lunedì 19 novembre 2018

LA NUOVA OGGETTIVITA’ SCIENTIFICA…E LA DEMOCRAZIA CONTROLLATA DALLA “FALLACIA EPISTEMOLOGICA”

Post di Francesco Maimone

II Parte


LA NUOVA OGGETTIVITA’ SCIENTIFICA…E LA DEMOCRAZIA CONTROLLATA DALLA “FALLACIA EPISTEMOLOGICA



(K. MARX)
Nella scienza possono dire la loro solo quelli che per anni hanno sudato sui libri, hanno sottoposto le loro ipotesi a una rigorosa procedura di esperimenti e controlli, possiedono un metodo che consente di distinguere la verità dalla bugia”. E di seguito, “… il nostro intuito non è sufficiente a stabilire un rapporto di causa-effetto. Per stabilirlo ci vuole la scienza, con i suoi numeri, il suo metodo, il suo rigore e soprattutto la sua statistica” [pagg. 2 e 26]. Esplicitata la questione in tal modo a dir poco riduzionostico, per il popolo dei “somari” sembra all’apparenza non esservi davvero alcuno scampo. Ma è proprio così? Il Blog si è già occupato del problema della scienza con riferimento specifico ai vaccini obbligatori; il presente lavoro deve intendersi un approfondimento anche di quel post nel tentativo di dare, a beneficio dei lettori, una compiuta coerentizzazione sia dal punto di vista storico che filologico.
1.1 In generale, bisogna avvertire che il pensiero testualmente sopra riportato non è che un cascame di quella più generale tendenza del pensiero filosofico degli ultimi secoli di affrancarsi da ogni discorso ontologico sull’essere, sulla sua specificità e sulle sue determinazioni categoriali (nel nostro caso, sull’uomo “lavoratore sociale” con i suoi reali bisogni e che con il lavoro produce e si riproduce):
… gli ultimi secoli di pensiero filosofico sono stati dominati da gnoseologia, logica e metodologia e il loro dominio è ben lontano dall’essere sorpassato. La preponderanza della prima di queste discipline è divenuta talmente forte da far dimenticare all’opinione pubblica che la missione storica della gnoseologia…consisteva…nel fondare e garantire il diritto alla egemonia scientifica della scienza naturale sviluppatasi a partire dal Rinascimento, ma di farlo in termini tali che restasse salvo… lo spazio ideologico che l’ontologia religiosa si era storicamente conquistato. In questo senso storico si può considerare padre della moderna gnoseologia il Cardinal BellarminoIl moderno positivismo al suo apogeo ha dichiarato ANACRONISTICA ASSURDITÀ NON SCIENTIFICA OGNI DOMANDA INTORNO ALL’ESSERE, addirittura ogni presa di posizione circa il problema se qualcosa sia o non sia …” [G. LUKÁCS, Prolegomeni all’ontologia dell’essere sociale, Napoli, 1990, 1]. Domanda che perciò, in nome dell’oggettività, è stata relegata semplicemente nel campo della “metafisica”.
Sappiamo, tuttavia, che qualunque pensiero non nasce come Minerva dalla testa di Zeus, ma ha carattere storico-sociale, ha le proprie radici “nei rapporti materiali dell'esistenza… e che l'anatomia della società civile è da cercare nell'economia politica”, come il pensiero liberista ha ben compreso (qui, p.4). In tal senso:
… Soltanto la produzione capitalistica ebbe profonde motivazioni economiche e attitudini sociali per elaborare ai propri scopi in maniera consapevole la scienza particolare nel senso odierno. Nelle crisi spirituali del periodo di transizione, comunque, fu ancora molto forte il legame delle scienze con le questioni generale della concezione del mondo. Se non avesse liquidato quei conflitti, la scienza non sarebbe mai pervenuta all’autonomia necessaria all’industria. Una volta però ottenuta questa autonomia, quell’iniziale legame con le questioni della concezione del mondo poté sempre più attenuarsi…
Questa situazione si accentua per l’indissolubile vincolo con alcune tendenze ideologiche che emergono nel dispiegarsi della società e dell’economia capitalistiche…Non va mai dimenticato…che la prima grande avanzata, non più reversibile, della scientificità moderna si situa nel momento in cui la produzione capitalistica comincia a diventar dominante. La sua classe dirigente, dunque, e per conseguenza gli ideologi di quest’ultima non potevano essere ancora in grado di imporre un dominio integrale di una ideologia che corrispondesse al loro essere sociale. Una tale ideologia si dispiega solamente nel secolo XVIISi trattava perciò di trovare per intanto forme, infrastruttura, fondazione ecc. per la prassi che, da un lato si adeguassero agli interessi del capitalismo nascente (scientificità inclusa) e, dall’altro lato, non suscitassero conflitti irrisolvibili con la monarchia assoluta, con i residui feudali in essa molto potenti e con l’ideologia cristiana” [G. LUKÁCS, Prolegomeni, cit., 28-30].
2.1 Il compromesso venne trovato nella ideologia c.d. “doppia verità”, ben riassumibile dalle parole che B. Brecht nel suo dramma su Galileo fa esporre al cardinal Bellarmino: “Perché non dovremmo adeguarci ai tempi, Barberini? Se l'uso di carte costruite sulle nuove ipotesi facilita il compito ai nocchieri delle nostre navi, tanto vale adoperarle. Dobbiamo solo confutare quelle dottrine che contraddicono la Sacra Scrittura [B. BRECHT, Vita di Galileo].
Dalla rivoluzione scientifica del ‘600 (che segna, è bene ricordarlo, il passaggio dal modo di produzione agricolo a quello industriale e manifatturiero), con la sua matematizzazione della realtà, il suo interesse per i meri aspetti formali-quantitativi a discapito di quelli sostanziali-qualitativi, si dipanerà un percorso che, in coincidenza con l’imporsi del capitalismo come forma di produzione dominante completamente dispiegata, porterà alla separazione definitiva della gnoseologia da ogni aspetto ontologico, segnando così quel predominio a vocazione scientista che la prima conserverà via via fino ai nostri giorni.
Non è possibile in questa sede addentrarsi, se non per cenni, nell’analisi specifica delle singole correnti di pensiero che hanno sostanziato quel percorso di divorzio a cui si è fatto riferimento. Ciò che bisogna sottolineare è tuttavia il tratto comune del pensiero filosofico che corre dal XVII al XIX secolo, ovvero la sua sostanziale e costante “RIMOZIONE DELLA PRAXIS”, la scissione tra pensiero ed essere, quella “… insopprimibile distanza tra soggetto ed oggetto che ovunque incontriamo nella vita moderna…” [G. LUKÁCS, Storia e coscienza di classe, Milano, 1967, 209], e che invece sappiamo non sussistere perchè: “… alla fine del processo lavorativo emerge un risultato che era già presente al suo inizio nell’idea del lavoratore” (qui, p. 1.2).
3.1 I dualismi soggetto conoscente-oggetto conosciuto (res cogitans e res extensa) in Cartesio, fenomeno-cosa in sé (quest’ultima inconoscibile ed immutabile) in Kant devono essere letti già agli esordi dell’epoca moderna come la volontà di non attribuire alcun significato ontologico alle conoscenze sul mondo materiale. La filosofia del XIX secolo incrementerà tale effetto:
Le correnti dominanti della filosofia borghese restano fedeli al compromesso bellerminiano, anzi lo consolidano nella direzione di una teoria della conoscenza pura, risolutamente antiontologica; si pensi a come i neokantiani sempre più energicamente espugnano dalla gnoseologia la kantiana cosa in sé non volendo ammettere neppure una realtà ontologica inconoscibile per principio…il dominio esclusivo della teoria della conoscenza, l’allontanamento sempre più risoluto e raffinato di tutti i problemi ontologici…Per quanto il neokantismo sia riscontrabile nelle filosofie fuori della Germania, il positivismo lo sopravanza largamente in ubiquità…E’ importante rilevare come le diverse correnti di questa tendenza (empiriocriticismo, pragmatismo ecc.) mettono sempre più da parte l’oggettivo valore di verità della conoscenzae tentano di sostituire la verità mediante finalità PRATICO-IMMEDIATE.
La sostituzione della conoscenza della realtà con la manipolazione degli oggetti indispensabili nella prassi quotidiana va molto più in là del neokantismo…Si può quindi tranquillamente parlare di una tendenza generale dell’epoca che in ultima analisi mira alla DEFINITIVA ELIMINAZIONE DI OGNI OGGETTIVO CRITERIO DI VERITÀ e tenta di sostituire questa con procedimenti che rendano possibile una libera manipolazione, correttamente funzionante, dei fatti praticamente importanti [G. LUKÁCS, Ontologia dell’essere sociale, Roma, 1976, I, 20-21].
3.2 Il neopositivismo rappresenta sicuramente la tappa più avanzata di tale parabola. La sempre più larga matematizzazione e la simbolizzazione diventano così la chiave ultima per decifrare i fenomeni:
“… il linguaggio della matematica qui non è semplicemente lo strumento più preciso, la mediazione più importante per interpretare nell’ambito della fisica (cioè che esiste fisicamente, essente in sé), ma l’espressione semantica ultima, puramente ideale, di un fenomeno significativo per gli uomini mediante cui questo può ormai essere manipolato praticamente all’infinito. Quesiti che, al di là di questo, muovano verso la realtà essente in sé, secondo tale teoria non hanno dal punto di vista scientifico alcun significato. LA SCIENZA DI FRONTE A TALI PROBLEMI – QUELLI ONTOLOGICI – HA UN ATTEGGIAMENTO DEL TUTTO NEUTRALE…la formulazione più elegante, matematicamente più semplice, più probabile in quanto ipotesi, esprime tutto quello di cui la scienza ha bisogno per dominare (manipolare) i fatti al loro rispettivo grado di sviluppo. La generalizzazione di questi concetti in una “immagine del mondo” esce completamente fuori dall’ambito della scienza”[G. LUKÁCS, Ontologia dell’essere sociale, cit., 30]. Con questi risultati:
“… la gnoseologia [ha] acquista[to] una doppia funzione: da un lato quella di dare saldo fondamento al metodo della scientificità (anzitutto nello spirito delle rigorose scienze particolari), dall’altro lato quella di allontanare dalla realtà riconosciuta come la sola oggettiva, a causa della sua non-fondabilità scientifica, le eventuali basi e conseguenze ontologiche dei metodi e risultati scientifici. Questa impostazione ideologica è una IMPOSTAZIONE CONDIZIONATA DALLA STORIA DELLA SOCIETÀ ” [G. LUKÁCS, Prolegomeni, cit., 31].
La separazione tra ontologia e gnoseologia indica che la scienza moderna sino ai nostri giorni ha operato il proprio distacco dalla vita materiale, disinteressandosi della “priorità ontologica” dell’essere sociale e concentrandosi invece sull’immediatezza della realtà quantificabile fino a perdere di vista la complessità al di là dei propri campi specialistici: “…Quando Engels nel discorso funebre per Marx parla del “fatto elementare che gli uomini devono innanzi tutto mangiare, bere, avere un tetto, e vestirsi…” non sta parlando di nient’altro che di questa priorità ontologica” [G. LUKÁCS, Ontologia dell’essere sociale, cit., 288].
4.1 Husserl, negli anni ’30, intuì molto bene detta traiettoria:
