1. Innumerevoli volte abbiamo evidenziato come conoscere la Costituzione possa essere solo il risultato di una conoscenza giuridica non improvvisata nonchè di una comprensione profonda, e priva della pre-comprensione degli ideologismi di ogni genere, dei veri presupposti storici, economici ed istituzionali, che emersero nella Costituente.
Per capirlo riportiamo la corretta focalizzazione della volunptas del "Potere costituente", secondo la guida fornita da Vincenzo Caianiello, illustre magistrato e costituzionalista, Presidente della Corte costituzionale, già ispiratore di questo post, riportato in apposito capitolo di "Euro e (o?) democrazia costituzionale".
Questo indiscusso maestro del diritto era democratico e liberale, ma ben consapevole del significato della democrazia sostanziale ("necessitata" per Mortati), come Popper e Rawls, non come i nostrani €uro-spaghetti-tea-party-bancari.
Questa è la corretta natura e legittimazione dell'attuale Potere Costituente:
"Le Costituzioni nascenti dal potere costituente popolare si connettono al verificarsi di eventi straordinari segnati dalla drammatica rottura coi precedenti assetti di potere e dalla nascita di ordinamenti politici nuovi, antagonisti di quelli sconfitti .
In un quadro analogo di straordinarietà si colloca il potere costituente che ha dato vita al nuovo assetto costituzionale italiano del 1948...La Costituzione italiana del 1948 è dunque anch'essa manifestazione di un potere costituente che emerse da eventi straordinari e drammatici, consumati in conseguenza della costante violazione dello Statuto albertino da parte di chi doveva esserne il custode.
Tuttavia, se la caduta del fascismo è "l'occasione" dell'instaurazione del nuovo potere costituente democratico, occorre una seria cultura storico-giuridica per comprendere quale fosse, in base al chiaro tenore dei lavori della Costituente, il modello antagonista effettivamente "sconfitto", individuabile come causa prima dello stesso avvento del fascismo."
Questa indagine a ritroso rende ben chiare le ragioni per cui, come garanzie essenziali di preservazione della democrazia dal modello antagonista sconfitto, si misero al centro i diritti fondamentali di tipo "sociale" (cioè quelli che compongono il welfare), costruendo come inderogabile una forma di democrazia che previene e neutralizza i pericoli di ritorno del regime sconfitto e condannato dalla Storia."
2. Per poi comprendere quale fosse il "chiaro tenore dei lavori della Costituente", volti proprio ad avversare chi si era reso responsabile della costante violazione dello Statuto albertino da parte di chi doveva esserne il custode, portiamo un esempio, tra i tantissimi rivenibili nei verbali della Costituente, che è particolarmente esplicito e significativo per il suo oggetto:
- intervento dell'on.Merighi
(partito socialista) nella seduta del 7 maggio 1947:
"Io vi ricordo, egregi colleghi (mi dispiace che non sia qui presente l'onorevole Labriola allora Ministro del lavoro), che nel 1922 a seguito di un congresso delle Camere del Lavoro italiane tenuto a Trieste si reclamò, da parte degli operai organizzati, l'assicurazione generale obbligatoria contro le malattie. La Federazione degli ordini dei medici studiò allora un progetto di assicurazione contro le malattie, d'accordo con l'organizzazione sindacale e tutte le categorie mediche (e non fu una cosa facile mettere d'accordo le varie categorie dei medici); e questo progetto fu consegnato all'onorevole Labriola che lo accolse: lo stesso Presidente del Consiglio Giolitti lo approvò e se non fosse arrivato il fascismo probabilmente quel progetto sarebbe stato varato e sarebbe oggi una conquista su cui avremmo potuto contare.
L'assicurazione generale contro le malattie dal
punto di vista economico inciderà grandemente sulle nostre finanze?
Noi non lo
crediamo.
Se pensiamo alle spese enormi, che aumentano paurosamente giorno per
giorno, sostenute, non dirò solo dagli istituti e dagli enti assicurativi che
noi conosciamo, ma dai Comuni e dalle Congregazioni di carità per l'assistenza
sanitaria, in fatto di spedalizzazioni, in fatto di sussidi per cure, in fatto
di medicinali, troviamo cifre iperboliche, oserei dire pazzesche. Consolidando
queste spese su un piano preciso e stabilendo una tassa proporzionale al reddito
dei cittadini, noi potremmo risolvere, anzi risolveremmo senza dubbio, il
problema dell'assistenza domiciliare ed il problema dell'assistenza ospedaliera
e di ogni altra provvidenza."
Ma è il finale di tale intervento che ci dice chi furono gli sconfitti in Costituente e proprio per l'ostinarsi nelle ragioni storiche che risalivano al 1922 (e certamente ben prima):
"Io vedo in questo momento,
avanti a me, spuntare il sorriso ironico dell'onorevole Nitti. (Interruzione
dell'onorevole Nitti). Mi perdoni, onorevole Nitti, ma oltre al sorriso che
rivedo si rinnova nel mio animo, tristemente, il ricordo del suo nero
scetticismo di fronte alle possibilità di questa nuova Repubblica: di fronte
alle affermazioni di questo statuto che vogliamo dare alla nostra Repubblica in
cui crediamo. Noi vogliamo pensare — e non saremmo socialisti se non lo
facessimo — vogliamo pensare all'avvenire.
Ci lasci, onorevole Nitti, e con lei
tutti quelli che non credono, ci lasci illuminare questa Costituzione con un
raggio di fede; che non sarà una gran fede nelle nostre modeste possibilità
scientifiche, ma sarà però, ed è, una grande fede nella nostra missione di
medici e di organizzatori socialisti. (Applausi)."
Interessante anche questo intervento dell'on. Zuccarini nella seduta del 10 maggio 1947:
"...Questo è avvenuto anche per l'Istituto Nazionale delle Assicurazioni.
Quando l'onorevole Nitti se ne fece un propugnatore, egli non si proponeva affatto, come disse tempo addietro, di iniziare una nuova era nella legislazione sociale, ma lo fece unicamente per una preoccupazione finanziaria, nei riguardi dello Stato. Questi Istituti furono infatti potenziati, sviluppati e burocratizzati dal fascismo, specialmente allo scopo di mettere a disposizione dello Stato una maggiore quantità di capitali. Ed ebbero questa sorte: che, mentre attraverso i contributi erano riusciti a formare dei capitali imponenti che, se fossero stati utilizzati bene, avrebbero oggi rappresentato qualche cosa, la loro capitalizzazione fu fatta in titoli di Stato, e così a un certo momento l'immenso capitale, che sarebbe dovuto restare di proprietà dei lavoratori, è andato in fumo".
Nitti, come Einaudi a maggior ragione, risultò soccombente in tutte le votazioni riguardanti i "diritti sociali" della nuova democrazia.
3. Ma passiamo a un quadro più generale, che è facile ricostruire nelle discussioni già svolte su questo blog, sullo specifico tema della continuità del fascismo rispetto all'impostazione liberista che lo precedette, impostazione che utilizzò il secondo come efficace strumento "nuovo" in chiave anti-istanze sociali. Cerchiamo di "montare" i vari interventi in una sintesi conseguenziale:
"Anche Benito arrivò al governo con l' appoggio dell' alta borghesia
nazionale E INTERNAZIONALE (leggersi al riguardo, a titolo di esempio,
gli articoli plaudenti di Einaudi fino al '25 SUL CORRIERE DELLA SERA,
mica sul gazzettino di Cuneo....) per "gestire" in maniera "liberalista"
la crisi di quel tempo.
Ecco, quella stessa elite
internazionale, POI, entrò in conflitto col Duce che invece entrò in
idillio con gli italiani. Sono convinto che Mussolini nel '35 -per dire-
avrebbe vinto a mani basse regolari elezioni E NON SOLO PER IL
MONOPOLIO DELLA PROPAGANDA* (o come si direbbe oggi della
"informazione") di cui disponeva. Quel "non solo" lo potete
leggere: "il popolo riconobbe la figura di un tutore di interesse
nazionale" (o "difensore dell' interesse comune" per i ben pensanti), a
torto o a ragione (probabilmente più a ragione che a torto e mi costa
molto riconoscerlo)
Replica: Ma la frase iniziale affossa
tutto il resto dell'analogia. Benito non aveva "vincoli esterni"
incorporati e disponeva di consiglieri che, non attinti dalla
pseudocultura di regime, erano il meglio che poteva esprimere
"l'Itaglia" del tempo. Differenza non da poco e mai veramente messa in
luce...
Questa impostazione meritocratica era resa possibile da un
approccio personale, diciamo, essenzialmente più consapevole e colto di
quello del "nostro" (si tratta del normale differenziale culturale
proiettato nel tempo che segna la differenza tra la TRAGEDIA E LA
FARSA).
RR: Mussolini aveva e come un vincolo esterno.
Ricordiamoci
la famosa rincorsa alla "quota 90 lire" (e il sottostante regime di
cambi che si voleva difendere. Se non era un euro, era qualcosa di molto
simile e ce lo siamo detti molte volte).
