Questo articolo di Sansonetti ci racconta:
"E poi ci si stupisce che le partecipate pubbliche 
continuino a vivere indisturbate nel loro mondo di sprechi. E che il 
governo centrale non riesca a produrre norme incisive per smantellarle. 
Il fatto è che la situazione non sembra cambiare nemmeno a monte. Si 
prenda il ministero dell’economia, oggi retto da Pier Carlo Padoan, 
ovvero la maxistruttura per la quale è transitata l’ultima legge di 
Stabilità che contiene norme giudicate troppo timide sulle partecipate.
    Ebbene,
 ancora oggi dal dicastero di via XX Settembre dipendono 30 società 
direttamente partecipate (ma considerando le controllate di secondo e 
terzo livello il perimetro si estende a dismisura). Ora, tralasciando 
società quotate come Eni, Enel e Finmeccanica, o le società più 
importanti come Cassa Depositi, Poste e Ferrovie, nel calderone delle 
30  oggi rientra di tutto..."
All'autore dell'articolo diamo sommessamente un paio di indicazioni (o anche tre):
a) andare a verificare, - se vuole dirla "tutta"-, anche le società partecipate degli altri ministeri (e la loro utilità, la giustificazione economica della loro istituzione, i risultati gestionali che ne sono conseguiti, il numero dei dipendenti e le relative modalità di assunzione, le retribuzioni degli amministratori, ecc.);
b) di non dimenticare che la spending review implica seria volontà politica di riallocare razionalmente (cioè entro i compiti relativi alle "prestazioni essenziali" previste dalla Costituzione) la spesa pubblica; e non di tagliarla soltanto, con effetti pro-ciclici disastrosi. 
c) infine di leggersi questo post di Sofia, che ripubblico aggiungendo qualche link utile "sopravvenuto" (per i numerosi "vecchi e nuovi lettori"). 
Liberalizzazioni
 e privatizzazioni sulla spinta di imposizioni comunitarie tese a 
“realizzare”il libero mercato: alcuni fatti e dati.
1.     Cenni al fenomeno delle liberalizzazioni e privatizzazioni.
Il rapporto tra lo Stato e il sistema economico-produttivo è sostanzialmente contenuto in quella che viene definita la Costituzione economica italiana ossia gli articoli 41, 42, 43, 44, 45, 46 3 47.(su quest'ultimo: http://orizzonte48.blogspot.it/2013/12/riflessioni-sulla-unione-bancaria-tra.html)
Per quello che interessa in questa sede deve porsi l’attenzione al terzo comma dell’art. 41 “La
 legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività 
economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a 
fini sociali”.  
Proprio sulla base di tale ultima disposizione si è basata la
 politica economica e industriale italiana dagli anni cinquanta alla 
fine degli anni settanta del secolo scorso. Si trattava di una politica 
economica  imperniata sul 
concetto cardine di programmazione economica che poteva avvenire anche 
attraverso la limitazione o l’eliminazione della libera concorrenza 
affidando l’esclusività della produzione, in determinati ambiti del 
sistema economico, allo Stato (monopolio pubblico legale). Ciò anche 
sulla scorta dell’art. 43 che stabilisce : “A
 fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o 
trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad 
enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese
 o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici 
essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano 
carattere di preminente interesse generale”.
La costituzione, quindi non accenna alla libera concorrenza
 che comunque, sino agli anni 80, era di fatto limitata da molteplici 
elementi, tra i quali proprio la sussistenza dei monopoli e dal fatto 
che l’economia nazionale era un’economia parzialmente chiusa con limiti 
alla libera circolazione dei capitali e delle merci. La concorrenza non 
era considerata una forza da incentivare, (e s'è visto, non a torto, ndr.) perché ritenuta una  forza destabilizzante, fonte di squilibri e disuguaglianze che andava incanalata in un’ottica di programmazione economica a sostegno dei fini generali.
A
 partire dagli anni 80 questa impostazione incomincia a subire 
cambiamenti sulla scorta dei mutamenti legislativi avviati dalla 
comunità europea che esercita una forte spinta, da una parte, per una 
liberalizzazione tra le diverse economie nazionali dell’UE e, 
dall’altro, per una liberalizzazione all’interno dei paesi.
