martedì 10 luglio 2018

IL POPULISMO HA FAME: NON CHIAMATELI RAZZISTI



Post di Sofia
1) Alessandro Turci (su Panorama di oggi  9 luglio 2018), usa un termine ormai stra-noto: “POPULISMO”; per etichettare l’ideologia dei sovranisti anti migranti che ridurrebbe a una bieca forma di egoismo sociale, sovranisti che giocano allo scaricabarile. E si legge: “è forse giunto il momento di chiedersi se il populismo, oltre alla difesa dell’olio d’oliva e al me ne frego sui vincoli di spesa pubblica, ha qualcosa in più da offrire alle sfide della società moderna” e si domanda anche quali saranno gli effetti del post-populismo.
Quando le pulsioni del popolo saranno soddisfatte - e lo Stato avrà ricevuto tramite la democrazia diretta il potere di sottomettere e punire, chiudere i porti a individui e merci - il popolo medesimo si troverà al capolinea di quest’impari dialettica. S’accorgerà, in parole povere, di aver delegato per intero potere e contrappesi, e gli resterà come sola speranza l’unico principio che credeva invece essere il nemico mortale: la ragione. Cioè l’iniziativa illuminata di una nuova leadership che torni a dare equilibrio tra tutte le componenti del patto sociale: il popolo, i suoi delegati, le sue leggi.
Turci ritiene che la differenza fondamentale tra l’ancien régime e il nuovo corso, è tutto nel rapporto tra popolo e potere. Quando il primo cede alle sirene del populismo, cioè l’illusione di aver trovato l’incarnazione della volontà popolare in un solo uomo o movimento, tutto quello che può ottenere in cambio è, per usare un vocabolario da antico regime, octroyés. Cioè concesso come grazia, proprio come i sovrani concedevano ai popoli le Costituzioni. Il populismo è lo stesso principio, solo ribaltato. Rappresenta il viatico che porta alla relativizzazione dello stato di diritto. Alla fine del tunnel populista albeggia, quindi, l’agonia delle garanzie costituzionali.

2) Le parole del giornalista si commentano da sole, anche se non sono certo una novità.
Come giustamente aveva a suo tempo sottolineato Quarantotto, se il popolo italiano, non certo in ragione di una minima informazione fornitagli sui veri obiettivi della riforma (appunto diretta a consentire il più "efficiente" rispetto di regole economiche sul debito e sulla spesa pubblica, estranee e contrarie alla Costituzione), si pone delle domande e "resiste" - secondo quel "diritto di garanzia costituzionale" riconosciuto dallo stesso Mortati -, si grida al "populismo".
Così come Federico Caffè, protagonista della fase Costituente, già nel 1978 (in occasione dell'adesione italiana allo SME) aveva evidenziato come "il fastidio del tutto esplicito per le soluzioni non elitarie e l’artificiosa attribuzione della qualifica di “populismo a ogni aspirazione di avanzamento sociale, avvengano con la tacita acquiescenza delle forze politicamente progressiste ".
Dunque "populismo" è un termine che esprime "il fastidio per le soluzioni non elitarie".
E quali soluzioni sono più elitarie e impenetrabili alla comprensione del cittadino comune delle clausole dei trattati liberoscambisti che instaurano in €uropa e nel mondo, il capitalismo sfrenato delle multinazionali, della finanziarizzazione del potere istituzionalizzato e della competizione a scapito dell'occupazione e del welfare?
Turci disdegna le forme di democrazia esercitate dal popolo (e quindi populiste. Quando la Francia di François Mitterand, nel 1981, abolì la pena di morte, ebbe l’intuizione e il coraggio di evitare un referendum popolare. Se i francesi fossero stati chiamati a esprimersi per via referendaria, probabilmente la pena capitale non sarebbe mai stata cancellata dall’impianto penale francese, come invece avvenne per decreto.
Insomma, il corpo elettorale, per definizione, non può capire cosa veramente gli convenga...E non proporgli sacrifici e sceltedolorose sarebbe da destra xenofoba (e populista).  