Inoltre Mussolini , sono
convinto, sapeva molto bene di essere appoggiato da quella elite
internazionale e NE TENEVA CONTO. Ne teneva conto fintanto che non ruppe
quei "vincoli esterni", andando incontro a più o meno preventivate
conseguenze, ma anche ad un consenso tutto sommato genuino, che lui
teneva, evidentemente in maggior considerazione dei vincoli di
riconoscenza con certi potentati internazionali.
Poi, e questo è verissimo invece, oggi non c'è alle viste un Gentile, per dire. Ed è vero pure che non è cosa di poco conto.
RRR: Anzitutto, quel "vincolo esterno"
era quello condiviso dall'intera governance mondiale dell'epoca ed era
al centro della ferma opposizione di tutte le formazioni di sinistra
socialista dell'epoca. Differenza, noterai, non da poco, considerati
Blair, Clinton e i nostri (i più oltranzisti sebben
inefficienti...finora).
Poi parlerei piuttosto di Santi Romano,
Beneduce, lo stesso Rocco, Menichella (legge bancaria del 1936 insieme a
Beneduce). Suvvia, ogni "parallelismo" trascolora in improponibilità di
fronte all'attuale, IRREVERSIBILE, mancanza di "risorse culturali".
4. Qui si inseriscono gli interventi di Arturo che riportiamo in sequenza:
La
differenza con l'epoca fascista, a mio modo di vedere, più che in
qualità personali di Mussolini (che pure hanno certamente avuto un peso)
sta in un fondamentale fattore strutturale e cioè che all'epoca il
garante di quello che Polanyi, la cui interpretazione di fondo del
fascismo secondo me rimane la più fondata, chiamava "l'ordine
internazionale del mercato" (che per lui consisteva in tre pilastri:
gold standard, free trade e flessibilità del mercato del lavoro) era lo
Stato nazionale, purché ovviamente non democratico (naturalmente per
quei paesi che avevano la forza necessaria per non farsi colonizzare.
La
stessa libertà degli interessi capitalistici locali non li spingeva
però necessariamente verso la complicità con quella soluzione).
Emblematico di questo punto di vista un manifesto dell'aprile del '19,
pubblicato durante la discussione che avrebbe portato all'approvazione
della legge elettorale proporzionale, sottoscritto tra gli altri da
Volpe, Gentile e...Einaudi, che caldeggiava un rafforzamento dello Stato
contro le "minacce bolsceviche" e le "manovre finanziarie" (traggo le
notizie da G. Turi, Giovanni Gentile, Torino, UTET, 2006, pag. 302), da
attuarsi tramite un rafforzamento della monarchia e una riduzione della
rappresentanza politica a una funzione puramente consultiva.
Tradotto in
parole povere: si trattava di bloccare quegli elementi di
democratizzazione della vita pubblica che rendevano più difficile, e
meno credibile agli occhi dei mercati finanziari, attuare le manovre di
aggiustamento i cui principali danneggiati erano i lavoratori (ricordate
Eichengreen?).
Nel rispetto di questi binari, per garantire i quali il fascismo andò al
potere, poteva senz'altro esprimersi una cultura
tecnocratica anche di alto livello, di cui una dittatura, ancor più
libera dopo l'allentamento prima e il crollo di quell'ordine dopo,
poteva avvalersi efficacemente.
Questo
però non cambia quelli che erano gli equilibri sociali su cui il regime
si reggeva, come non è difficile intuire.
Non solo perché l'Italia
all'ordine internazionale del mercato restò abbarbicata fino all'ultimo
(le deroghe ad esso, come l'autarchia, ebbero origine nell'esigenza di
restare agganciati a quello che ne era l'elemento più importante, cioè
il gold standard), o perché lo stesso intervento pubblico fu sollecitato
dai grandi interessi economici (l'avevo già ricordato citando Sarti),
ma perché più specificamente, come dicono bene Paggi e D'Angelillo
(pagg. 73-74) "la politica di deflazione inaugurata da Mussolini con il
discorso di Pesaro non conosce interruzione anche negli anni della
grande crisi.
Anzi, quando nel 1931 la sterlina sarà costretta ad
abbandonare definitivamente il rapporto con l'oro, la lira subirà
un'ulteriore rivalutazione.
E' dentro questa cornice di politica
monetaria che si realizzano negli anni '30 tutte le grandi operazioni di
intervento statale nella struttra bancaria e industriale del paese
Ed è
questa una profonda asimmetria del caso italiano. Qui taglio per
brevità, ma se volete leggere sulla copia messa on line da Cesaratto, il
confronto è molto interessante
Per quanto riguarda l'Italia, anche
dopo l'abbandono delle vecchie tesi stagnazioniste, rimane indiscutibile
il fatto che i grandi processi di ristrutturazione e di modernizzazione
verticale che il capitalismo italiano conosce negli anni del fascismo
non si tradurranno mai in una espansione orizzontale dell'attività
economica".
Quella di una presunta rottura con il grande capitale è
sostanzialmente un'autoapologia dei protagonisti dell'epoca, di cui è
bene diffidare profondamente: la storiografia (De Felice in primis, ma
poi Petri, Ceva, Zunino, Pavone, eccetera) ha efficacemente mostrato
che, di là di frizioni anche di un certo peso (la famosa "porcata", per
usare le parole di Agnelli, costituita dall'imposta speciale del 10% sui
capitali delle società anonime adottata dal governo nel 1937), i
vertici economici del paese non negarono il proprio convinto appoggio al
fascismo, che non fece mai mancare loro lauti profitti e disciplina del
lavoro, fino nemmeno alla guerra ma al momento in cui l'Italia risultò
chiaramente perdente
Così come un certo livello di consenso popolare- in una situazione di perenne stagnazione salariale e provvidenze che
comunque non cambiavano una situazione materiale assai modesta (come
dimostrano i magri progressi degli indici dei consumi)- non ebbe origine in un particolare miglioramento delle condizioni di vita, quanto
in un insieme di manipolazione e mancanza di alternative, a cui pure
non mancarono momenti di autentico entusiasmo quali la conquista
dell'impero e soprattutto Monaco (anche qui, bibliografia a richiesta
:-)).
Il mio pensiero è che oggi le costituzioni socialdemocratiche impediscono di fondare la restaurazione dell'ordine internazionale "nello Stato", che deve quindi in prima battuta essere neutralizzato: gli effetti di una tale assalto possono forse risultare perfino più distruttivi di un blocco posto a un'evoluzione democratica in una fase precedente.
Il mio pensiero è che oggi le costituzioni socialdemocratiche impediscono di fondare la restaurazione dell'ordine internazionale "nello Stato", che deve quindi in prima battuta essere neutralizzato: gli effetti di una tale assalto possono forse risultare perfino più distruttivi di un blocco posto a un'evoluzione democratica in una fase precedente.
Quando voglio deprimermi, mi domando se con una Costituzione
come la nostra non abbiamo osato troppo, se l'ondata distruttiva non
sarebbe stata più contenuta se ci fossimo accontentati di qualcosa in
meno.
Risposta: ...sì non fu la mera "presenza",
cioè previsione normativa, del welfare-provvidenze (al tempo mezzo di
sedazione statalista di un possibile malcontento di un'Italia ancora
molto agricola), ma il suo livello quantitativo a cambiare con la
Cosituzione. Cioè la crescita fu realmente determinata dalla spinta dell'intervento
pubblico costituzionalizzato, portato a "livelli" sinergici con
l'investimento produttivo pubblico in termini di espansione della domanda aggregata e della formazione del risparmio (diffuso: quello del "dimenticato" art.47 Cost.).
Alla crescita salariale si accoppiano (nel tempo), nel dopoguerra, le sicurezze accresciute date dal salario indiretto e da quello differito, divenuti presidi di tutela effettiva (ciò è emerso, in questa sede, anche in un precedente analogo dibattito).
Lo Stato diviene vero sostegno della domanda: progressivamente beninteso, e per via dell'applicazione tendenzialmente uniforme delle politiche keynesiane in tutta Europa, con innalzamento del tenore di vita che nasce da politiche industriali in cui i salari seguono tendenzialmente la produttività (piena e non solo "reale") - modello fordiano correttamente inteso- e l'attività bancaria è guidata dall'espansionismo pubblico....
Sul "pensiero" finale non c'è che da rammentare che questo è quanto qui costantemente detto parlando del nuovo modo di presentarsi dell'"internazionalismo" (pop)."
Alla crescita salariale si accoppiano (nel tempo), nel dopoguerra, le sicurezze accresciute date dal salario indiretto e da quello differito, divenuti presidi di tutela effettiva (ciò è emerso, in questa sede, anche in un precedente analogo dibattito).
Lo Stato diviene vero sostegno della domanda: progressivamente beninteso, e per via dell'applicazione tendenzialmente uniforme delle politiche keynesiane in tutta Europa, con innalzamento del tenore di vita che nasce da politiche industriali in cui i salari seguono tendenzialmente la produttività (piena e non solo "reale") - modello fordiano correttamente inteso- e l'attività bancaria è guidata dall'espansionismo pubblico....
Sul "pensiero" finale non c'è che da rammentare che questo è quanto qui costantemente detto parlando del nuovo modo di presentarsi dell'"internazionalismo" (pop)."
