giovedì 2 novembre 2017

GLI ALLIEVI E I "MAESTRI": DRAGHI E VISCO VS. CAFFE' E M.S GIANNINI


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1. Di questo "estratto" sotto riportato ci interessa il punto in cui si parla di "allievi" dello stesso maestro. Questa ascendenza scolastica è spesso riportata (v. ad es; qui e qui), laddove come maestro si debba intendere Federico Caffè.


2. Le "bio" curriculari dei due peraltro dicono di percorsi che poi divergono radicalmente dalla "scuola" riconducibile a tale maestro, al punto che questa qualità di "allievi" non risulta oggi ragionevolmente attribuibile se si guarda al percorso scientifico-formativo effettivamente svolto dai due.
Visco, a sua volta, tra il 1974 e il 1981 si perfeziona presso la University of Pennsylvania, dove ottiene il suo Ph.D , evolvendo la sua esperienza in ruoli come questo: "dal 1997 al 2002 è stato Chief Economist e Direttore dell'Economics Department dell'OCSE". 
Per entrambi la prevalente attività di ricerca e di studio, nonché l'esperienza operativa presso istituzioni economiche nazionali e internazionali, si colloca nel solco della neo-macroeconomia classica (v. qui, p.4: quella che, dedita al recupero della visione neo-classica del mercato del lavoro perfettamente flessibile, elabora persino la teoria dei salari di efficienza, per...autogiustificare le proprie posizioni, certamente flessibili ma solo verso l'alto...dato che l'efficienza si dispiega essenzialmente nel rendere flessibili verso il basso, su larga scala, le posizioni altrui).

3. La dissonanza cognitiva del continuare a classificarli come "allievi" di Caffè, pertanto, si può spiegare solo come curiosa rimozione dei rispetti percorsi formativi e professionali; cioè come un problema di comunicazione-informazione al riguardo...
Ma una volta superata questa dissonanza è evidente che il maestro Caffè non può più collocarsi tra gli antecedenti della cultura economica da essi espressa e portata avanti in ruoli istituzionali. Questo distacco dalla "matrice" diviene perciò non segno di contraddizione (che gli si potrebbe imputare ove ci si ostinasse a definirli allievi in senso di appartenenti ad una "scuola", anzicchè meri "studenti" di quel professore) bensì di una manifesta trasformazione divergente.

4. Questa ormai incolmabile divergenza si può agevolmente verificare proprio riportandosi al reale pensiero di Caffè sui temi che, oggi, caratterizzano l'azione e le prese di posizione dei due (supposti) allievi. Vale perciò la pena di riportarlo, questo pensiero, ricorrendo ai ritrovamenti filologici di Arturo:
"Caffè e l’Europa ma anche specificamente Caffè e l’euro.
Nel suo manuale (Lezioni di politica economica, a cura di N. Acocella, Bollati Boringhieri, Torino, 1990) mette in guardia per ben tre volte contro l’ipotesi di una moneta unica europea. Eccovele:
pagg. 110-11: “Il difficile cammino della integrazione europea viene reso più arduo sia dalla pretesa di anticipare gli eventi, prima che se ne siano stabilite le basi (ad esempio ‘la moneta europea’); sia dalla pretesa di non tener conto delle fasi congiunturali avverse, come se la Comunità fosse stata configurata soltanto in vista di periodi favorevoli.”;
pagg. 298-99: parlando del gold standard: “In esso coesistevano varie e distinte monete (sterlina, dollaro, marco, franco ecc.), ma, attraverso il vincolo dei cambi fissi e sin quando fossero rispettate le “regole del gioco” necessarie per il buon funzionamento del gold standard (le regole, cioè, elencate a p. 294), si può dire che sostanzialmente la situazione era molto analoga a quella che comportasse l’esistenza di una moneta unica
Le singole economie nazionali dovevano adattarsi alle esigenze di uno standard monetario intemazionale: questo assicurava la stabilità dei cambi; ma non la stabilità dei prezzi interni dei singoli paesi che dovevano adattarsi, come si è visto, per assicurare il riequilibrio delle bilance dei pagamenti.
La stabilità dei cambi favoriva lo sviluppo degli scambi e degli investimenti internazionali; ma imponeva questo vincolo di adattabilità delle economie interne, adattabilità che molto di frequente si realizzava attraverso la disoccupazione e in genere la più o meno prolungata sottoutilizzazione delle risorse disponibili. E opportuno non perderlo di vista oggi che (in mutate condizioni) si prospettano possibilità di una “moneta unica" nell’ambito di aree integrate.
”;
pag. 344: “Rispetto a questi problemi costituiscono ’’risposte fatue” quelle fornite dal moltiplicarsi di progetti di pretese soluzioni che sembrano non tener conto degli insegnamenti della storia (dalle proposte per la creazione di una “moneta europea”, alla possibilità che dovrebbe essere concessa ai cittadini di economie ritardate di effettuare investimenti in valuta estera, all’attrattiva che continua a esercitare il ritorno al sistema aureo). 
Il carattere “fatuo” delle risposte non vuol dire, peraltro, che esse non siano rappresentative di giudizi di valore e di interessi sezionali chiaramente individuabili
A monte dei problemi tecnici considerati nel presente capitolo vi è una crisi irrisolta delle politiche economiche: la riaffermazione di un liberismo economico che spesso confonde la valorizzazione dell’iniziativa individuale con la salvaguardia a oltranza di posizioni privilegiate; l’offuscarsi della concezione di Stato garante del benessere sociale, che spesso si tende a valutare alla stregua di uno Stato acrìticamente assistenziale (Caffè, 1982), la tendenza a riabilitare il mercato, trascurandone le inefficienze (vedi p. 50).”.
Insomma, anche Caffè era fra "quelli che ce l’avevano detto". Ovviamente, direi".