3) Il termine “populista” - ossia, il rendersi portavoce delle istanze del popolo  (nel senso evidenziato da Alberto Asor Rosa, Scrittori e popolo, 1965, secondo cui “perché ci sia populismo, è necessario insomma che il popolo sia rappresentato come un modello”) - è ormai stravolto; è considerato l’arma dei partiti di governo dell’Unione Europea per tracciare una differenza ontologica tra essi e i partiti che propongono una visione diversa della società, i cosiddetti “antisistema”: 
Solo noi (centristi ed europeisti) siamo governativi, gli altri sono solo alla ricerca di facili consensi”. Con questa strategia comunicativa – ormai più efficace della vecchia “reductio ad hitlerum” – i partiti “di sistema” indicano i loro oppositori come immaturi e utopisti, quando non mistificatori e ingannatori, e dunque preclusi al governo di un Paese.

4) Nicola Tranfaglia (nel suo libro Populismo: Un carattere originale nella storia d’Italia) pensa al populismo inteso come capacità di coinvolgere le masse degli umani, dicendo esattamente quello che vogliono sentirsi dire e perciò, non dovendo attuare un programma preciso o dettato da una ideologia pregressa, dispone della flessibilità necessaria per andare, di volta in volta, incontro alle esigenze e ai desideri del SUO popolo.
E Loris Zanatta (nel proprio saggio: "Il populismo", Carocci editori, Roma, 2013) scrive
"Nel "nucleo" del populismo ritroviamo in sintesi un orizzonte ideale che non solo rigetta l'ethos della democrazia di tipo liberale, ma ne fa la più robusta corrente antiliberale dell'era democratica. Poco impor­ta, a tale proposito, che taluni leader o movimenti populisti esibiscano credenziali liberali, come nei casi dei rivoluzionari messicani, orgogliosi eredi di Benito Juàrez, dei presidenti Menem e Fujimori nell'Argentina e nel Perú degli anni novanta del Novecento, autori di politiche neolibe­rali, o del partito fondato nel 1994 da Berlusconi invocando nientemeno che la "rivoluzione liberale": in tutti questi casi, simili professioni ideali non hanno impedito che si imponessero logiche estranee alla democra­zia liberale; ora approdando in Messico a un rigido sistema corporativo, ora riproducendo nei casi di Argentina e Perù i fenomeni patrimoniali­sti e clientelari tipici dei populismi, ora attentando alla separazione dei poteri e introducendo velate forme di governo plebiscitario in nome del popolo nel caso italiano di Berlusconi". 

5) E solo qualche giorno fa, invece, il più romantico Enrico Pazzi, giornalista dell’Huffington post, ricordando i bei tempi che furono, per quelli che credevano fortemente nella globalizzazione e che oggi si ritrovano oramai disillusi e più vecchi di 20 anni, si riferisce al presente come al “giorno contrassegnato dal populismo più becero, sostenuto dalla paura quale metro di pensiero collettivo. La paura quale fondamento ideologico dell'amore politico”. 
E la sua acuta ed intelligente conclusione è che “sia necessario avere comprensione per coloro che danno il proprio consenso ai partiti e movimenti populisti. Non basta l'ignoranza a spiegare i milioni di voti a favore dei populisti. C'è qualcosa di più profondo e intimo. C'è una grande solitudine al fondo delle cose. Una mancanza di comunità, che si è disgregata non oggi, ma vent'anni fa. Che ci si dica di destra o di sinistra, che si creda o meno ai vantaggi di stare in Europa…c'è da curare prima di ogni altra cosa quella grande solitudine che ci blocca in un eterno presente populista”.
Sante parole quelle di Pazzi, accidenti! Se non ci fossero quelli come lui a fare analisi tanto sofisticate!
Come faremmo a non comprendere che quello che ci blocca in questo presente populista non è la mancanza di lavoro e di prospettive, l’impossibilità di riuscire mai a comprarsi una casa, di mettere da parte dei risparmi per curarci quando saremo vecchi, non è una quotidianità fatta di immondizia che straborda in ogni angolo della città,  i mezzi pubblici che non funzionano, le liste di attese alla ASL o le code al pronto soccorso di un ospedale, le strade che non asfaltano da vent’anni o lo stato di abbandono che trasuda in ogni centimetro delle nostre città…no, no…ciò che ci blocca nel populismo è proprio una GRANDE SOLITUDINE AL FONDO DELLE COSE.



