lunedì 4 dicembre 2017

LO SCONTENTO PER DISOCCUPAZION€ E CREAZION€ DI WORKING POORS E' UNA MINACCIA PER LA "DEMOCRAZIA"?


http://www.laweb.tv/laweb09/images/stories/fotostandard/rovistare-cassonetto.jpg

Risulta estremamente interessante, per capire quella che viene definita la "posta in gioco" delle prossime elezioni, questo articolo di Fabbrini sul Sole24 ore:
"La minaccia principale alla democrazia italiana, oggi, proviene dal suo interno e non dall’esterno. Consiste nello svuotamento delle sue istituzioni rappresentative e nella marginalizzazione del suo ruolo europeo. Quando l’idea che i cittadini debbono essere governati “da qualcuno come loro” ha vinto, come nel Regno Unito e negli Stati Uniti, gli esiti sono stati la Brexit e Donald Trump. L’Italia ha bisogno di un dibattito pubblico meno superficiale. Occorre andare a vedere la vera posta in gioco delle elezioni della prossima primavera. Quella posta in gioco concerne il nostro ruolo in Europa. Un ruolo che verrà deciso dall’esito dello scontro tra europeismo e anti-europeismo.
Ciò che lo caratterizza l’anti-europeismo è l’idea di ritornare a casa, alla sovranità dello Stato nazionale. Se quell’idea vincesse, avremmo la definitiva provincializzazione del nostro Paese. Ci rinchiuderemmo sulle nostre debolezze storiche e strutturali. Siccome gli anti-europeisti non saprebbero come affrontarle, allora dovremmo assistere alla litania dei complotti orditi contro di noi per impedirci di governare (una tecnica nota non solo in Venezuela ma anche al Comune di Roma)".
2. Il nocciolo duro di pensiero che dà origine a questa impostazione è ben noto, così come il suo peculiare concetto di democrazia (che risale ad Hayek e al suo federalismo interstatale) e può riassumersi in queste parole di Einaudi, pronunciate da Presidente della Repubblica, al tempo della ratifica della CED il 1° marzo 1954:
Nella vita delle nazioni di solito l’errore di non saper cogliere l’attimo fuggente è irreparabile. La necessità di unificare l’Europa è evidente. Gli stati esistenti sono polvere senza sostanza.
...Esisterà ancora un territorio italiano; non più una nazione, destinata a vivere come unità spirituale e morale solo a patto di rinunciare a una assurda indipendenza militare ed economica”.

3. Diviene dunque senso comune (almeno in certi ambienti mediatici) un concetto di democrazia per cui, per implicito (considerata un'azione dello Stato che agisca sulla cause e non sugli effetti del modello economico imposto dall'appartenenza all'unione monetaria)...la democrazia costituzionale, attributiva della sovranità al popolo sulla base del suo espresso fondamento lavoristico, costituirebbe una minaccia per la...democrazia
E poiché la radice di questo apparente paradosso è nel pensiero fondativo di Einaudi, rammentiamo quale fosse il suo concetto del ruolo e dei limiti dei parlamenti nazionali eletti in base al suffragio universale, continuamente enunciato nelle sue "Prediche inutili" (titolo che si è rivelato alquanto ironico, visto l'enorme successo delle "prediche" in vita e successivo alla morte di Einaudi); in pratica tale compito può essere solo quello di promuovere il federalismo europeo, la stabilità monetaria e, dunque, l'ordine internazionale del mercato. Qualsiasi mediazione o scostamento da tali obiettivi è automaticamente "collettivismo":
"O il mercato comune sarà liberista o correrà rischio di cadere nel collettivismo (p. 208):
Nel mercato comune... o si fa strada lo spirito del liberismo ed avremo allora un’Europa felice, progressiva e forte, o tentiamo di accoppiare artificiosamente sistemi diversi ed avremo perduta la grande occasione di una integrazione autentica. Una Europa dirigisticamente manipolata dovrebbe, per sistema, lasciar paralizzare le forze di resistenza contro lo spirito del collettivismo e del dominio delle masse, e illanguidire il senso di quel prezioso bene che è la libertà.
La politica di armonizzare, uguagliare, compensare è (p. 208):
quanto mai pericolosa... Lo sviluppo tendenzialmente inflazionistico in alcuni paesi (con rigidi corsi dei cambi!) è da riferire, non da ultimo, anche alla concessione di prestazioni sociali superiori alle possibilità di rendimento dell’economia nazionale. Poiché nel campo politico un adeguamento nelle prestazioni sociali non può avvenire mai verso il basso [che pessimismo ingiustificato!], ma solamente verso l’alto, ne deriva la conseguenza che anche quelle economie nazionali le quali avevano potuto finora conservare un ordine equilibrato, o vengono spinte per forza, a loro volta, su quella via rovinosa, o devono scontare la colpa altrui sotto la forma dell’applicazione di clausole protezionistiche da parte dei loro contraenti.”
 
"La discriminazione per assistere i più sfortunati non sembrava vera discriminazione. (Recentemente si è coniato il termine senza senso di "meno privilegiati" per mascherare tale discriminazione.) Per mettere in una posizione materiale più eguale gente inevitabilmente molto diversa nelle condizioni dalle quali in gran parte dipende il loro successo nella vita, è necessario trattarle in modo ineguale.
Tuttavia, rompere il principio di eguale trattamento sotto l'impero della legge anche per motivi caritatevoli, aprì inevitabilmente le porte all'arbitrio, e per mascherarlo ci si affidò alla formula "giustizia sociale"; nessuno sa precisamente a cosa si riferisca tale termine, ma proprio perciò servì da bacchetta magina per spezzare tutte le barriere, in favore di misure parziali. Dispensare gratifiche a spese di qualcun altro che non può essere identificato facilmente, divenne il modo più facile per comperare l'appoggio della maggioranza
Tuttavia, un governo o un Parlamento che diventi un'istituzione benefica si espone inevitabilmente al ricatto
Spesso non è più un "compenso" ma diventa esclusivamente una "necessità politica" determinare quali gruppi devono essere favoriti a spese di tutti.
Questa corruzione legalizzata non è colpa dei politici; essi non possono evitarla se vogliono guadagnare posizioni in cui poter fare qualcosa di buono; diventa una caratteristica intrinseca di ogni sistema in cui l'appoggio della maggioranza autorizza misure speciali per soddisfare particolari malcontenti."
(Hayek, Legge, legislazione e libertà, EST (Il Saggiatore), Milano, 2000, pag. 477).

5. Ma, a loro volta, in fatto di concezione della democrazia e del ruolo dei parlamenti nazionali elettivi, questo pensiero forte ha un chiaro antecedente negli ottocenteschi "critici liberali" di Hegel come ci rammenta questo commento di Arturo del 14 settembre scorso:
"Su questo argomento mi pare molto utile ricordare il dibattito fra i liberali tedeschi dell’Ottocento e il papà di tutti gli statalismiautoritarismi: Hegel.
Se l’autore della Filosofia del diritto, pur insistendo sul momento statale o pubblico della soluzione della questione sociale, dinanzi all'implacabilità della crisi di sovrapproduzione e all'inanità dei suoi “rimedi”, consiglia almeno di lasciar libero l’accattonaggio (§ 245 A), ben diverso è l’atteggiamento dei suoi critici liberali.
Per prevenire “già nella sua fonte” ogni attacco al diritto di proprietà, bisognava rinchiudere gli accattoni, e tutti coloro che fossero sprovvisti di mezzi di sussistenza, in “case di lavoro obbligatorio”, e rinchiuderli a tempo indeterminato, sottoponendoli ad una disciplina dura, anzi spietata.
Da notare che questa misura di internamento poteva esser presa dalla magistratura, oppure poteva tranquillamente trattarsi di una “misura autonoma da parte delle autorità di polizia”. 

Non solo l’atteggiamento di Hegel è meno “autoritario” e più rispettoso della libertà individuale che non quello dei suoi critici liberali, ma è da aggiungere che la repressione da questi ultimi invocata a danno di accattoni e disoccupati non viene sentita in contraddizione con la sottolineatura da loro operata dei limiti dell’azione dello Stato: proprio perché lo Stato non ha alcun compito attivo di intervento nella soluzione di una presunta questione sociale, proprio perché ogni individuo è da considerare responsabile esclusivo della propria sorte, è logico che lo Stato respinga “già nella sua fonte” la violenza che contro il diritto di proprietà può essere esercitata da individui oziosi e dissoluti, costituzionalmente incapaci di un lavoro e di una vita ordinata[nota 12]. 
La repressione poliziesca è la conseguenza dello “Stato minimo” e della celebrazione della centralità del ruolo dell’individuo.”. (D. Losurdo, Hegel e la libertà dei moderni, La scuola di Pitagora editrice, Napoli, 2012, pagg. 186-7).
(In nota 12 sono riportati i riferimenti al liberale Staats-Lexikon, diretto da C. v. Rotteck e C. Welcker).
Sarà un caso se negli USA la polizia sembra un esercito di occupazione?"