5. Ma (nella stessa sede, che non a caso, traeva da un post dedicato alla "irriformabilità" dei trattati), anche Francesco, riporta un'interessante raccordo tra Caffè e la critica dell'attuale "cosmopolitismo", del capitale, in cui si inscrive la cooperatività mostrata da Draghi e Caffè alla realizzazione, in particolare, dell'eurozona, e che si pone nel solco di una lunga storia di trasformazione (appunto) dell'agire politico-economico delle istituzioni di Bretton Woods e delle organizzazioni economiche (liberoscambiste) in generale:  
"Quel “cosmopolitismo” (l’ordine sovranazionale del mercato) denunciato da Basso corrisponde a l’automatismo internazionale criticato duramente da Federico Caffè proprio per gli sviluppi decisionali che si sono poi materializzati in seno agli organismi internazionali :
… La circostanza che Beyond the Welfare State costituisca una raccolta di saggi e non un’opera unitaria non diminuisce l’interesse di un pensiero come quello di Gunnar Myrdal sempre ricco di approfondite riflessioni. In primo luogo, nel discutere sullo “Stato dei servizi”, che è l’equivalente svedese della ricordata espressione inglese, egli può parlare come protagonista: come componente, cioè, del gruppo di coloro che “in qualità di esperti e talvolta anche di veri e propri uomini politici, promossero attivamente riforme sociali ed economiche intese a perfezionare…questo grande movimento riformistico della nostra epoca”.
Proprio in conseguenza di questa diretta partecipazione egli fu in grado, da un lato, di rendersi conto della “costante lotta di retroguardia contro le riforme” organizzata da coloro “che avevano interessi legati al vecchio ordine”. In realtà, come accade per tutte le posizioni conservatrici, essa si rivelò completamente miope, in quanto “lo stato organizzatore dei servizi ebbe un’influenza così forte sullo sviluppo della produttività potenziale degli individui, che nel processo dinamico della sua realizzazione, si potè avere un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle masse povere in una situazione economicamente progressiva senza deprimere le condizioni della maggior parte di coloro che, godendo dall’inizio di una situazione vantaggiosa, dovettero in un primo tempo fare le spese delle riforme”.
Ciò non evitò che queste posizioni di retroguardia trovassero un appoggio negli economisti legati alla TRADIZIONE DELL’AUTOMATISMO INTERNAZIONALE, la cui preservazione richiedeva che le singole economie nazionali fossero obbligate ad adattarsi ai mutamenti del mondo circostante, anche a costo di subire disoccupazione e depressione. Senza concordare con le conclusioni pratiche di questi economisti, Myrdal riconosce l’importanza della premessa di valore internazionalistica, la quale, peraltro, nelle condizioni contemporanee, non può trovare un’adeguata difesa in un utopistico “automatismo”.
“Dobbiamo innanzi tutto tenere presente che lo Stato del benessere è uno Stato organizzatore”. 
Oggi IL GIOCO DELLA DOMANDA, DELL’OFFERTA E DEI PREZZI non può considerarsi effettivamente “libero”, né sul mercato dei capitali e della mano d’opera, né su quello delle merci e dei servizi; è regolato, infatti, dalla legislazione e dall’amministrazione statale …nonché dalle grandi imprese semipubbliche e private operanti entro la struttura e sotto il controllo statale.