6) Penso sia superfluo sottolineare il senso di mortificazione che suscitano queste opinioni in tutti quelli che non si sentono affatto un branco di pecore acefale, ma uomini e donne che credono ancora nella sovranità che appartiene al popolo, nel rispetto dei diritti fondamentali costituzionali e nel fatto che la Costituzione non sia il libro dei sogni ma debba invece costituire l’essenza imprescindibile di ogni programma di governo: e per ogni Governo che si ponga dignitosamente alla guida del suo Popolo.
Ma ovviamente i media fanno il proprio gioco, o meglio il gioco di chi li paga, e denigrare non basta, occorre anche terrorizzare, indurre un senso di spavento e di timore.

7) Chi non ha visto ieri lo Speciale di Alessando Marenzi su Sky Tg24 sul sondaggio condotto su chi vorrebbe uscire dall’euro? Il 74% dice di no. Il servizio è stata una apoteosi di false informazioni e terrorismo psicologico, come se, peraltro, la Brexit non esistesse e non valesse come esempio (se pure con le dovute differenze visto che il regno Unito non è mai entrato nell’Euro) di come debba essere condotta una uscita, per non creare proprio quelle situazioni di emergenza e irrecuperabilità che gli espertoni espongono ad ogni più sospinto.

8) Francesco Borgonovo, giornalista de “la Verità” (nell’articolo di domenica 8 luglio “Amato si confonde e annuncia il ritorno delle leggi razziali”), riporta le parole di G.AMATO che addirittura rievoca le Leggi antiebraiche e sostiene che quando iniziative come queste (riferendosi alle politiche anti immigrazione dell’attuale Governo) si verificano, non c’è soltanto un regime con il suo carico di violenza e repressione. C’è anche un cambiamento che penetra nelle coscienze e altera il rapporto interno alle stesse. Questo accadde allora…ma è evidente che stia per accadere di nuovo. Dice in senso allarmistico…non è che ci sta cominciando ad accadere qualcosa? Se le leggi razziali sono dietro l’angolo è colpa dei populisti e dei sovranisti.  “Il sovranismo che ha sempre una sua matrice razzista, rischia di danneggiare l’idea stessa di Europa e di compromettere la difesa del fondamento degli ordinamenti costituzionali nati nel solco degli orrori della Shoah: la dignità umana”.
Ecco quindi qual è il problema: che i sovranisti minacciano l’Europa e la Costituzione (ma non è chiaro Amato come intenda la Costituzione, anzi lo sappiamo e ho l’impressione che lo vedremo presto anche nelle sentenze della Corte, purtroppo) e sono razzisti.
Insomma è razzista chi critica l’immigrazione di massa o invochi il rispetto della legge italiana o si opponga all’azione delle Ong, chi vuole proteggere i confini del proprio paese.

9) A queste parole di Amato, lo stesso quotidiano di domenica, contrappone l'articolo di Claudio Risé (“Il declino delle élite affossate dal progresso”)  che affronta il tema dell'alternanza delle elite in maniera probabilmente riduttiva e incompleta ma che pare avere l'intenzione di provare ad evidenziare un fenomeno e le sue caratteristiche in maniera diversa da quanto vorrebbe fare Amato.
Cita (impropriamnete) le parole di Giuseppe Prezzolini fondatore della Voce: L’aristocrazia dei briganti: siamo con Pareto nel disprezzo per tutta quella parte di classe dominatrice paurosa, imbelle, atrofizzata per l’inerzia…suicida di paura”. 

