venerdì 26 maggio 2017

BREVE GUIDA AL RECUPERO DELLA SOVRANITA' E DEL SENSO DEL VOTO DEMOCRATICO

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http://antimassoneria.altervista.org/cronache-di-democrazia-europea-lunione-esperta-in-atrocita/

1. La questione che mi accingo a proporvi è di quelle complicate (se non altro perché esige la conoscenza e la padronanza sistematica di un'ampia gamma di principi normativi ed economici).
Dare una risoluzione "tecnica", esaustiva e soddisfacente, a tale questione richiederebbe un (pesante) volume, non solo interdisciplinare, ma anche volto a chiarire una molteplicità di punti in modo che non vi siano lacune dimostrative: proprio quelle "lacune" che, invece, come vedremo subito, caratterizzano tutta la costruzione €uropea nei trattati e, ancor peggio, la tentata giustificazione di essi che si fornisce sul piano costituzionale. 
Un tentativo largamente fallito che, peraltro, ormai non si preoccupa nemmeno più di cercare una qualche rivisitazione delle barcollanti premesse da cui è partito: giungendo infatti a conclusioni palesatesi appunto come sempre più assurde.

Va detto, però, che la questione sarebbe meglio, molto meglio, se risultasse risolvibile come il riflesso di una coscienza diffusa da parte dei cittadini italiani: perché senza tale diffusione di consapevolezza, cioè senza una larga condivisione nell'opinione pubblica, non sarà possibile attivare quel processo politico-elettorale che, come in molti si rendono conto, è il propellente effettivo del recupero della sovranità democratico-costituzionale.

2. Pongo allora ai lettori la questione: in presenza del quadro normativo attualmente risultante dai trattati europei, come fareste a riaffermare la sovranità democratica secondo un percorso praticabile a livello sia di consenso politico interno che di "relazioni" con gli altri paesi improntate ad un rigoroso rispetto del diritto internazionale?
E per "come", intendo, non tanto la dettagliata indicazione dei contenuti di atti politici e normativi che portino al risultato voluto. Intendo, più semplicemente, il saper indicare (ma con non minore difficoltà, poiché precisare un indirizzo politico deve preferibilmente conseguire alla chiarezza di idee sulla risolvibilità di tutti i problemi di dettaglio) quali azioni di massima sono corrispondenti, appunto, alle linee di indirizzo politico effettivamente e legittimamente adottabili per l'obiettivo del recupero della sovranità democratica.

3. Pongo quindi questo interrogativo e cerco di agevolarne la soluzione indicando alcuni riferimenti interpretativi e normativi che risultano logicamente rilevanti.
Partiamo da un "come" diametralmente opposto a quello che è oggetto della questione qui posta; e ciò nell'ovvia considerazione che, se un errore di scelta è stato fatto, il primo rimedio è compiere una scelta di segno opposto che si manifesti in un atto capace di rendere inoperativo quello erroneo o, peggio, viziato in cui si è concretizzata la scelta da correggere.
Partiamo dunque dal "come", tecnicamente, siamo entrati in questo quadro istituzionale €uropeo
La risposta pare facile, cioè: attraverso una legge di autorizzazione alla ratifica (art.80 Cost.), elemento che ci consente anche di dire che, quale scelta di segno opposto, non sia praticabile un referendum. E non solo, e non tanto, per via del divieto ex art.75, comma 2, Cost., ma per le ragioni giuridico-politiche e istituzionali spiegate qui.

Ma la risposta al "come ci siamo entrati?" non è (più) così semplice se la si intende nella sua legittimità sostanziale, cioè nei suoi risvolti relativi al rispetto del nucleo inviolabile della sovranità costituzionale ed all'effettivo contenuto dei trattati (che, nel loro significato e portata, diamo per scontati, in base a quanto detto in "Euro e/o democrazia costituzionale" e ne "La Costituzione nella palude").

4. Fortunatamente, e paradossalmente, buona parte del problema ce lo ha già risolto...Amato (qui, p.6.1.):
"Cito in argomento un autore insospettabile di antieuropeismo come Giuliano Amato (Costituzione europea e parlamenti, Nomos, 2002, 1, pag. 15): 
Quando si ratificano i trattati internazionali, in genere si ratificano quelli che disciplinano le relazioni esterne. Quando si ratifica una modifica dei trattati comunitari non si ratifica una decisione che attiene alle relazioni esterne, ma una decisione che attiene al governo degli affari interni. 
Il processo di ratifica così com'è è congegnato è allora del tutto inadatto ad assicurare ai parlamenti il ruolo che ad essi spetta rispetto agli affari interni
Il procedimento di ratifica è tarato sull’essere ed il poter essere un potere intrinsecamente dei governi esercitato sotto il controllo dei parlamenti. Tant’è vero che la legge di ratifica è una legge di approvazione e non è una legge in senso formale.
Ma il vero clou del paradosso, dicevo, consiste nel fatto che “la politica dei piccoli passi nel processo di integrazione comunitaria ha fatto sì che mai nessuno abbia detto espressamente che, con i Trattati che si andavano stipulando, si stava costruendo una nuova costituzione.” (Luciani, op. cit., pagg. 85-6). 
5. Un secondo punto da conoscere è quello relativo alla pretesa supremazia dei trattati sul diritto nazionale (e citiamo sempre il post di Arturo che, comunque, ha preannunziato di approfondire ulteriormente la questione):
"Dopo il fallimento del progetto di costituzione europea a seguito dei due referendum francese e olandese, il 22 giugno del 2007 la Presidenza del Consiglio Europeo se n’è uscito con questa solenne dichiarazione:
L’approccio costituzionale (ndr; in sede di trattato sull'unione europea), che consiste nell’abrogare tutti i Trattati e rimpiazzarli con un singolo testo definito “Costituzione” è abbandonato. […] Il TUE e il TFUE non avranno un carattere costituzionale
La terminologia usata nei Trattati rifletterà questo cambiamento: il termine “costituzione” non verrà usato […]. Con riguardo alla supremazia del diritto comunitario, la conferenza intergovernativa adotterà una dichiarazione ricordando l’attuale giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea”.
Tale dichiarazione è diventata la numero 17 allegata all’atto finale della conferenza intergovernativa che ha approvato il Trattato di Lisbona firmato il 13 dicembre 2007, ossia: 
La conferenza ricorda che, per giurisprudenza costante della Corte di giustizia dell'Unione europea, i trattati e il diritto adottato dall'Unione sulla base dei trattati prevalgono sul diritto degli Stati membri alle condizioni stabilite dalla summenzionata giurisprudenza.
Inoltre, la conferenza ha deciso di allegare al presente atto finale il parere del Servizio giuridico del Consiglio sul primato, riportato nel documento 11197/07 (JUR 260):
«Parere del Servizio giuridico del Consiglio
del 22 giugno 2007
Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia si evince che la preminenza del diritto comunitario è un principio fondamentale del diritto comunitario stesso. Secondo la Corte, tale principio è insito nella natura specifica della Comunità europea. All'epoca della prima sentenza di questa giurisprudenza consolidata (Costa contro ENEL, 15 luglio 1964, causa 6/64 […] non esisteva alcuna menzione di preminenza nel trattato. La situazione è a tutt'oggi immutata. Il fatto che il principio della preminenza non sarà incluso nel futuro trattato non altera in alcun modo l'esistenza del principio stesso e la giurisprudenza esistente della Corte di giustizia.