5. Riassumiamo:
a) il legame strumentale e di sostanza continuista tra liberismo- governo dei mercati- valuta forte e fascismo, portò la Costituente a porre attenzione sulla causa prima e sulla finalità essenziale che determinò l'ascesa del fascismo stesso: cioè una restaurazione economica in senso oligarchico che attutisse gli effetti della crisi socio-economica seguita alla prima guerra mondiale e del simultaneo suffragio universale.
E questo caratterizzò la volontà dei costituenti, in termini di attenzione al conflitto sociale emerso nel '900, molto più che l'avversione sua ormai improponibile retorica autoritaria fascista: questa fu rapidamente relegata al suo ruolo di mero strumento, storicizzabile sulla "opportunità del tempo" (lo shock collettivo della prima guerra mondiale, la rivoluzione russa e il pericolo dei "rossi"), realizzativo della spinta liberista a perpetuare il suo controllo oligarchico.
E questo caratterizzò la volontà dei costituenti, in termini di attenzione al conflitto sociale emerso nel '900, molto più che l'avversione sua ormai improponibile retorica autoritaria fascista: questa fu rapidamente relegata al suo ruolo di mero strumento, storicizzabile sulla "opportunità del tempo" (lo shock collettivo della prima guerra mondiale, la rivoluzione russa e il pericolo dei "rossi"), realizzativo della spinta liberista a perpetuare il suo controllo oligarchico.
Ma rimane che questo autoritarismo è, anche in seguito, come di consueto, sostenuto e riproposto dai liberisti.
Si pensi alla posizione, nel tempo dell'intero ventennio e dello stesso dopoguerra, di Einaudi sopra più volte citata.
A maggior ragione ciò va notato, nel quadro austriaco-tedesco, successivamente, quanto agli stessi Hayek e Roepke. In una parola, gli ordoliberisti, di cui oggi i propugnatori del più €uropa sono i "nipotini"; questi economisti nostalgici della conservazione del libero mercato e inventori del "neo-liberismo", risultarono rilegittimati, (nonostante "indifferenze" sostanziali ai mali del nazismo e la posizione anti New Deal), da un'opposizione al nazifascismo esclusivamente imperniata sul suo essere "troppo collettivista" ;
Si pensi alla posizione, nel tempo dell'intero ventennio e dello stesso dopoguerra, di Einaudi sopra più volte citata.
A maggior ragione ciò va notato, nel quadro austriaco-tedesco, successivamente, quanto agli stessi Hayek e Roepke. In una parola, gli ordoliberisti, di cui oggi i propugnatori del più €uropa sono i "nipotini"; questi economisti nostalgici della conservazione del libero mercato e inventori del "neo-liberismo", risultarono rilegittimati, (nonostante "indifferenze" sostanziali ai mali del nazismo e la posizione anti New Deal), da un'opposizione al nazifascismo esclusivamente imperniata sul suo essere "troppo collettivista" ;
b) dunque si può agevolmente rilevare un percorso che:
b1) parte dal liberismo e dalla sua crisi di inizio '900, culminata nella I guerra mondiale, nella rivoluzione bolscevica e nel collasso del gold standard- crisi del '29;
b2) si evolve nel tentativo di perpetuare l'assetto sociale essenziale del liberismo col fascismo;
b3) conduce infine, col travolgimento nella seconda guerra mondiale del tentativo totalitario, alla reazione complessiva della rinnovata democrazia sociale dei Mortati, Lelio Basso e Calamandrei (tra i più illustri che "prevalsero").
b1) parte dal liberismo e dalla sua crisi di inizio '900, culminata nella I guerra mondiale, nella rivoluzione bolscevica e nel collasso del gold standard- crisi del '29;
b2) si evolve nel tentativo di perpetuare l'assetto sociale essenziale del liberismo col fascismo;
b3) conduce infine, col travolgimento nella seconda guerra mondiale del tentativo totalitario, alla reazione complessiva della rinnovata democrazia sociale dei Mortati, Lelio Basso e Calamandrei (tra i più illustri che "prevalsero").
c) Questo però ci porta all'interrogativo di Arturo: mi domando se con una Costituzione
come la nostra non abbiamo osato troppo, se l'ondata distruttiva non
sarebbe stata più contenuta se ci fossimo accontentati di qualcosa in
meno.
6. La risposta, che abbiamo dato nel post da ultimo linkato, purtroppo è positiva.
Oggi, infatti, assistiamo ad un percorso a ritroso:
1) reazione al costituzionalismo sociale;
2) sua crisi mediaticamente asseverata;
3) autoritarismo per ripristinare in forma completa il "governo dei mercati".
Ve ne forniamo i dati in fieri.
Avvertendo preliminarmente che l'autoritarismo di oggi, che pure pare ripercorrere le stesse misure e scelte strategiche del fascismo, sia pure a ritroso rispetto alla legalità costituzionale, NON PASSA PER I GRUPPI DEL NEO-FASCISMO DICHIARATO, numericamente e ideologicamente relegati (finora) ad un ruolo del tutto marginale e, semmai, utilizzati come fonte di legittimazione "a contrario" (cioè in forma contrappositiva cosmetica) del nuovo autoritarismo.
7. Anche qui riportiamo in sintesi sequenziale quanto già detto su questo blog:
Apriamo con questo documentato commento di Lorenzo Carnimeo, in margine alla del tutto presunta posizione anti-austerità €uropea del nostro attuale governo ed in base a rilievi attualissimi:
"Che dire? Questi sono i cosiddetti "pugni sul tavolo" battuti durante il semestre europeo. Pugni che non fanno rumore, in quanto sono -par di capire- semplicemente mimati.
Ma che il potere costituito europeo fosse assolutamente refrattario a riconsiderare se stesso, lo si vede dalle recenti nomine: L'eterno (e parziale, a quanto pare), Schultz alla presidenza del Parlamento europeo e Juncker alla Commissione (con buona pace dei livorosi italiani che chiacchierano di gerontocrazzzzzzia e cose del genere).
Mi riallaccio quindi al post precedente dove si parlava di involuzione anti-parlamentare. Chiara, ormai, come il sole (l'unico dubbio è se assimilare l'attuale momento ai tempi di Di Rudinì e Pelloux ovvero a quelli di Mussolini). Si vuole una forma di governo esecutivo-centrica e basta, con un parlamento ratificatore.Ora: la legge n. 2263 del 1925 recitava (art. 6): "Nessun oggetto può essere messo all’ordine del giorno di una delle due camere, senza l’adesione del capo del governo."
(La legge di nonno Benito, proprio lei).
Mi si dica se, nei fatti, un ddl costituzionale presentato dall'esecutivo, - che ne pretende un'approvazione (quasi) integrale-, dove si detta uno specifico contingentamento dei tempi di esame dei disegni di legge non si uniformi alla medesima ratio.
Ma a sciogliere i dubbi, ci pensa la lettera b) dell'articolo 10, del citato ddl Renzi-Boschi, che recita: "Il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare che un disegno di legge sia iscritto con priorità all'ordine del giorno e sottoposto alla votazione finale entro sessanta giorni dalla richiesta ovvero entro un termine inferiore determinato in base al regolamento tenuto conto della complessità della materia. Decorso il termine, il testo proposto o accolto dal Governo, su sua richiesta, è posto in votazione, senza modifiche, articolo per articolo e con votazione finale. In tali casi, i termini di cui all'articolo 70, terzo comma, sono ridotti della metà".
Attenzione: non stiamo parlando di decretazione d'urgenza, ma di legislazione ORDINARIA.Lo so che il livoroso della strada non coglie la differenza.Non capisce come probabilmente non capiva suo nonno, nel 1925. Però, che questo governo "di sinistra" si ispiri a metodi e teorie (almeno per quanto concerne la forma di governo), fasciste ormai credo sia fuori di dubbio.
La riforma costituzionale Renzi-Boschi è -a mio personale avviso- una legge "fascistissima", che si differenzia forse nello sforzo di proporre l'involuzione autoritaria in termini politicamente corretti (cioè in nulla). L'allarme è ormai noto alle menti più accorte (perfino Scalfari). Non so veramente cosa altro dire, se non sperare che non passino 20 anni prima di arrivare al 25 luglio."
8. Dunque, unendo all'adeguamento istituzionale interno l'autoritarismo tecnocratico affermato dal sistema UEM, - basato su una "governance" apertamente ispirata al modello societario-finanziario e predicata come sostitutiva degli "inefficienti" parlamenti-, l'ondata distruttiva della Costituzione democratica, pluriclasse e fondata sul lavoro, pare raggiungere il suo livello di piena.
Senza che un solo "fascista nostalgico", in quanto tale, possa considerarsi neppure lontanamente coinvolto.
ADDENDUM: questi nuovi brani nascono da contributi dei commentatori sopravvenuti nel corso degli anni successivi alla pubblicazione di questo post, e consentono di aggiungere nuovi elementi storici e istituzionali alla comprensione del fascismo sotto il profilo politico-economico.