Fig.1 Percentuali di individui a rischio di povertà nell’Unione Europea, e nei paesi dell’area Euro - 2015 
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Fig.2 Dinamica delle percentuali di popolazione a rischio di povertà nell’area Euro e in alcuni dei paesi 2007 - 2015
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https://libraryeuroparl.files.wordpress.com/2016/03/figure-7-e28093-in-work-at-risk-of-poverty-rate-of-employed-persons-18-years-or-over-2008-eu-27.png

visti tutti questi eloquenti dati degli effetti del federalismo europeo, liberista e anti-collettivista, e quindi antisovrano, dovremmo ragionevolmente aspettarci che la "vera" democrazia, da difendere col più €uropa, si sviluppi, per sua Legge naturale, nella esigenza di rinchiudere gli accattoni, e tutti coloro che fossero sprovvisti di mezzi di sussistenza, in “case di lavoro obbligatorio”, e rinchiuderli a tempo indeterminato, sottoponendoli ad una disciplina dura, anzi spietata".

7. Naturalmente, nelle evoluzioni culturali attuali, tutto questo assumerebbe qualche forma attualizzata o più o meno nascosta e tollerata...(accattoni e working poors si chiamano, oggi, "poeticamente", gli invisibili). 
Il lavoro, si sa, è ormai un privilegio, anche se, per quello "obbligatorio" si stanno attrezzando (come ben sappiamo; e questo per non parlare degli "ammassi" di immigrati in tutta €uropa, trattandosi di potenziale manodopera in attesa di assolvere al suo compito di rideterminazione verso il basso dei livelli salariali per tutti i "perdenti" della globalizzazione; v. qui, la spiegazione di Chang, su questa scelta essenzialmente "politica", p.8). 

8. O forse queste forme saranno rese ancora più prossime alla concezione originaria, data la propensione allo "stato di eccezione", regressiva verso il capitalismo ottocentesco; dipende da quanti saranno gli "accattoni e coloro che sono sprovvisti di mezzi di sussistenza" all'indomani della prossima recessione da crisi finanziaria, gestita mediante politiche di austerità fiscale ("espansiva") a tutela dei creditori-proprietari (di tutto). 
Anche perché la "difesa della proprietà privata", sempre più concentrata nella titolarità, conduce alla criminalizzazione sistematica della forza lavoro, disoccupata e colpevolizzata in quanto tale; situazione che viene "risolta" anzitutto con le varie condizionalità legate ai "redditi di cittadinanza" e, in ogni modo, attraverso la crescente, e conveniente, imposizione del lavoro forzato ai detenuti-disoccupati.

40 commenti:

  1. “visti tutti questi eloquenti dati degli effetti del federalismo europeo, liberista e anti-collettivista, e quindi antisovrano, dovremmo ragionevolmente aspettarci che la "vera" democrazia, da difendere col più €uropa, si sviluppi, per sua Legge naturale, nella esigenza di rinchiudere gli accattoni, e tutti coloro che fossero sprovvisti di mezzi di sussistenza, in “case di lavoro obbligatorio”, e rinchiuderli a tempo indeterminato, sottoponendoli ad una disciplina dura, anzi spietata".

    Non so che dire…. si “spera” in questo?... anche se la speranza forse è una parola grossa?…. Non so:

    In secondo luogo perché tutto il "fronte" neo-lib, nel suo complesso, sarà sempre fortemente restio ad adottare misure che, quale che ne sia lo scopo ultimo (quello accortamente indicato da Hayek), costituirebbero un inusitato "precedente" di espansione della spesa pubblica sociale.

    Tale è il timore che si tratterebbe di un "cedimento" troppo grave, che esiterebbero ad adottarlo, di fronte al dilagare del disordine sociale, fino a quando non si riveli una misura tardiva.

    E tardiva significherebbe che prima di decidersi ad arrivarci lascerebbero, molto probabilmente, il campo, in prima battuta, alla prediletta repressione militar-poliziesca e ne farebbero un "meme" mediatico di "moralizzazione".

    Il che porrebbe ESSI, nella più probabile delle ipotesi, di fronte al concreto rischio dell'effetto pretoriani e, contemporaneamente, a fare poi concessioni proprio quando ciò si rivelerebbe effettivamente un segnale di cedimento pericoloso.

    Pensa solo a questo: sarebbero costretti a sostenere mediaticamente quelle idee che, oggi, al massimo del controllo mediatico-culturale, vengono attribuite alla sinistra antagonista (di certo non del capitale) e al populismo.

    E gli influencers avrebbero per ciò solo perso gran parte della loro credibilità (venendo costretti a prediligere, anche per personale interesse all'autopreservazione, la neo-etica delle repressione manu militari).

    Ne vedremo delle belle (molto brutte, purtroppo).

    http://orizzonte48.blogspot.com/2017/11/la-fed-valida-orizzonte48con-4-anni-di.html?showComment=1511033780758#c3121008424628701705

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    1. Quella paradossale "speranza" era legata al presupposto che NON faranno il reddito di cittadinanza, con monetizzazione (questa era sostanzialmente l'ipotesi di lavoro attribuita alla Fed) se non DOPO la prossima crisi da bolla finanziaria (stavolta veramente colossale) e dopo aver scatenato polizie con blindati, droni, arresti in massa e quant'altro.

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    2. “se non DOPO la prossima crisi da bolla finanziaria (stavolta veramente colossale) e dopo aver scatenato polizie con blindati, droni, arresti in massa e quant'altro.”

      Ma impareranno mai?.... chiedo:

      Una lezione per i seguaci delle teorie neo-classiche dell'equilibrio marshalliano? Niente affatto.
      Hoover, presidente fino al 1932 e primo "gestore" della Grande Recessione, riteneva che una politica fiscale espansiva fosse da evitare per quanto possibile.
      Nel dicembre 1931 indirizza alla Nazione questo messaggio, le cui parole rieccheggiano "stranamente" (e, se volete, clamorosamente) le identiche frasi e formule utilizzate, poi, dai tecnocrati e dai governanti €uropei negli attuali frangenti di crisi economica dell'area euro:
      "Il nostro primo passo verso la ripresa è di ristabilire la fiducia e ripristinare così il flusso del credito che è la base della nostra vita economica.

      Il primo requisito della fiducia e della ripresa economica è la stabilità finanziaria del governo degli Stati Uniti.
      Anche con un'accresciuta tassazione, lo Stato non oltrepasserà il limite assoluto di sicurezza della sua capacità di indebitarsi, nei limiti della spesa per la quale avviamo già preso impegno...Andare oltre questi limiti...distruggerà la fiducia, depriverà il commercio e l'industria, metterà in pericolo il sistema finanziario, e, in effetti, amplierà la disoccupazione e la depressione dell'agricoltura piuttosto che attenuarla."

      3. Anche dopo l'arrivo di Roosevelt e il concepimento in varie - e, per il vero, notoriamente ondivaghe-, forme di intervento pubblico, la resistenza degli economisti e dei politici "neo-classici" al deficit spending non fu mai veramente abbandonata, tanto che solo i bruti risultati, fallimentari, dei vari tentativi di ristabilire un bilancio dello Stato in (almeno tendenziale) pareggio - appunto come in un famiglia- condussero al livello di pubblico intervento accresciuto che, lentamente, risolse la situazione e proprio con il verificarsi della massiccia spesa pubblica legata alla seconda guerra mondiale.
      In tale direzione riportiamo un'eloquente opinione di Schumpeter, che esprime una convinzione tanto dura a morire da rimanere intatta, in tutta la sua potenzialità, nello stesso dopoguerra (laddove il deficit, come si vede dai grafici soprastanti, scomparve per alcuni anni dell'immediato post conflitto, ma, in verità, per la diminuzione improvvisa dell'economia di sovraproduzione "bellica", ovviamente finanziata dalla spesa pubblica).
      Ecco il lapidario pensiero di Schumpeter, che riporta come vi fosse un pregiudizio avverso "le politiche di stimolo fiscale come rimedio alla recessione, in quanto in sè, erano atte a produrre problemi aggiuntivi nel futuro...
      Ciò in quanto le Depressioni non sono semplicemente dei "mali", che dovremmo tentare di sopprimere, ma...forme di qualcosa che si rende necessario ("which has to be done"), cioè degli aggiustamenti al cambiamento...e la maggior parte di ciò che sarebbe efficace nel porre rimedio ad una depressione, sarebbe egualmente efficace nell'impedire tali (benefici) aggiustamenti".

      http://orizzonte48.blogspot.com/2015/03/la-crisi-come-sano-aggiustamento-al.html?spref=tw

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  2. « bisognava rinchiudere gli accattoni, e tutti coloro che fossero sprovvisti di mezzi di sussistenza, in “case di lavoro obbligatorio”, e rinchiuderli a tempo indeterminato »

    D'altronde, non è un caso che storicamente i Lager siano stati concepiti dai liberali per eccellenza al fine di rinchiudere i riottosi Boeri quasi mezzo secolo prima dei nazisti.

    Mi fanno sorridere coloro che si stupiscono di come possano i liberali produrre misure così "illiberali" (e, aggiungo, avere così un gran consenso!)