Adottiamo come punto di partenza il rivolgimento, avvenuto allo scadere del secolo scorso, nella valutazione generale delle scienze. Esso non investe la loro scientificità bensì ciò che esse, le scienze in generale, hanno significato e possono significare per l'esistenza umana. L'esclusività con cui, nella seconda metà del XIX secolo, la visione del mondo complessiva dell'uomo moderno accettò di venir determinata dalle scienze positive e con cui si lasciò abbagliare dalla «prosperity» che ne derivava, significò un allontanamento da quei problemi che sono decisivi per un'umanità autenticaNella miseria della nostra vita…questa scienza non ha niente da dirci.
Essa esclude di principio proprio quei problemi che sono i più scottanti per l'uomo, il quale, nei nostri tempi tormentati, si sente in balìa del destino…Questi problemi, nella loro generalità e nella loro necessità, non esigono forse, per tutti gli uomini, anche considerazioni generali e una soluzione razionalmente fondata? In definitiva essi concernono l'uomo nel suo comportamento di fronte al mondo circostante umano ed extra-umano, L'UOMO CHE DEVE LIBERAMENTE SCEGLIERE, L'UOMO CHE È LIBERO DI PLASMARE RAZIONALMENTE SÉ STESSO E IL MONDO CHE LO CIRCONDA. Che cos'ha da dire questa scienza sulla ragione e sulla non-ragione, che cos'ha da dire su noi uomini in quanto soggetti di questa libertà? Ovviamente, la mera scienza di fatti non ha nulla da dirci a questo proposito” [E. HUSSERL, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Milano, 1983, 33-34].
4.2 Operato detto divorzio (che abbiamo definito “rimozione della praxis”), ci si trova di fronte ad uno scenario onirico: da una parte il mondo della realtà posto fuori dalla sfera del soggetto conoscente, postulato come inconoscibile e, dall’altra, la ragione che vaga tra parvenze intellegibili, tra rappresentazioni astratte ed ipotetiche, tra mere ombre di quella realtà che viene colta solo in modo quantitativo e con linguaggio matematico-simbolico. G. Gentile non aveva torto allorché denunciava già nei primi anni del ‘900 che in tal modo “… il progresso della scienzanon può essere se non il vano sogno di un’ombra: un dileguarsi apparente di vana apparenza senza consistenza e senza significato nell’immutabile scena del mondo, in un teatro deserto…” [G. GENTILE, La dialettica del pensato e la dialettica del pensare, 1912, 6].
Ci si è dilungati nella ricostruzione di un tale quadro perché è nell’ambito dello stesso che bisogna cercare di capire come si atteggia quella presunta “OGGETTIVITÀ” non democratica della scienza, tutta fondata sul suo metodo fatto di “ipotesi”, “esperimenti” e “numeri” declinati dai suoi operatori specialistici con così tanta sicumera.
5.1 E’ nota, al riguardo, la lunga controversia sul metodo scientifico che, dal ‘600 in poi, ha visto fronteggiarsi induttivisti (metodo induttivo) e razionalisti (metodo deduttivo): i primi procedono empiricamente dal particolare all’universale, sostenendo che la conoscenza trae origine dai fatti dell’esperienza e dalle osservazioni; i secondi procedono in modo logico dall’universale al particolare, muovendo invece dal presupposto che l’esperienza sia significativa solo a partire da idee che consentono di interpretarla, di comprenderla e che, quindi, devono necessariamente precederla.
Ciò che tuttavia interessa rimarcare nell’economia del discorso è che la prospettiva che caratterizza il pensiero moderno nella teoria della conoscenza è la centralità del soggetto nel processo conoscitivo (la c.d. “rivoluzione copernicana” di Kant). Si tratta di una caratteristica che accomuna sia l’empirismo con Locke, che si propone di studiare non il mondo, ma l’intelletto umano, sia il razionalismo da Cartesio in poi [Kant, ad onor del vero, opererà una sintesi tra razionalismo ed empirismo salvaguardando così sia l’universalita` della conoscenza sia il suo arricchimento mediante l’esperienza, cfr. I. KANT, Critica della Ragion pura, Roma-Bari, 2000, I, 77-78].
5.2 Ora, a parte lo sterile dibattito che contrappone i sostenitori del metodo induttivo e quelli – come K. Popper - del metodo deduttivo (sterile, anche perché l’approccio scientifico è diverso in base al campo di applicazione, essendo per esempio il campo delle scienze naturali diverso da quello delle scienze umane), e salvi quindi gli aggiustamenti che riguardano appunto lo specifico ambito, possiamo rappresentare il metodo scientifico classico “galileano” nella seguente sequenza:
1) osservazione di un fatto fenomenico→2) formulazione di ipotesi (o teorie o congetture)→ 3) messa alla prova sperimentale delle ipotesi (falsificazione popperiana)4) costituzione della legge scientifica (in caso di esito sperimentale positivo; oppure nuova ipotesi)
Nella versione metodica dei “razionalisti” manca addirittura il punto 1), dal momento che per loro la ricerca scientifica, di fronte ad un problema, prende direttamente le mosse dalla formulazione di una congettura. Proprio così. Scrive Popper: “… Non sappiamo, possiamo solo tirare ad indovinare…Come Bacone, potremmo descrivere la nostra scienza contemporanea - “il metodo di ragionamento che oggi gli uomini applicano ordinariamente alla natura” - come consistente di anticipazioni “affrettate e premature” e di pregiudizi (a proposito della vittoria della scienza sui “pregiudizi” affermata dall’ex ministro Lorenzin)” [K. POPPER, Logica della scoperta scientifica, Torino, 1970, 306].
Ora, quanto alla metodica della “scienza razionalista”, non è possibile esporre in modo specifico le irrisolvibili contraddizioni che la animano e che Husserl, nel suo menzionato Crisi delle scienze europee, ha esposto analiticamente in modo esemplare. Si rimanda, perciò, oltre che integralmente all’opera citata, a questo interessante lavoro di V. De Palma che sul punto ne compendia bene i tratti essenziali. E’ però sufficiente qui ricordarne la più evidente stravaganza evidenziata da Marcuse:
“… Paradossalmente…il mondo oggettivo, rimasto con la sola dotazione di qualità quantificabili, viene a dipendere sempre più, nella sua oggettività, dal soggetto [conoscente]… avvenimenti, relazioni, proiezioni, possibilità [espressi in forma matematica e postulati logici] possono essere oggettivamente significanti soltanto per un soggetto…In altre parole, il soggetto di cui si tratta ha funzione costitutiva; è un soggetto possibile, per il quale alcuni dati devono o possono essere concepibili come eventi o relazioni…” [H. MARCUSE, L’uomo a una dimensione, Torino, 1999, 156-158].
Veniamo così a scoprire che la presunta “oggettività” scientifica, ad una attenta analisi, si rivela nient’altro che un “un soggettivismo mascherato” il quale, con i propri costrutti astratti, logici e simbolici, finisce per impingere proprio in quella metafisica dalla quale aveva inteso emanciparsi. D’altronde è sempre Popper, da convinto razionalista, a ricordarci che “…i nostri tentativi di indovinare sono guidati dalla fede non-scientifica, metafisica, nelle leggi che possiamo svelare, scoprire…” [K. POPPER, Logica della scoperta scientifica, cit.].
6.1 Tuttavia, si intende insistere sul fatto che tende a passare sempre in secondo piano la circostanza per cui le ipotesi, “… l’osservazione e l’esperimento, l’organizzazione e la coordinazione metodiche di dati, proposizioni e conclusioni NON PRECEDONO MAI IN UNO SPAZIO NON STRUTTURATO, NEUTRALE L’intento conoscitivo implica operazioni su oggetti, o astrazioni da oggetti che si succedono in un universo dato di discorso e d’azione. La scienza osserva, calcola, teorizza a partire da un punto determinato di questo universo” [H. MARCUSE, L’uomo a una dimensione, cit., 165].
6.2 Gramsci era stato più esplicito quando si domandava in modo retorico: “… Pare che possa esistere una oggettività extrastorica ed extraumana? Ma chi giudicherà di tale oggettività? Chi potrà mettersi da questa specie di “punto di vista del cosmo in sé e che cosa significherà un tal punto di vista?”. E a tali domande così rispondeva: “… oggettivo significa sempre UMANAMENTE OGGETTIVO”, ciò che può corrispondere esattamente a STORICAMENTE OGGETTIVO” …” [A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Torino, 1975, 1415-1416].
Pertanto, la più volte menzionata divaricazione tra gnoseologia ed ontologia, in termini metodologici, non ha segnato in assoluto alcun punto a favore dell’oggettività scientifica; anzi, non poteva che finire necessariamente per svelarne l’ipocrita contraddizione: “… il concetto di oggettivopare voglia significare una oggettività che esiste anche all’infuori dell’uomo, ma quando si afferma che una realtà esisterebbe anche se non esistesse l’uomo o si fa una metafora o si cade in una forma di misticismo. Noi conosciamo la realtà solo in rapporto all’uomo e siccome l’uomo è divenire storico anche LA CONOSCENZA E LA REALTÀ SONO UN DIVENIRE, ANCHE L’OGGETTIVITÀ È UN DIVENIREANCHE LA SCIENZA È UNA CATEGORIA STORICA ” [A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., 1416, 1456].
6.3 Come conseguenza di quanto detto, è parimenti una pia illusione pensare che la scienza sia “neutra”; come ci ricorda Marx “il mulino a braccia vi dà la società con il signore feudale; il mulino a vapore la società con l’industriale capitalista…”. Gramsci, in linea con Marx, prendendo spunto da una riflessione sul concetto di “materia”, specificherà: “… la materia [è da considerare] come socialmente e storicamente organizzata per la produzione e quindi LA SCIENZA NATURALE COME ESSENZIALMENTE UNA CATEGORIA STORICA, UN RAPPORTO UMANO. L’insieme delle proprietà di ogni tipo di materiale è mai stato lo stesso? La storia delle scienze tecniche dimostra di no. Per quanto tempo non si curò la forza meccanica del vapore? E si può dire che tale forza meccanica esistesse prima di essere utilizzata dalle macchine umane?...” [A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., 1442].
Il modo sociale di produzione è sempre il fattore storico di base, ed ogni oggettività rimanda ad una soggettività altra storicamente connotata che – lo si voglia ammettere o meno - provvede a fissare scopi.
6.4 Marcuse, ancora, esprime bene tale concetto quando assume come ovvio il fatto che la matematica sia neutrale e che la sua oggettività non rechi in sé uno scopo; “… ma è precisamente il suo carattere neutrale che rapporta l’oggettività ad UNO SPECIFICO SOGGETTO STORICO, cioè alla coscienza che prevale nella società dalla quale e per la quale la neutralità è stabilita ” [H. MARCUSE, L’uomo a una dimensione, cit., 164]. E’ persin banale rammentare che le rappresentazioni matematiche di R. Oppenheimer e dei suoi colleghi, la loro “scienza”, erano “oggettive” e “neutre”, ma ciò nonostante l’energia atomica venne utilizzata da qualcuno per scopi non del tutto umanitari.
