domenica 20 ottobre 2019

IL DESTINO DELL'ITALIA (4): LA GIAPPONIFICAZIONE DELL'UE E DELL'EUROZONA IN DATI

Per comprendere concretamente, nei fatti, il fenomeno della Japanification, nell'Ue e nell'eurozona, vi proponiamo un estratto del Position Paper italiano depositato per il Consiglio Ue dedicato alla "competitività", tenutosi il 28-29 novembre 2018.
Abbiamo aggiunto un grafico relativo all'aumento dei salari più bassi e contemporaneamente più alti, con la risultante diminuzione dei salari medi.
Da tale documento, che tentava di "alimentare un dibattito costruttivo", ma sul quale nessuna risposta o riflessione risulta tutt'ora avviata, emergono:
- la perdita progressiva e inesorabile della capacità manifatturiera dell'Ue e dell'eurozona;
- il diffuso e crescente deterioramento del potere di acquisto e delle prospettive di reddito futuro;
- l'unicità di un andamento demografico negativo, in drastico contrasto con tutto il resto del mondo;
- un andamento della crescita dell'Ue, e in particolare dell'eurozona, simultaneo a tale depressione demografica record, significativamente più basso di quello di ogni altra rilevante area economica del mondo;
- l'andamento negativo crescente della stessa capacità di attrarre investimenti esteri;
- i negativi effetti distributivi interni al mercato unico che, in aggiunta, ne limitano anche la competitività esterna.

Punto 6) Il futuro del single market

1. La riduzione della capacità industriale manifatturiera.
Allo scopo di alimentare un dibattito costruttivo intorno ad obiettivi comuni, alcune tematiche affrontate dal COM CE 772/2018 meritano ulteriore approfondimento. Non si può infatti negare che accanto a una serie di importanti risultati, il mercato unico mostra una serie di debolezze che si esplicano soprattutto in una crescente disomogeneità delle condizioni di reddito e occupazione all’interno del territorio dell’UE. 
Dal lato della produzione, negli ultimi anni e specie a partire dalla crisi economica, alcune aree hanno ridotto la propria base industriale e la propria capacità di generare valore. La spinta all’esportazione, che pure ha costituito un elemento di tenuta importante, non ha posto le basi per un effettivo rilancio (si veda la tabella 1).
Table 1:Manifattura, valore aggiunto su PIL

1991
2000
2007
2017
Germania
24,9
20,7
21,1
20,7
Francia
15,9
14,5
11,6
10,1
Italia
19,0
17,5
15,9
14,7
Regno Unito
16,3
13,1
9,1
9,2
Stati Uniti

15,0
12,7

Polonia

16,1
16,5

Spagna

16,2
13,5
13,1
Giappone

22,6
22,1

Cina


32,4
29,3
India
16,3
16,5
17,3
15,0
Brasile
22,1
13,1
14,2
10,2
Eurozona
20,0
17,3
15,9
14,7
UE28
19,2
16,8
15,0
14,0
Fonte: Banca Mondiale

1.1. La riduzione del potere di acquisto e dei livelli salariali prevalenti.
Dal lato della domanda, un numero crescente di consumatori europei ha visto deteriorarsi il proprio potere di acquisto e, elemento ancor più negativo, le proprie prospettive di reddito futuro. Si tratta senza dubbio di elementi che contribuiscono a spiegare le tensioni sociali in molti Paesi e l’avversità verso il progetto comunitario che caratterizza molti strati della popolazione europea (tabella 2).
Si ritiene dunque utile che il dibattito affronti apertamente i nodi critici a partire dagli aspetti di seguito approfonditi.
Table 2: Indice di Gini del reddito equivalente disponibile

2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
2017
UE 28


30,5
30,8
30,5
30,5
31,0
31,0
30,8
30,3
EZ 19
30,5
30,3
30,3
30,6
30,5
30,7
31,0
30,8
30,7
30,5
Bel
27,5
26,4
26,6
26,3
26,5
25,9
25,9
26,2
26,3
26,0
Bul
35,9
33,4
33,2
35,0
33,6
35,4
35,4
37,0
37,7
40,2
Cze
24,7
25,1
24,9
25,2
24,9
24,6
25,1
25,0
25,1
24,5
Den
25,1
26,9
26,9
26,6
26,5
26,8
27,7
27,4
27,7
27,6
Ger
30,2
29,1
29,3
29,0
28,3
29,7
30,7
30,1
29,5
29,1
Est
30,9
31,4
31,3
31,9
32,5
32,9
35,6
34,8
32,7
31,6
Eir
29,9
28,8
30,7
29,8
30,5
30,7
31,1
29,8
29,5