La
 piena liberalizzazione dei mercati verso l’esterno è avvenuta sulla 
base di vari atti o accordi comunitari (l’Atto Unico del 1987 basato sul libro bianco del 1985 per il completamente del mercato unico; la Direttiva 88/361/CEE sulla liberalizzazione del mercato dei capitali;  il trattato di Maastricht e di Roma;  le
 direttive CEE sulla libertà di accesso e sulle garanzie di pari 
opportunità delle imprese pubbliche e private nell’ambito del mercato 
comunitario;  la direttiva “Bolkenstein” 2006 che ha affermato la piena libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi).
La
 liberalizzazione all’interno è stata invece favorita dalle istituzioni 
europee tramite direttive specifiche per ciascun singolo settore che 
hanno imposto la liberalizzazione (con l’eliminazione delle imprese pubbliche ex monopoliste) e la privatizzazione
 totale o parziale delle stesse. A cui si è aggiunta una massiccia 
politica per la concorrenza che ha vigilato in tema di aiuti di Stato, 
concentrazioni, abuso di posizione dominante, intese e che sanziona ogni
 distorsione della libera concorrenza nell’ambito dei servizi di 
rilevanza economica (ossia pressoché tutti).
Emerge comunque, già da questi pochi assunti, un quadro
 che confligge in maniera stridente con il testo e lo spirito della 
Costituzione economica italiana che avrebbe dovuto porre all’attenzione 
delle istituzioni un serio problema di conflitti tra due fonti normative
 primarie: da un lato i trattati europei di ispirazioni univocamente e rigidamente liberista, dall’altro la Costituzione
 italiana che se pure è elastica ed aperta a molteplici soluzioni di 
politica economica e industriale, è esplicitamente sensibile alla 
centralità della programmazione.
La prima fonte ha finito per prevaricare sull’altra a tal punto che si è determinata una sorta di  neutralizzazione della sostanza della Costituzione economica italiana
 a favore di un’acritica adesione ai trattati comunitari, senza che 
siano ancora del tutto chiari gli effetti di questa operazione. E certamente senza che da questa ondata di privatizzazione e liberalizzazione il Paese si sia avvantaggiato in alcun modo; anzi, al contrario (con Fanfani e...Massimo Florio che, rispettivamente, premettono e confermano la bontà dell'idea del Costituente).
Certo è che la legislazione comunitaria e gli imposti principi del libero mercato  hanno
 avuto un ruolo fondamentale e determinante nel processo delle 
liberalizzazioni e delle privatizzazioni, depotenziando fortemente le 
imprese pubbliche nazionali. Ed hanno portato ad una radicale modifica 
del sistema economico pubblico interno, in parte, facilitato  dalle disposizioni di cui agli artt. 41 e 43 della Cost. 
La Costituzione,
 infatti, con il suo riferimento generico all'iniziativa economica 
pubblica (art. 41) riconosce allo Stato ed in generale ai pubblici 
poteri il potere di svolgere attività a carattere imprenditoriale. La 
portata di tale potere è assai più larga di quella indicata dall'art. 43
 Cost. 
Infatti
 non vi sono limiti nella tipologia delle attività assumibili, sicché 
non si dovrà trattare necessariamente di servizi pubblici, fonti di 
energia o monopoli. 
La materia, inoltre, non è soggetta a riserva di legge, per cui vi si può provvedere in via amministrativa. 
In
 tal caso, occorre solo che l'assunzione sia giustificabile per un 
qualche interesse pubblico, alla pari di ogni altra azione 
amministrativa (anche se in concreto questa condizione è stata spesso 
superata autorizzando le assunzioni singolari direttamente con leggi).
Questo stato di cose (utilizzato in maniera distorta dal sistema politico italiano)  insieme
 ai condizionamenti e alle forzature comunitarie, ha portato ad un 
progressivo cambiamento della forma giuridica dell'impresa pubblica 
verso assetti più flessibili ed adeguati all'esercizio di attività 
imprenditoriali ed, in particolare, la trasformazione delle 
aziende autonome e degli enti di diritto pubblico in società di diritto 
privato con risultati disastrosi per l’economia nazionale, di cui si forniscono solo alcuni dati e spunti di riflessione.