Qui, da Francesco Maimone, la definizione data al fascismo da Lelio Basso, estremamente utile per riconoscere il fenomeno nelle sue forme attuali al di là di nominalismi che non sono più indicativi della sua sostanza nel contesto storico dell'€uropeismo:
“Sotto il nome “fascismo” si intendono spesso cose diverse. A me sembra che il significato essenziale di esso possa individuarsi in un regime che voglia GARANTIRE IL POTERE ASSOLUTO DI FATTO (non importa se rivestito di apparenze democratiche) AL GRANDE CAPITALE ALLEATO CON IL CAPITALISMO DI STATO e con il personale politico dirigente, e che si sforzi di ottenere per questo suo regime l’adesione popolare, grazie alla diseducazione, al conformismo, al qualunquismo, alla depoliticizzazione, ecc. Vi sono dunque nel fascismo due facce, due momenti: quello dell’autorità, del potere assoluto, della forza, e quello della supina acquiescenza, del conformismo, della abdicazione popolare.
Questa abdicazione, questa acquiescenza si possono ottenere in vari modi: di solito partendo da una crisi di sfiducia e di qualunquismo (dovuta alle conseguenze di una guerra O DI UNA CRISI ECONOMICA) … ricorrendo ALLA SISTEMATICA DISEDUCAZIONE DELLE COSCIENZE GRAZIE ALLA PAURA, ALLA RETORICA, alla propaganda, alle “human relations” magari alla soddisfazione materiale, infine FORGIANDO ATTRAVERSO LA SCUOLA E I MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA UN TIPO DI UOMO STANDARD educato a credere ed a ubbidire, un uomo dallo spirito gregario …[L. BASSO, Dialogo fra generazioni di italiani nell’inchiesta sugli anni difficili, in Il Paradosso, aprile-giugno 1960, n. 22, 38-40]."
Questi sono invece dei chiarimenti storici fornitici da Arturo ed attinenti alla connessione del fascismo con il paradigma socio-politico dominante negli stessi USA: questi potevano essere assuntoi, già allora, come l'epicentro del potere economico-finanziario mondiale, almeno quanto all'approccio ideologico dominante prima della crisi del 1929 (riproposto nell'idea del federalismo europeo come suo principale strumento di restaurazione):
"Bersani ha anche detto che bisogna garantire la fine della legislatura “all’Europa e ai mercati” (pure, buoni ultimi, “agli italiani”, a cui forse sarebbe invece il caso di garantire il rispetto della Costituzione).
Se ci si deve meritare la sospirata “fiducia” dei mercati effettivamente le elezioni possono diventare un impaccio.
Lo illustra chiaramente la stabilizzazione degli anni Venti, su cui merita forse spendere ancora qualche parola, usando, per esempio, un memorandum riservato del 26 dicembre 1927 compilato da Benjamin Strong, all’epoca governatore della FED:
“Anche mettendo in conto questi punti particolari [le discussioni sul livello della stabilizzazione], non ho mai partecipato a una trattativa importante che fosse condotta in maniera così soddisfacente come questa. La ragione veramente sta nel fatto che l’Italia adottò le varie misure preliminari necessarie alle trattative e le eseguì con grande vigore e successo prima di arrivare alla decisione. La maggior parte degli altri paesi che hanno stabilizzato, con la sola eccezione dell’Inghilterra [sic!], non sono riusciti a raggiungere lo stesso risultato in anticipo, e devo dire che vi sono prove di grande autocontrollo e capacità di sacrificio, tali da consentire di realizzare questo programma, secondo i connotati lineari che ha assunto, senza tanti “se” e “ma” e riserve.” (G. G. Migone, Gli Stati Uniti e il fascismo, Feltrinelli, Milano, 1980, pag. 197).
Eh, quando c’era Lui, caro Bersani…
Non fosse chiaro il discorso, così lo spiega Migone alla pagina successiva:
“E’ interessante rilevare come l’autocontrollo ammirato da Strong non consisteva che nei poteri autocratici di cui disponeva Mussolini e che già i partners della Banca Morgan aveva confrontato favorevolmente alle più complesse ed incerte procedure delle democrazia parlamentari europee. Analogamente, lo spirito di autosacrificio a cui egli fa riferimento consiste in realtà nei sacrifici imposti a quelle classi e quelle categorie che erano state colpite dal processo di disinflazione, oltre che dalla repressione dello stato fascista.
Si può, dunque, concludere che il disegno dei banchieri privati americani viene condotto a buon fine dai rappresentati delle principali banche centrali sotto la leadership di Strong – che non manca di compiacersi per il fatto che la stabilizzazione avviene “letteralmente ed esattamente” secondo le indicazioni che egli aveva offerto a Mussolini e a Volpi, in occasione della sua visita a Roma, 18 mesi prima – e malgrado qualche inconcludente tentativo di opposizione di Montague Norman.
I prestiti concessi all’Italia nei mesi precedenti sono garantiti dal consolidamento della lira italiana, ma soprattutto dal processo di stabilizzazione del regime e del rapporto di forza fra le classi sociali su cui esso poggia, secondo il disegno di ricostruzione e restaurazione che la finanza americana portava avanti con coerenza in tutta l’Europa”.
Il libro di Migone, che non mi stancherò mai di raccomandare, ha l’enorme pregio di attingere a documenti di prima mano - a cui a quanto pare l’autore riuscì ad avere accesso grazie a Raffaele Mattioli - che mostrano, con brutale franchezza, quale logica stia dietro alle amene chiacchiere su “fiducia” e “riforme” e quanto essa sia radicalmente incompatibile con la democrazia.
Tra l’altro il libro è stato di recente tradotto in inglese e fornito di una deliziosa prefazione metodologico-autobiografica, da cui scopriamo che all’epoca della ricerca l’autore era un left-wing liberal Catholic e di cui merita riportare un estratto (The United States and Fascist Italy, Cambridge University Press, NY, 2015, pagg. xxi-xxii):
“But for that first question, concerning the swift and enduring approval of the Mussolini coup, with a naiveté at the time totally unencumbered by any Marxist culture, I had no simple reply. My initial preoccupation was to avoid the generic pitfall of so-called diplomatic history, still rampant in Italy and elsewhere: an exclusive focus on diplomatic documents, what A. J. P. Taylor would define as “what a clerk writes to another clerk.”
I realized from the very beginning that American diplomats reporting from Rome, though consistently more than positive, indeed enthusiastic, about the budding Fascist regime, were only a part of the explanation.
Focusing mainly on the press led me to the right path. The editorials of the New York Times, rather than the Boston Evening Transcript – of course to be compared to many other sources – gave me the temperature of those in command rather than the obvious silliness of an ambassador. His name was Richard Washburn Child, future editor of the Saturday Evening Post, biographer, and staunch propagandist of Mussolini, flattered out of his mind by a prescient visit, in itself significant, by the dictator and deeply affected by a high-flying Roman aristocracy most ambassadors liked to socialize with.
After all, newspapers had editors and owners, not devoid of interests and relationships beyond journalism, who liked to travel, accustomed to formulating a point of view toward any international development of a dimension that could not be ignored, in spite of the isolationist mood prevailing on the other side of the Atlantic. I gradually discovered that the American ambassador and his successors were not individual tenors but part of a chorus. And that chorus, with very few politically marginal discordant views – as proved by John Diggins’s accurate exploration of printed sources – only briefly ceased to sing after the murder of Giacomo Matteotti, a Social Democrat who turned out to be Mussolini’s bravest opponent in Parliament, which shook the regime in the mid-1920s. The music resumed until and beyond the invasion of Abyssiniain the mid-1930s.
This clearly required a set of explanations not immediately available to a curious graduate student. That liberal naiveté perhaps served me well. When I paid a visit to Raffaele Mattioli, his question was “Are you a Marxist?” My answer was clearly in the negative, but also that, by reading documents produced by central banks and investment bankers rather than Marx and Engels, maybe I was about to become one. This answer seemed to satisfy the old man, who then helped me gain further access to otherwise-sealed banking archives.”
Dai, con questi chiari di luna una risata ogni tanto ci vuole. :-)
ADDENDUM: questi nuovi brani nascono da contributi dei commentatori sopravvenuti nel corso degli anni successivi alla pubblicazione di questo post, e consentono di aggiungere nuovi elementi storici e istituzionali alla comprensione del fascismo sotto il profilo politico-economico.
Qui, da Francesco Maimone, la definizione data al fascismo da Lelio Basso, estremamente utile per riconoscere il fenomeno nelle sue forme attuali al di là di nominalismi che non sono più indicativi della sua sostanza nel contesto storico dell'€uropeismo:
“Sotto il nome “fascismo” si intendono spesso cose diverse. A me sembra che il significato essenziale di esso possa individuarsi in un regime che voglia GARANTIRE IL POTERE ASSOLUTO DI FATTO (non importa se rivestito di apparenze democratiche) AL GRANDE CAPITALE ALLEATO CON IL CAPITALISMO DI STATO e con il personale politico dirigente, e che si sforzi di ottenere per questo suo regime l’adesione popolare, grazie alla diseducazione, al conformismo, al qualunquismo, alla depoliticizzazione, ecc. Vi sono dunque nel fascismo due facce, due momenti: quello dell’autorità, del potere assoluto, della forza, e quello della supina acquiescenza, del conformismo, della abdicazione popolare.