6. A questo punto, per agevolare ulteriormente una riflessione sulla soluzione da dare alla questione posta più sopra, vi cito le norme più importanti della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati che rilevano nel caso di assunzione di un obbligo internazionale da trattato, mediante una legge di ratifica che, nel caso dei trattati europei, abbiamo visto essere inadatta a rispettare il ruolo rappresentativo costituzionale dello stesso parlamento, (che si deve presumere necessariamente conforme alla sovranità popolare insita nell'art.1 Cost.), e ciò a causa dei contenuti "peculiari" del trattato sottoposto ad approvazione.
Premettiamo pure che la "denunzia" di Amato, relativa alla non idoneità della legge di ratifica rispetto ai contenuti in quanto incidenti sugli "affari interni", è una pregiudiziale di ordine "procedurale" (cioè attiene alla legittimità dello strumento costituzionale nel caso di quei contenuti e con quegli effetti), e prescinde dall'autonoma questione se QUALSIASI strumento (previsto dalla Costituzione, ovviamente), e qualsiasi tipo di dibattito parlamentare, possano introdurre nell'ordinamento quei contenuti: tale questione si risolverebbe, negativamente, alla stregua dell'art.11 Cost. e dei c.d. controlimiti...ove mai fossero applicati da..."qualcuno": v.qui, p.7, infine
Ne abbiamo parlato nei libri sopra citati e molto, negli ultimi tempi, su questo blog.

7. Stabilito che sia lo strumento utilizzato per vincolarci ai trattati europei, sia i contenuti degli stessi sono altamente controvertibili sul piano del rispetto di norme costituzionali non revisionabili, perché fondamentali e quindi non modificabili da alcun trattato, queste sono le norme rilevanti della Convenzione (che notoriamente hanno carattere di codificazione del diritto internazionale generale, qui, p.3, quello contemplato dall'art.10 Cost., e, quindi, sono una fonte superiore e prevalente rispetto alla previsioni di qualunque trattato):
Articolo 27 
Diritto interno e rispetto dei trattati
Una parte non può invocare le disposizioni del suo diritto interno per giustificare la mancata esecuzione di un trattato. Questa regola non pregiudica quanto disposto dall'art. 46. 
Questione chiusa, sul piano del diritto internazionale? 
Non proprio: occorre evidentemente andare a vedere cosa dica l'art.46 (e non fermarsi, come fanno gli spaghetti-liberisti ad affermare che il non sequitur della supremazia del diritto europeo, si estenda al diritto costituzionale nel suo intero perché...lo dice la Corte europea, senza che nessun principio del genere sia affermato esplicitamente nei trattati: e una ragione ci doveva pur essere se non sono stati in grado di farlo: chiedere alla Germania, per esempio, cfr; pp. 1f-1g...).

8. Ecco allora l'art.46 (riporto anche l'intitolazione della relativa Sezione perché ci fa capire le conseguenze della illegittimità costituzionale che investa, come abbiamo visto, sia lo strumento che ha introdotto il vincolo sia i contenuti di quest'ultimo). Evidenzio le parti che fanno capire come l'apparente eccezionalità della previsione "finale", non sia affatto tale se si versa in tema di violazione delle norme fondamentali di una Costituzione nazionale:
Sezione 2 NULLITA' DEI TRATTATI Articolo 46
Disposizioni del diritto interno riguardanti la competenza a concludere trattati

1. Il fatto che il consenso di uno Stato a vincolarsi a un trattato sia stato espresso in violazione di una disposizione del suo diritto interno riguardante la competenza a concludere trattati non può essere invocato dallo Stato in questione come viziante il suo consenso, a meno che questa violazione non sia stata manifesta e non riguardi una norma del suo diritto interno di importanza fondamentale.
2. Una violazione è manifesta se essa è obiettivamente evidente per qualsiasi Stato che si comporti in materia secondo la pratica abituale e in buona fede
9. Ed allora; date tutte queste premesse, quale sarebbe secondo voi una soluzione al "come" che abbiamo posto all'inizio?
Consideriamo, infatti, che, le norme fondamentali della nostra Costituzione sono ben definite e notorie nella comunità internazionale e, sicuramente, alla cerchia dei politici e dei giuristi europei: al punto chela nostra Costituzione è servita da modello "positivo" per altri Stati europei, come pure da modello "negativo" per le forze del capitalismo finanziario sovranazionale, (da ultimo, chiedere a De Grauwe). 
Dunque è nei fatti, storici e politici, attinenti allo sviluppo dei trattati che non si possa opporre una mancata "evidenza", se ci si comporta in "buona fede".
Insomma, sarebbe segno di sicura "cattiva fede" contestare una primaria evidenza: la nostra Costituzione non attribuisce a nessun organo costituzionalmente previsto la "competenza" a sopprimere, o a cedere, la titolarità dell'obbligo della Repubblica di tutelare il lavoro in tutte le sue forme
Tanto più che questo obbligo statale è affermato anche nello ius cogens del diritto internazionale generale, anch'esso pacificamente prevalente sul diritto contenuto in qualsiasi trattato, e ciò in termini che dovrebbero valere per tutti gli Stati di diritto democratici!