In ultima analisi, se vogliamo ristabilire l’integrazione dell’economia mondiale, dobbiamo preoccuparci di coordinare e armonizzare proprio tali complesse strutture di interferenza organizzata sui mercati”. 
Purtroppo, la rete delle organizzazioni cui era stato affidato il compito di realizzare una cooperazione internazionale “organizzata” (equivalente in qualche modo allo “stato organizzatore” sul piano interno) si è dimostrata incapace di conseguire i suoi obiettivi, proprio per il progressivo stravolgimento delle meditate carte statutarie su cui le varie organizzazioni si fondavano. Stravolgimento nel senso di ricondurre, attraverso successive crisi, VERSO SOLUZIONI “AUTOMATICHE” LE QUALI …RIFLETTONO IN REALTÀ LE PRESSIONI DELLE POTENZE EGEMONI.
In tal modo lo sforzo compiuto da Myrdal di porsi in una posizione più ampia, libera da preoccupazioni nazionalistiche, finisce da un lato per fornire una conferma ulteriore di quanto è mancato nella realizzazione dello “stato dei servizi”; dall’altro…ci porta a riflettere sull’appoggio concreto che…l’internazionalismo nominalmente automatico finisce per dare alle resistenze di retroguardia delle posizioni di privilegio
Basti pensare al CARATTERE FARISAICO che assume la martellante insistenza contro I PERICOLI DEL PROTEZIONISMO SUL PIANO MONDIALE E L’ASSOLUTA INDIFFERENZA NEI CONFRONTI DELLE CONDIZIONI DI LAVORO E DI SFRUTTAMENTO”.
E l’allora CEE, ricorda Caffè “… va considerata nel vasto movimento di idee, di dibattiti, di concretamenti e di inevitabili compromessi che contraddistinsero, prima ancora della cessazione del secondo conflitto mondiale, il disegno di dar vita a una collaborazione economica internazionale organizzata, basata cioè su concordati impegni e su istituzioni intese a favorirne…l’osservanza. Nell’ambito mondiale questo disegno contemplava una cooperazione istituzionalizzata sul piano valutario, su quello finanziario e su quello commerciale…Ma sul piano della cooperazione commerciale internazionale si dimostrò insuperabile il contrasto tra un liberalismo di tipo tradizionale e l’aspirazione … a evitare, come si disse, la stabilizzazione delle disuguaglianze”.
Perciò “possiamo renderci conto delle ragioni che impediscono ai distinti monologhi di tradursi in costruttivi dialoghi. 
In un saggio molto noto, Lord Kaldor ha posto in evidenza le limitazioni imposte alla politica economica dai conflitti nell’impiego di determinati strumenti, per inibizioni di carattere politico, sociale, ideologico. 
Se la collaborazione internazionale organizzata costituisce un punto dal quale non si torna indietro, nulla, tranne l’interpretazione deviante dei tecnocrati, preclude che, con motivate richieste avanzate nelle sedi stabilite, sia possibile far ricorso, quando occorra, a temporanee misure di contingentamento, di razionamento, di controlli fisici, di regolamentazione delle forme e della entità DELL’INDEBITAMENTO ESTERO E DEI MOVIMENTI DI CAPITALI IN GENERE …” 
In definitiva, “un vero quadro incisivo di politica economica non può essere fornito che da alcune opzioni fondamentali le quali, nelle condizioni contemporanee, sembrano essere costituite:

a) dalla riaffermazione di un livello pressoché pieno dell’occupazione, come traguardo fondamentale, indispensabile per legittimare il consenso e reagire, in forme non repressive, ai fenomeni asociali di conflittualità;

b) dal riconoscimento che il pieno impiego comporta non soltanto una politica di controllo pubblico della domanda globale, ma altresì una politica di attenta AMMINISTRAZIONE DELL’OFFERTA COMPLESSIVA. Sul terreno, appunto, dell’offerta, sia i fenomeni aberranti delle eccedenze agricole da distruggere sia i fenomeni di carenze strutturali di periodo lungo attestano con chiara evidenza i limiti e le insufficienze delle indicazioni fornite dal mercato;

c) queste indicazioni non sono che il riflesso dell’esistente distribuzione dei redditi e dei patrimoni. E poiché tale distribuzione risulta estremamente sperequata nella realtà comunitaria, occorre essere chiaramente consapevoli che questa sperequazione si riflette necessariamente nel sistema dei prezzi. Questi sono bensì degli indicatori sociali …; ma proprio perché espressione di una sperequata distribuzione dei redditi e dei patrimoni sono fattori di cumulativo aggravamento di queste tendenze e non di una loro attenuazione che può soltanto attendersi dall’azione dei poteri pubblici;

d) occorrerebbe riacquistare la consapevolezza che il peso ingente e a volte esclusivo, fatto gravare sulla politica monetaria come strumento di lotta antinflazionistica, è necessaria conseguenza della generale riluttanza all’impiego dei controlli diretti
” [F. CAFFE’, In difesa del Welfare State – Saggi di politica economica, Rosemberg& Sellier, 1986, 40-43, 98, 144, 151-152].

6. Per completare il quadro della divergenza dall'ex "maestro" Caffè e dalle sue ancor attualissime (e ideologicamente rifiutate) soluzioni, - e data la ben evidente direzione assunta dall'azione istituzionale sostenuta da Draghi e Visco (negli ultimi decenni), riportiamo un passaggio di Massimo Severo Giannini (sempre citato da Francesco), relativo al modello economico costituzionale (keynesian-kaldoriano, come ci viene testimoniato direttamente qui).
Per inciso: tale modello dovrebbe  essere, per tutti gli appartenenti alle istituzioni della Repubblica che abbiano prestato giuramento di fedeltà e osservanza della Costituzione, normativamente superiore al "modello di crescita di Solow" e della Commissione UE; una superiorità gerarchica della fonte costituzionale che è vitale per la democrazia, tanto che, in caso di incompatibilità, teoricamente (purtroppo), dovrebbe intervenire lo sbarramento dell'art.11 Cost. cioè i famosi controlimiti che Luciani (qui, p.11), segnala costituire non solo un limite di legalità incombente sulla Corte costituzionale, ma anche su "altri organi dello Stato", al di là del momento giurisdizionale:
"Ci tengo a sottolineare, come puntualmente fatto nel post, l’aspetto riguardante anche la politica di amministrazione dell’OFFERTA, perché è strettamente legato alla strumentazione dell’IMPRESA PUBBLICA (art. 43 Cost.) con la quale lo Stato organizza servizi pubblici e produce beni essenziali nell’interesse della collettività e non per profitto, strumento necessario non solo ai fini del livello occupazionale, ma anche per combattere quelle “strozzature” che vengono utilizzate dai trust finanziarizzati per imporre “l’inflazione programmata” (!). Ma sia il sostegno alla domanda che all’offerta necessita della sovranità monetaria:
… Le imprese pubbliche appartengono a due tipi fondamentali: le imprese di servizi pubblici, le imprese per obiettivi politici (politico-economici, politico sociali…). Con queste configurazioni si presentano già allorché sorgono, nel sec. XVII: le fabbriche d’armi, gli arsenali, LE BANCHE PUBBLICHE…).
Lo Stato liberale fu, per sua ideologia (dati gli interessi che impersonava) avverso all’impresa pubblica: onde le soppresse, e quelle di cui non si potè provare, le trasformò in organizzazioni di tipo amministrativo…mentre altre che non potè sopprimere, FURONO PRIVATIZZATE
L’avvento dello STATO PLURICLASSE ha mutato il quadro, in quanto le nuove classi emergenti reclamarono la collettivizzazione di imprese private che per la loro posizione dominante o il loro carattere monopolistico fossero ritenute perturbatrici, o di interi settori di attività imprenditoriali attinenti a servizi di interesse pubblico generale…
” [M.S. GIANNINI, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 1981, 234-235].

La conclusione è che, poiché scripta manent, nel bilancio di una vita al servizio delle varie "istituzioni" (che non sono tutte eguali e non sono tutte costituzionalmente "compatibili"), ognuno, poi, avrà i ringraziamenti delle forze che avrà sostenuto.