Gre
33,4
33,1
32,9
33,5
34,3
34,4
34,5
34,2
34,3
33,4
Esp
32,4
32,9
33,5
34,0
34,2
33,7
34,7
34,6
34,5
34,1
Fra
29,8
29,9
29,8
30,8
30,5
30,1
29,2
29,2
29,3
29,3
Cro


31,6
31,2
30,9
30,9
30,2
30,4
29,8
29,9
Ita
31,2
31,8
31,7
32,5
32,4
32,8
32,4
32,4
33,1
32,7
Cyp
29,0
29,5
30,1
29,2
31,0
32,4
34,8
33,6
32,1
30,8
Lat
37,5
37,5
35,9
35,1
35,7
35,2
35,5
35,4
34,5
34,5
Lit
34,5
35,9
37,0
33,0
32,0
34,6
35,0
37,9
37,0
37,6
Lux
27,7
29,2
27,9
27,2
28,0
30,4
28,7
28,5
31,0
30,9
Hun
25,2
24,7
24,1
26,9
27,2
28,3
28,6
28,2
28,2
28,1
Mal
28,1
27,4
28,6
27,2
27,1
27,9
27,7
28,1
28,5
28,3
Ned
27,6
27,2
25,5
25,8
25,4
25,1
26,2
26,7
26,9
27,1
Aut
27,7
27,5
28,3
27,4
27,6
27,0
27,6
27,2
27,2
27,9
Pol
32,0
31,4
31,1
31,1
30,9
30,7
30,8
30,6
29,8
29,2
Por
35,8
35,4
33,7
34,2
34,5
34,2
34,5
34,0
33,9
33,5
Rom
35,9
34,5
33,5
33,5
34,0
34,6
35,0
37,4
34,7
33,1
Slo
23,4
22,7
23,8
23,8
23,7
24,4
25,0
24,5
24,4
23,7
Svk
23,7
24,8
25,9
25,7
25,3
24,2
26,1
23,7
24,3
23,2
Fin
26,3
25,9
25,4
25,8
25,9
25,4
25,6
25,2
25,4
25,3
Swe
25,1
26,3
25,5
26,0
26,0
26,0
26,9
26,7
27,6
28,0
  Fonte: inchiesta EU-SILC

Risultati immagini per confronto tra dimensione produttiva e demografica per l’UE 28 e alcune nazioni asiatiche: anni 1990-2017


2.1         Evoluzione demografica e conseguenze sullo sviluppo del mercato unico.

È un dato di fatto che la popolazione dell’UE stia diminuendo, specialmente in termini relativi rispetto alle altre aree del mondo (si veda Tabella 3).
Table 3: prospettive demografiche fra il 2017 e il 2050 (miliardi di persone)
 Region
2017
2050
Crescita totale
Crescita media annua
Asia
4,504
5,257
41%
0,47%
Africa
1,256
2,528
101%
2,14%
Europa
0,742
0,716
-4%
-0,11%
America centrale/meridionale e Caraibi
0,646
0,780
21%
0,57%
America del Nord
0,361
0,435
20%
0,57%
Oceania
0,041
0,057
39%
1,00%
Mondo
7,550
9,773
29%
0,79%
Fonte: ONU, World population prospects, 2017.
In altri termini, sta svanendo una fonte basilare di crescita economica anche in un modello di tipo neo-classico come quello di Solow-Swan (1956)[1].
Le prospettive del futuro della demografia europea non sembrano essere di buon auspicio neanche per gli incrementi di produttività del lavoro ottenibili mediante il progresso tecnologico, poiché in termini generali quanto più è alto il numero di persone anziane tanto minore è l’intensità di un’adeguata innovazione delle competenze nell’area. Infine, l’alternativa di rimpiazzo degli Europei tramite immigrazione non europea non prende affatto in considerazione la “sostituibilità imperfetta” fra diversi popoli anche nel lungo termine (Lucht H., 2011; Ottaviano G. I. P., Peri G. 2008)[2].
C’è il concreto rischio che politiche di immigrazione non controllate generino tensioni sociali piuttosto che l’auspicata società più equilibrata, dinamica e prospera.