Questa abdicazione, questa acquiescenza si possono ottenere in vari modi: di solito partendo da una crisi di sfiducia e di qualunquismo (dovuta alle conseguenze di una guerra O DI UNA CRISI ECONOMICA) … ricorrendo ALLA SISTEMATICA DISEDUCAZIONE DELLE COSCIENZE GRAZIE ALLA PAURA, ALLA RETORICA, alla propaganda, alle “human relations” magari alla soddisfazione materiale, infine FORGIANDO ATTRAVERSO LA SCUOLA E I MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA UN TIPO DI UOMO STANDARD educato a credere ed a ubbidire, un uomo dallo spirito gregario …[L. BASSO, Dialogo fra generazioni di italiani nell’inchiesta sugli anni difficili, in Il Paradosso, aprile-giugno 1960, n. 22, 38-40]."
Questi sono invece dei chiarimenti storici fornitici da Arturo ed attinenti alla connessione del fascismo con il paradigma socio-politico dominante negli stessi USA: questi potevano essere assuntoi, già allora, come l'epicentro del potere economico-finanziario mondiale, almeno quanto all'approccio ideologico dominante prima della crisi del 1929 (riproposto nell'idea del federalismo europeo come suo principale strumento di restaurazione):
"Bersani ha anche detto che bisogna garantire la fine della legislatura “all’Europa e ai mercati” (pure, buoni ultimi, “agli italiani”, a cui forse sarebbe invece il caso di garantire il rispetto della Costituzione).
Se ci si deve meritare la sospirata “fiducia” dei mercati effettivamente le elezioni possono diventare un impaccio.
Lo illustra chiaramente la stabilizzazione degli anni Venti, su cui merita forse spendere ancora qualche parola, usando, per esempio, un memorandum riservato del 26 dicembre 1927 compilato da Benjamin Strong, all’epoca governatore della FED:
“Anche mettendo in conto questi punti particolari [le discussioni sul livello della stabilizzazione], non ho mai partecipato a una trattativa importante che fosse condotta in maniera così soddisfacente come questa. La ragione veramente sta nel fatto che l’Italia adottò le varie misure preliminari necessarie alle trattative e le eseguì con grande vigore e successo prima di arrivare alla decisione. La maggior parte degli altri paesi che hanno stabilizzato, con la sola eccezione dell’Inghilterra [sic!], non sono riusciti a raggiungere lo stesso risultato in anticipo, e devo dire che vi sono prove di grande autocontrollo e capacità di sacrificio, tali da consentire di realizzare questo programma, secondo i connotati lineari che ha assunto, senza tanti “se” e “ma” e riserve.” (G. G. Migone, Gli Stati Uniti e il fascismo, Feltrinelli, Milano, 1980, pag. 197).
Eh, quando c’era Lui, caro Bersani…
Non fosse chiaro il discorso, così lo spiega Migone alla pagina successiva:
“E’ interessante rilevare come l’autocontrollo ammirato da Strong non consisteva che nei poteri autocratici di cui disponeva Mussolini e che già i partners della Banca Morgan aveva confrontato favorevolmente alle più complesse ed incerte procedure delle democrazia parlamentari europee. Analogamente, lo spirito di autosacrificio a cui egli fa riferimento consiste in realtà nei sacrifici imposti a quelle classi e quelle categorie che erano state colpite dal processo di disinflazione, oltre che dalla repressione dello stato fascista.
Si può, dunque, concludere che il disegno dei banchieri privati americani viene condotto a buon fine dai rappresentati delle principali banche centrali sotto la leadership di Strong – che non manca di compiacersi per il fatto che la stabilizzazione avviene “letteralmente ed esattamente” secondo le indicazioni che egli aveva offerto a Mussolini e a Volpi, in occasione della sua visita a Roma, 18 mesi prima – e malgrado qualche inconcludente tentativo di opposizione di Montague Norman.
I prestiti concessi all’Italia nei mesi precedenti sono garantiti dal consolidamento della lira italiana, ma soprattutto dal processo di stabilizzazione del regime e del rapporto di forza fra le classi sociali su cui esso poggia, secondo il disegno di ricostruzione e restaurazione che la finanza americana portava avanti con coerenza in tutta l’Europa”.
Il libro di Migone, che non mi stancherò mai di raccomandare, ha l’enorme pregio di attingere a documenti di prima mano - a cui a quanto pare l’autore riuscì ad avere accesso grazie a Raffaele Mattioli - che mostrano, con brutale franchezza, quale logica stia dietro alle amene chiacchiere su “fiducia” e “riforme” e quanto essa sia radicalmente incompatibile con la democrazia.
Tra l’altro il libro è stato di recente tradotto in inglese e fornito di una deliziosa prefazione metodologico-autobiografica, da cui scopriamo che all’epoca della ricerca l’autore era un left-wing liberal Catholic e di cui merita riportare un estratto (The United States and Fascist Italy, Cambridge University Press, NY, 2015, pagg. xxi-xxii):
“But for that first question, concerning the swift and enduring approval of the Mussolini coup, with a naiveté at the time totally unencumbered by any Marxist culture, I had no simple reply. My initial preoccupation was to avoid the generic pitfall of so-called diplomatic history, still rampant in Italy and elsewhere: an exclusive focus on diplomatic documents, what A. J. P. Taylor would define as “what a clerk writes to another clerk.”
I realized from the very beginning that American diplomats reporting from Rome, though consistently more than positive, indeed enthusiastic, about the budding Fascist regime, were only a part of the explanation.
Focusing mainly on the press led me to the right path. The editorials of the New York Times, rather than the Boston Evening Transcript – of course to be compared to many other sources – gave me the temperature of those in command rather than the obvious silliness of an ambassador. His name was Richard Washburn Child, future editor of the Saturday Evening Post, biographer, and staunch propagandist of Mussolini, flattered out of his mind by a prescient visit, in itself significant, by the dictator and deeply affected by a high-flying Roman aristocracy most ambassadors liked to socialize with.
After all, newspapers had editors and owners, not devoid of interests and relationships beyond journalism, who liked to travel, accustomed to formulating a point of view toward any international development of a dimension that could not be ignored, in spite of the isolationist mood prevailing on the other side of the Atlantic. I gradually discovered that the American ambassador and his successors were not individual tenors but part of a chorus. And that chorus, with very few politically marginal discordant views – as proved by John Diggins’s accurate exploration of printed sources – only briefly ceased to sing after the murder of Giacomo Matteotti, a Social Democrat who turned out to be Mussolini’s bravest opponent in Parliament, which shook the regime in the mid-1920s. The music resumed until and beyond the invasion of Abyssiniain the mid-1930s.
This clearly required a set of explanations not immediately available to a curious graduate student. That liberal naiveté perhaps served me well. When I paid a visit to Raffaele Mattioli, his question was “Are you a Marxist?” My answer was clearly in the negative, but also that, by reading documents produced by central banks and investment bankers rather than Marx and Engels, maybe I was about to become one. This answer seemed to satisfy the old man, who then helped me gain further access to otherwise-sealed banking archives.”
Dai, con questi chiari di luna una risata ogni tanto ci vuole. :-)
La cosa che piu` mi lascia smarrita e` la totale assenza di percezione, da parte del cittadino anche di cultura medio-alta, della gravita` dell'attacco in corso alla nostra Repubblica democratica, dato che tutto cio` che viene recepito e` il "tentativo di cambiare le cose" del Presidente del Consiglio, che muove tutti i cuori a grande rispetto, fiducia e indulgenza per le "pecche" che cominciano a vedersi anche ad occhio nudo.
RispondiEliminaQualche giorno fa, un collega avvocato mi ha candidamente esposto la sua opinione sull'inserimento del concetto di lavoro come fondamento della Repubblica, nell'art. 1 Costituzione, affermando che il lavoro "non e` un valore, ma un mezzo per andare avanti", quindi proporlo come valore fondante del nostro ordinamento e` stato un errore del Costituente!... Grazie al mio ormai collaudatissimo autocontrollo sono riuscita a trattenere gli improperi e rispondergli garbatamente che il lavoro e` ben piu` di un "mezzo", esponendogliene le ragioni... Alla fine mi ha rimbrottato dicendomi che sono diventata troppo "bertinottiana". Visto il contesto, l'ho preso come un complimento...
La confusione mentale, come puoi constatatare, deriva dallo scollamento di origine mediatica (e accademica, ormai) tra funzione della stessa Costituzione (primo: se regolare o no e come il conflitto di classe), storia europea degli ultimi 150 anni, e realtà del sistema economico sovrapposto dall'UEM
Elimina.
Da questo prodotto di sub-cultura, che fa della "causa" del patto sociale fondamentale un negozio unilterale dell'interesse del gruppo sociale "concedente", discende la totale incapacità della maggior parte dei giuristi di comprendere e difendere la lo stessa posizione di cittadini.
E non meri sudditi
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaComunque io continuo a ritenere che ci furono delle "frizioni" ben marcate tra il Duce e il grande capitale internazionale.
RispondiEliminaNon mi spiegherei altrimenti le sanzioni del '35.
Il grande capitale nazionale appoggio' il fascismo. E' ovvio e non poteva essere altrimenti (sarebbe interessante capire chi tra regime e grandi famiglie del capitalismo italiano "reggesse il bastone").
Tuttavia non sono cosi' convinto che l' interventismo in economia fosse visto proprio di buon occhio da costoro, e nemmeno, per dire, l' accorciamento della settimana lavorativa.
Ricollegandomi alla Donato; e' effetivamente impressionante come proprio i ceti piu' istruiti siano quelli piu' fieramenti ignoranti.