6.5 L’oggettività, insomma, è sempre storicamente “umana, troppo umana: “… la scienza, nonostante tutti gli sforzi degli scienziati, non si presenta mai come nuda nozione obiettiva; essa appare sempre rivestita da una ideologia e concretamente è scienza l’unione del fatto obiettivo con un’ipotesi o un sistema di ipotesi che superano il mero fatto obiettivo…” [A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit., 1458]. Ma tant’è, Marx ci ricorda che non si può giudicare un uomo dall'idea che egli ha di sé stessoe gli scienziati, anche quelli in buona fede prigionieri ideologici del loro metodo, non fanno alcuna eccezione.
Se si rivolge l’attenzione al “momento empiristico” del metodo scientifico, i risultati sono altrettanto poco lusinghieri. Anche l’empirismo, innanzi tutto, è ovviamente intriso di quel soggettivismo sopra denunciato. Si consideri quanto segue:
…ogni conoscenza della realtà prende le mosse da fatti. Il problema è soltanto quello di sapere quale dato della vita … meriti di essere preso in considerazione come fatto rilevante per la conoscenza. … l'empirismo più ottuso nega che i fatti siano in generale tali soltanto all'interno di una simile elaborazione metodologica che può essere diversa secondo lo scopo che si persegue nella conoscenza.
Esso crede di poter trovare un fatto importante in ogni dato, in ogni statistica, in ogni factum brutum… [e] non si rende conto che l'enumerazione più semplice, la catalogazione di “fatti” più scarna di commenti è già una “interpretazione: che già sin d'ora I FATTI SONO APPRESI A PARTIRE DA UNA TEORIA, secondo un metodo, SONO STATI STRAPPATI AL CONTESTO DELLA VITA, nel quale in origine si trovavano, E INSERITI NEL CONTESTO DI UNA TEORIA ... Gli opportunisti più raffinati - nonostante la loro istintiva e profonda ostilità verso ogni teoria - non negano affatto ciò. Essi s'appellano tuttavia al metodo delle scienze della natura, al modo in cui queste sono in grado di esibire, attraverso l'osservazione, l'astrazione, l'esperimento, fatti “puri” e di giustificare le loro connessioni [G. LUKÁCS, Storia e coscienza di classe, cit., 7-8].
Nel procedimento scientifico, quindi, c’è sempre qualcuno che cataloga e sceglie quali siano i fatti empirici degni di essere conosciuti, cioè di essere sottoposti ad osservazione e (quando sia possibile) ad esperimento/falsificazione. Tuttavia, già quell’atto di scelta e quella ricreazione di un ambiente artificiale, in cui gli scienziati sperimentano “indisturbati”, sono tutto fuorché oggettivi, perché rimandano ancora una volta ad un soggetto conoscente determinato che opera in uno spazio storico già strutturato:
“… i processi di validazione e di verificanon avvengono mai nel vuoto, e mai hanno termine in una mente privata, individuale. Il sistema ipotetico di forme e funzioni viene a dipendere da un altro sistema – un universo di scopi prestabilito, nel quale e per il quale esso si sviluppa. Ciò che appariva estraneo, alieno al progetto teorico, si mostra come parte della sua stessa struttura (metodo e concetti); l’oggettività pura si rivela quale oggetto PER UNA SOGGETTIVITÀ CHE PREVEDE IL TELOS” [H. MARCUSE, L’uomo a una dimensione, cit., 175].
7.1 Mentre il razionalismo astrae dall’esperienza, l’”empirismo ottuso” ha quella tendenza congenita ad atomizzarla. Esso, infatti, fedele alla fattualità, lascia però i fatti nel loro splendido isolamento, pur continuando a illudersi di rappresentare il massimo della oggettività e della concretezza. E così:
… Sorgono fatti “isolati”, complessi isolati di fatti, settori parziali (economia, diritto, ecc.) con leggi proprie, che sembrano essere già ampiamente predisposti nelle loro forme fenomeniche immediate ad un'indagine scientifica di questo genere. Cosicché assume necessariamente un valore particolarmente “scientifico” sviluppare conseguentemente questa tendenza elevandola alla scienza. La non scientificità di questo metodo, apparentemente così scientifico, risiede dunque nel fatto che esso non tiene conto e trascura il carattere storico dei fatti che si trovano alla sua base LA TOTALITÀ CONCRETA È… LA CATEGORIA AUTENTICA DELLA REALTÀ” [G. LUKÁCS, Storia e coscienza di classe, Milano, 1967, 9]. L’empirismo volgare è solo capace di predicare la conoscenza di fatti considerati tra di loro in modo disconnesso ed al di fuori di ogni contesto, impedendo la comprensione del reale ed occultando così l’ordine esistente. La scienza, in questo modo, “… finisce…per avere una funzione stabilizzatrice, statica, conservatrice…[H. MARCUSE, L’uomo a una dimensione, cit., 172].
7.2 E cosa dire dei libri sui quali “per anni hanno sudato” gli scienziati? Anche quei libri sono un prodotto storico:
“… Può sembrare persino banale ripetere che ogni nuova “scoperta” di leggi scientifiche o nuova formulazione di teorie è frutto tanto “cumulativo” quanto “rivoluzionario” delle modalità con le quali gli operatori scientifici si appropriano del sapere ad essi precedente. Fondamentali sono…i metariali didattici entro i quali viene strutturata l’attività di ricerca: attraverso i testi, i manuali, le pubblicazioni, i convegni, infine lo stesso insegnamento, vengono veicolati contenuti e forme di un sapere già costituito che viene successivamente sttratificandosi fino a porsi…come “scienza…” [G. BARLETTA, Marx Engels Lenin – Sulla scienza, Bari, 1977, 15]. Ed anche quei “libri”, quel sapere “specialistico” sono condizionati dai rapporti di produzione e di forza che storicamente si sono costituiti, se è vero che da più di quarant’anni – per esempio, in campo economico - l’analisi keynesiana è stata praticamente bandita dall’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado.
Non ci si illuda che quanto appena esposto sia meramente casuale. Dovrebbe invece essere lampante che, se la scienza è una categoria storica, anche il metodo scientifico - come forma di rappresentazione operativa della prima - è a sua volta una categoria storica condizionata in concreto dallo sviluppo del modo di produzione e dai corrispondenti rapporti di forza: “… ogni metodo è necessariamente collegato con l'essere delle classi corrispondenti [e il] valore conoscitivo dei metodi appare un problema storico-sociale, come una necessaria conseguenza dei tipi di società[G. LUKÁCS, Storia e coscienza di classe, Milano, cit., 216]. Marx illustra bene il concetto quando afferma che:…Cartesio, nella sua definizione degli animali come macchine pure e semplici, vede con gli occhi del periodo manufatturiero, ben diversi da quelli del Medioevo, quando l’animale era considerato come ausiliare dell’uomo…” [K. MARX, Il Capitale, Edizioni Newton a cura di E. Sbardella, 2016, 290].
Si vuole cioè affermare che la variazione delle modalità con le quali l’uomo si relaziona con la natura ed il mutamento della forma e dei rapporti di produzione modellano anche il tipo di conoscenza e l’aspetto della realtà conosciuta, riflettendosi sul corrispondente metodo”: “… i rapporti di forza e i conflitti da essi suscitati determinano in definitiva ogni volta il contenuto, ogni volta la forma, IL METODO E’ IL RISULTATO DELLE GNOSEOLOGIE così venute in essere… [G. LUKÁCS, Prolegomeni, cit., 31].
8.1 E “… ciò che colpisce a prima vista in un metodo di questo genere è il fatto che lo stesso sviluppo capitalistico tende a produrre una struttura della società che asseconda ampiamente una simile impostazione di pensiero [G. LUKÁCS, Storia e coscienza di classe, cit., 7], cioè favorisce una specifica organizzazione della società secondo i rapporti di forza delle classi antagoniste: “… I principi della scienza moderna furono strutturati a priori in modo tale da poter servire come strumenti concettuali per un universo di controllo produttivoIl metodo scientifico che ha portato al dominio sempre più efficace della natura giunse così a fornire i concetti puriper il dominio sempre più efficace dell’uomo da parte dell’uomo” [H. MARCUSE, L’uomo a una dimensione, cit., 164].
8.2 Non è per niente difficile rendersi conto in che modo, storicamente, razionalismo ed empirismo metodologico si siano trasferiti dall’universo della scienza a quello della vita quotidiana, in particolar modo nel campo del lavoro, attraverso la divisione e gestione scientifica dello stesso:
…dall'artigianato sino all'industria meccanizzata, attraverso la cooperazione e la manifattura, si può vedere una crescente razionalizzazione, mentre vengono sempre più messe da parte le proprietà qualitative, umano-individuali, del lavoratore… il processo lavorativo viene sempre più frazionato in operazioni parziali astrattamente razionali… Con il frazionamento moderno, “psicologico”, del processo lavorativo …questa meccanizzazione razionale giunge al punto di penetrare all'interno della stessa anima del lavoratore: anche le sue proprietà psicologiche vengono separate dalla sua personalità complessiva, obbiettivate di fronte ad essale qualità e le peculiarità umane del lavoratore appaiono sempre più come mere fonti di errori di fronte al funzionamento calcolato in anticipo di quelle leggi parziali esatte…” [G. LUKÁCS, Storia e coscienza di classe, cit., 113-116]. La fuga della scienza dalla Lebenswelt husserliana o priorità ontologica marxiana, a partire dal lavoratore-macchina di Cartesio sino quello precarizzato odierno, che si vorrebbe tacitare con improbabili redditi di cittadinanza, ha prodotto mercificazione umana ed alienazione.
8.3 Questo è, a valle, il risultato di quel divorzio tra gnoseologia e ontologia che ha interessato tutti i campi del sapere (scienza economica in primis) in nome di una oggettività scientista e reazionaria messa al servizio dei soliti scopi della classe dominante ed €uro-globalizzata. Non si tratta, beninteso, di una demonizzazione ideologica della scienza (alla quale vanno invece attribuiti enormi meriti nel miglioramento delle condizioni di vita umane), dal momento che:
“… In condizioni storiche favorevoli la scienza può … compiere una grande opera di chiarificazionePossono tuttavia verificarsi costellazioni storiche nelle quali il processo si svolge in direzione inversa: LA SCIENZA PUÒ OSCURARE, dare una torsione scorretta(a proposito della vittoria sulla “visione oscurantista” affermata dall’on. Martina)
Che tali deformazioni nel campo dell’essere sociale abbiano luogo con maggiore frequenza e intensità rispetto a quanto accade nel campo della natura, fu visto con chiarezza già da Hobbes, il quale indicò [nel Leviatano] anche la causa di tale fatto: L’AGIRE INTERESSATO… La specificità della relazione fra essenza e fenomeno nell’essere sociale arriva fino all’agire interessato, e quando questo, come accade di solito, riposa su interessi di gruppi sociali, È FACILE CHE LA SCIENZA ESCA FUORI DAL SUO RUOLO DI CONTROLLO E DIVENTI INVECE L’ORGANO CON CUI SI COPRE, SI FA SCOMPARIRE L’ESSENZA” [G. LUKÁCS, Ontologia dell’essere sociale, cit., I, 273-274]. Non si ritiene necessario spiegare con approfondito dettaglio ai lettori del Blog cosa tutto ciò significhi in un contesto globalizzato interamente assoggettato al modo di produzione capitalistica. Solo una notazione generale che ci si auspica possa fungere da base per una seria riflessione già ben declinata (qui, p.1) da Bazaar: in un contesto storico-istituzionale in cui gli scopi della Costituzione (art. 3, comma II) sono stati interamente sostituiti con altri scopi esattamente contrari previsti nei Trattati ordoliberisti (“economia sociale di mercato”, art. 3, parag. III, del TUE), davvero si può pensare che la scienza sia così “oggettiva” e “neutrale” da non mettersi al servizio di questi ultimi? Basterà ricordare la vicenda farsesca degli OGM portata all’attenzione della CGUE o l’istruttiva storia raccontata dal prof. Bagnai.