    Consenso che la sinistra liberale (liberale per sua stessa ammissione), che si spaccia per difendere moralisticamente "i più deboli", perde mano a mano... che produce la riforme strutturali volute dal pensiero liberale.

    Ma pensa.

    Ora: che il senso democratico, inteso come visione di etica sociale (chiamiamola anche Weltanschauung) istituzionalizzante il senso di Giustizia, così come percepito dalla stragrande maggioranza delle persone, sia racchiuso nel paradigma "socialista", questo è ammesso da un inorridito Einaudi stesso. (Citazione sempre riportata da Arturo).

    Perché conosceva la "materia".

    Il sovvertimento totale della coscienza, ora, avviene proprio per la concezione borghese-ottocentesca che identifica civiltà == liberalismo == democrazia. (Di conseguenza democrazia == stalinismo == gulag/PolPot/contadeimorti, e via, insieme, come le star, a bere del whisky al Roxy bar... dello sport)

    Da qui l'inversione dell'ennesima delirante contraddizione logica a mezzo stampa.

    L'anticomunismo è un problema: il mito del Babau comunista è un problema mortale.

    Ed è un problema di ordine epistemologico, quindi una gabbia (frame) per la coscienza assolutamente esiziale, annichilente qualsiasi saldatura che porti coscienza alla classe lavoratrice che coincide numericamente con la stragrande maggioranza dell'umanità.

    I liberali (colti) questa cosa la sanno. I metafascisti, no.

    Se i "progressisti" ideologici sono sempre stati per motivi numerici il problema politico attuale, pian piano lo stanno diventando i "conservatori" ideologici. (Quel gruppo sociologico che oscilla tra la nostalgia dell'ordine autoritario e il tradizionalismo più o meno mistico).

    (Si rimarca che le categorie "progressismo" e "conservatorismo" non hanno nulla a che fare con la formale disposizione dei seggi in Parlamento, ma propriamente alla cosciente volontà di rimuovere o meno le classi sociali che limitando per nascita la libertà e l'eguaglianza di fatto dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese)

    Il problema è, da qualsiasi lato la si guardi, l'ideologia: nel momento in cui non si ha coscienza, quindi non si ha un'identità che non sia altro che la falsa proiezione del Sé, si accetta l'identità per appartenenza, regolarmente usata dai pastori per mandare gli acritici al macello, mentre ovinamente belano, livorosi, da una parte all'altra del recinto.

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    1. In realtà, a voler riconoscere in pieno i meriti dell'Impero inglese nel combattere gli effetti fastidiosi di accattoni e disoccupazione strutturalmente inassorbibile, i campi di concentramento furono sperimentati già circa un secolo prima della vicenda dei Boeri.

      In particolare in India, ed a causa della manodopera agricola in eccedenza derivante dall'imposizione della monocultura dell'oppio, (con la Compagnia delle Indie come unico acquirente della produzione a prezzi opportunamente prefissati).

      Lo racconta, con dovizia di particolari (documentati), il libro di Amitav Gosh, citato qui
      http://orizzonte48.blogspot.it/2016/01/colonialismo-e-cooperazione-delle.html

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    2. Ma come coi prezzi "prefissati"? E la libera concorrenza? Il libero mercato?

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    3. Il libero mercato lo invocavano quando, successivamente, gli acquirenti del prodotto acquistato (in apposite aste) dalla Compagnia delle Indie, lo esportavano in Cina: naturalmente contro la "pretesa" dello Stato cinese di applicare norme restrittive sul prodotto, a tutela della salute dei cittadini cinesi, simmetriche a quelle (di divieto) adottate in Inghilterra.

      L'imperatore che invocava questa reciprocità fu tacciato di essere un "tiranno" e i trafficanti invocarono (e ottennero) l'intervento delle cannoniere...

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    4. Sul fronte interno ricorderei l'istituzione delle 'workhouses' nel 1834, descritte con dovizia di particolari da Dickens in Oliver Twist, ad esempio. Qui le famiglie venivano separate, lo sfruttamento della manodopera accentuato e giustificato dalle dichiarate finalità filantropiche , l'individuo colpevolizzato per l'accidia simultaneamente morale ed economica. La falsa coscienza qui assumeva le forme del Metodismo , ma, attualizzando, i gironi infernali dei mini-job e del circuito delle leggi Hartz non mi sembrano così diversi. Insegnando inglese, dico ai ragazzi:leggete bene Dickens, e la realtà odierna non vi sembrerà così distante (purtroppo).

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    5. E Dickens parlava per esperienza personale

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  3. Nihil sub sole novum.

    Passeggiando per il centro di Roma (es. San Sisto, San Giovanni in Laterano, San Michele a Ripa) è facile capire dall'elevato numero di edifici storici (che furono nei secoli adibiti ad ospizio) che il problema dei poveri in città fu già affrontato innumerevoli volte, ed altrettante innumerevoli volte fu 'risolto' nella maniera che oggi temiamo, la reclusione.

    Gregorio XIII (nel 1581) e Sisto V (nel 1587) *** - per esempio - vietarono l'accattonaggio e l'elemosina per le vie di Roma (ed i trasgressori venivano reclusi).

    Lo stesso Innocenzo XII, che ancora oggi viene ricordato con devozione da molte targhe e monumenti nella cittadina balneare di Anzio, ribadì inizialmente il divieto dei predecessori di accattonaggio ed elemosina in città.

    Tuttavia in seguito si convinse che fosse meglio smetterla con la reclusione e trasformò l'ospizio da lui voluto da luogo di reclusione coatta a luogo di ricovero per orfani ed anziani.

    I primi successori di Innocenzo XII ampliarono poi il programma per la creazione di una rete di 'ospizi apostolici' in tutto lo Stato della Chiesa (i.e. assistenza pubblica controllata dallo stato).

    Quindi anche il regno più antico del pianeta conobbe dei periodi 'socialisti', in cui derogò in parte al principio stretto di sussidiarietà...

    (*** Notizie riportate a pag. 92 di "Difesa sociale: povertà, assistenza e controllo in Italia: XVI-XX secolo", di Augusto Ciuffetti)

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  4. Non so se Bazaar si riferisce a questo commento… (ho pensato a questo.. nel caso mi puoi correggere)

    Arturo18 giugno 2016 14:41

    Vorrei proporre quella che mi sembra un'esemplificazione di quanto osservava Bazaar nei commenti di cui sopra, raccordando le sparate moralistiche antikeynesiane di Einaudi riportate da Francesco e questa lettera del medesimo dell'8 novembre 1943 indirizzata a Rossi, in cui gli segnalava la presenza a Ginevra di Roepke (riportata in R. Faucci, Einaudi, UTET, Torino, 1986, pagg. 320-21), che a me pare chiarisca il senso delle citazioni di Francesco. Scrive Einaudi:

    "[Egli] non si occupa in modo specifico del problema della federazione, ma con [lui] vale la pena di discutere. Io l’ho in gran stima 1) perché sa l’economia; 2) perché, capendola, non è puro economista, e non pretende di risolvere i problemi col solo punto di vista economico, come fanno Keynes, tutta la banda dei cambridgiani ed i neo-comunisti anglosassoni appartenenti alla stessa scuola, i quali credono, avendo quasi tutti, credo, dai 16 ai 28 anni, e quelli che ne hanno di più, hanno letto solo libri, che sul serio agli uomini viventi in un regime comunistico effettivo sia lasciata libertà di consumo, di residenza e di lavoro; 3) perché, ma questa è una ragione non necessaria e dipende dalle prime due, sono quasi in tutto d’accordo con lui nelle soluzioni."

    (Prosegue poi Faucci: “La bordata un po’ gratuita contro Keynes e i keynesiani rispecchiava una convinzione comune a Einaudi e Roepke: che il keynesismo non fosse che socialismo mascherato. Nella citata lettera del 12 novembre 1943, Roepke aveva espresso la propria inquietudine per il fatto che l’« Economie Journal » diretto da Keynes fosse « infetto di socialismo da cima a fondo».”).

