martedì 5 febbraio 2013

CRISI FINANZARIA SISTEMICA TRA FONDAZIONI E "THINK TANK"

Con questo post inizia la collaborazione di Elena col nostro blog. Ci propone una lettura particolare della crisi bancaria "diffusa". E molto più diffusa di quanto ora non emerga nel rumorio della "stampa".
Una lettura che richiama l'esigenza di saper collegare i fatti...che sono proprio davanti ai nostri occhi. Ma "nascosti" dalla evidenza che gli danno i "media". Strano caso di ossimoro che rinvia al fenomeno del "mimetismo predatorio"...

Alcuni commentatori, in questi giorni, hanno fornito interpretazioni sulle possibili (con)cause della crisi MPS: decapitalizzazione/depatrimonializzazione delle banche delle economie debitrici, scelte manageriali azzardate, perdite di bilancio, operazioni di finanza strutturata in funzione di garanzia del rischio creditizio (vedi ricorso ai ‘derivati’), crisi della politica-garante degli interessi all’interno della Fondazione MPS.

Altri, invece, sostengono trattarsi per lo più delle conseguenze di una profonda crisi bancaria di carattere sistemico derivante da correnti speculative, i cui effetti continuano a ripercuotersi sui bilanci pubblici e sui contribuenti. Il nostro sistema bancario, infatti, al pari di quelli delle restanti aree periferiche (ma anche "non") della zona-euro, è fortemente esposto - e dunque sensibile - alle turbolenze dei valori azionari, ciò a causa della caduta dei redditi dei debitori e del conseguente aumento delle sofferenze e dei fallimenti[1].

Altri ancora ritengono il caso MPS esemplificativo delle inevitabili conseguenze di scelte finanziarie e di politica (europea!).

In ambito finanziario, infatti, si assume che le banche italiane (anche; e nonostante lo si sia a lungo "understated") si siano lanciate in spericolate operazioni finanziarie al fine di neutralizzare le perdite subite nel periodo 18 maggio 2007 - 5 marzo 2009 durante il quale l’indice medio FTSE-Mib (che comprende le azioni delle maggiori società italiane e straniere quotate nel mercato gestito da Borsa Italiana) ha perso fino al 69,52%.

Sul versante europeo, invece, le scelte sarebbero state imposte dalle istituzioni extra-nazionali che hanno imposto alle banche di adeguarsi ai rigidi parametri (costituzione di una riserva eccezionale tale da portare entro la fine di giugno 2012 il proprio rapporto tra capitale e impieghi al 9%; valutazione obbligatoria dei titoli di Stato posseduti al prezzo di mercato della seduta 30.9.2011, e non più sulla base dell’effettivo valore di rimborso; contabilizzazione dei soli titoli ritenuti affidabili, come quelli di Germania e Olanda ed esclusi quelli italiani, al valore di rimborso e non di mercato; ecc.) fissati dalla direttiva 8 dicembre 2011 dell’EBA -European Bank Authority, nel cui board siede, appunto, la Germania e l'Austria e l'Olanda e il Belgio e il Lussemburgo...l'area marco [2].

Proviamo ad analizzare e sintetizzare gli spunti forniti da queste ricostruzioni ed a capire perché appare più interessante l’ultima delle prospettive illustrate.

E’ vero che la "politica nazionale" (intesa come "partiti" e non come istituzioni elettive) può avere indirizzato le scelte strategiche della finanza, ma ciò è tanto vero solo se riferito ad un ambito territoriale (meglio, locale) in cui ha operato per il tramite delle Fondazioni bancarie, come nel caso di Siena.

Ed infatti, è di tutta evidenza che ovunque vi sia stata una Fondazione - avente una partecipazione in un’attività imprenditoriale in genere e creditizia in specie - si è assistito ad un intreccio tra politica (partitica) e finanza.

Originariamente le Fondazioni bancarie vengono introdotte - dietro le istanze dell’unione economica europea che, in vista di una maggiore concorrenza, chiedeva l’apertura dei mercati interni - nel nostro ordinamento con la l. n. 218/1990[3] (legge-delega Amato-Ciampi), mutuando il modello delle holding pubbliche.