A questo punto del discorso, si può ipotizzare che lo scienziato di turno, pervicacemente aggrappato al “metodo” e alla “oggettività” come sopra tratteggiati, non esiterebbe a strabuzzare gli occhi e ad insistere ancora più rabbiosamente che “La scienza non è democratica. La velocità della luce non si decide per alzata di mano, come ha detto Piero Angela. Una palla di ferro gettata in mare andrebbe invariabilmente a fondo anche se un referendum popolare stabilisse che il peso specifico del ferro è inferiore a quello dell’acqua” [pag.1]. Siano allora consentite alcune chiose conclusive per evitare fraintendimenti spiacevoli e bassamente strumentali.
10 Allorché si parla di “Scienza”, è bene enunciare sempre con precisione a quale “epistemologia” (intesa come “teoria della conoscenza”) ci si intende riferire. In questa sede, e per estrema chiarezza, preferiamo al riguardo prendere le mosse dalle parole di G. Barletta:
… l’epistemologia quale noi la intendiamo non può che porsi COME CAMPO INTERDISCIPLINARE che inscriva in sé le due seguenti aree: a) gnoseologia; b) metodologia o epistemologia di “grado debole, non risultando però la pura somma aritmetica di a) e b), bensì un prodotto qualitativamente nuovo…Accettiamo, per primo, la divisione fra i due livelli di epistemologia.
Infatti, mentre, da un lato, riteniamo la dimensione epistemica “interna” ad ogni disciplina, cioè la dimensione metodologica della particolare scienza di cui l’epistemologia si pone come logica, d’altro lato crediamo remunerativo lo sforzo di definire l’epistemologia maior o “forte” perché essa sola, data la sua interdisciplinarità, delimita il campo della riflessione scientifica, identificandosi con la sua stessa costituzione…” [G. BARLETTA, Per un’epistemologia materialista, Bari, 1976, 17-18].
10.1 Nessuna persona sana di mente oggi metterebbe in dubbio che il prodotto di 2x2 sia 4, che l’acqua raggiunga l’ebollizione a 100 °C o che la velocità della luce (per la tranquillità dell’ottimo Piero Angela) si misuri attraverso talune procedure e non per alzata di mano. Davvero non è questo il problema. E’ chiaro, infatti, che “l'isolamento astrattivo degli elementi sia di un intero campo di ricerca sia dei particolari complessi problematici o dei concetti all'interno di un campo di ricerca è certamente inevitabile [G. LUKÁCS, Storia e coscienza di classe, cit., 36].
Lo stesso A. Gramsci, senza nulla concedere al positivismo “neutralista” e con le dovute precisazioni, rivendicava sin dagli scritti giovanili il carattere scientifico e non meramente mitico dello sperimentalismo galileano: “… Il metodo sperimentale e positivo, come metodo di ricerca scientifica spassionato e disinteressato è anche del materialismo storico, ma non è dipendente da esso: è il metodo proprio delle scienze e il primo a dargli una sistemazione logica è stato Galileo Galilei…Il materialismo storico… ha integrato il metodo sperimentale e positivo applicato allo studio e alla ricerca degli accadimenti umani, dei fenomeni sociali, e non si confonde neppure con esso come non si confonde col positivismo filosofico[A. GRAMSCI, Scritti giovanili: 1914-1918, Torino, 1958, 328].
Pertanto, eliminare la “dimensione epistemica interna” ad ogni disciplina (quella, per intenderci, entro cui si muove esclusivamente ed in modo bigotto la maggioranza degli odierni “scienziati”) è impensabile e, allo stesso tempo, nemmeno auspicabile.
10.2 Dovrebbe però essere altrettanto comprensibile che quella “dimensione epistemica interna” ad ogni disciplina, quella gnoseologia positivo-sperimentale e metodologica - che nel suo “isolamento astrattivo” abbiamo esaminato e definito “epistemologia di grado debole” - rappresenta solo il primo livello per un ragionamento non dogmatico in materia scientifica. Si rivela infatti:
 … una tesi dogmatica ritenere che l'unico modo possibile…di apprendere la realtà, in contrasto con la datità a “noi” estranea dei fatti, sia quello di una conoscenza razional-formalistica”, mentre “… il fatto decisivo è se si intende questo isolamento soltanto come mezzo per la conoscenza dell'intero, cosicché esso resta sempre integrato nel corretto contesto complessivo che presuppone e richiede, oppure se si pensa che la conoscenza astratta del campo parziale isolato mantenga la propria “autonomia”, resti fine a sé stessa [G. LUKÁCS, Storia e coscienza di classe, cit., 159 e 36-37].
11 Si badi bene che non si tratta qui della vexata quaestio dei rapporti fra episteme e doxa. Al di là delle suggestioni positivistiche, è piuttosto da riconoscere che il contesto teoretico entro il quale si giustifica una “legge scientifica” risulta in modo ineliminabile interconnesso con il contesto storico-culturale il quale fa sorgere dal suo interno la disciplina che procede a costituirsi come scienza (metodo incluso, come detto). Perciò:
… A torto Popper ritiene indifferente il punto di partenza dell’indagine positivalo schema di conoscenza proposto da Popper (P1 – TT – EE – P2: problema – teoria provvisoria – verifica falsificativa della soluzione – nuovo problema), risulta impraticabile qualora non venga inserito in un meccanismo diacronico e sociale in grado di sottrarre all’arbitrarietà del ricercatorela formulazione di EE, per inserirlo, invece, nel quadro della storicità degli apparecchi di conoscenza (tecniche, linguaggio, strumenti) di cui si dispone al momento considerato.
Ma tale storicità diventa a sua volta comprensibile solo se intesa non come pura diacronia ma…come socialità e/o produzione sociale di quel complesso di credenze ideologiche (miti, religioni, filosofia), che, lo si voglia o meno, sono alla base della produzione scientifica in senso proprio e sono generate a loro volta DALLA PRODUZIONE DELLA VITA MATERIALE” [G. BARLETTA, Marx Engels Lenin – Sulla scienza, cit., 11-12].
12 Di conseguenza, assunta la piena legittimità e necessarietà di quella “epistemologia di grado debole”, è però indispensabile che il ragionamento teorico si innalzi ad un livello superiore, integrando la prima con una “epistemologia maior o “forte” che sia eminente luogo di incontro fra scienza, logica e storia. Non è per nulla un caso, giustappunto, che tale integrazione - cioè il punto di vista della totalità concreta - manchi pressochè completamente negli odierni dibattiti pubblici intorno alla scienza:
“… L’interazione più essenziale, il rapporto dialettico tra soggetto ed oggetto nel processo storico NON VIENE MAI MENZIONATO NELLA CONSIDERAZIONE METODICA il metodo dialettico tende alla conoscenza della società come totalità” mentre “la scienza borghese attribuisce con ingenuo realismo una “realtà effettiva” … un'autonomia [alle] astrazioni utili e necessarie dal punto di vista metodologico delle scienze particolari [G. LUKÁCS, Storia e coscienza di classe, cit., 4 e 36]. Ma nonostante tali enormi deficienze teoriche, dimenticando che “il vero è l’intero”, con presunzione “Lascienza” si arroga il compito di spiegarci ciò che è verità e ciò che è bugia!
13 Finché “Lascienza” continuerà a distinguere metodologicamente tra pura teoria e storia, separando empiricamente, per principio, i problemi singoli gli uni dagli altri e perseverando nel rimuovere il problema della totalità concreta (ovvero, della prassi, che per il Popolo italiano è necessariamente PRAXIS COSTITUZIONALE), in nome di questa sorta di “gnoseologia assoluta”, “… la storia del problema diventa… un'inutile zavorra di dati espositivi; qualcosa che può avere interesse solo per gli specialisti, che può estendersi all'infinito mascherando così sempre più la vera sensibilità verso i problemi reali ed alimentando uno specialismo senza idee[G. LUKÁCS, Storia e coscienza di classe, cit., 46]. Ovvero, un orwelliano materiale per Talk show. Con tifosi al seguito.
13.1 Tale è difatti la manovra che sta portando avanti l’indottrinato circolo degli “scientisti” il quale, forte di una ostentata aurea specialistica e spalleggiato, come al solito, dai media asserviti, non vede l’ora di snocciolare ad ogni occasione quella “inutile zavorra di dati espositivi” (quasi sempre a senso unico) per zittire qualunque dissenziente “laico” tacciato come somaro. Nel frattempo, però, Lascienza, dietro la facciata di un progresso disinteressato e competente, e per conto dei suoi mandanti che continuano a fissare scopi, mira ad imporre una democrazia controllata da una simile fallacia epistemologica, vale a dire: “Razionalità scientifica e manipolazione sono saldate insieme in nuove forme di controllo sociale” [H. MARCUSE, L’uomo a una dimensione, cit., 154].
Attualmente, dunque, la seguente proposizione:“La scienza non è democratica” - con i suoi cosmetici corollari (neutralità, oggettività e fantasie assortite) e nella cruda epifania semantica - non rappresenta che una delle voci con le quali si esprime l’Antisovrano.
14 Agli “scientisti” nemici della Costituzione ci preme però rammentare, come viatico per ulteriori e più propizie riflessioni, queste note di un immenso ed imperituro A. Gramsci:
… Porre la scienza a base della vita, fare della scienza la concezione del mondo per eccellenza, quella che snebbia gli occhi da ogni illusione ideologica, che pone l’uomo dinanzi alla realtà così come essa è, significa ricadere nel concetto che la filosofia della prassi abbia bisogno di sostegni filosofici all’infuori di sé stessa. Ma in realtà anche la scienza è una superstruttura, una ideologia. Si può dire, tuttavia, che nello studio delle superstrutture la scienza occupi un posto privilegiato, per il fatto che la sua reazione sulla struttura ha un carattere particolare[A. GRAMSCI, Scritti giovanili: 1914-1918, Torino, 1958, 1457-1458].
Di fronte ai modelli di cui si ammanta l’ideologia liberal-borghese della scienza a trazione liberista per coprire le sue sempre più profonde contraddizioni, si tratta di proporre un modo diverso di fare Scienza, un modello alternativo che non si ha alcuna remora a definire “materialista”. Un modello che – in linea con il Telos della Costituzione – si assuma il carico di un progetto di riappropriazione sociale della Scienza e del suo prodotto in grado di spezzarne l’odierna privatizzazione. Tale argomento, però, potrà semmai formare oggetto di un separato post.