10. La risposta alla domanda posta sopra al punto 2., sulla scorta delle premesse "agevolative" finora svolte, è dunque una risposta importantissima che ognuno di noi può tentare di dare: ed è importantissima perché ogni cittadino dovrebbe poter valutare la ordinaria diligenza e competenza che dovrebbe impiegare chiunque sia coinvolto, su mandato del popolo sovrano nelle forme costituzionalmente previste, nel processo di adesione e applicazione dei trattati. 
Questa valutazione spettante a ciascun cittadino, adeguatamente informato, è appunto l'esercizio della democrazia (sostanziale).
Utilizzando questo metro di diligenza e competenza, infatti, ciascun cittadino ridiviene giudice consapevole delle responsabilità della sua classe dirigente e, quindi, si riappropria del proprio ruolo di detentore anche a titolo individuale della sovranità, esercitato anzitutto (ma non solo) tramite il processo elettorale.
In pratica, dare questa risposta costituisce l'UNICA via che consente di ridare senso al proprio voto.
Prima che diventi del tutto inutile: non solo nella sostanza, come già si verifica adesso, ma addirittura nella forma, cioè nell'assetto istituzionale prossimo futuro...derivante dai trattati e dalle loro ipotizzate "riforme", (v.qui p.10), naturalmente.

26 commenti:

  1. La violazione dei principi fondamentali della Costituzione è motivo d' urgenza tale da giustificare lo strumento d' un decreto legge per uscire dai trattati .La conversione in legge del decreto da parte del Parlamento è in fondo un modo di procedere simile a quanto fatto con i trattati.Una della cose che biasimo ,e non solo io,della proposta della forza politica che voto,è il referendum sui trattati:essendo l' uE un 'unione di stati penso che solo un atto delle istituzioni di vertice dello Stato possa sciogliere gli obblighi dei trattati.Riguardo ai rapporti con gli altri stati dell' Unione far presente che la scelta di uscire dai trattati serve a recuperare la possibilità di incrementare la domamnda interna senza predare quella dei vicini e di poter poi restituire ,con certezza grazie a uno sviluppo basato sulla domanda interna i crediti che gli altri stati vantano.In fondo non c' è atto più cooperativo dell' uscire da un' Unione basata sulla concorrenza tra stati.

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  2. E se invece si formasse un partito del tipo "Unione Sovranisti Italiani" che fra le sue priorità avrebbe di rimettere al popolo l'accettazione o meno di trattati internazionali di fondamentale importanza quali ad esempio adesione all'Unione Economica Europea e alla Nato?

    E' una roba indegna ( non degna di in un popolo sovrano!! ) per usare un eufemismo che a livello costituzionale il popolo italiano non si sia potuto, non si possa e non si potrà esprimere su questioni di così vitale importanza!!

    Questo punto fondamentale è stato sottavalutato da tutti, ma proprio grazie a questo artifizio giuridico il popolo italiano è stato ingannato e fregato alla grande dalle elites italiane fanaticamente pro euro e pro Nato senza se e senza ma!!

    Per non parlare del fatto che in uno scenario di "Black Swan" militare, ossia in un'eventale guerra nucleare fra USA e Russia, la prima nazione europea a subire un attacco nucleare devastante da parte della Russia sarebbe proprio l'Italia che sul proprio suolo ( teoricamente sovrano....!! ) ha steso i tappeti rossi alle basi Nato a comando americano!!

    E viste le recenti forti tensioni fra USA e Russia, un evento del genere non è da escludere a priori, considerando anche il fatto che i neocons guerrafondai americani ancora comandano a Washington!!

    Qualsiasi politico con un minimo di senso patriottico non starebbe a leccare ancora il cu... agli americani che da dopo la caduta del muro di berlino si sono comportati in giro per il mondo come dei gangsters guerrafondai e nè leccarebbe più il cu... a gentaglia come la Merkel che ha dimostrato in tutto e per tutto che l'euro deve essere solo a vantaggio dei tedeschi!!

    Ma siccome ormai essere patriottici è diventato quasi sinonimo di essere fascisti e addirittura su rai tre fanno anche vedere come totale normalità due uomini/ due donne che si sposano e allora se il logos sta sparendo e pochi gridano su uno scempio del genere....!!

    Cordiali saluti.

    Fabrice

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    1. Concentrandosi sul primo paragrafo del commento: "fuocherello".

      Il punto difficile è infatti come porre dei presupposti per rendere "razionale" e condivisa una tale "Unione", consentendo a diverse e variegate forze sociali e politiche di trovarsi d'accordo su alcuni punti prioritari e unificanti.

      A questo specifico aspetto è devoluta la risposta che il post auspica che ogni lettore possa dare.

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    2. Io è un po' che ripeto questo. Se vogliamo che la questione del riprendersi la sovranità risulti "risolvibile come riflesso di una coscienza diffusa" dobbiamo smetterla di parlare di destra e sinistra e rifiutare la dicotomia alla Fusaro. Almeno per ora la distizione non serve, purtroppo, perché le politiche dominanti sono ben al di la del cosiddetto "arco" costituzionale. Noi sappiamo che queste politiche sono eversive e dobbiamo dirlo meglio. Alla sinistra ma anche e soprattutto alla destra.
      Altro fattore vincente è che bisogna privilegiare la costituzione piuttosto che l'economichese. L'Italia è una repubblica, l'europa somiglia al massimo a una corporazione, o a un club. I trattati non assicurano le condizioni di parità tra stati. Anzi, l'esperienza dimostra esattamente il contrario. E di certo sono decenni che con la scusa dell'europa ci viene negato il diritto fondamentale della nostra Costituzione. Quindi, se si fa una Unione di sovranisti repubblicani, quarantottisti, una unione per il ripristino della legalità costituzionale, tanto per cominciare, il lavoro è l'obettivo fondamentale dell'Unione, quale elemento irrinunciabile per la libertà dell'uomo e per la Democrazia. E il secondo punto è che la sovranità non può essere "ceduta", ma al massimo espressa, anche tramite accordi internazionali, ma solo in condizioni di parità e in armonia con i principi della C.48, che ovviamente devono essere monitorati costantemente.
      Questi due punti non escludono a priori l'idea (peregrina) della riforma dei trattati. E non includono l'idea (molto meno peregrina) di uscire o magari dissolvere la NATO, però io mi accontenterei così. Troppe pillole rosse.