Nascono con lo scopo di sottrarre gli istituti creditizi al controllo dello Stato...governo (pur sempre, teoricamente tenuto a rispondere al Parlamento e, attraverso di esso, al corpo elettorale, nel suo insieme espressione della sovranità popolare); con la separazione della funzione di diritto pubblico dalla funzione imprenditoriale, gli enti bancari diventano società per azioni sotto il controllo delle fondazioni le quali, fino alla legge n. 474/1994[4] - quando viene a cessare l’obbligo - ne detengono la maggioranza del capitale e provvedono a collocare le azioni stesse sul mercato.
I dividendi rivenienti dall’attività bancaria attribuiti alle Fondazioni rappresentano il reddito strumentale ad un’attività istituzionale indicata nello statuto, che deve perseguire fini di “interesse pubblico e di utilità sociale”.

La lamentate ambiguità tra attività bancaria e finalità istituzionali, che si manifestano nel primo periodo di applicazione della disciplina, danno luogo ai successivi interventi del legislatore e, poi, della Corte Costituzionale.

Con la legge finanziaria per il 2002[5], dunque, vengono introdotte rilevanti modifiche che incidono sull’essenza privatistica delle Fondazioni e sulla loro autonomia gestionale; in tale contesto si fa ricorso alla previsione di destinare le risorse economiche delle medesime, nella misura pari a circa il 90%, ad iniziative di carattere locale e, dunque, della Regione di appartenenza. 

Con sentenze n. 300 e n. 301 del 29 settembre 2003[6], la Corte costituzionale, pur mantenendo inalterata l’identità delle Fondazioni, ha definitivamente attribuito alle medesime il carattere di persone giuridiche private dotate di piena autonomia statutaria e gestionale.

La Corte, dinanzi alla possibilità che le Fondazioni potessero prestarsi a sostituire lo Stato centrale e gli enti locali in specifiche aree di investimento, ha dichiarato incostituzionale la prevalenza negli organi di indirizzo delle fondazioni dei rappresentanti di regioni, province, comuni, città metropolitane stabilendo, invece, che la prevalenza negli organi di indirizzo dovesse essere assegnata a una qualificata rappresentanza di enti, pubblici e privati, espressivi della realtà locale e che dovessero essere ritenuti incostituzionali quegli atti amministrativi emanati dal Ministero del Tesoro e delle Finanze in funzione di organo di controllo ad interim sulle Fondazioni.
Il che non ha affatto risolto la sostanza del problema che rimane: ma come e con quale democratic accountability è raccordato, il potere di nomina esercitato da parte di questi enti "espressivi" della realtà locale, con gli interessi effettivi della relativa comunità, dell'azionariato diffuso e dei risparmiatori?

In definitiva, con questi arresti la Corte aveva soltanto riaffermato la prevalenza delle esigenze del sistema bancario (mercato) sugli interessi e sulle ingerenze della classe politica, senza nulla dire circa i mezzi legali di controllo che possano garantire la corrispondenza tra interessi collettivi "rappresentati" e gli atti di questi "rappresentanti"[7].

L’epilogo è noto: le Fondazioni bancarie non hanno superato la prova della crisi (strutturale ed economica[8]), in evidente corrispondenza con la stessa crisi dello Stato, degli enti locali, nonchè della politica e dei suoi partiti.

Sorge a questo punto l’interrogativo se la politica "italiana" si sia arresa di fronte all’intervento di centri di potere diversi, per lo più economici e localizzati al di fuori del territorio nazionale, come quelli di estrazione comunitaria (ma non meno pervasivi all’interno dello nostro Stato di diritto).