10 commenti:

  1. "Insomma, anche Caffè era fra "quelli che ce l’avevano detto"."

    Aggiungerei a Caffè anche Francesco Cossiga (mi auguro che l'accostamento non sembri blasfemo), il quale poco prima di lasciare questa valle di lacrime si espresse molto chiaramente sulle doti umane di quello che, a fine mandato BCE, ci verrà probabilmente proposto come presidente del consiglio.

    https://www.youtube.com/watch?v=pdJ1JW-v_VI

    Di Visco credo invece che basti questa carrellata di 'opinioni' per vedere che dell'insegnamento di Caffè non ha mai capito nulla.

    http://www.huffingtonpost.it/2017/03/16/ignazio-visco-bankitalia_n_15403644.html

    Non fa scienza, sanza lo ritenere, avere inteso (Dante, Paradiso, V, 41-42)

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  2. E Caffè e Giannini (qui, p.2) furono pubblicamente ringraziati in sede di Assemblea Costituente per il loro fondamentale apporto di consulenza scientifica alla redazione del testo poi approvato.

    Ci credo…. E vorrei ricordare:

    Arturo6 maggio 2016 00:51

    In effetti Giannini (in Rilevanza costituzionale del lavoro (Riv. giur. lav., 1948, 7), collaboratore tecnico di Basso nella redazione del secondo comma dell'art. 3, osservava che tale disposizione, nel riconoscimento della sottoprotezione e nell'istanza di empancipazione del proletariato che essa contiene, segna l'accoglimento dell'istanza politica fondamentale del marxismo.

    Bazaar6 maggio 2016 11:30

    Grazie Arturo sempre per il supporto delle fonti: quando tempo addietro feci notare "a certi dotti" che dentro l'articolo fondamentale della Costituzione ci sta la "Luxemburg", e il paradigma ortodossissimo del "riformismo rivoluzionario", mi presero per pazzo.

    Capire che mettere keynes in Costituzione è socialismo ortodosso, è per me stato evidente dopo aver letto il primo libro di Quarantotto.

    Semplicemente, in fase costituente, eliminate le porcherie ideologiche di tutti i vari fronti, si è riconosciuta la convergenza tra "etica gesuana e marxismo", materializzabili tramite l'accettazione dei risultati fondamentali dell'analisi economica keynesiana che, guarda un po', sono i medesimi di quella kaleckiana.

    Si può fondare una comunità sociale su qualcosa che non è socialismo?

    Da qui la necessità reazionaria di cosmetizzare "una terza via".

    Chi non ha ancora capito la precedente domanda, cerchi la risposta in Hayek, Madison e i vari "federalisti kalergici" di tutti i colori....

    Keynes non ha salvato il capitalismo. Ha salvato la democrazia.

    http://orizzonte48.blogspot.com/2016/05/usa-for-italy-gli-italpretoriani.html?showComment=1462488703582#c5332555350106186288

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    1. Grazie per averci ricordato questo scambio; mi era passato di mente :-)

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    2. grande scambio Presidente... ci sentiamo domani

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    3. Tra l’altro… avevo letto tempo fa questo articolo:

      "Caffè dagli anni Ottanta iniziò a criticare la sinistra (dalla quale rimase deluso perché non aveva nessuna intenzione riformatrice in favore dell'economia reale) e la finanza, ed il loro strettissimo connubbio con i poteri forti. Tra questi spiccò di certo Ignazio Visco ma soprattutto Mario Draghi. Nella sua tesi sull’Euro, scritta sotto la guida di Federico Caffè, Mario Draghi dimostrò come l’Euro fosse una missione impossibile, quindi sbagliata. Poi il soggiorno di studio negli Stati Uniti – dal quale Caffè cercò invano di farlo desistere invitandolo a rientrare in Italia per occuparsi di “cose serie” – gli cambiò le idee… il resto è oggi sotto gli occhi di tutti!

      La Storia non Raccontata - Il grande Caffè e Draghi, il cattivo allievo http://www.quieuropa.it/?p=25743

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    4. Giusto, quelle critiche di inizio anni Ottanta meritano di essere tirate fuori tutte, non solo il "famoso" Processo a Berlinguer.