Arturo mi segnalasi che si tratta di un pezzo del 1903 pubblicato su Il Regno, un settimanale nazionalista, in cui ci si lagnava della codardia borghese di fronte all’avanzata “brigantesca” del socialismo. Era insomma un articolo antigiolittiano, e giolittismo e piddinismo sono fenomeni di segno sociale completamente diverso, sinanche opposto. Emilio Gentile, allievo prediletto di De Felice, non particolarmente “progressista”, commenta in questi termini l’articolo di Prezzolini (Il mito dello Stato nuovo, Laterza, Roma-Bari, 1999, pag. 100): “L’analisi della lotta politica fatta da Prezzolini non supera i limiti e i pregiudizi di una concezione schiettamente reazionaria, prospettando una astratta rinascita borghese che avrebbe lasciato da parte le masse contadine del Mezzogiorno e le prime organizzazioni operaie del Settentrione”.
Risè forse affronta il problema in modo un po' riduttivo quando parla della inerzia della paura, quella che dalla vigilia del fascismo rimane una delle principali caratteristiche delle élite malate destinate ad essere sostituite da quelle nuove e dinamiche, più motivate. 
Secondo Risè le vecchie élite non hanno motivazione perché la prevalenza degli interessi materiali produce su di esse un appesantimento, una intossicazione nelle motivazioni provocando una sorta di sclerosi, un rallentamento nel ricambio e nel movimento. 
Mentre la presenza di ideali e attenzione agli interessi collettivi fornisce ai nuovi dirigenti il coraggio di sviluppare e usare la forza, con una determinazione di cui le vecchie élite impaurite non sono più capaci.
Richiama Pareto (ma vedasi  - a proposito di elitismo, Malthus e Pareto i recenti posti di Bazaar  con la collaborazione di Francesco Maimone e Arturo – parte prima e parte seconda) quasi a voler evidenziare un processo storico inevitabile, ossia il succedersi delle aristocrazie, delle élite, delle minoranze che si formano, lottano e conquistano il potere, le quali a loro volta, con il procedere del tempo, si logorano e decadono per farsi sostituire da nuove minoranze dotate di quelle risorse psichiche di energia e flessibilità che le vecchie élite avevano consumato e smarrito.
Un alternarsi tra la classe di residui guidati dall‘istinto delle combinazioni (ossia la propensione al cambiamento, a innovare, a inventare o a produrre nuove iniziative), e che hanno la personalità delle volpi (individui creativi, pazienti, manipolatori, propensi a ricorrere all’astuzia e al compromesso); e la classe guidata dalla persistenza degli aggregati (l’espressione del sentimento conservatore, chi esalta la continuità, la stabilità e il mantenimento dei rapporti tradizionali) con gli impulsi propri della personalità dei leoni (propensi alla risolutezza, allo scontro e alla inflessibilità).
E nel ritenere che nella realtà non vi sarebbe mai un equilibrio tra le  volpi e i leoni, ma che prevarrebbero gli uni o gli altri in un processo di avvicendamento, Pareto rievoca il concetto di poliarchia di Dahl, il governo di molti, le strutture politiche dello Stato che assicurano una pluralità di interessi minoritari in perenne competizione tra loro nel quale nessuno è in grado di prevalere e divenire maggioritario. Concetto di poliarchia, a sua volta criticato da Bachrach e Baratz proprio per il fatto di non prevedere quelle forme di potere che non coincidono con le decisioni prese, ma esprimono piuttosto la selezione dell’agenda politica, in cui si stabiliscono anticipatamente i confini, le regole e la partita in gioco. Si tratta di non-decisioni che rientrano comunque nell’esercizio del potere. Le decisioni importanti vengono tenute fuori dall’élite, dall’agenda esplicita delle decisioni e dunque non vi è possibilità di concorrere alla scelta. Sostanzialmente, quindi, esisterebbe un doppio livello di potere di cui uno solo è osservabile.