17 commenti:

  1. Fare il giornalaio scientifico non aiuta a diventare uno scienziato...

    “La scienza non è democratica. La velocità della luce non si decide per alzata di mano, come ha detto Piero Angela. Una palla di ferro gettata in mare andrebbe invariabilmente a fondo anche se un referendum popolare stabilisse che il peso specifico del ferro è inferiore a quello dell’acqua…”

    La velocità della luce dipende dalla densità del mezzo e se vivessimo come pesci nelle profondità dell'oceano misureremmo una velocità della luce più bassa rispetto a quella misurata nel vuoto o nell'aria.

    Una palla di ferro immersa nell'acqua potrebbe tranquillamente non andare da nessuna parte se ci si trovasse a bordo di una nave interstellare fluttunte nello spazio esterno.

    Peraltro che il soggetto sia centrale nell'atto della conoscenza lo dimostra il semplice concetto di 'tempo proprio' (dell'osservatore).

    Due orologi atomici, del tutto identici per costruzione, scandirebbero infatti secondi di 'durata diversa' se immersi l'uno nel campo gravitazionale della terra (laboratorio terrestre) e l'altro se libero nello spazio esterno.

    RispondiElimina
  2. Gnoseologia ed ontologia (1 di 2)
    Mi ha molto colpito l’osservazione sulla separazione operata tra gnoseologia ed ontologia a partire dal seicento. Ma esiste anche il punto di vista di quegli studiosi che non hanno mai accettato questa separazione e per i quali non vale il moderno positivismo che “al suo apogeo ha dichiarato ANACRONISTICA ASSURDITÀ NON SCIENTIFICA OGNI DOMANDA INTORNO ALL’ESSERE, addirittura ogni presa di posizione circa il problema se qualcosa sia o non sia …”

    Personalmente poi rifiuto fermamente l’idea stessa che:
    “Operato detto divorzio (che abbiamo definito “rimozione della praxis”), ci si trova di fronte ad uno scenario onirico: da una parte il mondo della realtà posto fuori dalla sfera del soggetto conoscente, postulato come inconoscibile e, dall’altra, la ragione che vaga tra parvenze intellegibili, tra rappresentazioni astratte ed ipotetiche, tra mere ombre di quella realtà che viene colta solo in modo quantitativo e con linguaggio matematico-simbolico.”

    RispondiElimina
  3. (2 di 2)
    Penso invece che la separazione operata tra gnoseologia ed ontologia sia stata sostanzialmente ricomposta nel novecento e che semplicemente la scienza ‘privatizzata’ ufficiale non ne abbia ancora preso atto.

    Per quello che riguarda la gnoseologia ritengo che il contributo più importante del novecento sia stato dato da Kurt Gödel.
    https://en.wikipedia.org/wiki/G%C3%B6del%27s_incompleteness_theorems
    I due teoremi di Gödel stabiliscono in buona sostanza che non si può essere certi nemmeno che 2 + 2 = 4, con buona pace di tutti i ‘Burioni qualsiasi’.

    Per quello che riguarda invece l’ontologia mi dispiace che il fardello delle conoscenze matematiche richiesto per apprezzare pienamente gli sviluppi della fisica del novecento sia risultato eccessivo per i coevi studiosi delle scienze sociali.

    Infatti alla luce di questo geniale scritto di venti anni fa si può apprezzare che esistono precise condizioni fisiche perché possa esistere un soggetto (l’osservatore) dotato di autocoscienza!
    http://space.mit.edu/home/tegmark/dimensions.pdf

    In pratica possiamo concepire, attraverso la matematica e la fisica, infiniti universi (che tuttavia ricadono tutti indistintamente sotto la mannaia della ‘indecidibilità’ dei teoremi di Gödel), ma affinché possa esistere un ‘osservatore cosciente’ occorre che siano verificate precise condizioni di complessità, predicibilità e stabilità.

    Semplificando al massimo, perché l’osservatore diventi cosciente occorre che percepisca lo scorrere del tempo (quindi che ci sia almeno una dimensione temporale) e che il mondo sia sufficientemente stabile (nel tempo) perché la sua ‘predicibilità’ gli permetta di filosofare.

    Suggerisco al lettore di andarsi a guardare la figura 1 nello scritto di Max Tegmark.
    “Our conclusions are graphically illustrated in figure 1: given the other laws of physics, it is not implausible that only a 3-dimensional spacetime can contain observers that are complex and stable enough to be able to understand and predict their world to any extent at all, for the following reasons.
    • More or less than one time dimension: insufficient predictability.
    • More than three space dimensions: insufficient stability.
    • Less than three space dimensions: insufficient complexity.”

    Ovviamente lo scritto di Tegmark non intende sostenere che l’esistenza di un osservatore risulta impossibile in caso di universi con differenti dimensionalità rispetto a tre dimensioni spaziali ed una dimensione temporale (universo nel quale forse viviamo), ma che per stabilire la dimensionalità dello spazio-tempo non si può trascurare la centralità dell’osservatore ed i problemi associati di predicibilità e stabilità.

    Comunque, alla luce di quanto sopra, sono fermamente convinto che se non debelliamo il liberismo, il malthusianesimo e la privatizzazione della scienza gli ‘osservatori umani’ così come sono apparsi spariranno…

    Sono anche ragionevolmente convinto che, se sarà ripristinato un sufficiente livello di ‘scienza pubblica’ e socialista, entro poche generazioni si troverà una qualche nuova forma di propulsione e che l’umanità potrà utilmente impegnarsi nel ‘terraforming’ dei pianeti della galassia.

    RispondiElimina
  4. Penso invece che la separazione operata tra gnoseologia ed ontologia sia stata sostanzialmente ricomposta nel novecento e che semplicemente la scienza ‘privatizzata’ ufficiale non ne abbia ancora preso atto”.

    Ora, quanto affermi non è innocente, dal momento che significa riscrivere la storia dell’ultimo secolo e mezzo in campo scientifico. Se il rapporto struttura-sovrastruttura, come ci insegnano Marx, Gramsci e lo stesso Basso, non è di tipo deterministico, è anche vero che è dalla prima che bisogna partire. E risulta che il capitalismo sia, anche attualmente, la forma tipica di produzione magnificata dalla teologia neoliberista. La scienza privatizzata non è una entità a sé stante, ma un prodotto, un riflesso ideologico del modo di produzione. E quindi è illusorio pretendere che prenda atto di qualcosa.

    Il neopositivismo (che ha raccolto, per tutti, anche il campo del pragmatismo, per il quale l’importante è solo che qualcosa funzioni) prende una posizione perfettamente neutrale rispetto alla concezione del mondo lasciando semplicemente da parte tutto il complesso problematico di ciò che è in sé. Ad esso interessano le proposizioni logico-formali. Ovviamente, in nome dell’oggettività e della neutralità della scienza.

    Personalmente salvo Wittgenstein, le cui vedute del Tractatus, pur vicine al neopositivismo, lo porta tuttavia ad affermare: “ il più delle proposizioni e questioni che sono state scritte su cose filosofiche è non falso, ma insensato. Perciò a questioni di questa specie non possiamo affatto rispondere, ma possiamo solo stabilire la loro insensatezza. Il più delle questioni e proposizione dei filosofi si fonda sul fatto che noi non comprendiamo la nostra logica del linguaggio… Né meraviglia che i problemi più profondi propriamente non siano problemi [L. WITTGENSTEIN, Tractatus logicus-philosophicus, Torino, 1968, 21]. I problemi dei filosofi, (ovvero l’istanza veritativa-ontologica, direbbe Preve) che non sia mera certezza espressa in termini matematici formali, non è importante.

    Wittgenstein, però, che è studioso di grande intelligenza, si rende conto che c’è qualcosa che non torna “Tutta la moderna concezione del mondo si fonda sull’illusione che le cosiddette leggi naturali siano la spiegazione dei fenomeni naturali. Così ristanno alle leggi naturali come a qualcosa di intengibile, così come gli antichi a dio e al fato. E ambedue hanno ragione e ambedue hanno torto. Gli antichi sono tuttavia in tanto più chiari in quanto riconoscono un chiaro termine, mentre nel nuovo sistema dovrebbe sembrare che tutto sia spiegato…” [L. WITTGENSTEIN, Tractatus logicus-philosophicus, cit., 180].