      Qui Caffè sta commentando un documento, elaborato dal Pci, “Materiali e proposte per una programma economico-sociale e di governo dell’economia”: “E’ per motivi del genere che ho provato un estremo disagio, una sensazione di vero tradimento intellettuale, là dove si parla di « programmazione che agisca in un quadro... in cui operano le leggi di mercato »; o di imprese che « devono misurare la loro efficienza sul mercato »; o di rifuggire (sempre per assicurare una « politica di programmazione nell’ambito di un’economia di mercato ») da « vincoli troppo rigidi », « dal rischio di impiantare un sistema soffocante di norme e di procedure ».
      Non si può fare a meno di trasecolare che si diffondano tali convincimenti in un paese in cui, da parte di persone in posizioni di responsabilità nella politica economica, vi è stato di recente (tanto per fare un esempio tra i numerosissimi che sarebbero possibili) un esplicito riconoscimento della esistenza di forme di intermediazione finanziaria che non si riescono né a censire, né a regolamentare. Perché, in situazioni del genere, sostenere linee di pensiero che, sostanzialmente, forniscono un avallo ai ricorrenti addebiti della economia ingessata, soffocata da intralci e oberata dai controlli; quando, nella realtà, lo smodato arbitrio di ristretti centri di potere e l’arrogante impiego che ne viene fatto privano di ogni significato operativo la cosiddetta « economia di mercato »? Quale indicatore di efficienza può esso fornire e a quali sue « leggi » si può validamente far appello?
      Non intendo commentare ogni singolo punto di un documento vasto, complesso e, nell’insieme, costruttivo. Ho scelto solo un aspetto denso di pregiudizievoli ambiguità e che mi consente di sottolineare che, in un clima intellettuale pluralistico, le forze progressiste hanno il compito, mi sembra, di confutare con intransigenza le idee sostenute dalla rinnovata « saggezza convenzionale»; rinnovata nella influenza soverchiarne, ma ancorata a concezioni che rimangono retrograde, miopi, antistoriche.
      Tra le cose che dovremmo lasciarci dietro le spalle vi è il pensare che un controllato moderatismo giovi ai fini della acquisizione di un maggiore consenso. Dovremmo aver ormai appreso che il gioco al rialzo, da parte dei fautori della « saggezza convenzionale » non ha mai termine; ed è un gioco che, qualora fosse ancora in grado di suscitare illusioni o acquiescenze, provocherebbe anche una netta dissociazione intellettuale da parte di chi non ritiene che giovi in questo campo alcun tipo di compromesso.
      ”. (F. Caffè, Le preoccupazioni di un critico della efficienza del mercato, Politica ed economia, 1982).

      Ecco, mi pare che la vera “via verso la schiavitù” del dopoguerra non l’abbia scoperta Hayek, ma Caffè.

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    5. Dopo aver doverosamente ricordato che la tesi di Draghi con Caffè - il quale scoraggiò Marietto nostro in tutti i modi di andarsi a far indottrinare negli States - si chiamava « l’insostenibilità di una moneta unica per l’Europa », in cui il nostro ex-governato di BdI concludeva «che la moneta unica era una follia, una cosa assolutamente da non fare... », metterei in grassetto anche questa citazione ripresa da Arturo: « Tra le cose che dovremmo lasciarci dietro le spalle vi è il pensare che un controllato moderatismo giovi ai fini della acquisizione di un maggiore consenso. »

      Per arrivare a superare questo pensiero, mi permetto di aggiungere, vanno piallate tutte le ideologie che la guerra fredda ha poi definitivamente cristallizzato nel pensiero unico liberale del Sessantotto, pervicacemente vivo, vegeto e cerebralmente vegetativo sino ad i giorni nostri.

      Va sradicato il moderatismo compromissorio suggerito dal liberalismo che si pone "centro-moderato" degli opposti estremismi, salvo in realtà essere l'espressione di uno di questi opposti estremismi: estremismo che non predicava sicuramente l'uguaglianza sostanziale tra tutti gli uomini.

      La "rigidità" della Costituzione è la proiezione della radicalità morale dei Princìpi universali in cui questa trova terreno: Princìpi materiali da cui si eleva la spiritualità umana. Umanitarismo che si contrappone agli interessi miopi di chi promuove il pensiero sociopatico dell'elitismo neoliberale.

      D'altronde, « La dura realtà è che “un’organizzazione sociale più razionale” implicherebbe “una vera democrazia politica ed economica: ciò che gli attuali padroni del mondo chiamano ‘socialismo’ e massimamente temono e denigrano” (Bellamy Foster e Magdoff 2009, pp. 138-140) » Tratto da un saggio di Michele Cangiani.