    Quindi, siccome risolvendo problemi economici con "la pura economia" si finirebbe nel “socialismo” (ovvero si altererebbe ”lo status quo per quanto riguarda l'assetto economico e proprietario”), le depressioni vanno risolte con la "morale". Insomma, penitenziagite che l'oligarchia ringrazia. Un po' credo l'avessimo capito. ;-)

    http://orizzonte48.blogspot.com/2016/06/riflessioni-varie-sul-calcolo-di-essi-1.html?showComment=1466253665332#c8362270382318264533

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    1. Grazie mille Luca, scrivendo che Einaudi "conosceva la materia" mi riferivo proprio a questo contributo di Arturo, fondamentale anche per ricordare che per i liberali Keynes era un socialista che aveva compreso come, in quel contesto geostorico, le politiche di sinistra si sarebbero fatte meglio da destra mentre, non era di Arturo ma di Francesco questo contributo, che specifica che la coscienza socialista e democratica corrisponde(va) al comune senso di giustizia della maggioranza degli italiani:

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    2. « “… Non intendo qui parlare di nessuna delle parti politiche italiane; ché tutte, al par di quanto accade dappertutto altrove, hanno due anime, una liberale e l’altra socialista [no, di "fascisti", "nazionalisti cattolici", "tradizionalisti" o altre amenità politologiche da bar dello Sport, chi conosce le scienze sociali non ne parla, ndB] … Le due parole indicano uno stato d’animo… [Vabbè, don Luigino, conoscendo l'economia ne comprendeva la fondazione morale... ndB]

      Nell’italiano medio prevale l’animo socialista. Egli ama l’uguaglianza nelle situazioni economiche e sociali; vorrebbe che tutti vivessero ad un livello non troppo diverso l’uno dall’altro; perciò vuole innalzare il povero, il diseredato, il lavoratore; non desidera correre rischi e vuole la sicurezza del posto, la sicurezza , la certezza del lavoro, la carriera ordinata volta verso l’alto; è persuaso che il progresso scientifico, le scoperte tecniche siano arra di elevazione per tutti gli uomini
      [e sì,
      i modernisti à la Soros amano il progresso scientifico ma non quello sociale, ndB]…Poiché l’uguaglianza e il bene comune non nascono spontaneamente nella società moderna, l’italiano socialista vuole che qualcuno provveda [Lo stato keynesiano interventista!, ndB]L’uomo socialista, il quale sa la verità sociale ed economica, non solo è e deve essere «provvisoriamente» totalitario ed intollerante [stalinismo/PolPot/contadeimorti, ndB]; ma è anche evangelizzatore. Chi sa la verità, la deve insegnare altrui. E’ suo dovere togliere dagli occhi degli ignari il velo che nasconde la verità… [notare la proiezione del nostro evangelizzatore e moralizzatore preferito, ndB]

      Coloro che non appartengono alla categoria dei tromboni da comizio e vanno oltre l’elenco ordinario dei luoghi comuni, parlano di nazionalizzazioni, di imposte progressive, di abolizioni delle eccessive disuguaglianze dei redditi, di sicurezza ed assistenza sociale, di politica qualitativa del credito, di investimenti “massicci” da parte dello stato, di controllo della attività privata, di direttive alla iniziativa privata per la consecuzione di fini pubblici, di concorsi dello stato al promovimento ed alla tutela della agricoltura in generale e di quelle industrie in particolare, le quali risultano più vantaggiose alla massima occupazione.

      La strada socialista
      [che, come si nota, coincide col dettato costituzionale volto alla realizzazione effettiva della democrazia, ndB] conduce tuttavia inavvertitamente ad un intervento sempre maggiore dello stato nelle cose economiche ed all’incremento della proporzione degli uomini dipendenti dallo stato, dai corpi pubblici territoriali [i forestali!, grazie Luigino per la paternità della distruzione dei parchi naturali di quest'estate!, ndB] e degli enti pubblici, oggi detti parastatali. Cresce il numero di coloro che dallo stato sono istruiti ed educati e sussidiati nell’età dell’infanzia e della giovinezza e ricevono sussidi e pensioni nell’età della vecchiaia. GLI ITALIANI, che non amano più od amano sempre meno il rischio e l’incertezza e desiderano sovratutto continuità nel lavoro e sicurezza nella vecchiaia, nelle malattie, negli infortuni e chiedono allo stato l’esaudimento delle loro aspirazioni, SONO, ANCHE SE NON LO SANNO, SOCIALISTI...” »
      [L. EINAUDI, Gli italiani sono per lo più socialisti e non lo sanno, Corriere della Sera del 2 marzo 1961]

      Capito, cari metafascisti perché von Mises e tutti i liberali ortodossi sostennero il fascismo?



      (No...)


      (Troppo impegnati nella comunistologia da contrapporre alla fascistologia... quell'altra scienza "di sinistra" che permette, stando con Arturo, di « riconoscere un fascista da come parcheggia la macchina »)

      (Beeeh, Beeeeh, Beeeeh...)

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    3. Bè certo quando su twitter qualche giorno fa(ora non ricordo quando) ho postato questo:

      ADDENDUM: ci pare giusto, per completezza di fonti direttamente attestanti l'analisi riportata nel post, questa citazione compiuta da Bazaar nei commenti:
      "...riproduco qui, per ordine, il passo di Ludwig von Mises recentemente riportato:

      «Non si può negare che fascismo e movimenti simili, finalizzati ad imporre delle dittature, siano pieni delle migliori intenzioni e che il loro intervento abbia, per il momento, salvato la civiltà europea. Il merito che il fascismo ha così ottenuto per sé, continuerà a vivere in eterno nella storia. Ma se la sua politica ha portato la salvezza, per il momento, non è della specie che potrebbe promettere di continuare ad avere successo. Il fascismo è stato un ripiego d'emergenza. Vederlo come qualcosa di più sarebbe un errore fatale.»

      Mises maestro di Hayek (e anche consulente sull'euro ante-litteram del fondatore di Paneuropa) ammette, di fatto, che il totalitarismo nasce come risposta del liberalismo classico alle rivendicazioni socialiste e democratiche.

      http://orizzonte48.blogspot.com/2016/07/antifascismo-su-marte-e-liberismo.html?spref=tw

      La risposta è stata: “Mises, chi? Il padre del liberismo? Ma per piacere.”

      Vabbè… bisogna veramente prendere twitter per quello che è.

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    4. Sì, appunto. L'ignoranza proterva alberga sui social (e ci si premura di nutrirla col controllo accademico-mediatico) ed è la madre sempre incinta delle vere fake news

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    5. ma poi voglio dire... il tipo non ha letto neanche il post.... ma lasciamo perdere dai

      come mi diceva oggi una cara amica…. L’importante che i tweets vengano letti da altri

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    6. E’ una strategia, non c’è alcun dubbio: basta vedere la quantità di giornalisti arruolati su entrambi i “fronti”.

      Personalmente, trovo la strumentalizzazione delle tragedie del passato per nascondere quelle del presente una delle manipolazioni più ripugnanti.

      Particolarmente surreale l’”antifascismo” antidemocratico.

      Guardavo qualche settimana fa la puntata di Piazzapulita sul presunto ritorno del pericolo fascista; come “prove” venivano fra l’altro esibite interviste a un tale che negava le camere a gas e un altro che ce l’aveva con gli ebrei.
      Gente qualsiasi, che non conta niente, ma, “si sa” (?), il fascismo cova nei pregiudizi del popolaccio.

      O no?

      Nonostante la massiccia ed osannante preparazione della stampa e l’azione diretta del PNF, i provvedimenti antisemiti non suscitarono nella maggioranza degli italiani alcuna simpatia. Si può anzi dire che, nonostante le gocce di veleno antisemita sparso negli anni precedenti, proprio in occasione del lancio della campagna della razza la propaganda fascista fallì per la prima volta la prova e per la prima volta grandi masse di italiani, che sino a quel momento erano state fasciste, o, se si vuole, mussoliniane, ma non certo antifasciste, incominciarono a guardare con occhi diversi il fascismo e lo stesso Mussolini.
      Se al vertice, come si è visto, molti aderirono alla campagna contro gli ebrei per viltà o per opportunismo, il numero di questi figuri diminuiva a mano mano che si scendeva nella scala sociale e in quella delle responsabilità politiche e amministrative.
      ” (R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, Torino, 1993, pagg. 309-10).

      Ma allora l’antisemitismo fascista non fu il parto dell’orrenda populace sfuggita alla saggia guida delle élite? Pare di no.

      L’entrata in vigore della legislazione antisemita non fece cessare gli attacchi agli ebrei e all’ebraismo. Il fallimento dell’azione di preparazione psicologica che aveva accompagnato l’inizio dell’ultima fase della campagna antisemita nel 1938, la necessità di tener vivo il problema e di combattere lo stato d’animo prevalente nell’opinione pubblica, la facilità scoppiata la guerra, di trovare nella polemica antiebraica un diversivo ad altri problemi che più direttamente toccavano tutti gli italiani e, dopo i primi scacchi militari, di riversare sugli ebrei la responsabilità di essi e della stessa guerra, e – infine – il servilismo della stragrande maggioranza dei giornalisti e pubblicisti che avevano trovato nell'antisemitismo una materia facile e praticamente inesauribile, tutti questi motivi fecero sì che dal 1939 al 1943 la propaganda antisemita non avesse mai fine.” (Ibid., pag. 379)

      Capito? Quindi il razzismo di Stato fu strumento di un potere autocratico ben deciso a non rispondere dei disastri che provocava, con tutto il corteo di pennivendoli al seguito; niente a che vedere con l’oggi, insomma, in cui i cittadini possono esercitare un controllo sicuro sul potere, sempre sottoposto al serverissimo scrutinio di giornalisti dall’eroica indipendenza e immacolato ethos democratico.

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    7. Francamente, al di là delle dinamiche del movimentismo intorno alla galassia "sovranista", il riscontro di terzi non mi fa né caldo né freddo: il punto dirimente è la "dialettica nei centri di irradiazione" dell'informazione democratica (cosciente o meno).