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  3. è illuminante, il modo in cui, con pochi passaggi è riuscito a dimostrare l'illegalità costituzionale dei trattati europei, il punto credo, è che difficilmente tale agnizione sia diffondìbile tra la popolazione, richiedendo una discreta conoscenza giuridica rara tra gli italiani.
    il punto a parer mio è che la situazione è disperata, le forze in campo sono soverchianti, sia nell'ambito mediatico che in quello accademico, i miei coetanei più sono istruiti più sono euristi, personalmente, non vedo possibilità di penetrare la cortina di propaganda, in modo tale da ottenere una risoluzione democratica della grave crisi in corso, se mai ci sarà una soluzione, non sarà pacifica e sarà possibile solo quando il liberismo avrà mostrato il suo volto più nefasto ed esatto un caro tributi economico sociale e aggiungo di memoria istituzionale.
    ritengo comunque il suo lavoro encomiabile perché getta le basi, per una futura riscossa nazionale con concetti giuridici, che trascendono le ideologie e la retorica, e affondano le radici nella costituzione e nella morale e saggezza che essa rappresenta, saggezza e morale costate un alto tributo di sangue che spero non dovremo ripagare.

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  4. Nel 1989 (18.06.1989) è stato indetto in Italia un referendum con il seguente quesito:

    “Ritenete voi che si debba procedere alla trasformazione delle Comunità europee in una effettiva Unione, dotata di un Governo responsabile di fronte al Parlamento, affidando allo stesso Parlamento europeo il mandato di redigere un progetto di Costituzione europea da sottoporre direttamente alla ratifica degli organi competenti degli Stati membri della Comunità?”.L’88,03% ha votato sì.



    In sostanza, è stato chiesto agli italiani se volessero un governo federale spostato ad un livello superiore in grado di provvedere con gli stessi poteri e sugli stessi contenuti dei governi nazionali. Ciò significa - a contrario - implicitamente ed interpretando il risultato secondo principi di buona fede, che il Popolo italiano non erano d’accordo per un’Unione NON federale.

    In sostanza, gli italiani non sono mai stati messi in grado di scegliere sulla materia dei trattati o, meglio, lo hanno fatto e sono stati “truffati”, perché l’Europa Federale non è stata mai realizzata (in realtà non si è mai voluta, come sappiamo).

    Potrebbe sostersi quanto sopra?

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    1. Certo: e infatti lo abbiamo già sostenuto :-)
      (il link è comunque anche in questo post):

      "8. Occorre rammentare che quel referendum "di indirizzo" aveva il seguente quesito:
      «Ritenete voi che si debba procedere alla trasformazione delle Comunità europee in una effettiva Unione, dotata di un Governo responsabile di fronte al Parlamento, affidando allo stesso Parlamento europeo il mandato di redigere un progetto di Costituzione europea da sottoporre direttamente alla ratifica degli organi competenti degli Stati membri della Comunità?».

      E...attenzione!
      Il Governo della Unione, nel senso istituzionale del termine suggerito dal quesito, non si è mai fatto: si novò la Commissione e si potenziò il Consiglio dei ministri (nelle sue varie proiezioni). Gli organi precedenti, TIPICI DI UNA MERA ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE, furono "aggiustati" senza che ruolo e funzionamento essenziale ne fosse sostanzialmente mutato.

      9. Nessuno vide mai la nascita di un "governo responsabile di fronte al Parlamento", che avrebbe implicato l'attribuzione, ad un unico centro di imputazione federale, di poteri di competenza esclusiva di iniziativa legislativa, in tema di bilancio, prelievo fiscale effettuato e spesa trasferita presso tutti i paesi aderenti. E ciò IN MISURA TALE DA CURARE I DIRITTI FONDAMENTALI DI TUTTI I CITTADINI COINVOLTI, come conferma la connessione del "potere di redigere" una Costituzione del Parlamento che doveva attribuire la fiducia, in senso giuridico-costitutivo, a tale governo. Cosa che non ebbe alcun seguito, come attestano le ben diverse procedure seguite per Maastricht e Lisbona.

      10. La nascita di tale governo, dunque, era necessariamente implicita nella formulazione del quesito, come pure la vera natura decisionale suprema legislativa del Parlamento europeo.
      Ma la risposta affermativa data dal popolo italiano, col referendum, a questo "indirizzo" fu violata dall'esercizio successivo dei poteri negoziali, -legittimati sempre e solo dal rispetto dell'art.11 Cost.-, da parte del nostro governo.

      11. Dunque, servirsi di quel precedente, significa ripercorrere una prassi, semmai se ne possa parlare in tal senso a livello di fonte di integrazione costituzionale, che indica la illimitata violabilità e, in sostanza, inutilità, dell'espressione diretta della volontà popolare".
      http://orizzonte48.blogspot.it/2014/10/referendum-consultivo-sulleuro-lalgido.html

      Un abbraccio

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    2. Sì, ma quale Governo? Quale Parlamento? E soprattutto: QUALE COSTITUZIONE? Ovvero: con quale grado di sovranità democratica lavoristicamente fondata e costituzionalmente sancita? Dati i rapporti di forza e la temperie politica, ideologica e culturale dominanti, anche nella migliorissima delle ipotesi plausibili c'avremmo sicuramente perso. E in modo più 'organico' e irreversibile - anche se magari socialmente un filino più tollerabile - rispetto alla situazione attuale (il Mezzogiorno italiano insegna).

      Che poi non sia accaduto perché per qualcuno anche quel filino era troppo, proviamo a interprerarlo come il presupposto 'provvidenziale' per un rovesciamento dialettico che la Storia (ovvero Noi) potrà razionalmente inverare.