Il fatto e' che, ancora piu' dei ceti meno istruiti, hanno ristretto le loro capacita' critiche. Gli assiomi liberisti sono "leggi di natura" inappellabili e inemendabili (per stare su un linguaggio da avvocato).
Mere opinioni (in realta' fregnacce che solo l' ideologia puo' accreditare) frutto di una certa visione politica sono elevate al rango di "dato di fatto".
Alcuni esempi:
"Il governo non puo' creare posti di lavoro per decreto"
"L' imprenditore crea i posti di lavoro"
"L' imprenditore e' l' unico soggetto che puo' creare ricchezza"
"Lo Stato deve essere gestito come una impresa" / "lo Stato non deve fare l' imprenditore"
Ecc.ecc.ecc.
Questo fatto e' il segno piu' deprimente. Il piu' tangibile segno del fallimento della nostra societa'.
Sarebbe interessante confrontare quanti, tra i costituenti e quanti tra gli attuali parlamentari, fossero e siano in possesso di una laurea. Su quale classe politica (ma possiamo allargare il discorso alla intera classe dirigente) abbia ottenuto i risultati migliori, direi che non c' e' discussione.
Ma pure i laureati post restaurazione accademica in senso ordoliberista, non scherzano...
EliminaSul primo problema "storico": non fu l'interventismo in economia,- "importato" dalle soluzioni che tra alti e bassi, tentanvano tutti i paesi coinvolti nella crisi del '29 (se non altro per non sentirsi dire che l'URSS continuava a crescere senza aver conosciuto coeva recessione)-, a rompere l'equilibrio col capitale internazionale.
Piuttosto fu la ricerca della via italiana ai mercati coloniali di sbocco (guerra d'Abissinia): cioè una politica, anche favorevole al capitalismo nazionale, che perseguiva un interesse non sussidiario a quello prestabilito nelle spartizioni dei "plutocrati d'Occidente".
Ma certo. E' chiaro che fu in conseguenza delle politiche coloniali che si verificarono queste "frizioni" piuttosto sostanziose (tanto da spingere il Duce completamente nelle braccia del furer).
EliminaNon di meno, e' storia che il fascismo non rimase poi cosi' abbarbicato fino all' ultimo ai "plutocrati d' occidente", come sostiene il buon Arturo. O, per lo meno, i "plutocrati d' occidente" non se lo tennero abbarbicato.
Ma Arturo non mi pare sostenga questo: diverso, infatti, è evidenziare che a livello di capitale NAZIONALE, si aveva "perenne stagnazione salariale", cioè suo sganciamento dalla crescita (pur non eccezionale) del PIL.
EliminaIn altri termini:i rapporti internazionali,- sul piano geo-politico di un colonialismo che ripartiva il free-trade per zone "protette" verso l'esterno- si potevano dunque guastare. Ma il "sentiment", vedi Churchill e settori politici USA; considerava comunque positivamente un'Italia che dava un'esempio di controllo delle istanze del lavoro, (fatte coincidere col pericolo del bolscevismo).
Concordo in pieno con quanto dici per Francesca Donato.
EliminaUna combinazione per nulla casuale tra la manipolazione "soft" della ricerca accademica e il frame dell'informazione mainstream, che filtra spietatamente i risultati della ricerca e li presenta in forma "pop", ha convinto tutti, le persone "colte" per prime, che la Scienza Economica ha scoperto alcune Leggi Naturali Fondamentali E Definitive che limitano inesorabilmente le scelte possibili alla politica. E allora è normale che uno si chieda perché la Costituzione parli del lavoro "visto che tutti sanno che la politica non può occuparsene". Per una Legge Naturale.
Si può provare a chiedere come siano andate avanti le cose prima dell'affermazione di queste Leggi Naturali. Voglio dire: se oggi abbiamo scoperto la legge di gravità, spiegatemi perché prima si poteva camminare tranquillamente sul soffitto...
(Sì, lo so, una volta non esisteva la Cina e la polvere da sparo è stata inventata da un monaco. Naturalmente tedesco.)
Infatti, quando parlavo di "frizioni" mi riferivo al capitale nazionale. Sulla questione delle otto ore, ti riporto quanto ne scrive una delle opere più aggiornate sull'argomento, quella di Fiocca (Industriali e confindustria dalla prima guerra mondiale al fascismo, Roma, Biblink, 2000, pag. 211): "Il movimento operaio e socialista era stato costretto alla difensiva, i salari erano percentualmente diminuiti, era stato abolito il ministero del Lavoro e si era proceduto alla revisione del tariffario doganale. Gli indici della produzione industriale avevano ripreso a salire così come il patrimonio azionario. Questa diffusa soddisfazione non veniva compromessa dall’introduzione di alcuni vincoli apparentemente onerosi come l’introduzione della giornata lavorativa di otto ore poiché la sua applicazione prevedeva un numero tale di deroghe (prontamente segnalate dagli uffici sindacali della CGII) da riuscire in molti casi disattesa.553 Il senso di fiducia in un sereno avvenire poggiava sulla certezza che il governo possedeva, con Mussolini, gli strumenti per avviare le necessarie riforme strutturali in favore del progresso nazionale 554". Questa nota 554 si riferisce a giornali di ambiente industriale ("La società per azioni" e "L'economista"): sarei curiosissimo di sapere se l'espressione "riforme strutturali" era usata già all'epoca :-).
EliminaAggiungo che non mi sono mai sognato di negare che esistano "contraddizioni intercapitalistiche", concetto senza cui la stagione dell'imperialismo diventa incomprensibile (anche la crisi attuale dell'euro è alimentata da questa difficoltà a ricomporre interessi divegenti: voglio dire, non credo nessuno pensi che Weidmann rappresenti gli interessi del lavoro...). Sulla questione dell'Etiopia e dei rapporti internazionali, condivido il giudizio di Quarantotto. La vicenda è ricostruita, in modo secondo me piuttosto convincente sulla base di una documentazione imponente, da G. G. Migone (in Gli Stati Uniti e il fascismo, Milano, Feltrinelli, 1980), da cui citerò (pag. 367): "Moffat [console generale americano in Australia, legato al partito repubblicano], esattamente come tutte le forze conservatrici francesi e inglesi, intendeva uscire dal dilemma che gli si presentava con una formula di conciliazione che impedisse una vittoria militare di Mussolini, ma non certo lo schiantasse. Ciò consente di vedere il continuo gioco dei rinvii nell'applicazione e nell'allargamento delle sanzioni, la parallela ricerca di una formula di conciliazione che fosse soddisfacente per Mussolini, in termini non distaccati dalle reazioni e dai comportamenti americani, anche se le motivazioni erano parzialmente diverse. Se gli americani potevano sostenere che i tentennamenti e le ambiguità franco-britanniche rendevano impossibile una politica più disposta alla collaborazione con Ginevra, era pur vero anche il contrario: come la stampa britannica e francese non si stancava di osservare, nella sua quasi totalità, l'estensione delle sanzioni sarebbe stata inefficace senza la collaborazione degli Stati Uniti. In altre parole l'alibi era reciproco. [...]" Il senso stesso dell'appeasement viene interpretato alla luce di queste considerazioni. Non si trattò semplicemente "di un errore tattico", "l'illusione che si potesse placare la tigre nutrendola di carne umana". "Si trattava, piuttosto, dell'estremo tentativo di salvare una solidarietà fondata prima su comuni interessi (nel caso dell'Italia fascista) e successivamente, in maniera prevalente, su una comune avversione al comunismo come sovvertitore dell'ordine sociale esistente all'interno dei vari paesi e, in ultima analisi, dei rapporti di forza internazionali. [...] Quello che è stato chiamato il set di Clivenden, il Times di Londra, Laval, Flandin, Bonnet, i petrolieri americani, Generoso Pope, Randolph Hearst, Lamont, Moffat, e così via ad infinitum, non sono dei tattici ingenui che non sanno scegliere un atteggiamento di fermezza davanti a un pericolo chiaramente individuato, ma piuttosto si comportano in maniera perfettamente logica e corente dal momento che hanno individuato un altro pericolo che ritengono prioritario. [...] La guerre d'Etiopia è importante perché costituisce la prima occasione in cui si manifesta questo tragico dilemma della classe dirigente occidentale" (Id., pag. 368).
EliminaA parte la vexata quaestio dei "punti e a capo" :-) credo che il chiarimento complessivo delle perplessità di Bargazzino lo abbiamo.
EliminaSottolineo che le "contraddizioni intercapitaliste" sono tutt'ora presenti, non essendo certo l'ondata di de-rubricazione delle sovranità nazionali un rimedio alla seguente contraddizione strutturale di ogni ordine internazionale dei mercati: concordia astratta sugli scopi macroeconomici di ogni politica generale, in contrapposizione con la inevitabile concorrenza tra oligopoli, nella molto concreta lotta per divenire "posizioni dominanti".
Posizioni preferibilmente da perpetuare a danno di comunità nazionali estere.
Ma solo preferibilmente.