      Innanzitutto, ciò che si legge su Orizzonte48, per il valore della documentazione e per l'analisi filologica che ne viene fatta, non ha pari: e non solo a favore e a supporto del dibattito portato avanti dal movimento di pensiero che è nato evidenziando all'attenzione pubblica "l'agente primo" dell'orrore sociale, politico-economico e culturale che vediamo nell'euro e nei Trattati liberoscambisti di cui la UE è punta di diamante.

      I concetti che sono organizzati in un discorso coerente in questi spazi si basano su una vasta letteratura storica e scientifica che trova le sue chiavi di lettura in analisi, riflessioni, rimandi di testi di autori fondamentali che rimandano ad altri autorevoli autori che, per l'intrinseca necessità politico-divulgativa di essere "reticenti", rende l'accesso all'interpretazione della realtà complesso a chiunque.

      Anche solo per il problema della specializzazione di chi esercita professioni intellettuali.

      Figuriamoci chi fa tutt'altro nella vita!

      Ciò che si dà per scontato in questi spazi, per chi segue con costanza la discussione, non è assolutamente scontato alla stragrande maggioranza delle persone che si occupano anche ad un certo livello di questi problemi.

      La nostra certezza-empirico scientifica si fonda su una vastità di materiale assolutamente sconosciuta ai più e in un contesto collettivo in cui l'atteggiamento "fenomenologico" continuamente scrosta l'ideologia che accompagna ogni persona che ricerca e che, altrimenti, non riuscirebbe a ricercare positivamente l'hegeliana verità a causa di pregiudizi e precomprensione che l'ideologia stessa causa.

      Molte persone hanno dedicato una vita a servire ideologie, credendoci, litigando, scaldandosi; magari facendo a botte.

      Mettere di fronte ad una qualche realtà, ribaltare la percezione del mondo in cui una persona è immersa, può essere scioccante. Figuriamoci per chi è una vita che urla slogan ideologici.

      Guarda: quando vado in qualche locale pubblico, dal negozio al ristorante, mi capita di far piccoli "comizi": l'auditorio si divide generalmente in tre categorie: in chi mi ascolta con grande concentrazione, in chi mi ascolta per simpatia (ma alla fine le parole entrano da un orecchio ed escono dall'altro), in chi se ne esce con "ma per piacere", "scava la buca, riempi la buca" e via, tra un bianchino e l'altro.

      I primi sono "in ricerca": chiedono generalmente riferimenti bibliografici e perseguiranno "a scavare", e avranno ricevuto delle buone indicazioni per prendere coscienza in fretta.

      Gli ultimi sono già persi: non sapranno cosa ci sarà dopo l'Età del Ferro...

      E quelli che ascoltano per pura simpatia?

      Bè... quelli generalmente sono negozianti, ristoratori, che, spesso, mi fanno lo sconto quando ritorno come cliente...

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    8. "Innanzitutto, ciò che si legge su Orizzonte48, per il valore della documentazione e per l'analisi filologica che ne viene fatta, non ha pari"

      Amen...è quello che dico sempre. :)

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  5. Ricordo che avevamo già parlato dell’argomento commentando uno dei post di quella bella serie sugli USA scritta da Riccardo.

    All’epoca avevo riportato qualche esempio del “garantismo” liberale del sistema giudiziario nella “land of the free”.

    Un utente aveva evocato Loic Wacquant, senz’altro con ragione: “A central ideological tenet of neoliberalism is that it entails the coming of “small government”: the shrinking of the allegedly flaccid and overgrown Keynesian welfare state and its makeover into a lean and nimble workfare state, which “invests” in human capital and “activates” communal springs and individual appetites for work and civic participation through “partnership” stressing self-reliance, commitment to paid work, and managerialism. The present book demonstrates that the neoliberal state turns out to be quite different in actuality: while it embraces laissez-faire at the top, releasing restraints on capital and expanding the life chances of the holders of economic and cultural capital, it is anything but laissez-faire at the bottom. Indeed, when it comes to handling the social turbulence generated by deregulation and to impressing the discipline of precarious labor, the new Leviathan reveals itself to be fiercely interventionist, bossy and pricey. The soft touch of libertarian proclivities favoring the upper class gives way to the hard edge of authoritarian oversight, as it endeavors to direct, nay dictate, the behavior of the lower class. “Small government” in the economic register begets “big government” on the twofold frontage of workfare and criminal justice. The results of America’s grand experiment in creating the first society of advance insecurity in history are in: the invasive, expansive, and expensive penal state is not a deviation from neoliberal but one of its constituent ingredients”. (L. Wacquant, Punishing the Poor, Duke University Press, 2009, pagg. 307-8).

    Insomma, dal welfare state al prison state.

    E allora, testardamente, ritiriamo fuori per l’ennesima volta William Vickrey:

    Mentre anche il 5% di disoccupazione potrebbe essere appena accettabile se ciò indica un periodo obbligatorio extra di due settimane di congedo non retribuito all'anno per tutti, è del tutto inaccettabile quando significa 10%, 20% e 40% di disoccupazione tra i gruppi svantaggiati, con gravi conseguenze in termini di povertà, perdita di casa, rotture familiari , tossicodipendenze e criminalità. Il malessere che pervade le nostre città può essere attribuibile in larga misura al fatto che per la prima volta nella nostra storia, un'intera generazione e oltre è cresciuta senza provare la ragionevole piena occupazione, nemmeno per breve tempo.

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    1. Felicissima l'espressione "first society of advance(d?)insecurity".
      Mi sa che varrà la pena di riprendere il passaggio (tradotto).
      E straordinaria l'identità di contenuti con le lamentele di Einaudi sul socialismo degli italiani, che, a quanto pare, albergava pure negli USA. Proprio al tempo delle sue lamentele!

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    2. Sì, "advanced": lapsus calami mio. :-)

      Lo cerco in italiano in biblioteca: ha diversi passi che meritano.

      Quello di Einaudi è il classico repertorio della costruzione della soggettività neoliberale (non molto diversa dalla vecchia, come si vede).
      Qualche anno fa in Francia ideologi vicino al Medef (la Confindustria francese) hanno teorizzato l'essenzialità della distinzione fra "risquophiles" e "risquophobes".

      Il compianto Robert Castel rispose così: “Autrefois les "mauvais pauvres" ne pouvaient s'en prendre qu'à eux-mêmes de leur sort parce qu’ils étaient fainéants, intempérants, lascifs, sales et méchants. Version modernisée et quelque peu euphémisée de la même bonne conscience morale, méritent aujourd'hui l'invalidation sociale les risquophobes, les frileux et tous ceux qui demeurent si stupidement attachés aux acquis du passé qu'ils sont incapables de participer à l'avènement de ces lendemains qui chantent que nous prépare le capitalisme de demain. Il s'agit bien là d'un discours de dominants pour les dominants.” (« "Risquophiles", "risquophobes" : l'Individu selon le Medef », Le Monde, 6 juin 2001 citato in P. Dardot, C. Laval, La nouvelle raison du monde, La Découverte, Parigi, 2009, pag. 314. Altro libro su cui meriterà tornare (in italiano…;-) ))

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  6. grazie a te Bazaar...quel commento di Francesco non lo ricordavo.

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  7. Come ne usciamo?.... 48 vale sempre questo?

    "Il problema dell'eliminazione dell' "impossibile" è presente in ogni campo cognitivo, (cioè è questione molto più complessa e incerta di quanto non implichi...Conan Doyle con la sua semplificazione apparente, cioè ad effetto): ma lo è maggiormente nelle previsioni economiche, comunque calibrate sul "probabile".

    In concreto, i modelli stocastici mainstream, immettono regolarmente l'ipotesi di libera e piena concorrenza (su economie accentuatamente aperte, e considerando decisivo il lato dell'offerta, peraltro), come dato presupposto e/o come traguardo delle "riforme": ma data la consapevole artificiosità dell'assunto, tali modelli sarebbero di per sè nel campo dell'improbabile (non proprio dell'impossibile).

    Tuttavia, storicamente, quando prevale tale modello ideologico (il mainstream), gli si accompagna invariabilmente un intenso controllo istituzionale (attualmente internazionalizzato): da qui, in sede di attuazione e di (scontata) correzione politico-economica dei risultati deficitari, i frequenti colpi di coda, propri delle banche centrali (in stretta consultazione coi grandi gruppi finanziari; veri "controllori" istituzionali sostanziali; BCE docet...).

    Dunque, rispetto alla, pur auspicabile, realizzazione di una previsione probabile (cioè ragionevole), alternativa alle stime ideologiche del mainstream, occorre scontare, in controtendenza, i metodi per tirare un calcio alla lattina che autodifendono il mainstream stesso (o anche il tirare fuori il coniglio dal cilindro: incluso un QE-4, ad esempio).
    Metodi che oggi consistono anche nella diffusione del wishful thinking mediatico, per diffondere quel clima di "fiducia" che è un altro presupposto fondamentale dello schema ideologico mainstream.

    Ma tutto ciò (politiche delle BC e "fiducia" indotta in via mediatico-informativa) non funziona "sempre", e non sempre con "tutti", nonostante il potere istituzionale enorme che hanno accumulato. ESSI."

