mercoledì 16 ottobre 2019

IL DESTINO DELL'ITALIA (1): JAPANIFICATION IRLANDESIZZATA? (Un po' di "basi" per procedere)


1. Il titolo del post risulta, come spesso mi capita, denso di concetti che rinviano a definizioni ed analisi economiche un po' misteriose e, talora, complesse. Ma i passaggi fondamentali, abbiamo già tentato di spiegarli e ci riproveremo  (per quei pochi che seguono attentamente il blog da anni, in realtà un'agevole ricerca consentirebbe di capire "a prima lettura" il senso del titolo e anche di anticipare il contenuto del post 😎).
La domanda a cui tentare di dare la risposta anticipata nel titolo, poi, è in fondo..."la domanda": cosa accadrà in Italia, e prima ancora nel mondo, nei prossimi, poniamo, 2-3 anni?
Quello che è chiaro a tutti, anche solo a livello di allarme istintivo, è che non solo qualcosa non stia andando per il verso giusto, ma che in realtà i fattori messi in campo dalle complessive macropolitiche che si intrecciano nell'interdipendenza delle relazioni economiche internazionali, - condizionando i destini della popolazione italiana -, si stiano combinando in una congiuntura i cui sbocchi, in termini di crescita economica e di coesione sociale, sono sempre più vincolati; segnati cioè dal confluire verso una gamma di esiti probabilistici sempre più ristretti.

2. Alla "ripresa" del blog, non a caso, sul solco di questa prospettiva di determinismo, sempre più spiccato, dei macro-eventi che ci riserva il futuro, abbiamo parlato:
- della estrema difficoltà €-politica della sopravvivenza (a sé stesso) del nuovo programma di acquisto di titoli deliberato negli "ultimi fuochi" della gestione Draghi; in un quadro geo-politico in cui una prospettiva di svalutazione e i tassi negativi stressano simultaneamente gli USA e la Germania, acuendo il clash tra le due potenze; mentre la "globalizzazione" si inceppa e minaccia la resa dei conti coi paesi mercantilisti: id est. l'eurozona germanizzata più di tutti;
- di come l'eurozona, di fronte al problema della deflazione e dell'effettiva alta disoccupazione strutturale (includente la crescente platea dei working poors), abbia i comandi bloccati, perché il pilota - Banca centrale -, dispone di un apparecchio che, ormai, può funzionare solo in una direzione: deflazionista;
- di come questo meccanismo unidirezionale sia, in realtà, il frutto di una lunga ingegneria sociale di stampo "liberale", che voleva esattamente questo risultato, schiacciando la classe media (cioè chi vive esclusivamente di lavoro), per spingerla a cooperare nello smantellamento del welfare che ne accelera l'impoverimento.

3, Come si vede, non mancano gli elementi critici, che congiurano a restringere le prospettive in direzione di "giorni tempestosi".
Per chiarire lo scenario, tuttavia, appare logico indagare sul quadro della globalizzazione, che è anche un percorso verso la "mondializzazione", del governo dell'economia (appunto un'organizzazione politica federativa mondiale): che è poi il governo tout-court..."dei mercati", escludente l'azione politico-economica degli Stati democratici. 
E questa valutazione è in realtà la realizzazione di una teoria politica che ha effettuato una lunga marcia, coronata da successo, poiché, come sottolineava Hayek, con 2 icastiche definizioni del paradigma neo-liberale internazionalizzato: 
1) Hayek pensa ad una federazione di Stati, e la cosa davvero interessante è la sua discussione, come dice appunto il titolo, delle conseguenze economiche di una tale federazione. Con logica stringente, Hayek dimostra che una federazione fra Stati realmente diversi porta necessariamente all'impossibilità di un intervento statale nell'economia, e quindi alla vittoria di politiche economiche liberiste (il che ovviamente dal suo punto di vista è un bene). Infatti una federazione per essere stabile ha bisogno di un sistema economico comune e condiviso, e quindi della libera circolazione di merci e capitali, e questo porterà ovviamente a una perdita di controllo dei singoli Stati sulle loro economieSi potrebbe allora pensare che il controllo statale si sposti al livello federale. Il nuovo super-stato federale si riprenderebbe quei poteri di controllo sull'economia che i singoli Stati avranno perso. Hayek risponde di no. Perché l'intervento statale sull'economia presuppone la capacità di mediare fra interessi contrapposti, di accettare compromessi ragionevoli, che non ci sono, o sono più difficili, fra popoli di Stati diversi:
"in una federazione di stati nazionali la diversità di interessi è maggiore di quella presente all'interno di un singolo stato, e allo stesso tempo è più debole il sentimento di appartenenza a un'identità in nome della quale superare i conflitti stessi (…). Un'omogeneità strutturale, derivante da dimensioni limitate e tradizioni comuni, permette interventi sulla vita sociale ed economica che non risulterebbero accettabili nel quadro di unità politiche più ampie e per questo meno omogenee" (“The Economic Conditions of Interstate Federalism”, 1939, pagg.121-122)";


2) «Il controllo economico non è il semplice controllo di un settore della vita umana che possa essere separato dal restoè il controllo dei mezzi per tutti i nostri fini. E chiunque abbia il controllo dei mezzi deve anche determinare quali fini debbano essere alimentati, quali valori vadano stimati […] in breve, ciò che gli uomini debbano credere e ciò per cui debbano affannarsi».(F. von Hayek da "Verso la schiavitù", 1944).


3.1. Dato che questo scenario manifesta un'evoluzione, continua ma coerente, - e, al tempo stesso, segnala l'attuale e crescente difficoltà a raggiungere la liberale "terra promessa" che, (in realtà maliziosamente), viene promessa agli ingenui delle masse che "credono e si affannano" -, nella nostra analisi del futuro imminente che condizionerà il destino italiano, prenderemo le mosse dall'evoluzione sociale ed economica che si profila nel principale "player" del paradigma mondial-globalista: gli Stati Uniti d'America.
(alla Japanification irlandesizzata ci arriveremo...)

(1- segue)

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