2.     Le società pubbliche.
Le
 società pubbliche sono uno strumento utilizzato dalle amministrazioni, 
generalmente, per svolgere compiti istituzionali ad esse affidati per 
legge e allo scopo dichiarato di:
- voler perseguire una maggior efficienza economica nella gestione di servizi pubblici;
- realizzare opere attraverso l’utilizzo di strumenti privatistici;
-  sostenere l’attività di impresa e l’occupazione.
A fronte di tali scopi, senz’altro pregevoli, ciò a cui si è assistito è stato una crescita esponenziale di soggetti di natura privatistica, che difficilmente è avvenuta sulla base di idonei studi preliminari di convenienza economica e di analisi del mercato nel settore di riferimento. Al contrario, senza
 alcuna indagine preventiva di necessità e opportunità, si è assistito 
alla costituzione di società o comunque di figure soggettive alternative
 agli ordinari uffici ed organi dell’ente, per  ogni compito amministrativo. 
Ma quel che è più grave è che, se pur nell’ottica di realizzare scopi significativi, si è avuta la proliferazione di società operanti sotto il controllo di forze politiche.
Sono queste, infatti, che incidono sui principali aspetti delle società pubbliche ossia:
- la loro costituzione,
 attraverso l’individuazione di programmi e finalità che vengono 
tacciati per essere assolutamente necessari alla realizzazione dei fini 
istituzionali e nell’interesse della collettività, ma che molto spesso 
rispondono a obiettivi “politici”, stabiliti discrezionalmente dalle 
istanze di governo;
- la loro gestione,attraverso:
i. nomine dirette di amministratori da parte dei rappresentanti politici
 che sono al governo (e che a loro volta subiscono le pressioni dei vari
 livelli territoriali su cui operano o da cui provengono) 
indipendentemente da qualunque idonea qualifica professionale e senza 
alcuna delimitazione quanto a cause di  incompatibilità e conflitti di interesse;
ii. impegnando risorse pubbliche nell’assunzione di personale senza procedure concorsuali.
 Infatti, la forma giuridica prescelta sottrae queste imprese al regime 
legale di determinazione delle piante organiche e delle assunzioni 
mediante pubblico concorso, spostando di fatto il gioco clientelare 
delle assunzioni su questi soggetti.
iii. impegnando ulteriori risorse per acquisizione di beni e servizi spesso eludendo e  aggirando le procedure pubblicistiche di derivazione europea nella contrattazione relativa agli appalti.
Ovviamente, tutto questo è stato possibile anche per il fatto che a livello legislativo è mancata la delineazione di principi  fondanti, di finalità che fossero riconosciute meritevoli di essere realizzate attraverso la forma societaria, di modalità sia preventive che successive di verifica sull’operatività, la economicità e la convenienza di tali soggetti. 
E’
 mancato un sistema di controllo effettivo sugli atti di spesa, così di 
verifica\controllo della cessione\riacquisto delle partecipazioni 
rispetto a soci privati (si pensi all’abolizione generalizzata 
su tutta la p.a., del controllo preventivo di legittimità della Corte 
dei conti sugli atti di gara per pubblici appalti).
A
 ciò deve aggiungersi che la proliferazione del fenomeno ha trovato ampi
 margini di manovra anche per l’irrompere delle nuove competenze 
legislative esclusive delle regioni che si sono servite dell’istituto 
societario allo scopo di voler sostenere la politica economica di 
asserito sostegno al “privato”. 
Anche
 gli interventi legislativi, lontani dall’affrontare il problema in 
maniera sistematica e strutturale, si sono nascosti dietro diversi 
espedienti (prima la necessità di ristabilire equilibri concorrenziali, 
poi di ridurre la spesa pubblica) per apportare  tagli
 in modo lineare, soprattutto a Regioni e enti locali che, lungi dal 
rivedere in termini di efficienza le proprie strutture societarie, hanno
 finito per tagliare i servizi spesso indispensabili per la collettività.