    Qui sta l'incertezza sistemica che viviamo attualmente: un potere costretto ad autoperpetuarsi, ma intrinsecamente fallimentare (come dimostrarono Keynes, Hansen e, in modo più storicamente connotato, Marx), nella sua fase di massima affermazione istituzionale, tende inevitabilmente al cupio dissolvi: cioè ad essere distruttivo ed anche autodistruttivo...Ma ciò dopo una lunga lotta, in definitiva, contro tutto e tutti, compresi i propri stessi interessi di lungo periodo".

    http://orizzonte48.blogspot.com/2015/11/come-n-usciamo-gia-com-prparandoci-bene.html?spref=tw

    naturalmente da leggere tutto.

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  8. … Sorretta dalla credenza delle nuove “leggi” dell’economia politica stabilite da Bentham, Malthus e Ricardo, la reazione contro lo Speenhamland Act divenne così forte che nel 1834 il Poor Law Amendement (o New Poor Law) fece della workhouse lo strumento esclusivo dell’assistenza sociale.

    Le critiche rivolte contro il più generoso sistema precedente ebbero per effetto una riorganizzazione dell’assistenza basata sulla workhouse… A questo scopo, le nuove disposizioni si proposero di dissuadere i poveri dal ricorrere all’assistenza pubblica, e di stigmatizzare coloro che tuttavia vi ricorrevano imprigionandoli nelle workhouses, costringendoli ad indossare indumenti speciali, separandoli dalle loro famiglie, tagliandoli fuori da ogni contatto con i poveri all’esterno, e, quando morivano, permettendo che i corpi fossero utilizzati per la dissezione. Non passò molto tempo che questo nuovo regime suscitò a sua volta critiche violente. Già nel 1837, Disraeli così inveiva nella sua campagna elettorale “Io ritengo che questa legge abbia disonorato il paese più di qualunque altra mai approvata. A un tempo crimine morale ed errore politico, essa annuncia al mondo che in Inghilterra la povertà è un delitto
    ” [A. O HIRSCHMAN, Retoriche dell’intransigenza, Il Mulino, 2017, 35].

    Nessuno strumento come il welfare contenuto nelle Costituzioni democratiche del ‘900 è riuscito a porre rimedio alla povertà, si tratti di forme di mutuo soccorso privato o dichiaratamente mercatistico:

    … Nel corso del XIX secolo …i poveri, gli artigiani, gli operai, i filantropi, gli uomini di governo…hanno sperimentato, promosso e finanziato esperienze di self help e di gestione diretta degli interventi miranti a ostacolare quegli stessi effetti distributivi dei meccanismi di mercato nelle vite fisiche e morali dei singoli . Tali scelte hanno assunto significati talvolta addirittura antagonistici. Di solito i lavoratori organizzati sono passati dalla speranza di raggiungere l’autosufficienza con il mutuo soccorso, la cooperazione e la gestione diretta del collocamento, alla convinzione che esse rappresentassero delle pratiche di autoeducazione all’autonomia e alla capacità economica e politica o – molto più spesso – delle risorse da impiegare nei conflitti industriali e sociali e che anticipassero forme future di organizzazione del lavoro e della vita associata.

    I filantropi e gli economisti a loro volta hanno sperato che queste pratiche potessero rappresentare strumenti di formazione di una sorta di “liberismo popolare” o – con maggiore fiducia ideologica e quindi con minore attendibilità – che potessero ridurre davvero il pauperismo fino a renderlo un elemento residuale della vita della popolazione in modo da poter isolare gli individui, le famiglie, e i gruppi costretti a ricorrere all’assistenza dalla rappresentanza politica e sociale degli operai organizzati.

    [IN NOTA] Il suggerimento sull’importanza dei poveri come residuum mi viene dalle ricerche innovative di Gareth Stedman Jones (Outcast London. A Study in the Relationship between Classes in Victorian Society (1971)… La ricerca citata…collega esigenze produttive, culture e politiche imperialistiche e governo della povertà mettendo in luce il carattere illusorio di tale isolamento dei poveri dai lavoratori, che pure fu al centro di tante iniziative di conservatori, di liberali, e implicitamente accettata da talune pratiche e culture sindacali
    . (segue)

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  9. Infatti, dopo un ventennio di tentativi in questo senso, cui cooperò la stessa innovazione del sindacalismo dei non qualificati successivo allo sciopero dei docks dell’estate 1889…la distinzione tra lavoratori rispettabili e residuum evapora, letteralmente, davanti alla situazione creata dalla Grande Guerra. Scrive Stedman Jones con incisiva e convincente semplicità:

    Tutto il surplus di forza lavoro fu assorbito dalle esigenze dell’economia di guerra. Le wokhouses si svuotarono e gli ospizi dei poveri si chiusero; lo stesso lavoro occasionale scomparve. Come gli Webb ammisero in seguito, la Prima Guerra mondiale dimostrò che l’esistenza del POVERO OCCASIONALE non era dovuta a qualche deviante mutamento prodotto dagli influssi degenerativi della vita urbana e pertanto i poveri occasionali dimostrarono di essere una creazione sociale e non biologica. Il loro modo di vivere non era il risultato di una “tara” ereditaria, ma soltanto la conseguenza di case troppo povere, di salari inadeguati e di lavoro irregolare. Cosicchè quando fu possibile trovare una occupazione decorosa e regolare, diventò impossibile trovare gli “inutilizzabili”. Di fatto essi non erano mai esistiti, se non come un ESERCITO DI FANTASMI EVOCATI DALLA SCIENZA SOCIALE DEL TARDO PERIODO VITTORIANO E DI QUELLO EDOARDIANO AI FINI DI LEGITTIMARE LE PROPRIE TEORIE
    ” [M. G. MERIGGI, Esperienze di integrazione e conflitto sociale in Europa tra Ottocento e Novecento Milano, Franco Angeli, 30-31].

    Nell’età vittoriana esistevano quindi i “poveri rispettabili-utilizzabili” e i poveri intesi come residuum (ovvero i disoccupati cronici, sostrato ritenuto, per indole, il più inetto e pericoloso della società). La situazione si sta riproponendo:

    … In paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna si è diffusa una distinzione tra DESERVING E UNDERDESERVING POOR, cioè tra poveri meritevoli e poveri riprovevoli…Alcuni poveri sono ritenuti meritevoli in quanto si trovano in questa condizione a causa di eventi negativi che superano la capacità del singolo di affrontarli, vittime di circostanze o di dinamiche economiche...; altri hanno valori e comportamenti moralmente riprovevoli che sono ritenuti la causa primaria del loro stato. La distinzione tra poveri meritevoli e poveri non meritevoli è alimentata da mutamenti di carattere strutturale – le attuali dinamiche del mercato del lavoro…la crisi fiscale del welfare universalistico – ma riesce ad alimentare l’immaginario collettivo in quanto risponde ad esigenze diffuse di separazione e di differenziazione tra persone esposte ad una forte insicurezza sociale che vivono l’impatto diretto di comportamenti riprovevoli.

    In altre aree sociali, più solide in termini economici, la distinzione tra i poveri è invece veicolata da una distanza sociale e dalla difficoltà di comprendere la ragione sociale di comportamenti degradati, privi di finalizzazione, di violenze gratuite…Prevalgono atteggiamenti colpevolizzanti e di disimpegno sociale. Sono persone per le quali …si ritiene sia difficilmente costruibile, e non sostenibile dalla fiscalità generale, una politica di inclusione sociale

    Alla povertà dei precari, alle povertà brevi come esperienze di vita che coinvolge molte famiglie ma solo per periodi di tempo limitati, si accompagna una rappresentazione della povertà di lungo periodo in termini negativi, come area sociale MORALMENTE RIPROVEVOLE, dipendente dal sistema di welfare, caratterizzata da una grave disgregazione e frammentazione sociale…Una povertà persistente che può anche essere strutturata da proccessi di esclusione sociale, ma è osservata da molti autori in termini di categorie morali, di limiti individuali, di propensione alla devianza.
    (segue)

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  10. La povertà non è più un destino sociale predeterminato, ma dipende soltanto dalla capacità di agire delle persone e il povero è responsabile della sua condizione. Queste condizioni assumono immediate implicazioni operative – SOLO AI VERI POVERI POSSONO ESSERE DESTINATI I COSTOSI INTERVENTI DI WELFARE

    Create le distinzioni, condivise dalle comunità e delle istituzioni, la gestione dell’esclusione sociale richiede una PLURALITÀ DI STRUMENTI PIÙ DI DIFESA SOCIALE CHE DI REINTEGRAZIONE, più di controllo e sorveglianza che di welfare. I programmi di contrasto delle povertà diventano più rigidi, con prove dei mezzi più stringenti, con strumenti di controllo della spesa…

    In termini generali, possiamo dire che la nozione di underclass e le altre rappresentazione dei poveri come persone moralmente riprovevoli, ci preparano ad un futuro nel quale una parte della popolazione sarà costretta in modo più o meno stabile a una condizione di senza lavoro, sarà colpevolizzata per la sua lunga disoccupazione e forzata a comportarsi in modo che consentiranno ai non poveri di descriverli come immeritevoli …IN ITALIA STA CRESCENDO LA “TENTAZIONE PENALE” UNA PROSPETTIVA DI VALORI E DI AZIONI CHE CONDUCE AD INCREMENTARE OGNI FORMA DI CONTROLLO E DI REPRESSIONE, AD ESPANDERE L’ESECUZIONE DELLE PENE DETENTIVE IN UNA SORTA DI TOLLERANZA ZERO, a criminalizzare i poveri per i loro comportamenti e per l’incapacità che manifestano di produrre un reddito sufficiente. Il meccanismo è noto: criminalizzare un gruppo ristretto di popolazione per rassicurare e riconoscere i meriti dei cittadini per bene, operosi, di buona volontà. I “cattivi” sono pochi, gli altri sono assolti; la società, se non ci fossero i primi, funzionerebbe benissimo.