Oppure, se, in connessione a ciò, siano ravvisabili all’orizzonte nuovi centri di idee, di "cultura" e, specialmente, di selezione della governance, cioè della parte della società che assume le decisioni per "tutti", cosa che include anche "dove attingere" i "nominati" in strategiche posizioni economiche di interesse generale, in assenza di rigorose norme pubbliche sui requisiti di nomina".
La domanda è, quindi, come e perchè si siano creati "altri" centri, essenzialmente "privati", capaci di influenzare di fatto l’azione dei governi e degli organi di vigilanza del settore, o, quantomeno, di rendersi interlocutori di "riguardo" delle loro scelte.
In sostanza, se i c.d. Think tank (“serbatoi di pensiero” o “pensatoi”) possono essere deputati a sostituire i partiti politici nel ruolo di "provvista" della classe dirigente "di fatto".
Tale fenomeno dipende, in Italia, sia dalla concreta legge elettorale adottata - che sottrae alla normale funzionalità dei partiti la tradizionale "formazione" dei nuovi dirigenti-, sia dalla progressiva perdita, in capo ai partiti, della rappresentatività ideologica,  "inclusiva" dei cittadini in modo indifferenziato, "causa" il dissolvimento delle ideologie, intese come modelli auspicabili di società a cui tendere.

L’Università della Pennsylvania[9] studia il fenomeno dal 2006 e, in collaborazione con studiosi di tutto il mondo, pubblica annualmente il rapporto “Global Go to”, una classifica mondiale dei Think tank.

Il rapporto 2012[10], appena pubblicato, mette in rilievo il ruolo crescente che queste organizzazioni - indipendenti o di derivazione politica - hanno conquistato nello svolgimento di ricerche ed analisi finalizzate ad influenzare i processi decisionali negli Stati[11] e ne individua quelli che si sono maggiormente distinti[12].

Viene messa in evidenza la loro crescita esponenziale, in termini numerici e di partecipazioni, cui corrisponde la maggiore attenzione che, da alcuni anni a questa parte[13], viene ad essi viene rivolta da tutti i Paesi (anche quelli emergenti).

In Italia, la proliferazione di “pensatoi” e Fondazioni è, ovviamente, sintomo della trasformazione post-ideologica della politica, essenzialmente dovuta all'assorbimento totale della "idealità" (persino formale) degli stessi nell'idea compatta e generalizzata di "Europa"; essi si richiamano spesso e volentieri, direttamente o indirettamente all'Europa, senza che poi una vera partecipazione "istituzionalizzata" dei think tank, in contradditttorio con altre forze sociali e "civili",  nel dibattito pubblico, faccia comprendere a pieno, e con la necessaria trasparenza, la portata degli interessi che perseguono.

A differenza del modello statunitense cui essi si ispirano, i think tank italiani non sono creati intorno a grandi figure di public intellectuals provenienti dal mondo accademico ed istituzionale e pur dotati di una certa misura di indipendenza (nonostante l’inevitabile collegamento a schieramenti politici), ma risultano prevalentemente strutturati intorno ad un politico di riferimento o preannunciano l'avvento di un politico di tal genere. La sua presenza (del politico di turno o preannunziato tale) non può che alterare - strategicamente - l’obiettività dell’indirizzo conferito alle analisi ed agli studi rilasciati dai loro “pensatoi”. Un indirizzo che tende a virare alla precostituzione di una propria nomenklatura, cioè di una "provvista" di nominabili. 

In un’ottica nella quale si ritengano i think tank tesi a sostituirsi a funzioni essenziali della politica tradizionale, si paventa, quindi, l’intervento di auto-investiti public intellectuals o "maestri di pensiero" che, in realizzazione di tatticismi personalistici, finiscano per fornire una consulenza "strategica" con non chiari interessi "sottostanti", automaticamente divulgata a tutti i livelli, grazie a "circuiti" privilegiati nella visibilità mediatica.
La stessa ampiezza di tale visibilità mediatica, che non appare spiegabile se non con l'aprioristico legame genetico tra gruppi di influenza economica e media, indebolisce ancor più, per la (abusata) società civile, la sua effettiva possibilità di contribuire al dibattito pubblico. Proprio ora, che è così importante che un tale dibattito abbia come principale obiettivo la riaffermazione della sovranità democratica dello Stato.
Naturalmente, quest'ultima intesa come spettante alla comunità generale dei cittadini, uniti nel principio "lavoristico" dettato dalla Costituzione.  