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  5. Grazie Presidente. Me lo vado a rileggere :-)

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  6. Io procederei alla sospensione delle parti del TFUE contrastanti coi nostri principi costituzionali invocando la violazione, da parte della Germania e della Commissione, dei limiti di surplus commerciale. Credo che in questo caso si possa invocare l'art.60 comma 2c e comma 3b CdV. Questo per restare nel sentiero che avete indicato. Ma come insegnava Theodore Roosevelt, è bene negoziare con un sorriso e un nodoso randello sul tavolo. Quindi la CdV è il sorriso, d'accordo, ma il blocco unilaterale dei nostri trasferimenti all'UE (che comporterebbe il collasso del bilancio comunitario) dev'essere il randello ben esibito. Anche perché i tedeschi (rectius, le élite tedesche) capiscono soprattutto il linguaggio della forza, visto che è quello che praticano più spesso.

    Art. 60 Estinzione di un trattato o sospensione della sua applicazione come conseguenza della sua violazione
    (...)
    2. Una sostanziale violazione di un trattato multilaterale da parte di una delle parti autorizza:
    b)una parte particolarmente danneggiata dalla violazione, ad invocare detta violazione come motivo di sospensione dell'applicazione completa o parziale del trattato nelle relazioni fra di essa e lo Stato autore della violazione;
    c)qualsiasi parte diversa dallo Stato autore della violazione, ad invocare la violazione come motivo per sospendere l'applicazione dei trattato completamente o parzialmente per quanto la riguarda, se detto trattato è di natura tale che una violazione sostanziale delle disposizioni compiuta da una parte modifichi radicalmente la situazione di ciascuna delle parti relativamente al successivo adempimento dei propri obblighi in base al trattato.
    3. Ai fini dei presente articolo, per violazione sostanziale di un trattato si intende:
    (...)
    b)la violazione di una disposizione essenziale per la realizzazione dell'oggetto o dello scopo del trattato

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    1. Beh, non che questa via non sia praticabile...tanto che i tedeschi hanno in via "preventiva" dedicato un apposito studio di espertologi (ovviamente: non di giuristi di diritto internazionale, sebbene, guarda caso, di giuristi specializzati in "mercati finanziari", a questi post, dove, in precedenza abbiamo esaminato la c.d. eccezione "inadimplenti non est adimplendum:
      1) http://orizzonte48.blogspot.it/2012/12/per-chinon-guardasse-solo-google-e.html; Cfr.p.4;
      2) da cui l'evoluzione in questo: http://orizzonte48.blogspot.it/2013/11/lunione-europea-in-base-ai-trattati-non.html

      Il punto però è un altro: se invoco l'art.46 compio un'azione molto più radicale, affrontando in via pregiudiziale il problema sotto il mio punto di vista costituzional-nazionale ed evitando di sottoporre ad un'eventuale Corte europea il mio onere della prova sull'altrui inadempimento (con l'art.46, invece, posso invertire l'onere della prova e comunque subito invocare la violazione del principio di parità ex art.11 Cost, norma di per sè fondamentale, adducendo una simmetria con l'atteggiamento tedesco sulla invalicabilità dei propri limiti costituzionali, che costringerebbe qualsiasi interlocutore sulla difensiva).

      In definitiva, poi, questi sono problemi tecnici, che peraltro, con riguardo al secondo post (esteso ne "La Costituzione nella palude") sono stati da me esposti proprio a un convegno a Parma, la scorsa estate.
      Il problema è dunque quello di formulare una risposta di "linee generali", che inidichino obiettivi e strumenti: il primo, assumendo in modo generale il tema da te sollevato, lo hai esposto. Si tratta di svincolarsi.

      Ma direi che c'è un passaggio preliminare che, sempre in termini generali, "arriva prima" per poter consentire di rendere realmente praticabile questo obiettivo: prendiamo atto realisticamente che finora, infatti, l'ordinamento costituzionale italiano non è stato in grado, praticamente mai, di abbozzare una qualche reazione alla manifesta illegittimità costituzionale dei trattati (rinvio ai numerosi post in cui si è mostrato come politici che votarono Maastricht e costituzionalisti, fino a un certo punto, diciamo intorno alla metà degli anni '90, ne sembrassero consapevoli).

      Ed è qui, in questo "strano" fenomeno, (che sarebbe incomprensibile in termini tedeschi o francesi) che si annida il primo ostacolo da rimuovere e la prima "mossa" da adottare...

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    2. sono naturalmente d'accordo sull'ultimo punto, semplicemente davo per scontato, data la domanda del post, che si stesse ragionando in medias res. Certo, sinché i giulianiamati siedono nella Corte ogni mossa legale sarebbe destinata a sicuro fallimento. La Corte è una delle primissime casematte da espugnare. Direi anzi la seconda, dopo il Parlamento. Sul come farlo presto e "bene" (ossia limitando al massimo le forzature costituzionali) credo sarebbe necessario un altro post specifico.
      Tornando al tema in questione, credo che il vantaggio di provare prima col 60 sia politico: ci si rimette alla CGE, certo, ma col randello sul tavolo (e potremmo ovviamente includere il 46 nelle "misure-randello"), facendo capire che o si cambia rotta a livello europeo, e la CGE è la meglio piazzata per farlo, oppure l'Italia va per la sua strada. Staremmo parlando a nuora (la CGE) perché suocera (la Germania) intenda. Non intende? Si passa al 46, poi a congelare i trasferimenti al primo stormir di procedura di infrazione, poi al referendum per uscire, se del caso. Nel frattempo il paese va comunque per la sua strada, naturalmente, soprattutto con soluzioni monetarie che sono quantomai urgenti. E che, a mio avviso, dovrebbero andare in una direzione "parallela". Ma questo è un altro argomento ancora...

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    3. Tra l'altro, almeno in generale, per quanto ne so la Corte di Giustizia non ritiene applicabile il principio "inadimplenti non est adimplendum" nell'ambito del diritto comunitario...

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    4. E questo perché la Corte €uropea considera il trattato non soggetto, in linea di principio, alle norme di diritto internazionale generale sui trattati: il trattato sarebbe un tertium genus, di diritto interstatale "comune".

      Questa teoria, ormai irreversibilmente considerata integrativa dei trattati stessi, configura il diritto europeo come fonte di obblighi "primari", in un sistema giuridico in sè conchiuso e ormai autonomo sia dal diritto interno, su cui prevale, sia dal diritto internazionale, da cui prescinde.