2.2         Concorrenza globale e modelli competitivi.

Un mercato di più ampie dimensioni è potenzialmente in grado di rafforzare la posizione relativa delle imprese europee, ma tale risultato non dovrebbe essere considerato come automatico quanto piuttosto il frutto di politiche che consentano di raggiungere un adeguato punto di equilibrio tra il grado di apertura e i livelli di domanda e, quindi, di occupazione e di reddito. 
Nel contesto globale, l’esperienza asiatica mostra come sia possibile competere anche con dimensioni inferiori a quelle continentali, pur registrando performance di crescita di assoluto rilievo
La maggior parte di quei Paesi sono demograficamente più dinamici: tralasciando la Cina (ma anche il Giappone e la Corea del Sud) si pensi ad esempio a Vietnam, Tailandia, Malesia, etc. Lo stesso vale per varie nazioni latino-americane (se si esclude il Brasile) e per alcune africane (si pensi all’Angola).
La figura qui di seguito mostra chiaramente come la dimensione demografica, quale che sia l’assetto istituzionale sottostante, non sia un fattore necessario all’incremento della dinamica dell’attività produttiva. Ed infatti, l’UE, tra tutte le aree economiche del mondo attualmente da considerare rilevanti, registra contemporaneamente la più bassa crescita della popolazione e il più basso tasso di crescita annuale del PIL.
Figure 1: confronto fra dimensione produttiva e demografica per l’UE28 e alcune nazioni asiatiche: anni 1990-2017
Fonte: FMI WEO ottobre 2018 e AMECO. 
La dimensione delle sfere rappresenta la consistenza della popolazione nel 2017. Per l’UE28 media annua del tasso di crescita del PIL: 1995-2017.
La sfida del futuro del mercato unico sarà, quindi, definire politiche che siano in grado di sfruttare il potenziale vantaggio dimensionale valorizzando le specificità di ogni Stato membro, piuttosto che ricercare ricette uniche di competitività che hanno sinora prodotto risultati inferiori alle aspettative.

2.3         Integrazione e competitività

Anche con riferimento ai risultati prodotti dall’integrazione economica, è necessaria una riflessione che non ne dia per scontati i risultati ma sia in grado di affrontarne i limiti per rilanciarne gli obiettivi.
Come mostrato in vari studi recenti, l’impatto dell’Unione e in particolare dell’Unione monetaria sul commercio è di difficile misurazione (Glick e Rose, 2015) e rimane assai limitato (Bąk e Maciejewski, 2015)[3].
Questa è la risultante di un livello d’integrazione che già era alto prima dell’unificazione monetaria e che – in tutta probabilità – proprio la moneta unica ha contribuito a ridurre.
Con particolare riferimento agli IDE, tali investimenti mostrano un calo generalizzato rispetto al PIL pressoché in tutte le aree del mondo. Se l’UE era piuttosto attraente (anche grazie al ruolo centrale del Regno Unito) nel 2007, dieci anni dopo la riduzione della quota degli IDE sul PIL è più accentuata rispetto ad altri Paesi sia piccoli che grandi fuori dall’UE. In altre parole, il loro trend è stato certamente più tenue rispetto a quello del PIL. Ne consegue che gli IDE non sono indicatori fondamentali della crescita di competitività.
Table 3: confronto fra gli IDE in entrata per Paesi piccoli e Paesi grandi più UE28
1990
2000
2007
2017
2007-2017
Svizzera
2,15%
8,48%
10,15%
5,58%
-4,57%
Cile
2,00%
6,24%
7,76%
2,32%
-5,45%
Vietnam
2,78%
4,16%
8,65%
6,30%
-2,36%
Tunisia
0,62%
3,50%
3,89%
2,01%
-1,88%
EU28
1,24%
8,20%
9,51%
3,53%
-5,99%
Cina
0,97%
3,48%
4,40%
1,37%
-3,02%
USA
0,81%
3,40%
2,39%
1,83%
-0,56%
India
0,07%
0,78%
2,10%
1,54%
-0,56%
Fonte: Banca Mondiale