@Arturo: strutturali non credo, ma sempre di "riforme" si parlava. Traggo da studio Prof. Giovanni Favero, disponibile qui :"Nell’aprile del 1926 i sindacati unici di settore (corporazioni) divennero organi di diritto pubblico giuridicamente riconosciuti, vigilati e controllati dal governo, che aveva il potere di ratificarne e revocarne i dirigenti, e furono autorizzati a stipulare contratti di lavoro vincolanti per tutta la categoria. Il diritto di sciopero e quello di serrata venivano contemporaneamente aboliti poiché ogni controversia era affidata alla magistratura del lavoro, meglio definita nella successiva Carta del Lavoro dell’aprile 1927 come Tribunale del lavoro.
EliminaIl controllo sulle organizzazioni dei lavoratori garantì al regime uno strumento fondamentale per adeguare le retribuzioni nei diversi comparti alle esigenze della produzione nazionale attraverso provvedimenti che avevano valore di legge, risultanti da proposte avanzate in genere dai sindacati fascisti d’accordo con la controparte industriale. Divenne in tal modo possibile garantire agli industriali una diminuzione del costo del lavoro tale da mantenere la competitività dei prodotti italiani di esportazione nonostante la rivalutazione della lira, e contemporaneamente ridurre le importazioni comprimendo i redditi dei lavoratori e quindi la domanda interna.
Questo «primo vasto “esperimento” di controllo forzoso del mercato del lavoro» non si limitò ad adeguare i salari al minore livello raggiunto dai prezzi, ma produsse di fatto una riduzione del loro potere di acquisto: una prima decurtazione del 10%, proposta nel maggio 1927 dai sindacati fascisti, non fu infatti ritenuta sufficiente dal direttorio del partito fascista, che nell’ottobre dello stesso anno fissò al 20% la riduzione complessiva dei livelli salariali.".
Nel 1919, poi, il Programma dei Fasci di combattimento prescriveva:
EliminaPer il Problema Finanziario NOI VOGLIAMO:
a) Una forte imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo, che abbia la forma di vera espropriazione parziale di tutte le ricchezze.
b) Il sequestro di tutti i beni delle congregazioni religiose e l’abolizione di tutte le mense Vescovili che costituiscono un’enorme passività per la Nazione e un privilegio di pochi.
c) La revisione di tutti i contratti di forniture di guerra ed il sequestro dell’85% dei profitti di guerra.
Oltre a misure di razionalizzazione e alla diminuzione della spesa pubblica, grazie ad un esproprio di capitale tale da sanare il bilancio dello Stato, in modo da finanziare varie misure sociali proposte, quali una riforma del sistema assistenzialistico, della burocrazia statale, dell’industria dei trasporti, dell’istruzione, il contributo all’agricoltura e alla costruzione di case coloniche e gli incentivi all’industria navale. Parallelamente si proponevano anche le otto ore lavorative, il salario minimo e la gestione da parte dei lavoratori mediante partecipazione o cooperazione.
Gli Orientamenti Teorici del 1920 ripresero questi tre punti, aggiungendone altri due:
d) tassazione onerosa delle eredità;
e) tutti quei provvedimenti fiscali che si rendano necessari per accelerare il risanamento dei bilanci statali.
Detto brutalmente: da associazioni sindacali ad associazioni di "gabelloti" strumentali alla disciplina del lavoro.
EliminaLa trasformazione del sindacalista in "gabelloto" è, forse, il fenomeno a cui assistiamo anche oggi.......
Vero. Ma l'apice del paradossale che si raggiunse in questa spirale è a pagina 11: "Negli anni successivi l’aumento della disoccupazione, l’adozione di turni, la riduzione degli straordinari, e tutta una serie di espedienti utilizzati dalle imprese per ridurre il costo del lavoro, dalla revisione dei cottimi al declassamento delle qualifiche, fino alla sostituzione di giovani ad anziani e di donne a uomini, portarono il livello dei redditi operai al limite: nel marzo 1932 la situazione veniva ritenuta insostenibile anche dai sindacati fascisti, tanto che il Consiglio corporativo centrale decise di non autorizzare altre riduzioni di salario.
EliminaCiononostante, le decurtazioni concordate a livello aziendale continuarono, dando luogo ad alcune uscite polemiche apparse sull’organo ufficiale dei sindacati fascisti, che segnalavano come tra gli industriali sembrasse diffuso il «convincimento che le riduzioni salariali potessero comunque risolvere inconvenienti derivanti dalla incapacità funzionale di un’azienda o di un’industria».".
Non so perchè ma anche questo sa tremendamente di attuale... per non parlare dei tagli alle tasse al famoso 1%... alla fin fine il succo è sempre quello... cambiano i tempi ma non i modi...
Attualissimo. Per filo e per segno...
Eliminahttp://orizzonte48.blogspot.it/2014/09/il-dualismo-il-rddito-di-cittadinanza-e.html
E vogliamo parlare del "salario minimo" (che porta con sè blocco fino al 2017) tedesco e del piccolo "bug" della limitazione al diritto di sciopero?
EliminaDi salario minimo e reddito di citttadinanza parlerà Sofia l'8 al convegno. E ha approfondito una quantità incredibile di fonti che fanon capire la differenza tra Friedman (Hayek) e Rawls...
EliminaCiao, Flavio, grazie, ottima citazione. Nel commento riportato nel post avevo parlato di consumi perché si potrebbe opinare che quel che veniva tolto con le riduzioni salariali potesse essere compensato dalle "provvidenze" del regime. Bene, fra il '23 e il '39, quindi lasciando fuori gli anni della guerra, i consumi procapite aumentarono complessivamente del 6% (dato calcolato da Barberi e riportato da V. Zamagni, Dalla periferia al centro, Bologna, Il Mulino, 1993, pag. 395). Non è difficile immaginare quale condizione delle classi popolari potesse stare dietro quel dato.
EliminaPurtroppo non c'era ancora il decrescismo, ma sopperiva tutta una retorica del sacrificio e dell'ortopedia antitialiana di cui Zunino ha fornito un ricco campionario (in L'idelogia fascista, Bologna, Il Mulino, 1995). Per es. (le doppie virgolette si riferiscono a citazioni di giornali fascisti) la ""necessità sociale e nazionale della sofferenza, per la quale soltanto i popoli conseguono grandezza e predominio"", di cui scriveva Malaparte (pag. 150); o i propositi del regime di ""rimuovere l'humus sociale"", ""raddrizzare il carattere degli italiani"", per creare un paese ""dalla fronte dura"" e ""dalle ciglia asciutte"" (Ivi e id., pag. 151), estraneo quindi alla "cultura del piagnisteo", come direbbe il tale. Ovviamente era di casa la lotta al ""manicomio inflazionistico"" e quanto ai contraccolpi della quota 90, si trattava di una ""crisi di purificazione"", utile a far "cadere i rami secchi" e ""sfoltire i parassitismi"" (Id., pagg. 260-261). Insomma, vi siete fatti un'idea...
Cari Arturo e Flavio, grazie.
EliminaSpero che vi riprendiate l'Italia e il vostro futuro. Almeno lo avete meritato con lo Spirito della conoscenza. Che non si arrende
Un sincero grazie a tutti per le (al solito) preziose precisazioni.
EliminaCi tengo a precisare che ovviamente non e' che volevo far passare il Duce per un coraggioso difensore degli operai. Ci mancherebbe! E ovviamente condivido la tesi che al potere ce lo vollero proprio certi interessi.
La cosa incredibile e' che persino "lui" oggi si troverebbe alla sinistra di certi personaggi politici e mediatici (magari anche di tanti "antifascisti su Marte") probabilmente.
@Arturo: prego, anzi, grazie a te per gli spunti. Il mio era solo corollario in quanto alla fine anche durante il regime (di cui si parla tanto molte volte in fatto di "treni che arrivavano in orario", "mafia che non c'era", "corporativismo") le pratiche erano sempre le stesse, far pesare sui più deboli (abbindolandoli con il MinCulPop e/o controllo) le congiunzioni economiche nazionali ed internazionali per poter ""tirare a campare". Si omette spesso l'OVRA, le conseguenze economiche del corporativismo (viste su), le conseguenze economiche di quota 90 e della "battaglia del grano". Naturale che poi, a contorno, c'era il "reddito di cittadinanza" del tempo: le colonie per i piccoli, dopolavoro fascista, le 40 ore settimanali e compagnia bella... a furia di tagli salariali, e con un'epoca di continue bolle (in America) e nazioni in default (Germania) o sull'orlo di una crisi (GB) che mettavano in crisi il mercato internazionale, per tenere buona la gente serviva anche questo...
Elimina@Marco: tranquillo, io avevo capito! :)
Abbiamo osato troppo con la nostra costituzione? Anche io penso di si. Personalmente non credo però che gli ordoliberisti si sarebbero "addolciti" di fronte ad una costituzione meno socialista. Per i teorici delle riforme, infatti, non si riforma mai abbastanza.
RispondiEliminaUn'altra domanda connessa alla prima è: da dove origina tutta questa facilità nell'aggredire la costituzione del '48, che, a dispetto della sua rigidità, non sembra resistere meglio di quanto resistette lo Statuto, a suo tempo?
Abbozzo uno spunto: se da un lato con la costituzione del '48 si è osato troppo, dall'altro potrebbe ipotizzarsi che una serie di fattori esogeni, anche antecedenti, abbiano impedito il consolidarsi di quella che potremmo definire una cultura diffusa della democrazia, che è -in fondo- una garanzia imprescindibile per la sopravvivenza dell'insieme di valori consolidato della carta.