      Il punto debole di questo approccio è che si assume una sostanziale sovranità dell'organizzazione senza saperne indicare la fonte giuridica e il Potere Costituente che la legittimerebbero: ad es; la Corte cost. tedesca nega che sia valida questa autoattribuzione di sovranità fondata su una fonte pur sempre derivata (il trattato) dai poteri costituzionali di negoziazione degli Stati-parte (mi pare che Francesco, se non tu, abbia anche citato lo specifico passaggio in proposito del Lissabon Urteil).

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    5. A noi, peraltro, basta rammentare che l'azione dei controlimiti, rispetto ad un trattato, a fortiori se in consonanza all'applicazione di norme cogenti del diritto internazionale, è legittimamente dichiarabile dalla nostra Corte costituzionale
      http://orizzonte48.blogspot.it/2014/10/corte-costituzionale-sentn238-del.html

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    6. Era Francesco.

      La cosa surreale è che la Corte dice e non dice. Come spiega De Witte nel saggio che ho linkato (uno di quelli che intendo usare): "It is striking that, in the many intervening years since Costa, the European Court of Justice never felt inclined to develop a sustained doctrine upholding the specific and non-international nature of the European Community. The Court has often emphasized the autonomous nature of the Community legal order, but never stated with so many words that this autonomous legal order had ceased to be part of international law."

      Anche la conclusione circa l'inapplicabilità del principio i.n.e.a. è raggiunta sulla base delle specifiche disposizioni dei Trattati, senza "adopt the premise that the Community was ‘something other’ than an international organization".

      La morale è che dobbiamo obbedire, anche se non si bene perché. Anzi, perché si sa: l’ha detto la Corte di Giustizia Europea. Sia fatta la Sua volontà.

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    7. Il fenomeno rilevato da De Witte è in realtà frutto di una tipica tecnica giurisdizionale a dissimulate implicazioni politiche: quando un giudice sa che il principio che vuole applicare non è sostenuto dalla Rule of Law cui è formalmente soggetto, presceglie di affermare il principio come..."eccezione", cioè come applicazione concreta di una norma diversa (da quella che...non esiste), rinvenuta caso per caso, in modo da comporre un quadro in cui la regola (che non c'è) sia ricavabile ex post in via sistematica.

      Ovviamente, la forzatura di ciascuna norma specifica, la cui interpretazione compone il "mosaico" che afferma de facto la norma "implicita", è, in genere, agevolmente evidenziabile: ad es; ritenere che le violazioni del trattato siano sanzionabili dalla Commissione per escludere l'applicabilità dell'art.60:

      a) da un lato esclude, senza alcun fondamento giuridico, l'autonoma legittimazione a far valere l'altrui inadempimento di ciascuno Stato, LADDOVE INVECE L'ART.259 PAR.1 TFUE AMMETTE ESPLICITAMENTE TALE LEGITTIMAZIONE (onde la CGUE fa una inammissibile lettura restrittiva dell'art.60 contraria al diritto dei trattati...ed allo stesso trattato!):
      b) dall'altro, esclude che l'inadempimento, da omesso o grossolanamente erroneo "controllo", sia imputabile alla stessa Commissione (altra lettura inammissibile: in realtà, quella con la Commissione, sulla base di questi presupposti, sarebbe una controversia in cui la Commissione stessa sarebbe portatrice di un interesse a resistere collimante con quello dello Stato inadempiente e, come tale, non "terza" per definizione: E CIO' PARE CONFERMATO DAGLI STESSI ARTT.259 PAR.2 E 260, che altrimenti perdono di senso applicativo).

      Ma si conta che l'accumularsi di tali forzature, spesso emanate in forma di parafrasi estenuanti di scarsissimo valore dimostrativo, portino alla rassegnazione degli Stati per "sfinimento", con l'affermarsi di una prassi applicativa che diviene diritto vivente...(o "morente" per le democrazie dei singoli Stati coinvolti).

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    8. M'hai fatto venire in mente un passo di un paper di Luciani di cui abbiamo già parlato: “Ricondotta nell’alveo che le è proprio, la questione dei controlimiti si presenta nella sua luce corretta: non una (per taluno odiosa e retriva) resistenza degli Stati-persona ai processi di integrazione sovranazionale e internazionale, ma la rigorosa affermazione della sovranità popolare, perché nei sistemi democratici i cittadini hanno questo, di caratteristico: che vorrebbero contare qualcosa nelle decisioni che toccano l’intera comunità politica. In questa prospettiva assume nuovo vigore anche la classica questione del deficit democratico delle istituzioni eurounitarie, che pel solo fatto d’essere risalente alcuni vorrebbero cancellata – diciamo così – per stanchezza”.

      Pare quindi che in Europa s'affacci una nuova forma di esercizio del potere costituente: prendere per stanchezza.

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    9. “La Corte cost. tedesca nega che sia valida questa autoattribuzione di sovranità fondata su una fonte pur sempre derivata (il trattato) dai poteri costituzionali di negoziazione degli Stati-parte”.

      E per farlo, la Corte tedesca richiama G. Jellinek che a me sembra dica cose interessanti già in materia di federazioni di Stati:

      … La tesi sostenuta da alcuni ancora di recente che in una federazione di stati viene esercitato un dominio sui poteri degli stati federati fa venire meno il concetto stesso di federazione di stati e, con esso, ogni possibilità di operare una distinzione con lo stato federale per il tramite di una caratteristica essenziale. Un potere che eserciti un dominio priva coloro i quali sono oggetto di quel dominio di qualsiasi sovranità. UN DOMINIO ESERCITATO SU STATI SOVRANI COSTITUISCE UNA CONTRADDIZIONE IN TERMINI ed è impossibile sia teoricamente che praticamente. Quando a dominare è il potere della federazione, allora gli stati non sono sovrani, ragion per cui si possono differenziare la federazione di stati e lo stato federale soprattutto sulla base dei relativi scopi, ma non attraverso la loro formazione giuridica.

      L’idea di una posizione prevalente del potere federale si può giustificare solamente facendo propria l’idea per cui il trattato, che come è stato riconosciuto costituisce il fondamento giuridico della federazione, si staglia al di sopra di essa e la rende, in questo modo, qualcosa di diverso da quello che è. Come sia poi possibile che un trattato possa essere stipulato in modo che non contempli alcuna delle caratteristiche essenziali di un trattato, come il fatto che le decisioni prese da un potere federale istituito dallo stesso riescono a intaccare il dato di fatto di un accordo che poggia sulla comune volontà dei contraenti al punto che esse si trasformano in comandi d’autorità rivolti ai poteri statali, è UN ENIGMA GIURIDICO che i sostenitori di questa posizione non hanno né risolto, né hanno provato a risolvere.

