il plagio a posto dell'educazione, poiché l'eugenetica non riesce sempre a dovere. Notoriamente il Conte rimaneva in stato confusionale dopo essersi guardato allo specchio: si rasserenava solo dopo aver letto più volte il suo pedigree. Nobile puro sangue dalla creazione dell'Uomo.

    Si sa, il Grande Legislatore aveva a disposizione materiale pregiato per plasmare l'Ubermensch: quindi, per far divertire l'entità creata a sua immagine e somiglianza, scaracciò un paio di volte e creò lo schiavo: l'Untermensch.

    (Purtroppo, non essendo sufficientemente glabro, il Grande Legislatore dovette creare l'Untermensch n°2 : Sodoma e Gomorra vennero distrutte e gli Ubermenschen poterono contare su nuovi tipologie di schiavi: gli schiavi degli schiavi, mediamente meno barbuti)

    Solo che poi arrivò Darwin e confuse tutta la questione, dicendo che alcuni Untermenschen si erano evoluti dallo scaracchio allo strozzinaggio, persino facendo i cambia valute.

    Solo che poi arrivò un palestinese che gli scacciò dal tempio e ci fu la diaspora, insomma, una casino.

    Richard Kalergi tornava confuso e vedeva apparire i rettiliani, che erano quelli che avevano costruito le piramidi, e si preparavano a tornare ad abitare la Terra con i loro noti lineamenti afro-asiatici.

    Dopo aver sentito queste visioni, i maggiori banchieri del mondo e sponsor indefessi del free trade e della libera circolazione degli Untermenschen - rimasti allo status di scaracchio - decisero subito di finanziarlo.

    "Acqua Limpida (cit. Caffè)" Ernesto Rossi e "Warburg" Spinelli ricevettero dal Grande Legislatore il Manifesto, nell'isola di Ventotene.

    Ora l'aristocrazia dello spirito aveva un Fogno.

    La CIA, confusa pure lei, cominciò a finanziare Churchill, che non c'entrava niente, ma era noto per i successi in Bengala.

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    1. Certamente non palestinese: certamente ebreo, come egli stesso ripetutamente confermò.

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    2. Certamente palestinese: come diversi testimoni udirono chiaramente, entrò nel tempio urlando «Allah akbar»

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  3. L'invasione dei cd. migranti viene incentivata per una molteplicità di ragioni.
    Alcune più evidenti, come la creazione del famoso esercito industriale (o agricolo) di riserva, fomentare lotte tra poveri, additare l'Islam come il nemico della società, allevarsi i terroristi in casa...).
    Ma, oggi, ancora più importante mi sembra sia l'inoculare negli europei la convinzione dell'avvenuta, insanabile distruzione di quel minimo di capacità politiche e amministrative degli Stati che sarebbero necessarie per realizzare gli interventi indicati nel post e consentiti dal Trattato.
    Il take home message è la necessità di privatizzare le funzioni di ordine pubblico, interno ed esterno. Fatelo, presto, per favore!

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    1. Il punto principale è questo: quando la tirannia di un mercato senza volto inizia ad usare la violenza, e rivolge tutto il suo disprezzo classista e razzista sul demos, l'unica risposta passa dall'unità di classe che dipende da quella nazionale, come sapevano bene le grandi personalità che si occuparono dell'emancipazione degli oppressi.

      La risposta sarebbe semplice: si nazionalizza tutto, a partire dalle grandi imprese a controllo estero/sovranazionale.

      Ma c'è un problema: il "Pinochet" che fa da ragazzo immagine delle oligarchie è sostenuto in primis dai pretoriani collaborazionisti e da una parte importante della società (i marxisti li chiamavano "piccoli borghesi", ora c'è chi li chiama "piddini").

      Quindi i gruppi sociali più oppressi dovrebbero contare su un'unità di classe che superi tutti i conflitti sezionali: ma - come è sempre stato - vengono "arruolati" sotto-proletari di nazionalità differente da porre in conflitto con il popolo sovrano che dovrà organizzarsi per riappropiarsi del risparmio che gli è stato sottratto con l'inganno e con la violenza.

      Non ce la può fare: deve cercare l'appoggio della borghesia nazionalista, delle forze dell'ordine pubblico fedeli allo Stato-nazione, evitando per quanto possibile di entrare in conflitto aperto con il proletariato immigrato.