Insomma, pur apprezzabile lo sforzo di Risè, l'estrapolazione ad effetto non convince. Anche in questo caso il prezioso apporto di Arturo ci rivela, invece, che l’elitismo moschian-paretiano, come diceva Gramsci, se è fondato nel riconoscimento del ruolo organizzatore delle minoranze, è incapace di interpretare i cambiamenti storici a causa del suo formalismo sociologico, per cui gli avvicendamenti fra élite si riducono a fenomeni psicologici (la paura, l’inerzia…ma quale inerzia, in questi anni son state di un’alacrità feroce!), moralistici (la prevalenza di interessi materiali, che vuol poi dire la corruzione); al massimo si parla di un mancato rinnovamento.
Coglie molto più nel segno (come segnala sempre Arturo), seppure senza rinunciare a certi stereotipi, l’articolo di Santomassimo, pubblicato sul Manifesto (http://sollevazione.blogspot.com/2018/07/ce-vita-su-marte.html ): “A mio avviso il vero fenomeno che abbiamo di fronte è quello di una gigantesca sostituzione di rappresentanza sociale, che sta colmando i vuoti che da almeno due decenni la sinistra aveva lasciato e che ora sta giungendo a compimento.”  Questo pare il nocciolo della questione. Naturalmente apprezzabile anche la confutazione dei fantasmi fascisti: “Invocare fronti antifascisti in assenza di fascismo è fuorviante e consolatorio; le sue implicazioni politiche Union sacrée repubblicana sarebbero esiziali. Si tratterebbe, fra l’altro, di una singolare forma di fascismo, senza squadre armate, senza partito unico, in un paese dove si vota quasi ogni domenica e dove i più grandi organi di stampa sono avversi al governo, dove la tv pubblica è un monocolore del principale partito di opposizione e la tv privata è proprietà di un altro partito fuori della maggioranza.” 

10) Ora, il discorso sarebbe complesso e lungo, e dovrebbe passare necessariamente anche per le critiche di Polsby e l’Elitismo post-moderno (si veda Élite dirigenti. I gruppi di vertice nel capitalismo olonico – Armando Editori 2011 Di Luigi Gentili), e forse il tutto non si riduce propriamente alle considerazioni di Risè, ad una quasi casuale alternanza (se pure considerata storica), alla lotta tra Leoni (i politici che danno una forte importanza agli equilibri che garantiscono, all’indispensabile continuazione della società umana e animale, difensori della sicurezza di tutti i cittadini), e volpi (che astutamente giocano tra le diverse combinazioni possibili, spesso per il proprio interesse personale, cioè gli speculatori, che si diffondono nelle civiltà giunte all’apice della ricchezza, ma dirette verso sicura decadenza appunto per la scarsa attenzione al benessere e alla sicurezza collettiva).
Ma certamente gli uomini e le donne di questa fase storica, nonostante l’occultamento degli sforzi di chi sta in trincea e le mistificazioni dei media,  lottano per vedere realizzata questa alternanza che è divenuta una questione di sopravvivenza. 
Un'alternanza che laddove si realizzasse, non sarebbe certo per la becera sopraffazione dei populisti sulla precedente classe elitaria, ma sarebbe per la presa di coscienza che (come giustamente riporta Crisè) esistano personaggi come George Soros, il più grande speculatore della nostra epoca, vecchia e astutissima volpe della finanza internazionale (peraltro in ottima compagnia), che in maniera strategica e mirata specula contro i diversi interessi nazionali, e  si batte per la libertà di immigrazione e, assieme, dei diversi “diritti”, scegliendoli accuratamente tra quelli più destabilizzanti per le culture tradizionali dei diversi Paesi. Sarebbe dunque per la presa di coscienza che l’Euro e l’Europa sono strumenti di potere nelle mani di queste volpi. Che non è certo il senso di una “grande solitudine al fondo delle cose” (a meno che non si faccia riferimento all’abbandono delle istituzioni asservite a dettami sovranazionali) a far desiderare alternative e soprattutto soluzioni, ma il senso di fame, il senso di angoscia per la povertà che incombe sulle nostre teste, il senso di disfacimento di istituzioni, strutture democratiche, sistemi assistenziali e costituzionalmente solidaristici; un angoscia e un senso di ribellione al disfacimento, portati avanti con meticolosità e metodo da ombre potenti contro cui il POPOLO, finalmente, ricomincia a far sentire (forte) la sua voce.