    Non esistono più cittadini con diritti esigibili…ma semplicemente dei poveri meritevoli ai quali possono essere concessi interventi caritatevoli e dei poveri che, per il loro comportamento, non meritano alcun aiuto
    …” [R. SIZA, Povertà provvisorie. Le nuove forme del fenomeno, Franco Angeli, 2009, 90-95].

    I poveri meritevoli/utilizzabili, per intenderci, sono i super super-precarizzati, gli schiavi delle multinazionali, i destinatari del reddito di inclusione, sempre che accettino lavori anche degradanti…rigorosamente sottopagati. Il resto dei poveri, categoria amorale per eccellenza, vada pure in carcere, anticamera delle future workhouses. Benvenuti nel nuovo Ottocento europeo.

    Certo, caro Quarantotto, se scoppiasse una guerra, sarebbe tutto più semplice: poveri meritevoli e non potrebbero diventare carne da cannone e smentire per l’ennesima volta le l€ggi immutabili del mercato da €SSI formulate

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    1. « il povero è responsabile della sua condizione »

      Certo, poiché il primo deviante è l'elitista stesso, il carnefice, questi può proiettare la propria psicosi sulle vittime e, al contempo, giustificare un qualche non ben definito merito per la condizione abbiente ricevuta per giusta agnazione.

      Si fa notare che la civiltà è sorta nello Stato di diritto contrapposto ai principi moralistici e religiosi che accompagnavano i conflitti politici.

      Il totalitarismo dell'economica di mercato, sviluppatosi con il nazifascismo e sempre più istituzionalizzatosi nel diretto governo delle oligarchie finanziarie (autocelebrantesi come Mercato) trova sempre più nel XX secolo e nella postmodernità la radicalizzazione del conflitto. Il nemico è il Male e va annientato.

      Quando le dottrine religiose e il moralismo (ideologie) prendono il sopravvento sulla coscienza morale e sulle ricerca della giustizia nel diritto, l'inciviltà e la barbarie tornano nella loro orrida quanto profondamente stupida fenomenologia.

      Gli arroganti autolegittimatosi architetti gongolano nel loro delirio collettivo mentre la grave malattia affligge il capo della specie umana.

      È nell'estetica della miseria che si intuisce l'etica della classe egemone.

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    2. Il che ci ricorda la versione, per così dire soft, di questo meccanismo di autolegittimazione morale fornitaci da Galbraith
      http://orizzonte48.blogspot.it/2014/03/il-rabbioso-tramonto-delleuro-il-ttip-e.html

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    3. L'estetica della miseria della classe egemone sembra purtroppo trovare un qualche sostegno anche nella ambiguità del Vangelo sul concetto di povero.

      "il povero è responsabile della sua condizione" convive infatti facilmente con la formula scarica-coscienza "i poveri sono beati perché Dio interviene", ergo lo stato (che non è Dio) non se ne deve curare...

      Gesù inaugura il suo annuncio storico in Galilea col discorso sulle beatitudini.

      Ma vi sono due edizioni di questo programma di felicità rivolto ai poveri.

      1) “Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio” Luca 6,20;

      2) “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” Matteo 5,3.

      Su queste due forme della buona notizia evangelica si è divisa la Chiesa fin dai primi tempi.

      Chi sono i poveri?

      I poveri sono quelli che mancano dei beni essenziali, come dice Luca (beati quelli che hanno fame, beati quelli che sono afflitti), che mancano del conforto, della gioia della salute?

      Oppure i poveri sono gli umili, i puri di cuore, i misericordiosi, quelli che operano la pace, come dice Matteo?

      Cioè la povertà è una mancanza di beni, e in quanto tale apre a Dio?

      Oppure i poveri sono tali in quanto umili, misericordiosi, integri di cuore, più aperti a Dio e agli altri?

      L’essere poveri è una mancanza o una virtù?

      Il termine italiano povero deriva da una parola latina che significa avere poco.
      Ma i preti sostengono che non è questo il senso biblico.

      Anche dire ultimi non aiuta molto.

      Gli ultimi sarebbero quelli che mancano di salute, di dignità, e questo li fa già clienti di Dio?

      Oppure sono più disponibili e aperti all’azione di Dio, hanno meno pretese?

      Sono cercati da Dio perché non hanno l’egocentrismo del ricco, del potente, dell’acculturato, dell’onesto, del religioso?

      E perché Dio cerca i poveri?

      In quanto sono più virtuosi, o perché hanno bisogno?

      E perché il vangelo li chiama felici, fortunati?

      Con i gesti di Gesù poi, si può giustificare l'interpretazione "beato il povero perché è povero"?

      Il vangelo spiega: perché vostro è il regno di Dio, perché sarete consolati, perché sarete saziati, perché sarete figli di Dio.

      Cioè i poveri sono beati perché Dio interviene?

      Il motivo della beatitudine non sarebbe una privazione, ma neppure una qualità morale che i poveri avrebbero in quanto poveri?

      Sto diventando vecchio ed ancora non ho trovato risposte che mi convincano veramente!

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    4. Pare che per Gesù, proprio lui, i poveri fossero i poveri...e i ricchi i ricchi. Senza tante speculazioni accomodanti (Egli non era affatto accomodante)
      http://orizzonte48.blogspot.it/2016/12/lipotesi-frattalica-e-i-ricchi-nel.html (qui, p.1.2.)

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    5. Mah... da federalista, liberale e cattolico... direi che la "complexio oppositorum" di Schmitt è assolutamente una felice dicitura.

      Ciò che è inaccettabile per il fedele cristiano, come nel caso del fedele liberista, è che la Chiesa per sua stessa costruzione - gerarchia archetipale - è impossibilitata a compiere la sua stessa missione sociale.

      Potrà mostrarsi impegnata, tramite sussidiarietà ed elemosina caritatevole, ma non potrà impegnarsi ad emancipare l'umanità dall'alienazione.

      Cioè non può assolvere alla missione di Gesù di Nazareth.

      E non può non essere così.

      Hegel, consustanzializzando la morale personale all'etica sociale - da credente - dà un colpo di grazia a tutta la dottrina, incentrata sulla morale individuale e sul diritto naturale.

      Come ho appena imparato da un raffinato conoscitore delle strutture a tradizione medievale all'interno della Chiesa cattolica, quando si tratta di affrontare l'estirpazione concreta della miseria, la risposta cattolico romana è tutta "circiterismi ed anfibologie"...

      Parliamoci chiaro: anche la moderna dottrina sociale della Chiesa, già ad un primo esame con gli strumenti di analisi economica del diritto, si delinea come ordoliberista. Tanto che sembra l'ordoliberalismo stesso un prodotto della dottrina sociale della Chiesa.

      "Sociale", stando con Einaudi, sembra proprio messo lì per quietare "gli agitati sociali".

      Proposizioni contraddittorie che, per motivi economico-strutturali, possono trovare sintesi solo in senso classista.

      I liberali non possono validare la propria identità senza schiavi, i cristiani non possono validare la propria identità senza poveri.

      Poiché le istituzioni, il Mercato o la Chiesa, rappresentano una Idea che certifica l'identità di caste privilegiate, e l'oppiacea giustificazione per quelle sfruttate, il vessillo della missione istituzionale sarà sempre foriero di inumanità e alienazione a dispetto di tutte le eccezioni particolari che ne confermano la regola generale.

      Questo è descritto e predetto dalle scienze sociali, è convalidato coerentemente da una millenaria storiografia e, a tutto ciò, è difficile dare un'interpretazione, un significato. Un senso.

      Il Senso.

      Perché quando si affrontano tali questioni ci si ritrova di fronte alla Storia universale. All'escatologia.

      Una cosa è certa: le stelle che guardava Hayek non erano le medesime che contemplava Fëdorov.

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  11. Si fa notare che la civiltà è sorta nello Stato di diritto contrapposto ai principi moralistici e religiosi che accompagnavano i conflitti politici”.