      Sotto quale personalità si dovrebbero riunire gli oppressi se la classe più istruita fedele al patto costituente è costretta ad emigrare all'estero?

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    2. « Noi vediamo innanzi a noi un'estesa e profonda tendenza ideologica, le cui origini sono strettamente interrelate agli interessi dei proprietari terrieri e dei capitalisti delle nazioni dominanti. Centinaia di milioni vengono spesi ogni anno per la propaganda di idee vantaggiose per queste classi: si tratta di un mulino piuttosto grande che prende la sua acqua da tutte le fonti. [...]

      È il senso d'orgoglio nazionale alieno per noi, proletari coscienti della Grande Russia? Certamente no! Noi amiamo la nostra lingua e il nostro paese, è noi stiamo facendo del nostro meglio per far innalzare le sue masse che duramente lavorano (ovvero i nove decimi della sua popolazione) ad un livello di coscienza democratica e socialista. [...]

      "Una nazione disgraziata, una nazione di schiavi, dall'alto verso il basso - tutti schiavi" [...], non piace ricordare queste parole queste, [eppure queste] erano parole di genuino amore per il nostro paese. [...]

      Noi siamo pieni di orgoglio nazionale perché la nazione Grande-Russa, anche, si è mostrata capace di fornire il genere umano di grandi modelli di battaglia per la libertà e il socialismo, e non solo di grandi pogrom, patiboli, segrete, grandi carestie e grande servilismo verso i preti, i proprietari terrieri ed i capitalisti. [...]

      Noi siamo pieni di un senso di orgoglio nazionale, e proprio per questa ragione noi odiamo particolarmente il nostro passato schiavista. [...]

      Nessuno è colpevole di essere nato schiavo. Ma lo schiavo al quale non solo sono estranee le aspirazioni alla libertà, ma che giustifica e dipinge a colori rosei la sua schiavitù [...], un tale schiavo è un lacchè e un bruto che desta un senso legittimo di sdegno, di disgusto e ripugnanza.

      "Nessuna nazione può essere libera se opprime altre nazioni": pieni di un senso d'orgoglio nazionale, noi, operai Grande-Russi, vogliamo, qualunque cosa accada, una libera ed indipendente, democratica, repubblicana e orgogliosa Grande-Russia, una che basi i suoi rapporti con i suoi vicini sul principio umano di uguaglianza, e non sul principio feudalista del privilegio, così degradante per una grande nazione. Proprio perché noi vogliamo ciò, noi diciamo: è impossibile [...] "difendere la madrepatria" in altro modo che non sia l'utilizzo di ogni mezzo rivoluzionario per combattere la monarchia, i proprietari terrieri ed i capitalisti della propria madrepatria, cioè, i peggiori nemici del proprio paese. [...]

      Si potrebbe avanzare l'obiezione che, inoltre allo zarismo e sotto la sua ala, un'altra forza storica è cresciuta ed è divenuta forte, ovvero il capitalismo Grande-Russo, che sta portando avanti un'attività progressista centralizzando economicamente e unendo tra di loro vaste regioni. Quest'obiezione, però, non scusa, ma al contrario condanna ancora di più, i nostri social-sciovinisti [europeisti, ndr], che dovrebbero esser chiamati socialisti zaristi-Purishkevichi [...]. Permetteteci anche di assumere che la storia decida a favore del capitalismo dominante Grande-Russo, e contro le cento e una piccole nazioni. Ciò non è impossibile, poiché l'intera storia del capitale è una storia di violenza e saccheggi, di sangue e corruzione. Noi non sosteniamo la causa di difendere le piccole nazioni a tutti i costi; fermo restando tutte le altre condizioni, noi siamo decisamente per la centralizzazione e ci opponiamo all'idea piccolo-borghese di relazioni federaliste.
      » 1914, un bolscevico di successo.

      (E pensare che c'è stato un tempo un cui credevo che un onesto federalismo kantiano fosse una furbata che salvasse capra e cavoli...)

      Ovviamente questa è storia, e non va studiata.