2.4         Mercato unico e condizioni di vita dei cittadini.

Il mercato unico ha contribuito a creare nel complesso ricchezza e reddito per gli Stati membri e i propri cittadini, tuttavia non sempre sono stati tenuti in adeguata considerazione gli effetti distributivi.
Il rafforzamento del mercato unico dovrà valutare adeguatamente alcune problematiche redistributive come ad esempio: a) la disoccupazione – in particolar modo quella giovanile – che è più alta rispetto ai minimi pre-crisi del 2007 in vari paesi (Grecia, Spagna, Italia); b) i livelli di povertà e la disuguaglianza che sono cresciuti anche nel centro dell’Eurozona, almeno sino al 2012 per poi scendere solo leggermente in seguito, ma restano tuttavia estremamente alti in Grecia, Italia e Romania.
Di fatto quasi un quarto della popolazione europea è oggi a rischio povertà e/o esclusione sociale (vedi Tabella 3). Va, inoltre, sottolineato che tutta la popolazione europea è soggetta ad un mercato del lavoro in cui dominano precarietà e flessibilità.
Table 4: Persone a rischio povertà e/o esclusione sociale (% sulla popolazione)
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
2017
UE28
23,8
24,3
24,8
24,6
24,4
23,8
23,5
22,5
EZ19
22,0
22,9
23,3
23,1
23,5
23,1
23,1
22,1
Ger
19,7
19,9
19,6
20,3
20,6
20,0
19,7
19,0
Gre
27,7
31,0
34,6
35,7
36,0
35,7
35,6
34,8
Fra
19,2
19,3
19,1
18,1
18,5
17,7
18,2
17,1
Ita
25,0
28,1
29,9
28,5
28,3
28,7
30,0
28,9
Ned
15,1
15,7
15,0
15,9
16,5
16,4
16,7
17,0
Esp
26,1
26,7
27,2
27,3
29,2
28,6
27,9
26,6
Pol
27,8
27,2
26,7
25,8
24,7
23,4
21,9
19,5
Rom
41,5
40,9
43,2
41,9
40,3
37,4
38,8
35,7
     Fonte: Eurostat.

2.5         Mercato unico, concorrenza e competitività delle imprese

Il mercato unico è prospettato come un driver di concorrenza, poiché permette la creazione di nuovi prodotti e la loro commerciabilità in tutta Europa senza pagare diritti doganali e senza la presenza di barriere tecniche. Esso ha contribuito a ridurre la vulnerabilità delle imprese agli shock di domanda e d’offerta che colpiscono particolari segmenti di mercato o alcuni paesi, mentre faciliterebbe l’integrazione fra manifattura e servizi. 
Anche in questo caso, però, il rafforzamento del mercato unico non può prescindere da un’adeguata valutazione degli effetti redistributivi.
Ci sono almeno tre fattori da soli sufficienti a porre in dubbio l’efficienza del mercato unico e i suoi propositi di alto grado di competitività verso l’esterno:
1.    L’incremento della specializzazione produttiva, già presente a seguito delle naturali dinamiche nelle aree di libero scambio, ha avuto un’accelerazione durante la crisi finanziaria: i membri del Nord hanno visto un accentramento di risorse nei settori più produttivi e meno tradizionali, mentre quelli meridionali sono conversi verso quelli tradizionali. Inoltre, sembra che gli effetti endogeni dell’Eurozona siano stati molto più piccoli di quanto supposto da alcuni studi iniziali (si veda, fra gli altri, Frankel e Rose, 2002)[4]. Quindi, le tendenze divergenti all’interno dell’Eurozona sono divenute sempre più visibili ed intense nel corso del tempo. Vi sono anche segnali di una più ampia creazione di commercio verso l’esterno dell’Eurozona e verso nazioni che non appartengono all’UE rispetto ai flussi commerciali intra-UME e intra-UE. Analizzando l’indice di specializzazione di Krugman nel periodo 2003-2013[5] si possono notare delle importanti e crescenti dissimilarità fra gli Stati membri dell’Eurozona e dell’UE (come è avvenuto, ad esempio, in Polonia).
2.    Divergente produttività relativa del lavoro all’interno dell’UE (Fingleton et al., 2014, Beck e Grodzicki, 2014)[6].
3.    Incremento della divergenza del ciclo economico soprattutto tra Italia, Francia e Germania.
Naturalmente, questo non deve essere necessariamente vero per qualsiasi area di libero scambio; tuttavia è notorio che alcune misure di politica economica, adottate in particolare nell’Eurozona, ancora incentrate sul principio del “one size fits all” (in special modo nel campo finanziario con l’Unione Bancaria e l’Unione del Mercato dei capitali) non solo siano incomplete ma soprattutto siano in contrasto con il concetto stesso di commercio libero, giusto ed equilibrato fra le imprese dei diversi Stati membri.
(4- SEGUE)