    Anche il suo logicismo rigoroso si volge in modo episodico ad una ontologia, ma che sfocia nell’irrazionalistico “Che il mio mondo è il mio mondo si mostra in ciò, che i limiti del linguaggio (del solo linguaggio che io comprendo) significano i limite del mio mondo. Il mondo e la vita sono tutt’uno. Io sono il mio mondo. Il soggetto non appartiene al mondo, ma è un limite del mondo… Sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure toccati. Certo allora non resta più domanda alcuna; e appunto questa è la risposta. La soluzione del problema della vita si scorge allo sparir di esso…V’è davvero dell’ineffabile…” [p. 150-186]. E con coerenza chiude in questo modo che non esito a definire esistenzialista: “Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere” [p.188]. Ma Wittgenstein, pur nel suo irrazionalismo, è una assoluta eccezione, se pensiamo a Carnap che voleva la costruzione logica del mondo su basi meramente neutrali! (segue)

    RispondiElimina
  5. Che vi sia ricomposizione tra gnoseologia e ontologia nel ‘900 necessita di fondata dimostrazione.

    Nel mio piccolo, ritengo che non vi sia stata tale ricomposizione, e la dimostrazione è nel metodo scientifico attualmente in vigore e nell’evoluzione specialistica delle scienze, medodo rimasto immutato, salvo l’innovazione della verifica falsificazionista di Popper, che a sua volta era vicino al Circolo neopositivista viennese (nonché, per inciso, amico di Hayek). Trovo che gli scenziati rimangono in fondo degli idealisti soggettivi e che ciò convenga alle élites sociopatiche dalle quali sono diretti. L’epistemologia post-popperiana, dal suo canto, si limita (non è poco, ma nemmeno tanto) a criticare quella classica, dibattendo sul metodo (da Kuhn con i suoi paradigmi a Laudan – che pure afferma, va bene, che scopo della scienza è risolvere i problemi. Ma quali problemi? - a Feyerabend). Ma il metodo rimane lo stesso.

    Non c’è ricomposizione per la semplice ragione che non viene mai sfiorato in profondità proprio il metodo della totalità concreta e dialettica. Anzi, le scienze borghesi si sono via via parcellizzate e frammentate in infiniti rivoli specialistici, tutte tese alla ricerca di risultati rigidamente inscritti nel livello contestuale del proprio statuto teorico, perfettamente funzionali al pensiero borghese che ha interesse ad eternizzare gli attuali rapporti di produzione. Se si riportasse tutto alla totalità, se si guardasse il mondo a 360°, non si potrebbero più occultare i rapporti di produzione e lo sfruttamento disumano che vi stanno dietro (l’abito mentale è lampante nella scienza economica, basta seguire i raccapriccianti dibattiti. Tra spread, disoccupazione, immigrazione di massa, riforme del lavoro ed altre numerose categorie, i lavoratori riescono veramente a trovare un nesso riconducendo tutto a totalità? No. Sentono il disagio, che qualcosa non va, ma non hanno una coscienza completa. Non hanno coscienza di classe, appunto; sono classe in sé, ma non ancora per sé).

    Marx lo aveva affermato in tempi non sospetti e da allora, per quanto mi riguarda, non è cambiato assolutamente nulla, pur con tutti i “progressi” che le singole scienze (naturali e umane comprese) nel loro campo hanno raggiunto esibendo anche le meritate medaglie. Lo aveva affermato, in Miseria della filosofia, per le scienze economiche, ma il discorso è generale e sviluppato analiticamente in altre sedi “Le categorie economiche non sono che le espressioni teoriche, le astrazioni teoriche dei rapporti sociali di produzione. Proudhon, capovolgendo le cose da vero filosofo, non vede nei rapportri sociali che le incarnazioni di questi principi, di queste categorie, che sonnecchiavano – ci dice Proudhon filosofo – in seno alla regione impersonale dell’umanità”.

    Si badi poi che il problema è della scienza, ma è indissolubilmente connesso alla Tecnica come capacità scientifica oggettivata (l’altro polo teleologico). Mi chiedo dove oggi si trovi quella riconciliazione tra tecnica e priorità ontologica marxiana. A chi interessa l’uomo in quanto tale. (segue)

    RispondiElimina
  6. Io trovo che la ricerca assoluta della analiticità, del formale, dell’assiomatico in quanto strutture perfette, rigidamente contestualizzate – espresse in altrettante ed eleganti formule matematiche e linguistiche - implica già in sede metodologica lo sganciarsi della scienza dal sostrato motivazionale, storico culturale, materiale che ne è alla base. E’ il sintomo di un malessere profondo. Ci si appropria della realtà solo in modo complessivo e totale. Non a caso è il metodo della prassi del proletariato rivoluzionario (scusate il linguaggio vetero-marxiano, ma non riesco a dirlo diversamente) che solo come classe per sé è in grado di ribaltare lo status quo.

    In tal senso, le opere di Marx hanno un fondamento ontologico ed espistemologico di una chiarezza sconvolgente ed insuperata (se poi qualcuno dovesse indicarmi qualcosa di meglio, che però sia in linea con la nostra Costituzione, ne possiamo parlare). Ma è almeno dagli anni ’70 che una sana riflessione epistemologica materialista nell’ambito del “marxismo” si è del tutto arenata, come peraltro tutto il marxismo insieme all'asinistra collaborazionista e traditrice. Basta recuperare quella riflessione, possibilmente non autodefinendosi marxisti. E il fatto che ci sia un luogo come questo per discuterne è basilare

    RispondiElimina
  7. La frattura potrebbe essere ricomposta, come prima avrebbe potuto non prodursi. Però…

    Cerchiamo di dirla nel modo più semplice possibile: senz’altro non ho le conoscenze matematiche per seguire gli sviluppi della fisica contemporanea, ma sul piano delle ricadute filosofiche non mi pare neanche indispensabile. La conclusione, se ho ben capito, è che l’universo deve avere alcune proprietà “ordinanti” perché siano possibili razionalità e società. Non è che sia proprio un’idea di una novità dirompente:

    Questa visione condiziona, per cosi dire, la creazione della filosofia, la quale, come l'hanno creata e praticata i Greci, è possibile proprio perche l'universo non è totalmente ordinato. Se lo fosse, non vi sarebbe alcuna filosofia, ma solo un sistema di sapere unico e definitivo. E se il mondo fosse un caos puro e semplice, non vi sarebbe nessuna possibilità di pensare. Ma questa visione condiziona anche la creazione della politica. Se l'universo umano fosse perfettamente ordinato, sia dall'esterno sia dalla sua ≪attività spontanea≫ (≪mano invisibile≫, ecc.), se le leggi umane fossero dettate da Dio o dalla natura, o ancora dalla ≪natura della società≫ o dalle ≪leggi della storia≫, non vi sarebbe alcuno spazio per il pensiero politico, né campo aperto all’azione politica, e sarebbe assurdo interrogarsi su che cos'è una buona legge o sulla natura della giustizia (cfr. Hayek). Allo stesso modo, se gli esseri umani non potessero creare un qualche ordine per loro stessi ponendo delle leggi, non vi sarebbe nessuna possibilità di azione politica istituente.” (C. Castoriadis, L’enigma del soggetto, Edizioni Dedalo, Bari, 2008, pag. 203).

    Ossia l’essere non è caotico ma è “indeterminato” (Anassimandro) e “si dice in molti modi” (Aristotele). La determinatezza, ossia i vari modi in cui si dice, consistono in quel che Castoriadis chiama “social-historique” e Lukacs “essere-proprio-così”, ossia società e storia, e non c’è scienza naturale che consenta di girarci attorno.

    Mutatis mutandis lo stesso si può dire per la logica formale - che Castoriadis chiama legein - e la sua vuotezza: “Si nous prenons intégralement au sérieux les exigences du legein, le legein se détruit lui-même: tout doit être défini — mais il y a, évidemment et nécessairement, des premiers termes indéfinissables, donc, tout ce qui suit l’est aussi, et donc n’est rien; tout doit être déterminé — mais tout ne l’est pas, il y a de l’indécidable, et si l’on prenait le formalisme et l’exigence identitaire totalement au sérieux, on serait obligé de dire que la totalité de la mathématique est nulle et non avenue (sauf les opérations sur des ensembles finis). Longtemps avant Gödel, le fondateur même de la logique savait tout cela parfaitement: des termes premiers et des derniers, il y a nous et non logos. L’usage logique de la logique exige quelque chose d’autre que la logique: le nous, la saisie pensante. Hors celle-ci, le legein est à la fois vide et suspendu en l’air; car le legein ne peut pas se fermer sur lui-même en restant ce qu’il est et en se conformant à ses propres règles.” (L’institution imaginaire de la société, Éditions du Seuil, Parigi, 1975, pagg. 439-40).

    Il nous è ovviamente un altro riferimento ad Aristotele (Etica Nicomachea, 1143 a, 35), che ci riporta di nuovo a società e storia, ossia all’uomo: il punto fondamentale del post di Francesco mi pare questo e trovo ben difficile contestarlo.

    RispondiElimina
  8. Ovvero una ricomposizione potrebbe avvenire solo sul terreno della priorità dello “storico-sociale”, ma è proprio la presente situazione storico-sociale che lo rende improbabile (non impossibile, speriamo), infatti la scienza ci viene presentata non come un ausilio per i nostri fini, ma come un generatore di diktat autoritari per via di una società che da un lato tende a interdire qualsiasi determinazione esplicita di fini collettivi (laddove ci sia stata, sarà da considerare obsoleta per sopravvenuti ordine internazionale dei mercati o irobot o chissà quale altro feticcio), dall’altro difetta sempre di più di risorse simboliche per legittimare i costi che continua a scaricare sulla collettività.

    Come scrive uno scienziato di grande onestà come Richard Lewontin (Biologia come ideologia, Bollati Boringhieri, Torino, 1993, pagg. 1-2 e 6): “I problemi di cui si occupa la scienza, le idee che essa usa per indagare questi problemi, addirittura i cosiddetti risultati scientifici che provengono dall’indagine scientifica, sono tutti profondamente influenzati da predisposizioni derivanti dalla società in cui viviamo. Dopo tutto, gli scienziati non son tali fin dall’inizio della loro vita, ma sono esseri sociali calati nella famiglia, nello Stato, nella struttura produttiva, e vedono la natura attraverso una lente che è stata foggiata dalla loro esperienza sociale.
    Oltre a questo livello personale di percezione, la scienza è modellata dalla società poiché è un’attività produttiva umana che richiede tempo e denaro e dunque è guidata e diretta da quelle forze che nel mondo esercitano il controllo sul denaro e sul tempo. La scienza usa merci e fa parte del processo di produzione delle merci. La scienza usa il denaro. La gente si guadagna da vivere con la scienza e, di conseguenza, le forze sociali ed economiche dominanti nella società determinano in larga misura ciò che la scienza fa e come lo fa. Inoltre, queste forze hanno il potere di appropriarsi d’idee provenienti dalla scienza particolarmente adatte alla conservazione e alla perdurante prosperità delle strutture sociali di cui sono parte. In questo modo altre istituzioni sociali esercitano un’azione all’interno della scienza sia in relazione a ciò che viene fatto sia al modo in cui viene pensato e assumono dalla scienza concetti e idee che poi vanno a loro sostegno legittimandole e facendole apparire come naturali.