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  3. Gli allievi hanno veramente letto quanto insegnato loro dai maestri?

    Probabilmente sì, e lo hanno capito così bene da non poterne seguirne le orme. Per €SSI non era e non è conveniente. E nonostante ciò, ciclicamente gli allievi continuano a tenere discorsi “in ricordo” del maestro. Stucchevoli copioni recitati a loro uso e consumo.
    Qui il ricordo di F. Caffè da parte di Draghi il quale, citando addirittura Umberto Eco, ci riferisce che avrebbe imparato dal maestro a diventare qualcosa di personale e di diverso. Così diverso da spiegarci che la disoccupazione si cura...con politiche deflattive e per ricordarci quanto di bello ha fatto l€uropa del progresso sociale.

    Qui è invece Visco che ricorda “l’eclettico F. Caffè”, ed il quale ci informa che “…Viviamo oggi in un mondo molto diverso da quello nel quale ha prestato la sua opera, il suo “servizio”, Federico Caffè. E certamente non è giusto cercare di “indovinare” quale sarebbe stato il suo pensiero oggi, così come utilizzare “meccanicamente” il pensiero da lui espresso decenni or sono per interpretare e affrontare il presente…”. Mi chiedo che diamine ci sia da indovinare; Caffè aveva già previsto tutto sui disastri €uristi. Tutto è così commovente.

    Ha fatto bene Luca a richiamare lo scambio tra Arturo e Bazaar. Caffè e Giannini erano socialisti:

    La mia concezione del marxismo, cui ho fatto sopra riferimento, e che ho avuto recentemente occasione di svolgere in vari saggi sulla concezione marxista dello Stato, partiva dall’idea che la società borghese, essendo una società contraddittoria, riflette queste contraddizioni anche nello Stato, che non è, quindi, un blocco compatto di potere al servizio della classe dominante, ma è un luogo di scontro e di lotta in cui è concepibile anche una partecipazione antagonistica della classe lavoratrice. Ciò significava che, anche se non avevamo alcuna possibilità di formulare una Costituzione socialista, non dovevamo per questo limitarci a fare una Costituzione borghese, ma che avevamo possibilità di immettere elementi di contraddizione anche all’interno del sistema costituzionale.

    A tradurre questa concezione in precise formulazioni giuridiche, da proporre all’approvazione dei colleghi, mi fu di grande aiuto la collaborazione di eminenti giuristi socialisti con i quali mi tenni in continuo contatto, e in particolare del compagno professor Massimo Severo Giannini, al quale, desidero, in occasione di questa rievocazione rinnovare l’espressione della mia gratitudine…
    ” [L. BASSO, Il contributo dei socialisti, Rinascita, 3 febbraio 1978, n. 5, 21-22]. (segue)

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  4. Ed ancora Basso, rievocando il periodo della Costituente, dopo l’elezione a segretario del partito nel gennaio ‘47 ed all’indomani della scissione di Saragat, ricorda che “...con il successivo ministero De Gasperi pretesi che i ministri socialisti mi comunicassero, prima delle riunioni del consiglio dei ministri, l’ordine del giorno della riunione e i disegni di legge che dovevano discutere. Avevo creato due commissioni di consulenza di altissimo livello per esaminare questi progetti, una sui problemi dello stato di cui faceva parte Massimo Severo Giannini, e una commissione economica di cui faceva parte Federico Caffè, e altri uomini di valore, ed ero quindi bene assistito. Potevo perciò controllare rapidamente i disegni di legge e poi incaricare uno dei ministri di sollevare tutte le contestazioni che avessimo preparato in sede di partito…” [L. BASSO, Stato e Costituzione. Atti del convegno organizzato dall’ISSOCO, Venezia. 1977, 86-94].

    Mi permetta, Quarantotto, ma quando mi trovo a leggere i ricordi dei maestri fatti da taluni “allievi”, a me sovviene quanto diceva Marx “Venne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate - virtú, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. - tutto divenne commercio. È il tempo della corruzione generale, della venalità universale, o, per parlare in termini di economia politica, il tempo in cui ogni realtà, morale e fisica, divenuta valore venale, viene portata al mercato per essere apprezzata al suo giusto valore…” [ K. MARX, Miseria della filosofia ]

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