    E’ proprio questo i liberisti contestano. Gli stessi affermano che l’assenza di un obbligo giuridico a carico del potere politico, invece che danneggiare i poveri, addirittura li aiuterebbe, in quanto stimolerebbe la generosità e la beneficenza dei ricchi! (almeno così quel Carl von Rotteck richiamato nel post).
    In sostanza, l’esistenza di uno Stato pluriclasse con funzioni redistributive equivarrebbe ad imporre legalmente l’esercizio della virtù cristiana (caritas). Come si permette lo Stato di diritto ad intromettersi?

    Quello stesso Hegel ricordato da Arturo avverserà quelle posizioni oggi nuovamente in auge:

    All’accidentalità dell’elemosina, delle fondazioni, come della lampada ardente presso le immagini dei santi, SI SUPPLISCE MEDIANTE PROVVEDIMENTI PER POVERI, mediante ospedali, illuminazione di strade così via [NdF, artt. 3, comma II, e 4 Cost.]. Alla caritatevolezza resta ancora da fare abbastanza per sé, ed è una falsa veduta che essa voglia saper riserbata unicamente alla particolarità dell’animo ed all’accidentalità del proprio sentimento e della propria conoscenza, quest’aiuto al bisogno, e si sente offesa e mortificata dalle disposizioni e dai precetti universali obbligatori.

    LA SITUAZIONE PUBBLICA, AL CONTRARIO, SI DEVE CONSIDERARE PERTANTO PIÙ PERFETTA, QUANTO MENO RESTA DA FARE ALL’INDIVIDUO PER SÉ, secondo la sua particolare opinione, in confronto a ciò che è disposto in maniera generale …
    ” [G.W.F. HEGEL, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, 1979, 242-243].

    Per ciò oggi Hegel è in disgrazia, accusato dagli espertologi di essere ideologo dello “Stato etico”, espressione che hanno capito benissimo, perché funge da contraltare al loro individualismo malato. L’etica esiste in quanto la persona è essere sociale, è relazione proprio nell’etimo; ethos è “esistenza innalzata al di sopra dell’opinione soggettiva e al di sopra del libito” (HEGEL, cit., 163). Non ha quindi nulla a che fare con il totalitarismo trasognato di cui parlano i sociopatici della prima e dell’ultima ora.

    I liberisti sono rimasti (per ovvia convenienza) allo stadio della “opinione soggettiva” e dentro il “libito”, ovvero all’individualismo metodologico, che è e resta la morale del più forte. E la chiesa – che ripeto, non c’entra nulla con Gesù - attraverso la propria dottrina sociale, benedice tutto ciò.

    La ipocrita sponteneità “dell’amore caritatevole” è individualismo metodologico, quella stessa spontaneità hayekiana che sarebbe elemento qualificante del mercato ed in base alla quale il diritto (soprattutto quello costituzionale) deve essere condannato in quanto “costruttivista”.

    Come sosteneva Basso, dovremmo – cristiani o meno – cominciare a diventare adulti

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    1. Perfetta pistola fumante sul livello di alterazione propagandistica cui i "liberali" hanno sottoposto il pensiero di Hegel per vili motivi di controllo istituzionale (totalitario e autoritario) e di conservazione del bottino accumulato...

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    2. Forse è commento OT…. Però giusto per dire casa è la nostra Costituzione:

      “La ipocrita sponteneità “dell’amore caritatevole” è individualismo metodologico, quella stessa spontaneità hayekiana che sarebbe elemento qualificante del mercato ed in base alla quale il diritto (soprattutto quello costituzionale) deve essere condannato in quanto “costruttivista”.

      Arturo22 giugno 2016 19:54

      E anche questo i costituzionalisti lo sapevano e lo dicevano: “Giacché il principio della pubblica assistenza, pur rappresentando certamente un passo avanti rispetto alla beneficenza privata, si inquadra peraltro nel clima umanitaristico dell’epoca; era, in pratica, l’unico mezzo per alleviare il disagio dei meno abbienti senza venir meno ai principi fondamentali del nuovo ordinamento liberale borghese realizzato o confermato e consacrato da quelle Costituzioni. Tra tutte le possibili forme di intervento statale nella sfera dei rapporti economico-sociali, era ed è dunque, indubbiamente, il meno penetrante, il più consono alle ideologie allora imperanti, il meno compromettente.”

      Nella Costituzione del '48, invece, non si tratta più del “concetto, vago e genericamente umanitaristico, dell’assistenza dovuta dalla collettività ai cittadini bisognosi, del rimedio al pauperismo, come nei primi accenni contenuti nelle vecchie Costituzioni che abbiamo rapidamente richiamato al par. precedente; ma è proprio l’affermazione di principio del diritto dei cittadini, ed in modo speciale dei cittadini in quanto lavoratori, a certe determinate prestazioni, in largo senso, assistenziali; diritto che, di solito, si configura sistematicamente come integrativo del fondamentale diritto al lavoro e all’attuazione del quale vengono chiamate a corrispondere, almeno in larga parte, le leggi e le istituzioni « previdenziali »”. (V. Crisafulli, Costituzione e prevenzione sociale, Rivista degli Infortuni e delle Malattie Professionali, 1950, n. 1 (gennaio-febbraio), ora in La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Giuffè, Milano, 1952, pagg. 122 e 125).

      http://orizzonte48.blogspot.com/2016/06/believe-me-roger-uk-needs-democracy-in.html?showComment=1466618053881#c8467515461332278214

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    3. La grave colpa di Hegel è di aver detto che, oltre alla protezione della sicurezza della persona e della proprietà, anche "il benessere particolare" dev’essere "realizzato e trattato come diritto" (Giuliano Marini (a cura di), Lineamenti di filosofia del diritto, Roma-Bari Laterza, 2001, § 230, pag. 183) affacciando allo scopo perfino l’idea del diritto al lavoro.

      Il ragionamento a monte è ricostruito in tutto il suo svolgimento da Losurdo (Hegel e la libertà dei moderni, La scuola di Pitagora editrice, Napoli, 2012, pagg. 515-16): “Non solo esso [il comandamento dell’amore verso il prossimo] è affetto da duplice accidentalità e da una complessiva inconcludenza; ma è esso stesso a presupporre questa inconcludenza, perché solo in tal modo può celebrare la propria incondizionatezza ed eternità: “Se deve continuare a sussistere la povertà affinché il dovere di aiutare i poveri possa essere esercitato, allora, con quel lasciar sussistere la povertà, il dovere, immediatamente, non viene adempiuto” (W, II, 466). Un discepolo di Hegel ha commentato, con efficacia, questo brano dello scritto jenense sul diritto naturale: «La massima etica impone: “Aiuta i poveri”.
      Ma l’aiuto reale consiste nel liberarli dalla povertà; e allora, cessata la povertà, cessano anche i poveri e cessa il dovere di aiutarli. Se però per amore dell’elemosina si lasciano continuare a sussistere anche i poveri, allora, mediante questo lasciar sussistere la povertà, il dovere [di aiutare realmente i poveri, liberandoli dalla povertà ] non viene […] assolto».
      La dinamica interna di tale tendenza moralistica e narcisistica che mira a eternare il comandamento morale-religioso viene analizzata con rigore logico ma anche con penetrazione psicologica dalla Scienza della logica: alla realtà viene contrapposto un ideale; apparentemente, si esige il dover essere dell’ideale, in realtà viene presupposto il non dover essere dell’ideale, dato che questo non dover essere costituisce il tacito presupposto della permanente validità del comandamento morale e della permanente eccellenza della conclamata intenzione morale del soggetto (W, V, 164). Tale atteggiamento è “non verace” (unwahr; W, V, 145), non prende realmente sul serio gli alti ideali e fini che pure non si stanca di proclamare.
      In altre parole, se non vuole essere narcisistico, il comandamento morale deve tendere a superare sé stesso nell’eticità. Se è realmente preso sul serio, il comandamento che impone l’aiuto ai poveri deve tendere a realizzare un ordinamento etico in cui non ci sia più posto per la povertà e quindi neppure per il comandamento che impone di soccorrere i poveri.


      Apriti cielo!

      L'accusa ricorrente che gli è stata rivolta è di essere antimoderno e teorico del Machstaat prussiano, laddove nostalgici e autoritari erano invece i “nonni” di von Hayek, cioè i giuristi della scuola storica (che "dove è più priva di spirito, tanto più parla di spirito, dove più parla in modo morto e arido, tanto più usa le parole vita e iniziare alla vita, e dove mostra il più grande egoismo della vuota arroganza, più ha sulla bocca la parola popolo", diceva Hegel: riportato in A. Schiavone, Alle origini del diritto borghese: Hegel contro Savigny, Laterza. Roma-Bari, 1984, pag. 47).

      (L’accusa di paternità del totalitarismo la ritengo immeritevole di considerazione).

      Notare l’analogia della posizione hegeliana con quella di La Pira, che mostrò a suo tempo un'evidente frattura nel mondo cattolico.

      Frattura direi ormai felicemente ricompostasi.

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  12. Grazie Arturo per le ulteriori e preziose precisazioni. Quella frattura che si ebbe, infatti, tra La Pira e...Sturzo, poi osannato dai seguaci alla Bruno Leoni, e divenuto paladino di tutta l'asinistra cosmetica €uropeista

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