[1] Solow R. M., 1956. “A Contribution to the Theory of Economic Growth”, The Quarterly Journal of Economics, Volume 70, 1, 1° Febbraio, 65–94
[2] Lucht H., 2011. “Darkness before Daybreak African Migrants Living on the Margins in Southern Italy Today”, University of California Press - Ottaviano G. I. P., Peri G. 2008 “Immigration and National Wages: Clarifying the Theory and the Empirics”, NBER Working Paper No. 14188, luglio
[3] Bąk H., Maciejewski S., 2015. “Endogeneity and Specialization in the European Monetary Union”, International Journal of Management and Economics 46, Aprile–Giugno, 7–40; http://www.sgh.waw.pl/ijme/
Glick R., Rose A. K., 2015. “Currency Unions and Trade: A Post‐EMU Mea Culpa”, Federal Reserve Bank of San Francisco, WP Series 2015-11

[4] Frankel J. A., Rose A. K., 2002 “An Estimate of the Effect of Common Currencies on Trade and Income.” Quarterly Journal of Economics CXVII, 2 Maggio: 437-466
[5] Esso è una misura del grado di differenziazione della produzione di un Paese rispetto ad altri. Varia da zero (stessi beni prodotti) a due (produzione di beni totalmente diversi).
[6] Beck K., Grodzicki M., 2014. “Konwergencja realna i synchronizacja cykli koniunkturalnych w Unii Europejskiej, Wymiar strukturalny”, Wydawnictwo Naukowe SCHOLAR, Warszawa.
Fingleton B., Garretsen H., Martin R., 2014. ”Shocking Aspects of Monetary Union: The Vulnerability of Regions in Euroland”, articolo per la pubblicazione speciale in Journal of Economic Geography on the Future of Europe, 2 Aprile.

8 commenti:

  1. Buongiorno.

    Ho voluto aspettare la pubblicazione della serie completa di articoli per porre una domanda.

    Se ho ben capito gli Stati Uniti paiono puntare su un rafforzamento - e dunque un mantenimento - dell'Euro.
    Ma come si concilia questo con gli scenari, pure autorevolmente tratteggiati, di un naturale - quasi inevitabile, se ho bene inteso - superamento della moneta unica in quanto nuovo "gold standard" inibente qualsiasi intervento finalizzato a far ripartire l'economia?
    https://goofynomics.blogspot.com/2019/10/cosa-sapete-del-gnudyl-per-gli-amici.html

    Grazie
    M.

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    1. Domanda prematura e per la verità mal posta (in questo contesto).
      1) la serie dei post non è ancora finita;
      2) in generale, la scontata valutazione "tecnico-economica", ed anche ragionevole, sul "superamento della moneta unica", si scontra proprio con l'irragionevolezza e la "tecnica" sempre più sballata, nei suoi esiti, delle elites global-finanziarie.

      Anche se capissero dove e come stanno andando a sbattere, non rinunciano certo a insistere (v, precedente post della serie).
      Sono troppo sicuri di sé per via del controllo culturale e soprattutto mediatico che sentono di esercitare.

      Questo scontro tra "buona economia"+ buonsenso e cattiva tecnica, ostinatamente usata per mancanza di buon senso da parte delle elites, è il tema di tutti i post qui pubblicati a partire da metà settembre.

      E non sappiamo quale sarà l'esito dello scontro...

      Elimina
    2. Temo di irritarla ulteriormente nel chiederle perché la mia domanda era mal posta quindi mi astengo. Quanto al prematura, non avendo letto in calce all'ultimo intervento un cenno di continuazione, quindi pensavo fosse terminato.

      Grazie comunque per il lavoro di chiarimento che fa. Questo sito resta un'oasi felice e insostituibile di comprensione del reale. Grazie davvero.
      M.

      Elimina
    3. Nessuna irritazione: la conciliazione di analisi esterne a questo blog con le analisi di questo blog fa sorgere delle domande a cui, invece, leggendo con continuità questo blog, ci si può rendere conto che si tenta continuamente di dare risposta.

      Intendo: la contraddizione in questione consiste in una dialettica, per molti versi drammatica, per altri tragicomica, che è alla costante attenzione di questo blog.
      Tutto qui.

      Quanto al non avere messo il "segue", grazie per avermelo segnalato. Provvedo subito (date le premesse, peraltro, la serie non poteva finire così).

      Elimina
    4. Tutto il capitalismo liberale è un progetto tecnocratico irrazionale fondato sugli interessi razionali delle persone che prendono le decisioni che contano.

      È la volontà politica di questa classe che permette di portare al parossismo qualsiasi progetto complessivamente irrazionale perché conta di scaricare sulle classi dominate le proprie comode - e, stando coi greci, "fuori misura" - scelte.