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    3. In effetti, proprio l'assenza delle condizioni per una matura coscienza di classe all'interno di una democrazia costituzionale e pluriclasse (manca tutto, a partire dalle scuole e, ovviamente, dalle fabbriche, intese come ambienti stabili e rigidamente gerarchizzati, in cui i cittadini lavoratori possono 'formarsi' e disciplinarsi) rendono possibile un esito di tipo sovietico (che non mi auguro) in cui si passa bruscamente da un sistema a un altro, e questo passaggio avviene non per una maturazione 'ambientale' delle classi sociali ma ad opera di nuove elites illuminate, magari esternamente sponsorizzate.

      Vedremo... le vie della consapevolezza sociale sono finite ma forse più numerose di quelle che riusciamo a immaginare.

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    4. Purtroppo - invece - un sistema pseudo-sovietico è proprio quello che ESSI pare abbiano in mente. (Lo stesso B. Russell lo "paventava"...)

      Per questo credo che bisognerebbe aver ben chiaro la differenza tra struttura economica ed istituzioni che al di sopra di questa si elevano.

      Tanto la rivoluzione francese quanto quella russa hanno rivoluzionato le istituzioni politiche, ma solo quella russa ha rivoluzionato le strutture economiche: infatti ci sono studiosi che - a dispetto di gran parte della storiografia - non ritengono la rivoluzione francese una rivoluzione con caratteri di progressività.

      Entrambe sono state possibili da tensioni "esterne" alle comunità sociali di riferimento.

      La nostra stessa Costituzione nasce sotto la pressione di poteri esteri che però si "contrapponevano/annullavano", dopo un conflitto bellico e una guerra civile.

      In tutti questi casi, in modi e tempi diversi, è stata la coscienza nazionale prima ancora che quella di classe (come esplicita lo stesso Lenin!) ad essere stata determinante.

      Di converso si può dire che la nostra materiale unità nazionale sia stata realizzata solo dopo la nostra "rivoluzionaria" Costituzione.

      E questo mi fa temere per il prossimo futuro...

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    5. Non avevo compreso l'oggetto del tuo commento. Se il tema è che la coscienza nazionale precede quella di classe sono d'accordo. Peraltro, la tua citazione è oltre modo significativa, perché - se ho googlato bene (eh eh eh) - Lenin pronuncia quelle parole nell'ambito di un discorso in cui auspica la perdita della guerra da parte della Russia. Cioè a dire (libera interpretazione mia): in ogni modo, al netto di lingua e altre tradizioni accomunanti, la nazione non può essere composta di oppressori e di oppressi. Fatta la nazione tra Uomini, poi si potrà, avendo come fondamento il "fattore" lavoro, regolare democraticamente la convivenza tra le diverse classi sociali. Lenin diventa quasi un socialdemocratico...

      E proprio in quest'ottica (di necessaria, preventiva formazione della nazione), come evidenzi la situazione dell'Italia è tragica, perché, nei fatti, la nazione non si è mai compiuta. E si spiega la peculiarità italiana dell'autorazzismo, del dileggio verso se stessi, dell'utilizzo del potere sempre in direzione 'contro', e in definitiva si spiega come la 'rivoluzione liberale' abbia potuto penetrare così facilmente nel burro di classi dirigenti che, a prescindere dall'etichetta ideologica vantata, non hanno mai appartenuto alla nazione che dovevano governare.

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  4. E a proposito di Andreatta e del suo caritatevole spirito cristiano, una 'perla' dall'archivio di Repubblica . Traspare, nel giorno del suo insediamento come ministro del Bilancio nel governo Amato, lo spirito di un uomo mite, equilibrato, che vive il potere come una responsabilità e un’occasione di perseguimento dell’interesse collettivo …

    "Quando si è nell'amministrazione ci sono molte persone, pupazzetti che agitano le braccia continuando a dire che la Repubblica crollerebbe se si facessero certe cose, che gli interessi produttivi potrebbero essere pregiudicati".

    Andreatta torna sulla poltrona del Bilancio dopo quattordici anni. Il suo esordio da ministro fu nel 1979 con il primo governo Cossiga. Ed anche in quell'occasione occupò la poltrona del Bilancio. Oggi, dopo aver combattuto tutta una vita contro Craxi, De Michelis, Formica e Cirino Pomicino e dopo esser stato in congelamento negli anni del Caf e delle finanze allegre, "ritorna con la determinazione di sempre. Per lui l'economia in Italia è stata gestita come una "economia del Kolkhoz", con tanto Stato e quasi sempre inefficiente. La sua filosofia di oxfordiano ("prego, ho studiato a Cambridge" ribatte ogni volta) non permetterà papocchi sul debito pubblico. I Bot e i Cct probabilmente non verranno toccati. Andreatta si batterà sicuramente per un rilancio degli investimenti privati e per una forte accelerazione delle privatizzazioni.