9 commenti:

  1. Le parole di Amato purtroppo confermano una volta di più da che parte è ormai collocato il nostro establishment: sempre e comunque contro il popolo italiano e contro la costituzione del 48. E questa è la tragica peculiarità del nostro paese rispetto a quelli che pure dispongono di governi ed elite europeiste e globaliste. In Francia, Spagna, Germania, pur nella fideistica adesione all’euro e al sistema di Maastricht, resiste ancora un senso di appartenenza che induce l’alta burocrazia pubblica, la stampa, perfino i rappresentanti della grande industria, ad una difesa, a volte magari formale o ipocrita, degli interessi nazionali e quindi dei propri concittadini. Qui siamo al delirio totale: giuristi che chiedono di sospendere il diritto di voto per coloro che votano ‘male’ (cioè non PD o Lista Bonino), giudici che stabiliscono quali reati vanno perseguiti prioritariamente (ovvio che sono tutti quelli concernenti razzismo e xenofobia), in piena violazione dell’articolo 3 della costituzione, presunti intellettuali che insultano e diffamano ogni giorno gli elettori che hanno votato i partiti ora al governo. In sostanza un pezzo di paese - quello che ha più potere e più denaro, quello che occupa i ruoli più rilevanti nella amministrazione pubblica, nel sistema mediatico e nel mondo della cultura e dello spettacolo – manifesta un odio sempre più evidente per gli italiani e non fa più nulla per nasconderlo. Questo mi sembra oggi, prima ancora che la questione euro ed Europa, il vero dramma del nostro paese.

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  2. Non a caso il populista viene spesso tacciato di complottismo (scie chimiche e vaccini, per citarne due oltre a Soros), un termine inventato dalla CIA per mettere a tacere qualsiasi versione non ufficiale (loro) di un accadimento, accusa spesso e volentieri rilanciata da spin doctor, espertologi e affini, che subito evoca una certa dose di paranoia, ovvero una condizione patologica nel proprio interlocutore. Aggiungiamoci l’analfabetismo funzionale, altro grande cavallo di battaglia per “spiegare” il voto populista, l’ignoranza, il razzismo e il fascismo di milioni di italiani.
    Ciò che si definisce retorica populista, o il discorso populista, è usato dai politici da che mondo è mondo, sovrapponendosi a tratti al discorso demagogico, non ultimo da Renzi stesso, rappresentante di quelle stesse élite che accusano di populismo i partiti all’opposizione. Anche #castacriccacorruzionebrutta, che noi sappiamo essere prodotto del liberismo, viene generalmente riconosciuto come componente del discorso populista, per dire.
    Quello che secondo me fa veramente paura del populismo in LEuropa oggi è la componente identitaria, il radicamento sul territorio, il dialetto, il bar, la dimensione della prossimità, l’amore per la propria terra. Per chi prospetta il mondo del tutto contro tutti una roba del genere è inaccettabile, pertanto non può che essere retrograda, superstiziosa, ottusa e deve essere sradicata a tutti i costi, esattamente come la famiglia. Per il populista il popolo è una comunità, un tutt’uno, gli italiani, e questo è male, molto male, razzista e fascista.


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    1. Soprattutto, la dinamica generatrice del populismo è la disciplina del mercato del lavoro, e la conseguente compressione della domanda.
      E'l'idea deflazionista del totalitarismo dei mercati a generare una reazione di classe, istintiva e non organizzata sulla coscienza del conflitto sociale, ma diffusa, in quanto, come evidenziava Basso, i modelli free-trade ed export-led, sfaldano, in modo ancor più incisivo, le c.d. classi medie e precludono ogni mobilità sociale.

      L'identità, al centro di questa rivendicazione si rivaluta come epifenomeno "istintuale", dell'apertura globalizzata del mercato del lavoro flessibilizzato.
      http://orizzonte48.blogspot.com/2017/05/e-se-il-lavoro-non-ce-economia-e.html qiu, pp. 8-8.1.