      Il progetto eurounionista nasce fondamentalmente per distruggere i popoli europei e la loro cultura che ha portato al desiderio di giustizia nel diritto democratico; ovvero al "socialismo".

      Sistema monetario strutturalmente deflattivo, abbassamento del tasso di natalità, forzata emigrazione, libera immigrazione, e trasformazione del sistema d'istruzione in un sistema di indottrinamento, sono chiari segnali di una volontà politica.

      E sappiamo che è stato espressa dalle élite il desiderio di avere una moneta mondiale unica...

      Storicamente le riforme liberiste - e, segnatamente, liberoscambiste - del grande capitale hanno sempre portato a far saltare in aria le nazioni ben prima di aver raggiunto la completa istituzionalizzazione del capitalismo sfrenato.

      Gli europeisti di oggi sono dei fanatici come i nazisti di ieri: vanno affrontati da politici non codardi e che abbiano a cuore gli interessi della nazione.

      E poi rimane la questione dello "spirito di scissione", e se questo possa colpire una sezione influente delle classi dominanti...

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    5. Ma poi, detto tra noi...ti parevo irritato? :-)

      Voglio dire, anche fosse poi, (e non è), cosa potevo rispondere di diverso?

      Che qui non ci poniamo il problema di come si concilino le aspirazioni...inconciliabili di un elite global-mondialista che ha ridotto il pensiero di massa, prima ancora che il "gioco" politico, nel nostro Paese, alla più drammatica irrilevanza "idraulica"?

      (E già quest'ultimo vocabolo allude a una potente e sempre valida spiegazione della presunta contraddittorietà)

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    6. Ché poi la dialettica tra politica ed economia - e, quindi, l'analisi economica delle istituzioni - è una dei temi più complessi che si possano affrontare: quanto le scelte delle classi dominanti sono "coscienti" e quanto sono "impersonali"? dove inizia e dove finisce il volontarismo nella nascita delle istituzioni al di là dei processi costituenti? fino a che punto chi controlla i media non è esso stesso prigioniero della medesima falsa coscienza che propaganda? in quale misura le dinamiche sociostrutturali sono "oggettive"? quali sono i limiti della coscienza umana, in che termini esistono dinamiche deterministiche e altre in cui il volontarismo frutto di coscienza incide?

      Le scienze sociali possono solo studiare le dinamiche oggettive e considerare la volontà soggettiva una variabile (se non si naturalizza elitisticamente/hayekianamente tutto quanto, considerando il libero arbitrio politico una semplice "perturbazione").

      Questo per sottolineare - a causa della dialettica fondamentale propria dell'ontologia dell'essere sociale - la complessità di fornire analisi sul futuro delle dinamiche sociali: più si vuole "precisione" più ci si scontra con un ostacolo. Un ostacolo fonte di ogni principio di indeterminazione: l'Uomo. O, meglio, la sua coscienza.

      Quando le élite per non aver più timore di veder messi in discussione i propri privilegi - privilegi di sfruttamento delle "risorse umane" - riusciranno tramite l'ingegneria sociale a controllare perfettamente qualsiasi dinamica sociale - e quindi sarà naturalizzato ed alienato completamente l'essere sociale - allora, per definizione, non esisterà più l'umanità, ovvero la sua cultura. Ovvero la sua coscienza. Compresa quella delle sedicenti... élite.

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  2. Comprendo perfettamente la difficoltà di analisi, ci mancherebbe. Nessuno qui ha il carisma della profezia.

    E tuttavia, dalla fonte da me citata mi era parso - sicuramente per mio errore! - di intendere che l'Euro sarebbe stato in un certo qual modo superato "naturalmente" per una propria insostenibilità intrinseca. Ciò avrebbe dunque reso inopportuno, quasi una cosa di cattivo gusto, qualunque pretesa di una posizione chiara riguardo alla moneta unica in capo alle forze politiche che pure tempo addietro ne contestavano ore rotundo l'opportunità.

    L'analisi qui condotta mi conferma invece che no, ci sono buone possibilità che la moneta unica continui a sussistere senza morire di morte naturale. Ed ecco quindi la piena legittimità - per non dire doverosità - di pretendere una chiara scelta strategica sul punto, e di orientare di conseguenza le proprie scelte di voto.

    Un po' alla maniera de "i mercati", sebbene in senso diametralmente opposto! :-)

    M.

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