Le dimensioni del problema, acuite dalla sostanziale sottrazione alla concorrenza dell’attività di una parte di  queste società, sono piuttosto oscure, in assenza
 di una trasparente ricognizione dei dati relativi a bilanci, profitti, 
ricapitalizzazioni in corso di attività e redditività degli investimenti.
L’entità delle dimensioni si
 percepisce soltanto dalle ricadute in termini di spesa pubblica 
dall’entità e disomogeneità degli interventi normativi nel settore; da 
ultimo le recenti norme sulla spending review
 che vanno ad interessare le società pubbliche, anche se è troppo presto
 per comprendere se gli interventi previsti saranno adeguati alla 
necessità di ripristino di situazioni di legalità, economicità ed 
efficienza di cui ci sarebbe bisogno.
3.     Alcuni dati numerici sull'entità del fenomeno.
Rinvenire
 dati esaurienti sul numero e la tipologia delle società pubbliche e 
sullo stato di salute economico-finanziario delle stesse per riuscire 
quantomeno a comprendere se le amministrazioni sono riuscite a 
perseguire gli scopi di pubblica utilità che si erano prefissate con la 
loro costituzione, non è cosa agevole. 
In
 base all'articolo 1 della Legge n. 296 del 27 dicembre 2006 
(“Operazione Trasparenza”) le Amministrazioni devono comunicare al 
Dipartimento della Funzione Pubblica le partecipazioni in consorzi e 
società partecipate. 
Accedendo al sito www.consoc.it–per
 l’anno 2011 si rinviene un file in 
excel (http://www.perlapa.gov.it/web/guest/partecip2011) che dovrebbe 
contenere le partecipazioni delle pubbliche amministrazioni in consorzi e
 società partecipate. 
Da questo documento le partecipazioni in consorzi/società/fondazioni (non quindi il numero di società) ammonterebbero a 39.357. 
E si tratta comunque di dati relativi poiché la ricognizione è su base volontaria.
La Corte dei conti, Sezione delle Autonomie, con l’Indagine sul fenomeno delle partecipazioni in società ed altri organismi da parte dei comuni e province del giugno 2010 ha fornito alcuni dati quantitativi del fenomeno che però si riferiscono all’arco temporale 2005-2008, sono stati rilevati 5.860 organismi partecipati da 5.928 enti (attenzione però perché si tratta solo di Comuni e Province, escluse quindi regioni e amministrazioni statali)
 costituiti da 3.787 società e 2.073 organismi diversi (dati che sono 
riportati nel documento n. 337 del 4.4.12 della Camera dei Deputati 
rinvenibile su http://documenti.camera.it/leg16/dossier/Testi/BI0506.htm#_ftnref2). 
 
La Corte dei Conti conferma che con
 riferimento ai risultati economici delle società partecipate, nel 
triennio 2005-2007, dall’indagine risulta che 568 società, 
corrispondenti al 22,35% del totale, sono sempre in perdita.  
L’area
 di attività prevalente per le società sempre in perdita è quella dei 
servizi diversi dai servizi pubblici locali (con il 63,32% delle società
 sempre in perdita).
Nell’area
 dei servizi pubblici locali, il settore che mostra la percentuale più 
elevata di società in perdita è quello dei trasporti, seguito dal 
settore dell’ambiente – rifiuti. La Corte
 conferma che la costituzione e la partecipazione in società da parte 
degli enti locali risulta essere spesso utilizzata quale strumento per 
forzare le regole poste a tutela della concorrenza e sovente finalizzato
 ad eludere i vincoli di finanza pubblica imposti agli enti locali.
Ma anche il precedente documento n. 237 del 27.5.2011 della Camera dei deputati (http://documenti.camera.it/leg16/dossier/testi/bi0409.htm#_ftnref2), richiamando una ricerca dell’Assonime,  parla di 5000 società a partecipazione pubblica.
Anche
 l’ANCI ha estratto dal sistema informativo del registro delle imprese i
 dati di tutte le imprese tra i cui soci al 31 dicembre 2010 figurava 
almeno un Comune. 