    Poi naturalmente, in termini più generici, l’accusa di ignoranza rivolta al popolo recalcitrante è vecchia come il cucco: su antiche opere ateniesi di parte aristocratica si può leggere che “«su tutta la faccia della terra l’elemento migliore è in antitesi alla democrazia» (I, 5), che nei «migliori» c’è il minimo di sfrenatezza e di iniquità, che nel demo c’è il massimo di ignoranza, disordine, malvagità.” “Cosa può capire il demo – che è amathes [ignorante] – di ciò che è buono, magari anche solo per se stesso (I, 7)?” (L. Canfora, Il mondo di Atene, Laterza, Roma-Bari, 2011, s.p.).

    Il termine “democrazia” nasce come un insulto: faremmo bene a ricordarcelo sempre.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. @ Arturo

      Su quest'ultimo punto, l'accusa di ignoranza rivolta al popolo, Le debbo fare una domanda, sperando che la risposta mi aiuti a capire :)

      Nel testo di Maimone c'è scritto:

      " Tra spread, disoccupazione, immigrazione di massa, riforme del lavoro ed altre numerose categorie, i lavoratori riescono veramente a trovare un nesso riconducendo tutto a totalità? No. Sentono il disagio, che qualcosa non va, ma non hanno una coscienza completa."

      A mio parere le due cose sono collegate: se tolgo ai cittadini gli strumenti per decifrare la realtà e sostituisco i loro valori collettivi con "altro", l'unico risultato che ottengo è una massa di persone atomizzate, amorfe e facilmente manipolabili. Il buon Crizia ne sarebbe entusiasta, c'è da scommetterci.

      Ecco la domanda che mi manda in confusione: può una democrazia esistere e funzionare in totale assenza di partecipazione "dal basso"?

      Luciano Canfora fa notare che uno degli argomenti addotti dagli oligarchi per dimostrare l'assurdità della democrazia è quello della bassa partecipazione all'assemblea cittadina. Come a dire: ma tanto non ci va nessuno...

      E se non ci va nessuno sul serio? Che succede?
      Se attualizziamo il concetto è abbastanza facile notare come la distruzione progressiva dei diritti dei lavoratori avvenga nello stesso identico modo; nessuna opposizione. Nessuno si presenta all'assemblea.

      Sono pessimista io o ha ragione Crizia?

      Chinacat

      PS
      C'è una frase, riportata da Joachim Fest nel libro "Hitler - una biografia" del 1973.

      "Uno dei più attenti osservatori dell'epoca, di fronte alla serie continuata di schiaffi morali piovuti sul volto della verità e della libertà, e passivamente subiti, di fronte all'eliminazione dei partiti e dell'ordine parlamentare, provava la sempre più precisa sensazione "che le cose che qui da noi vengono tolte di mezzo in realtà non importassero più molto ai tedeschi d'ambo i sessi."
      (pag.510)

      Elimina
  9. Esseri qualitativamente meritevoli...
    Nella lettera aperta al Ministro della Pubblica Istruzione On. Berenini, pubblicata sul «Resto del Carlino» il 4 maggio 1918, Giovanni Gentile scriveva:

    “L'idea mia, dunque, è che le scuole tenute dallo Stato devono essere poche, ma buone; e potrei dire: poche, ma scuole! L'istruzione media è incontestabilmente funzione essenziale dello Stato. Ma ciò non importa che l'estensione, in cui tale funzione deve esplicarsi, abbia ad essere tale che tutti i cittadini possano egualmente usufruirne... la scuola media deve essere sgombrata da tutta questa folla, che vi fa ressa, e abbassa ogni giorno più il livello degli studi, deprimendo la cultura nazionale... E così pure vorrei dirle, Eccellenza: troppe università, troppi professori universitari! Anche qui, sfrondare, recidere, se si vuoi salvare ciò che è vitale, e che deve vivere. Prenda Ella in mano la scure; e avrà con sé quanti italiani amano sinceramente la proprietà intellettuale e la grandezza della Patria”.

    RispondiElimina
  10. @chinacat: Ti ringrazio per il credito che mi fai immaginando che possa avere una risposta per una domanda così complicata; la realtà è che posso al massimo offrire qualche spunto di riflessione. ;-)

    Ascoltavo qualche giorno fa una conferenza di Rahel Jaeggi sull’idea di progresso. (Non se ne abbia a male il Pedante, piaccia o meno la parola, un qualche criterio di giudizio, non un feticcio!, per valutare i cambiamenti, compiuti o possibili, è indispensabile). Oltre a constatare con piacere che dopo la sepoltura che ne aveva compiuto Habermas (come diceva Preve) la scuola di Francoforte ridava finalmente segni di vita, mi ha colpito una domanda: le è stato chiesto se il contrario di progresso è conservazione. Ha risposto: ma, no, perché? Se le persone sono soddisfatte di una certa situazione, perché non potrebbero desiderare conservarla? Semmai il contrario di progersso è regresso. Sono d’accordo.

    Ovvero, l’apatia in sé è problematica solo di fronte a un modello non realistico di cittadino totale, che, appunto, non era reale neppure per nell’antichità. Se comunque la possibilità di partecipazione è garantita, ma semplicemente non si avverte la necessità di avvalersene, perché, poniamo, ci si sente ben rappresentati da chi partecipa, non vedo particolari problemi.
    Ma c’è una grossa differenza fra l’oggi e l’antichità: mentre all’epoca era pur sempre possibile, appunto, andare all’assamblea, e in momenti drammatici ci si andava (penso per esempio all’affollamento - ci si dovette sedere fin sull’orlo della cavea - seguito alla notizia che Filippo II era giunto a Elatea), oggi la partecipazione politica è mediata dai partiti, basata su ciò che si sa attraverso i media, consentita nei limiti di tempo lasciati dal lavoro, sterilizzata dall’assegnazione di poteri politici a istanze “tecniche” (l’ovvia (ri)scoperta di queste banalità la si può trovare, per esempio, nel bel libro di un altro francofortese post habermasiano, Axel Honneth, Il diritto della libertà).

    Se i partiti vengono distrutti, come durante il nazismo, o tradiscono, come nel caso della sinistra europea, i media non fanno altro che manipolare, si ha a mala pena il tempo di dormire e ripartire, e comunque poi alla fine decidono Commissione Europea e BCE, parlare di “assenteismo” mi pare un peu court, come dicono i francesi.

    Ovvero non è che, di fronte a uno spaventoso regresso, il popolo non va all’assemblea, magari per pigrizia e menefreghismo, ma che la sua possibilità di andarci gli è stata portata via. Che la cosa lo lasci indifferente mi pare altamente opinabile (certo i risultati del referendum costituzionale e delle ultime elezioni non mi pare autorizzino a pensarlo; ma nemmeno un massiccio astensionismo lo dimostrerebbe, contrariamente a quel che ama ripetere la pubblicistica liberale: ne abbiamo parlato diverse volte); bisognerebbe piuttosto domandarsi come potrebbe riprendersela. Oltre a ripetere per l’ennesima volta (forse iuvat, di certo non nocet) che nel nostro ordinamento questo furto è un illecito costituzionale, lascio lì il difficilissimo interrogativo; basta che siamo d’accordo che la questione è *molto* diversa da una semplice reductio ad apatiam.



    RispondiElimina
    Risposte
    1. Infatti nella "reductio ad apatiam" non c'è altro che la sintesi dell'elitistico darwinismo sociale: i poveri cristi sono tali perché "apatici", quindi "unfit", quindi giustamente ai margini della vita pubblica - e del potere! - a causa di tare genetiche.

      Il conflittuale divenire dialettico che informa la totalità - ossia la realtà - è negato: prassi elitarista volta all'egemonia ideologico-culturale, e orientata all'annichilimento delle coscienze.

      «il contrario di progresso è regresso»

      Questi son concetti che faticano ad entrare al di fuori di questi spazi, in cui chi si propone come avanguardia nella controinformazione è in qualche modo condizionata da un certo "tradizionalismo".

      Spiegare la differenza tra progressismo positivista e liberale da quello democratico-sociale sembra un'impresa ardua.

      Ma la lucidità analitica e la coscienza morale di costoro non può che farli passare da qua:

      «Thus he manages to avoid racking his brains any more, and in addition implies that his opponent is guilty of the stupidity of contending, not against the capitalist application of machinery, but against machinery itself.


      No doubt the bourgeois economist is far from denying that temporary inconveniences may result from the capitalist use of machinery. But where is the medal without its reverse side! Any other utilisation of machinery than the capitalist one is to him impossible. Exploitation of the worker by the machine is therefore identical for him with exploitation of the machine by the worker. Therefore whoever reveals the real situation with the capitalist employment of machinery does not want machinery to be employed at all, and is an enemy of social progress!
      » Marx

      Elimina
  11. … uno dei più gravi aspetti negativi del neocapitalismo, su cui i suoi apologeti ‘democratici’ e ‘progressisti’ hanno tendenza a scivolare: la sua spinta di fondo antidemocratica, una spinta che appare coessenziale al sistema e pertanto non superabile nel quadro del sistema stesso. Essa non si manifesta più nelle forme brutali del fascismo ma, come abbiamo detto, in modo più raffinato, nella completa depoliticizzazione delle masse, nella conformistizzazione della pubblica opinione, nel condizionamento di tutte le reazioni in senso favorevole al sistema…

    accettazione della società esistente con la sua organizzazione fortemente gerarchizzata e con le sue chiusure sociali; una élite del potere ristretta e padrona non solo della potenza economica e politica ma dei mezzi di condizionamento della pubblica opinione e della violentazione delle coscienze; in ultima analisi la depoliticizzazione totale e lo svuotamento della vita democratica. La depoliticizzazione non è solo un fatto pratico ma è teorizzata: Daniel Bell in The End of Ideology spiega agli americani che le idee politiche non hanno più nessuna funzione nella vita moderna; si tratta solo di far funzionare il sistema e questo è un fatto tecnico, da risolversi caso per caso, senza bisogno di idee generali, ma secondo criteri di efficienza che sono gli stessi di cui dà prova il big business o di cui deve dar prova l’amministrazione militare per assicurare un’efficace difesa.