Ripercorrendo sommariamente la storia d'Italia, che è una nazione relativamente giovane, mi pare di assistere ad una sequenza di eventi che hanno sempre impedito il consolidarsi di tale cultura diffusa. Avevamo, dopo il 1900, una tradizione liberal-parlamentare che era uscita, in fondo, vincente dalla lotta contro la "reazione" umbertina. Non fece, però, in tempo a consolidarsi: la grande guerra e la nascita del fascismo lo impedirono. Allo stesso modo, la situazione internazionale successiva alla seconda guerra mondiale e la presenza di un partito comunista "ipertrofico" rispetto alle altre forze di sinistra impedirono, per quasi mezzo secolo, una vera alternanza, che oggettivamente si è rivelata un fattore ostativo a far percepire il "valore" della democrazia all'uomo della strada (nei fatti, uno solo partito ha governato l'Italia dal 1948 agli anni '80.....).
La mancanza di una democrazia concretamente esercitata e vissuta, potrebbe aver contribuito all'affermarsi, sia a livello politico e sociale, della contro-cultura del "vincolo esterno". In presenza di una borghesia benestante, istruita, ma che continuava -in fondo- a pensare che "la democrazia ce la hanno imposta" (ce le ricordiamo, le frasi dei "benpensanti" di mezza età che, negli anni '80 e '90 si incontravano al bar o all'edicola?), l'ordoliberismo non poteva che avere vita facile e la ha effettivamente avuta: i benpensanti di allora, in fondo, altro non sono che i livorosi e/o i piddini europeisti di oggi. Quelli per cui, il problema è lo Stato e che danno ragione a Fassino quando dice che "se il Parlamento chiudesse sei mesi, non se ne accorgerebbe nessuno".....
Ma lo sai che sei tornato a...Lelio Basso?
EliminaI fatti ci stanno dando "torto", ma non credo che avessimo "osato troppo".
Rammento che l'aumento tangibile della pressione fiscale -reso necessario dallo SME (certamente "ristretto": infatti Mani pulita decolla dopo il 1990), e poi da Maastricht- è stato prima giustificato dalla "lotta all'evasione" poi da "avete vissuto al di sopra...".
Ma è una politica voluta, programmatica, perchè alla fine proliferasse, nel clima propizio creato dalla moneta unica, l'idea che "si abbatta lo Stato per finire di soffrire", da un lato, e "evasione e corruzione sono la causa dello sfascio dei conti pubblici", dall'altro.
Insomma, la formula bipartisan dell'ordoliberismo è molto ben congegnata - non a caso nasce in Germania- per dare motivazioni etiche (apparentemente) contrapposte che convergono a consolidare una nuova costituzione MATERIALE.
E il bello è che nasce tutta da un vincolo esterno (da trattati), cioè senza alcuna autonomia decisionale, consapevole, del popolo che detiene il Potere costituente. O meglio lo deteneva.
Mi tocca ribadire quanto già affermato da Quarantotto: osare troppo?
EliminaNon esiste una "quantità" di Democrazia come non esiste una "quantità" di Uomo: «la Democrazia o è sostanziale o non c'é».
Lelio Basso
Relativo al collasso del nostro Dettato: ho in altre occasioni proposto una lettura per cui, semplicemente, la struttura imperiale - de facto - dell'ordinamento internazionale, porta ad avere la tradizione culturale occidentale vincolata, ovviamente, al "centro" dell'Impero. Centro caratterizzato da una democrazia "liberale" (che implica il "free trade", con buona pace di Croce: quindi democrazia formale, plutocratica) che nulla ha a che fare con il percorso culturale che, da Atene, raggiunge il suo culmine a Roma nel 1948 e, ricordo, si universalizza ad Algeri nel '76.
Il vincolo esterno si materializza nel '78 per la nostra comunità sociale, ma è sempre esistito a causa dello status di Paese a sovranità limitata per cui, con l'arma ricardiana dei vantaggi comparati, l'élite english speaking limita la libertà di tutti i cittadini dell'ecumene globale eccettuando, forse, solo la Russia (almeno non considerando l'umiliante periodo sotto Eltsin).
Quindi il problema non è che "abbiamo osato troppo": semplicemente, non potevamo fare di meglio.
Il problema è il dominio economico-culturale di quella élite che opprime da almeno due secoli il pianeta: la Costituente la devono fare prima a Washington e a Londra (e, magari, a giudicare dai fornitori dell'NSA, anche in Israele...).
IMHO
Plauso per la rara profondità della sintesi :-)
Elimina@Baazar
EliminaOTC (uso e abuso)
mandami i tuoi riferimenti, li ho perduti nel black hole di orione
grazie :-)
A parte il piiiccolo problema della abolizione di libere elezioni , penso che il fascismo non governo' cosi' male l'Italia, economicamente e soprattutto socialmente. Va tenuto conto che gli scambi commerciali con l'estero furono di proposito frenati, proprio per non dipendere troppo dalla finanza straniera http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&cad=rja&uact=8&ved=0CCEQFjAA&url=http%3A%2F%2Fit.wikipedia.org%2Fwiki%2FPolitica_economica_fascista&ei=C7tbVK7dJozUav_lgcgL&usg=AFQjCNEln5m2ivMO1FtIhDvS-j_ehnRflQ&sig2=T0zMz4g4X0u9KyTagvtbsw autarchia, sforzo per l'indipendenza economica e alimentare (e scusate se e' poco). A parte il fatto che l'Italia era essenzialmente agricola, quindi il grosso campava cosi', ho letto che risultava comunque (di questo non sono sicuro) la settima potenza industriale (va be' che non erano spuntate l'india, la cina)...be' , il bel periodo fini' nel 1938, con il sorgere della irresistibile potenza tedesca, e' chiaro che con l'adozione delle leggi razziali, sia pure non messe in atto pienamente, era cominciato il vincolo esterno....
RispondiEliminacomunque volevo intervenire, soprattutto, per un piccolo ot sulla situazione europea, con il botta e risposta tra Renzi e Junker ; e, quest'ultimo, che guarda caso "subisce" l'inchiesta sul "paradiso fiscale" lussemburghese....su rischio calcolato si fa l'ipotesi che la cosa non sia casuale e rientri in un piano (non certo solo italiano: soprattutto, inglese, credo...) ben piu' ampio, con l'uomo della Merkel reso zoppo, per rovesciare alcuni equilibri nella commissione europea, e quindi il nostro utilizzato come testa d'ariete ....
ILLIBATA INDIPENDENZA DI FLEXIBILITY
RispondiElimina(OTC .. come sempre e oltre)
Fa specie, ed è speciale, prender atto delle nomina al Palazzo della Consulta della prof. Silvana Sciarra, una delle più importanti giuslavoriste italiane.
Fa specie, ed è speciale, vedere ricoperto un fondamentale ruolo di garanzia costituzionale, con compito di giudizio di legittimità, dopo aver considerato il libello della prof. Silvana Sciarra pubblicato nel 2013.
Fa specie, ed è speciale -ma qualcuno sostiene che non ci sono limiti alle narrazioni suggestive – considerare la garanzia dell’identità costituzionale del Bel Paese nelle mani degli stessi che ne vogliono superare e travolgere i limiti civili di sistemi giuridici nazionali per concedersi - inermi - a desideri vincolanti e condizionali di "qualcosa" e "qualcuno": il “libero mercato”.
Fa specie e fa degrado struggente assistere in assordante silenzio allo stupro e alla mattanza di ogni onestà intellettuale che dovrebbe distingue la “specie” umana da altre “specie” di vita mentre ci si schiera nelle piazze per le urla di oche spiumate - senza giudizio alcuno di merito o privilegio.
Ma, forse, è solo pia illusione – ma non troppo – continuare a non credere - razionalmente - o non aver fede irrazionale che il “mondo è cambiato” in silenzio.
Tiremm innanz ..!
Ciao Poggio, queste parole sono così tristemente belle ed esaustive del tempo che stiamo vivendo. Le voglio imparare a memoria, grazie per averle scritte
RispondiEliminaFa specie e fa degrado struggente assistere in assordante silenzio allo stupro e alla mattanza di ogni onestà intellettuale che dovrebbe distinguere la “specie” umana da altre “specie” di vita mentre ci si schiera nelle piazze per le urla di oche spiumate - senza giudizio alcuno di merito o privilegio.
Colgo l'occasione per fare un grosso in bocca al lupo ai partecipanti di domani al convegno di RISCOSSA ITALIANA.
Ringrazio Poggio e ringrazio te Mauro (però mi sa che non vedrò entrambi...) :-)
EliminaL'onnipresenza e l'onnipotenza non sono "doti" umane, anche se "qualcuno" e "qualcosa" ha pretesa d'essere :-)
EliminaNon ci si vede, ma c'è la presenza intellettiva e l'attività sui marciapiedi ai margini dell'impero a diffondere "scienza e conoscenza".
Leggo che si sarà G Lauricella al quale volgo il sostegno al d.l. di abrogazione della modifica costituzionale (L. C. 1/2013) che ha introdotto il “pareggio in bilancio” e, di fatto, aperto il varco allo stupro finale della Costituzione e della democrazia nel Bel Paese.