    Come è umano Lei...

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    1. Ma scherzi? Un momento fantastico: la nascita della codificazione comunicativa sull' "homo novus politicus" ordoliberista al potere.

      Tutti gli uomini della sobrietà e del rigore saranno poi solo copie sempre più sbiadite.
      Compreso Monti...
      (...Se esistesse la memoria a breve della massa deneuronizzata: ma ormai gli italiani sono ridotti al livello del cucciolo quando è trascorso un minuto dal momento in cui ha fatto pipì sul tappeto. E' persino crudele rimproverarli...).

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    2. E pensare che nel diciottesimo secolo il Grand Tour aveva come meta privilegiata l'Italia allo scopo di inebriarsi delle bellezze locali (dove, appunto, la parola chiave è "locali", cioè che non si possono trovare da nessuna altra parte). A partire dal secolo scorso, il massimo del Grand Tour concepibile dalle élite consiste nell'andare in Inghilterra e in America per chiudersi in "prestigiose" (nel significato primigenio di ingannevoli) aule universitarie dove si acquisisce poco più che il disprezzo verso il proprio Paese. Chiamatemi antiquato, ma non mi è ancora ben chiaro cosa ci dovrebbe essere ad Oxford o a Chicago che non sia già a Roma o a Napoli. Certo, continuando su questa china presto in Italia non rimarranno che le macerie di un inglorioso presente, ma la cultura e la tradizione non ci mancano di certo. Anzi, si potrebbe dire che in tal senso il nostro surplus sia persino eccessivo.

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  5. A proposito del “Noi amiamo la nostra lingua e il nostro paese” posso citare come esempio tanti “amici” e “compagni” che, quando gli parli delle tue difficoltà lavorative, della tua precarietà, della mancanza di welfare, ecc., la prima cosa che ti rispondono è questa:”MA HAI PROVATO A CERCARE LAVORO IN GERMANIA?”. Ho visto che oramai questa risposta è a livello istintivo pavloviano. Qualche anno fa andai da un assistente sociale per chiedere un aiuto e lo stesso mi rispose, per il mio bene, di andare in Germania, perché loro, nel loro ruolo di assistenti sociali, non potevano aiutarmi, e l'unico consiglio utile che potevano darmi era questo:"Vattene in Germania". Provate anche voi, dite a qualche piddino che siete senza lavoro, siete precari, il welfare non vi fornisce supporto, ecc., la risposta pavloviana del piddino è sempre quella:”HAI PROVATO A CERCARE LAVORO IN GERMANIA?”. Unità di classe? Emancipazione proletaria nazionale? Figuriamoci! Il problema del fatto che non c'è lavoro è solo tuo e solo tu te lo devi risolvere, senza l'aiuto di nessuno, andando a cercar fortuna nei paesi dominanti, se il tuo paese non ti dà opportunità; e se non lo fai E' SEMPRE COLPA TUA CHE NON TI SEI DATO DA FARE. Lotta di classe a livello nazionale per rivendicare diritti? Ma no! Arrangiati da solo, se non trovi lavoro e se vuoi condizioni migliori EMIGRA! Per i cani di Pavlov il problema del lavoro, e del diritto ad un lavoro dignitoso con una paga dignitosa, non riguarda certo una classe sociale di subalterni, e non certo lo stesso cane di Pavlov di turno, che magari non è mai stato costretto dalle circostanze ad andare all'estero per cercarsi un lavoro migliore che il suo paese non gli vuole dare; e magari non conosce nemmeno tutte le problematiche derivanti dal fatto di vivere in un paese straniero; così come il problema del drenaggio di risorse intellettuali e manodopera specializzata verso i paesi dominanti, o la messa competizione al ribasso tra classi lavoratrici di vari paesi e il sempre maggiore impoverimento dei paesi subalterni non lo riguardano di certo, lui che ha ancora il culo al sicuro, per il momento; per i cani di Pavlov il problema del diritto al lavoro non è certo un problema collettivo, che va affrontato collettivamente; né di sviluppo economico e sociale di un intero paese; ma è sempre un problema tuo, sono affari tuoi!

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