      La federazione di stati è una formazione del diritto internazionale. Il diritto internazionale tuttavia non conosce altri soggetti giuridici che non siano gli stati. La federazione di stati, che in quanto tale non è uno stato, non può di conseguenza essere un soggetto giuridico.

      Essa è al contrario, come l’hanno correttamente descritta v o n Mo h l e L a b a n d , un r a p p o r t o g i u r i d i c o . Essa non è una persona giuridica e non può esserlo. Infatti, come che la si pensi sul discusso concetto di persona giuridica, si deve ritenere che essa possa sorgere solamente all’interno dell’ordinamento giuridico statale e che essa, come dice il suo stesso nome, costituisce pur sempre la creazione di un ordinamento giuridico, che deve situarsi al di sopra di coloro i quali con la loro volontà quella persona giuridica l’hanno creata. Tuttavia, l’ordinamento giuridico del diritto internazionale, che ha la sua sanzione giuridica nella volontà degli stati, non può creare una persona giuridica che emana dalle personalità degli stati e si situa al di sopra di esse
      ”.

      E L€uropa che conosciamo noi non è nemmeno una federazione di stati. Insomma, dobbiamo obbedire in base ad un enigma giuridico rafforzato, o “finzione” (come la chiama Luciani). In nome della pace.

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  7. Purtroppo non ho competenze tali da dare una risposta originale, anche se ho capito il succo del discorso.
    Fosse per me una pernacchia alla commissione europea sarebbe sufficiente, ma mi rendo conto un po' ingenua.

    Provo però a pensare un attimo oltre.
    Stante il ritorno ad una piena sovranità, mi soffermo sul fatto evidente che siamo giunti comunque a questo punto.
    Pur avendo la 'costituzione più bella del mondo' e via dicendo, essa deve contenere inevitabilmente un qualche errore, un baco, che ha consentito di scardinarla e arrivare alla situazione attuale.

    E' forse opportuno pensare a come introdurre concetti nuovi (ed esempio un esplicito riferimento a cambi fissi o unioni monetarie) per evitare di ritrovarci tra 50 anni nella stessa situazione?

    Forse questa mia domanda sarà oggetto di un post, speriamo, non tanto futuro.

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    1. Ecco, il tuo commento è esattamente complementare alla mia risposta, più sopra, a Giovanni: bingo! C'è un "baco".
      Abbiamo spiegato già l'ostinata incomprensione della Corte costituzionale (ultimamente molti post hanno affrontato questo tema, compreso quello di CHI ALTRI POTREBBE FAR VALERE I CONTROLIMITI; in effetti nel post ci sono i links relativi).

      Ma stando al "baco", lo abbiamo evidenziato fin dai primissimi post, cinque anni fa:
      http://orizzonte48.blogspot.it/2012/12/alcuni-punti-fermi-ipotesi-frattalica-e.html p. 2-3.
      Oggi, alla luce della successiva elaborazione, nonché di tutti gli eventi "europei" sopravvenuti, quegli strumenti potrebbero essere affinati.

      Ma, ai fini che ci interessano, la "linea generale" di azione, l'hai dedotta correttamente :-)
      Ci torneremo...

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    2. "Pur avendo la 'costituzione più bella del mondo' e via dicendo, essa deve contenere inevitabilmente un qualche errore, un baco, che ha consentito di scardinarla e arrivare alla situazione attuale."

      Col senno del poi e' facile vedere i bachi, legati in ultima analisi all'incauto abbandono del proporzionale puro in nome del feticcio della 'governabilità'.

      1) La Corte Costituzionale NON dovrebbe mai poter diventare un organo politico (oggi EU-nionista, perche' le modalita' di nomina hanno purtroppo prodotto nel tempo questo risultato, imprevisto in sede di Assemblea Costituente).

      2) Andrebbe poi introdotto l'istituto del referendum abrogativo (tramite raccolta di almeno 500 mila firme) anche in materia di trattati internazionali.

      Infatti, se i giudici costituzionali vengono nominati:

      - per un terzo dal Presidente della Repubblica;
      - per un terzo dal Parlamento in seduta comune;
      - per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria e amministrative;

      ma al tempo stesso:

      - il Parlamento, per i motivi esposti al punto successivo, elegge solo Presidenti della Repubblica EU-nionisti di provata fede e militanza;
      - il Parlamento viene eletto sistematicamente con leggi elettorali (anticostituzionali e maggioritarie) progettate per pepetuare il monoteismo EU-nionista;
      - le supreme magistrature sono costituite al 99% di persone che gia' pensano ad un qualche posto in una qualche lista bloccata EU-nionista maggioritaria per "entrare in politica" ;

      allora la strada da percorrere appare come una parete verticale liscia.

      Resterebbe la via del referendum abrogativo per cercare di limnitare i danni, ma, avendo l'Italia perso la II GM, non credo che ci sara' mai permesso di uscire dagli EU-NATOed States Of Europe per la via maestra abrogativa dei trattati imposti....

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    3. Anche qui si scende sul tecnico: tuttavia, nonostante (anzi, direi, "proprio in ragione de") il dibattito politico-mediatico di questi ultimi decenni, le isure indicate non sono quelle prioritarie.
      Diciamone solo una: il referendum sui trattati potrebbe sanare la loro incostituzionalità ove, grazie alla grancassa mediatica, portasse a un "sì"?

      E ancora, si sarebbero mai accorti comunque gli italiani, in presenza di questo condizionamento mediatico, che Maastricht aveva contenuti essenziali (v. sopra commento di Francesco e risposta) divergenti da quelli indicati nel quesito del referendum consultivo "preventivo"?

      E questa è solo una esemplificazione. Il "baco pericoloso" passa per altri aspetti peculiari, originari e sopravvenuti, delle previsioni costituzionali....

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    4. NB: il referendum ABROGATIVO in materia di trattati non è conforme all'art.10 Cost. perchè configura un caso di violazione del pacta sunt servanda (dannosissima nelle relazioni internazionali con partner vicini politicamente ed economicamente), ciop del diritto internazionale generale.