    Ciò porta, come abbiamo altra volta osservato, all’annullamento della funzione dei partiti, almeno nel senso tradizionale: ESSI NON SI CONTRAPPONGONO PIÙ GLI UNI AGLI ALTRI COME PORTATORI DI IDEOLOGIE E DI SCELTE POLITICHE ALTERNATIVE, BENSÌ COME STRUMENTI PIÙ O MENO VALIDI, PIÙ O MENO EFFICIENTI PER IL MIGLIOR FUNZIONAMENTO DEL SISTEMA STESSO… il cittadino non ha più possibilità reale di influire sulla cosa pubblica ma diventa un semplice ingranaggio della routine, e il potere si consolida sempre più totalitariamente nelle mani della chiusa oligarchia che lo detiene. Il sistema parlamentare è sostanzialmente ridotto oggi ad una macchina per il livellamento degli uomini al denominatore comune di ‘uomo medio’, sul cui orientamento, condizionato e dominato dall’alto, tendono a poco a poco ad allinearsi tutti i partiti. In ultima analisi, come in sede economica la libera concorrenza porta in sé i germi del proprio superamento e della tendenza al monopolio o all’oligopolio, così in sede politica la democrazia parlamentare di tipo occidentale porta in sé i germi della propria distruzione come democrazia e della tendenza all’oligarchia, un’oligarchia che domina sovrana sul conformismo dell’uomo medio…
    ” [L. BASSO, Democrazia e nuovo capitalismo, in Problemi del socialismo, febbraio 1962, n. 2, 1-6].

    … la struttura classista della società contemporanea è in grado di annullare di fatto molte delle “conquiste democratiche” del passato, a cominciare dalla principale conquista, quella del suffragio universale - che perde parte del suo valore effettivo a misura che il parlamento perde parte del suo potere a beneficio di altri centri decisionali extra-istituzionali…” [L. BASSO, Le forze spontanee incalzino i partiti a prender coscienza del “nuovo” dalle masse, in Questitalia, gennaio-febbraio 1969, n. 130/131, 31-35] (segue)

    RispondiElimina
  12. L’appiattimento indifferenziato e compatto dell’oligarchia partitica sulle istanze del governo sovranazionale dei mercati porta allo svuotamento:

    … di ogni vitalità [di] coscienza democratica del paese, per seminare a piene mani quella sfiducia, disgusto e APATIA, che rendono ad un certo momento possibili i discorsi qualunquisti…” [L. BASSO, Dialogo fra generazioni di italiani nell’inchiesta sugli anni difficili, ne Il Paradosso, aprile-giugno 1960, n. 22, 38]

    Di fronte a questo dramma, Basso si domandava:

    … Quali sono le forze che, nella situazione di oggi, possono arrestare questa corsa al regime? Quali sono i contropoteri efficaci che possono ristabilire l’impero della democrazia e della legge in un mondo dove l’arbitrio dell’oligarchia dominante si sostituisce sempre più alla legalità, dove il libito e non il lecito diventa sempre più la norma dell’agire? … Come in tutti i casi in cui un ordinamento democratico cessa di funzionare o è paralizzato o non esiste affatto, IL VERO CONTROPOTERE DIVENTA DIRETTAMENTE IL POPOLO, con la sua presenza attiva e con il suo peso nelle lotte politiche.

    Una coscienza popolare vigile e robusta, matura e impegnata, ha ancora a disposizione, pur nell’attuale situazione e prima che sia troppo tardi, strumenti pacifici per sbarrare la strada del regime e creare un’alternativa democratica, ma questa coscienza popolare rischia anche essa di addormentarsi. L’addormentamento delle coscienze in un sonno conformista e qualunquista è una delle componenti necessarie della marcia al regime e i nostri avversari lo sanno e non trascurano di mettere in azione tutti i mezzi, dalla stampa alla radio, dalla clericalizzazione alla corruzione, per giungere a questo risultato. E noi sappiamo tutti per esperienza che, se il qualunquismo dilaga, la strada è aperta alle dittature totalitarie. In un paese come l’Italia, dove le masse sono sempre state al margine della vita politica e sociale, l’edificazione della democrazia, prima che un problema di leggi o di soluzioni parlamentari, è un problema di masse, di partecipazione, di lotte, di iniziative, di maturazione democratica, di coscienza civile
    …”. [L. BASSO, Verso il regime? in Problemi del socialismo, febbraio 1959, n. 2, 83-98].

    Forse mi sbaglio, ma forse in Francia è proprio quello che si sta incominciando ad intravvedere. Il contropotere diventa direttamente il Popolo

    RispondiElimina
    Risposte
    1. "Forse in Francia è proprio quello che si sta incominciando ad intravvedere. Il contropotere diventa direttamente il Popolo."

      E' esattamente così credo, perché tra l'altro le FFAA dell'impero repubblicano francese (formate solo da professionisti mercenari) sono scese numericamente al minimo storico.

      http://www.limesonline.com/carta-dove-sono-le-forze-armate-della-francia/105883?prv=true

      Con i circa 50 mila effettivi totali di gendarmeria ed esercito (di cui un terzo avrà pure superato i 40 anni e non sarà neppure in grado di correre o di operare senza diffusi infarti e malori) non si potrà mai neanche pensare di arginare militarmente una protesta diffusa come quella dei gilet gialli. Se mai verrà proclamato lo stato di assedio in Francia non riusciranno a farlo rispettare...

      Atomiche, truppe d'elite, cannoni, elicotteri d'attacco, la flotta, caccia e bombardieri non servono contro le proteste di piazza.
      Per schiacciare la resistenza popolare servono FFAA fedeli e molto numerose. Altrimenti ci si deve accontentare di controllare militarmente solo pochi capisaldi (come gli USA in Afganistan).

      L'imbecillità dei politici EU modello 'mosca cocchiera', idioti manipolati dai potentati finanziari transnazionali, si vede proprio da questo: dal non aver mai approntato un piano per reprimere con la forza le prevedibilissime proteste innescate dalle politiche EU.

      La inconsistenza numerica delle FFAA di TUTTI gli stati EU è ampiamente risaputa e lo scorso novembre la Germania ha deciso di aumentare a 250 mila il numero degli effettivi (troppo poco e troppo tardi, credo, insufficienti anche solo a fini di polizia interna in caso di crisi).

      Per quello che riguarda l'Italia, 48 osservava tempo fa che i nati nel dopoguerra e fino alla fine degli anni 70 sono gli ultimi a ricordare come si viveva prima dello SME.
      Sono però anche gli ultimi a ricordare come si smonta un'arma, come si spara col fucile e cosa sia la disciplina militare (in quanto prima c'era la leva obbligatoria).

      Speriamo non serva rispolverare antiche nozioni... anche perchè ci sono centinaia di migliaia di immigrati clandestini che vagano sul territorio nazionale come mine innescate.

      Elimina
  13. La giustificazione dell'obbligo vaccinale sta nel calo delle coperture, ovvero i vaccinati sono statisticamente inferiori alla soglia indicata da lascienza per garantire la cosidetta "immunità di gregge".
    Il raggiungimento della soglia di immunità di gregge dovrebbe garantire quindi la scomparsa della malattia, o come vorrebbe l'OMS, l'eradicazione di essa. Pochi purtroppo sanno che l'immunità di gregge è solo un modello teorico, che plausibilmente spiega la scomparsa di alcune malattie per via di immunità naturale ma che la "trasposizione" di questo modello all'immunizzazione farmacologica da vaccino non ha trovato nessuna verifica empirica, anzi, è stata più volte confutata.

    Il ricatto morale di protezione degli altri, deglimmunodepressi, la "necessità" dell'obbligo, si basa quindi su una teoria falsificata dall'esperienza. Non solo la "protezione di gruppo" (che non c'è) giustifica il sacrificio individuale di quell'uno sul milione che subisce un danno irreversibile alla sua integrità fisica ma soprattutto l'impianto sanzionatorio della legge, ovvero l'esclusione sociale dei "non conformi", anche se questa non trova nessuna giustificazione dal punto di vista epidemiologico.

    Emblematica l'audizione in Senato di IoVaccino, per cui il genitore del dannaggiato cerca nel vaccino il capro espiatorio "per la colpa di aver generato figli imperfetti": è l'uomo che non va, non lascienza che ci dice che il vaccino fa danni solo in un caso su un milione.

    Sappiamo poi tutti benissimo che sul tema siamo in presenza di un "conflitto sezionale" novaxs-provax scientemente plasmato dal precedente governo:
    "7.1. L'attitudine distraente del conflitto sezionale si manifesta, per la verità in tutto il mondo occidentale, in modo da amplificare il potere degli agenti di influenza delle elites che hanno buon gioco nello stigmatizzare quell'odio che hanno accuratamente infuso e alimentato nel corpo sociale delle non-elites: e questo fino al punto da delegittimare, nei fatti narrati in modo da forzare etichette di condanna ipocritamente "etica", quelle che sono esattamente le reazioni naturali, quasi meccanicistiche, che avevano inteso deliberatamente suscitare.
    Il senso di colpa, in precedenza diffuso a livello di preparazione mediatico-culturale dell'operazione, può quindi essere addebitato al corpo sociale aggredito in base a "fatti" che corrispondono anch'essi alla meccanica calcolata dell'intolleranza che si intendeva suscitare."
    http://orizzonte48.blogspot.com/2017/08/la-trappola-dellodio-degli-agenti-di.html

    Tristemente così esordisce il DDL770:
    Art. 1.
    1. La presente legge ha la finalità:
    a) di assicurare la tutela della salute pubblica attraverso la promozione delle vaccinazioni con *lo scopo di raggiungere e mantenere le coperture vaccinali di sicurezza*, anche allo scopo di proteggere i soggetti per i quali le vaccinazioni sono controindicate in ragione di particolari situazioni cliniche documentate, *nel rispetto delle raccomandazioni degli organismi sanitari internazionali in tema di profilassi, controllo, eliminazione ed eradicazione delle malattie prevenibili con la vaccinazione*;
    b) di garantire la piena e uniforme erogazione delle prestazioni vaccinali sul territorio nazionale per assicurare equità e parità di accesso alle stesse, riconoscendo che l'educazione e l'informazione in materia di prevenzione vaccinale costituiscono livello essenziale di assistenza (LEA) quali interventi prioritari nella *lotta contro la riluttanza nei confronti dei vaccini e per l'ottimizzazione delle coperture vaccinali*;

    http://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/50461.htm

    RispondiElimina