[3] Legge delega c.d. Amato-Ciampi.
[4] c.d. direttiva Dini.
[5] Art. 11 legge n. 448/2001 (c.d. legge Tremonti).
[6] Questione sollevata dal Tar del Lazio con Ordinanza di remissione n. 803/2003.
[8] Recentemente si è appreso che, con un’informativa del 6 settembre 2012 consegnata alla deputazione generale dell’ente, è stata posta in evidenza “(…) una liquidità della Fondazione MPS che si esaurisce con la fine del secondo trimestre del 2013”.
[11] Corriere della sera del 23.1.2013, pag. 15.
[12] Per l’Italia, nella classifica per influenza ed autorevolezza in Occidente (USA esclusi) figurano il Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici, l’Istituto Bruno Leoni, l’ISPI-Istituto per gli studi di politica internazionale. Nei “top” che comprendono gli USA figurano, invece, l’Istituto Affari Internazionali e la Fondazione Enrico Mattei; infine, tra i migliori con affiliazione politica, la Fondazione Italianieuropei.

13 commenti:

  1. Unenedo l' odierno post (nella parte in cui parla della fine delle ideologie nei partiti e quindi nella SOCIETA') con quello di ieri mi sovvien un riarrangiamento di un vecchio slogan che le nostre simpatiche attiviste del PUDE potrebbero ciclostilare, in quest' epoca di mercanti nel tempio:

    "Nel segreto dell'urna lo Spread* vi vede"

    *si noti la maiuscola

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Si sarebbe fantozzianamente conforme alla realtà "teologica" dell'"europa", la nuova frontiera della (non)ideologia unica :-)

      Elimina
    2. Grazie Bargazzino, sto per l'appunto tentando un altro ciclostile, più quarantottesco se mi riesce... L'uscita carnascialesca è stata un successo, anche per il mio raffreddore che ne è uscito rinvigorito.

      E anche questo post, think. Thanks!

      Elimina
  2. Se i Maître à penser italiani ed europei, sono quelli che hanno prodotto il pensiero unico dell'euro , credo sia giunto il momento di togliere a costoro l'etichetta di Think Thank, e di ridefinirli in termini gnoseologici Yes Man, o volendo essere generosi nuovi Sofisti.
    Insomma più che laboratori di pensiero potremmo definirli laboratori del pensiero nichilista scientificamente organizzato.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sì ma se glielo dici così, non ci arrivano: ci metti troppo "pensiero" e il tank lo intendono in altro modo :-)

      Elimina
    2. Non pretendo ci arrivino:) in fondo "I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo."

      Elimina
  3. Altro scricchiolio della Spinelli http://www.repubblica.it/politica/2013/02/06/news/spinelli_keynes-52040796/?ref=HREA-1

    RispondiElimina
  4. 48, che dici? la iscriviamo al blog?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Beh, ma l'abbiamo già vista la sua posizione coccodrillesca. Qui sosteniamo che è Maastricht-Lisbona che è ab origine incostituzionale. Per la oggettiva scelta keynesiana della Costituzione italiana. Ma allora perchè criticare scelte neo-classiche solo ora, quando erano chiare dal 1992 (anzi dall'Atto unico 1986)?
      E poi, svegliandosi ora, nella totale incapacità di capire le teorie economiche, crede davvero che siano realizzabili le condizioni economiche e soprattuto "politiche" del piano di interventi UE, dopo oltre 20 anni di deflazionismo e con il capitalismo finanziario saldamente titolare di tutte le istituzioni e i governi interessati?

      Suvvia, la "incompetenza" fa sragionare e indicare vie d'uscita velleitarie: che fa si incatena davanti al grattacielo BCE?

      Elimina
  5. ho apprezzato molto questo scritto di elena , mi fa un enorme piacere scoprire che persone fastastiche sia riuscito a riunire ^granmaestro^ 48
    un livello di discussione metapolitico eccellente che credevono quasi impossibile in italia...

    (non fosse altro questa crisi ha portato qualcosa di buono... non voglio insistere su questo punto pero' ^^ )

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie da parte mia e anche da parte di Elena...il discorso lo facciamo tutti insieme voi e noi...

      Elimina
  6. complimenti elena. mi hai ricollegato dati giuridici noti a loro volta collegandoli a dati e contesti economici. cogliendo quindi appieno lo spirito del blog

    RispondiElimina