      Piuttosto, si può inserire un referendum APPROVATIVO, all'interno di un procedimento complesso di ratifica.
      Ma il problema di insanabilità della violazione delle norme fondamentali della Costituzione mediante voto politico rimane inaggirabile.

      PS: il giudice che giudica delle leggi, usando il parametro della Costituzione rigida, esercita, per definizione, una giurisdizione politica. Il problema è garantirne la imparzialità e neutralità rispetto all'indirizzo politico della maggioranza pro-tempore. E' l'idea di nomina parlamentare sia dei giudici che del "nominante" PdR che va rivista (e sono norme tranquillamente revisionabili).

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    5. @Luca
      sono contento di non essere il solo a considerare un assurdo feticcio la fin troppo mitizzata governabilità. È stato all'epoca del dibattito per il referendum sul proporzionale che, poco più che ventenne, mi feci molte domande e trovai numerose evidenti incongruenze tra quanto portato avanti all'unisono dai media all'epoca e uno sguardo disincantato della realtà. Una stonature tra tutte: la favola che la durata dei nostri governi fosse IL principale problema. Come abbiamo potuto da paese agricolo e distrutto dalla guerra diventare una potenza industriale? (Interessante il paragone che Bagnai e Borghi a Como fanno col Giappone: debito pubblico non piccolo, intervento statale in economia, declino demografico, mafia, mancanza di materie prime, ottimo indice di efficienza energetica, ecc.).

      Se posso osare una domanda al padrone di casa: ma come mai la legge elettorale non fu messa in costituzione, blindando il sistema proporzionale (e la possibilità delle preferenze)?

      Non era già evidente allora che altri sistemi elettorali potevano distorcere la volontà popolare e una maggioranza pro tempore poteva costruirsi una legge elettorale su misura?

      Mi sembrerebbe una modifica da fare, oltre a introdurre meccanismi per depotenziare il controllo sui media da parte dei centri di potere e, forse, introducendo una sfiducia solo costruttiva per impedire al governo di ricattare il Parlamento ponendo continuamente la questione di fiducia. Si potrebbero formare interessanti governi di minoranza costretti a mediare tra le forze politiche, cercando compromessi alti che poi alle elezioni verrebbero indirettamente giudicati dagli elettori.

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  8. Penso che la risposta alla questione presentata dal post sia un enorme rompicapo proprio perché deve avvenire in parallelo su due livelli, in ambito politico interno e in un sistema di relazioni esterne nel rispetto del diritto internazionale.
    CONSENSO POLITICO INTERNO:
    Credo che il consenso politico interno sia tutt'altro che maturo e che l'essenza sia quella premessa nel post, che si crei la coscienza diffusa che poi si trasformi in una forma politica impegnata al recupero della sovranità
    Limiti alla coscienza diffusa sono la base culturale diffusa e l'accesso all'informazione indipendente, ma il loro superamento, se ha successo, é di lungo periodo. Sul concetto di urgenza dell'intervento di recupero della sovranità credo che tutti possiamo essere d'accordo. La perdita di sovranità democratica é un processo dinamico che continuerà a procedere. A livello economico l'Italia ha la sua forza nelle piccole e medie imprese, che con l'unione europea, la moneta unica e la crisi, contro ogni aspettativa neoliberistica, non hanno incredibilmente chiuso in massa, ma si sono “solo” ridotte del 20-25%. Finché un'azienda é in piedi la può ripartire, ma quando chiude é un danno irreversibile. La creazione di una coscienza diffusa non sembra compatibile con l’urgenza.
    La formazione del soggetto politico sarebbe poi comunque osteggiata neoliberismo stesso. Nel 2013 il voto si é diviso tra Bersani, Berlusconi, Grillo, ma i governi sono stati ben altri, prosecuzione di Monti.
    Il neoliberismo deve il successo all’azione senza fair play, le tecniche di psicologia delle masse, i piccoli passi nel cambiare le regole, la propaganda. Non dico di giocare sul suo campo, ma non essere solo ortodossi del fair play e dell’auspicio di partiti ideali, prospettiva di lungo termine. La integrerei il più possibile con strategie e progetti di breve termine. Avendo oggi anche solo un partito di rilievo nazionale che propone recupero di sovranità e uscita dall’euro, pur su basi intellettuali non ideali di socialdemocrazia costituzionalista, potremmo partire da lì. La minoranza che ha già oggi la sensibilità del tema potrebbe innanzitutto convergere su un obiettivo coerente di breve anziché disperdersi elettoralmente ed essere aperta a stimolare una sensibilizzazione di altri cittadini (media e dibattiti oltre i circoli chiusi già sensibili). Molti mi hanno ringraziato per aver loro “aperto gli occhi” sintetizzando con parole semplici concetti di questo e altri blog, perché per loro era già un passo enorme nella comprensione (peraltro immediatamente determinante nel loro orientamento elettorale). Credo si potrebbe avere risultati tangibili nel breve strutturando meglio l’approccio comunicativo semplificato su larga scala. L’approfondimento sarebbe sempre comunque stimolato, accessibile e garantito dal think tank di riferimento.
    SISTEMA DI RELAZIONI ESTERNE E RISPETTO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE
    La classe politica italiana, posto che abbia preso il mandato di recupero della sovranità, dovrebbe nel caso specifico far prevalere le proprie posizioni su quanto prevede l'articolo 46 della costituzione. Questo significa avere delle capacità e possibilità negoziali non conosciute nella storia della nostra politica recente e che richiederebbero un elemento di forza nuovo.
    Consideriamo la sola uscita dalla moneta unica assunto per decreto in un weekend per la sola volontà politica di farlo e con le dovute misure per renderlo possibile. La svalutazione della lira come raccontato da economisti indipendenti sarebbe forse del 20% (non 50% o più come dice la propaganda) e sarebbe anzi un beneficio che porterebbe vantaggi immediati tali che il mercato si muova per rivalutarcela in tempo breve. A quel punto però con la ritrovata sovranità monetaria avremmo un elemento nuovo di forza negoziale a livello internazionale mai avuta prima per rivedere i trattati e sarà forse la prima volta. In sostanza si tratterebbe di partire da un primo passo sostanzialmente unilaterale per poi rendere possibile la negoziazione successiva.

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