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    2. L'onda populista infatti non può che partire dalla provincia, dal paese, dalla periferia, che non sono solo le zone più svantaggiate dalle politiche neoliberiste ma sono anche quelle che conservano delle relazioni sociali tali per cui lo stigma del politically correct mainstream attecchisce fino ad un certo punto (quando ci si conosce tutti dall'asilo...) e monade, semmai, evoca una parolaccia :-)

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    3. Ricollegandomi al link da lei postato, anche le recenti dichiarazioni della May dimostrano che l'immigrazione è determinata da scelte politiche. Da una parte abbiamo chi capisce che bisogna mettere un freno all'immigrazione (dal continente europeo, poiché la May sa che è una barca con milioni di disoccupati che sta affondando, e non vuole fare dell'Inghilterra una scialuppa di salvataggio) per non provocare disordini sociali, con annessi costi; dall'altra abbiamo chi sostiene l'immigrazione illimitata per rendere sostenibile la moneta unica e ridurre sempre più i diritti sociali, e chi la sostiene perché affetto da moralismo o opportunismo, non riuscendo quindi a prevederne le conseguenze. Speriamo di non arrivare ad un'altra "reazione di classe, istintiva e non organizzata" (magari anche violenta), generata dall'immigrazione illimitata, perché stiamo già abbastanza male.

      http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/brexit-may-stop-agli-europei-in-cerca-di-lavoro-in-gb-riprendiamo-il-controllo-dei-nostri-confini-_3151482-201802a.shtml

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  3. FRATTALI OLONICI
    (oct, componenti individuali che si integrano in sistemi complessi d'ORDINE SUPERIORE)

    Verrebbe – col condizionale socratico - da ri/considerare il vecchio ellenico “hòlos” (il totale, il globale) contrapposto al riduzionismo del scientismo francescano (il “rasoio di Occam”) ma allora erano tempi “antichi” e la frammentazione del “sistema complesso” - scientemente inoculata e irradiata dall'accademia prezzolata - non valutava i rivoli dispersivi del particolare quale elementi significativi del sistema.

    Viene – indicativo del “presente” – da considerare il bis-linguaggio del moderno conio etimologico dell'OLONE di Koestler che s/travolge e riconduce il sistema non-lineare ad un SISTEMA SUPERIORE (quale esso sia è di “difficile” comprensione ma significante nell'affermazione) le peculiari caratteristiche degli elementi che lo compongono, ovvero la mitigazione del legittimo conflitto delle classi sociali che costituiscono una comunità.

    Viene – ancora con l'indicativo “presente” - da affermare che senza una basilare acquisizione, la comprensione e la pratica del metodo d'analisi delle correlazioni degli elementi del SISTEMA diviene facile (e giunto, proficuo per taluni “rentier”) il far blaterare al BA(o)RDELLOSPORT.

    Viene – riaffermando l'indicativo “presente” - da puntualizzare quanto la prevalente comunicazione “formativa” è fondamentale nel diluire gli elementi che conducono un POPOLO ad un mal d'essere.

    E pensare che - magari riflettendo sul significato della parola – le indicazioni delle soluzioni sono ancora contenute nella Costituzione socio-economica del '48.

    PUNTO

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  4. Ho inserito nel testo alcuni spunti preziosi ricevuti da Arturo (che Ringrazio).Ne aggiungo anche un altro, per semplicità, qui nei commenti.
    ARTURO: Trovo anche grottesche queste lagne sul plebiscitarismo da parte del fronte neoliberale, dopo che l’ha invocato per decenni, dal nominato Amato a Miglio, in nome della lotta alla “partitocrazia” ( es.: https://www.jstor.org/stable/43101184?seq=1#page_scan_tab_contents ). Semplicemente certi interessi non devono essere rappresentati, e se lo sono da leader carismatici e partiti “leggeri” grideranno al populismo, se da radicati partiti di massa alla partitocrazia (nel caso, un mix di entrambi).
    GRAZIE ARTURO

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  5. "Secondo Risè le vecchie élite non hanno motivazione perché la prevalenza degli interessi materiali produce su di esse un appesantimento, una intossicazione nelle motivazioni provocando una sorta di sclerosi, un rallentamento nel ricambio e nel movimento."

    C'è quindi di nuovo spazio per un nuovo Marinetti...

    https://it.wikipedia.org/wiki/Manifesto_del_Futurismo

    "La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità pensosa, l'estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno."

    "Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna."

    [per quello che riguarda il disprezzo della donna oggi si usa la 'teoria gender']

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