Il
 risultato dell’estrazione ha dato 4.206 imprese (che si ribadisce sono 
solo comunali). Dall’esame dei bilanci depositati, inoltre, l’ANCI ha 
ricavato i seguenti dati: Valore della produzione complessivo 24.893.483.916, Costi del personale 7.254.217.511. Utile totale delle società in utile 824.662.289. Perdite totali delle società in perdita -581.216.033.
Un recente articolo pubblicato sul Corriere della Sera dell’8.10.12 (http://www.corriere.it/politica/12_ottobre_08/quelle-societa-in-rosso-finanziate-da-regioni-antonella-baccaro_83723228-110b-11e2-b61f-b7b290547c92.shtml)
 richiamando una relazione di agosto della Corte dei Conti, pubblicava 
dati ancora diversi in base ai quali risulterebbero censiti 394 
organismi partecipati di proprietà delle Regioni e per questi le perdite
 ammonterebbero a 92 milioni di euro solo per le partecipate al 100% 
delle regioni a fronte di 780 mil versati a titolo di contributo in 
conto esercizio e corrispettivi (solo per avere dati di confronto 
numerici si ricorda che soltanto l’ultima manovra finanziaria ammontava a
 circa 10 milioni di euro). 
Vista l’impossibilità di  avere
 dati omogenei e certi con riferimento a tutto il territorio nazionale 
(e questo è già indicativo di una ingiustificata distorsione del 
sistema), i dati parziali su emersi servono comunque a comprendere 
l’entità del fenomeno in termini economici, a cui si aggiungono 
ulteriori e inammissibili alterazioni del sistema pubblico con 
riferimento al regime di concorrenza, alle assunzioni del personale, 
alle nomine degli amministratori ecc...
4.     Considerazioni critiche conclusive.
Che il fenomeno societario si sia rivelato un autentico disastro per l’economia del paese
 non lo dice solo la scrivente, ma si rinviene in atti e documenti 
ufficiali che provengono anche dalle più alte cariche dello Stato.
Ad esempio il Documento della Camera dei Deputati n. 237 del 27.05.11 riporta: “Recentemente,
 il legislatore è poi intervenuto ulteriormente sul fenomeno della 
proliferazione delle società a partecipazione locale, con l’intento di 
rimediare alle distorsioni di cui tale fenomeno è foriero: distorsione della concorrenza ed aggiramento dei vincoli di finanza pubblica in capo agli enti territoriali” (http://documenti.camera.it/leg16/dossier/testi/bi0409.htm), ed il doc. 337 del 4.4.12 ha aggiunto che “A
 tale fenomeno distorsivo il legislatore ha ritenuto di dover porre 
rimedio attraverso l’adozione di specifici divieti alla costituzione e 
al mantenimento di società”.
Nel discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario 2012 (http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/documenti_procura/friuli_venezia_giulia/relazione_perlx_inaugurazione_dellxanno_giudiziario_2012.pdf) il Procuratore Regionale della Corte dei Conti per il Friuli Venezia Giulia-Trieste ha dichiarato: “E’
 quindi da chiedersi se il ricorso allo strumento delle società per 
azioni fornisca strumenti sufficienti e soprattutto adeguati ai bisogni 
propri del sistema pubblico, dove l’obiettivo principale non è 
il profitto, ma, al contrario, il conseguimento dell’efficienza e 
dell’economicità dell’attività.  
Proprio in un periodo, in cui, come quello attuale, la situazione finanziaria ed economica sfavorevole rende drammaticamente indispensabili comportamenti gestori che assicurino ai cittadini i servizi necessari senza il pericolo di sprecare risorse,
 ormai limitate e, quindi, molto preziose, sembra proprio che il modello
 societario rappresenti per i contribuenti più un pericolo che 
un’opportunità” . 
Ed aggiunge, mettendo in risalto una delle più importanti anomalie del sistema delle società pubbliche che “Lo strumento societario,
 che è previsto nel diritto civile come naturalmente preordinato a 
finalità di lucro, e che come tale risulta non sempre perfettamente 
aderente alle esigenze del sistema pubblicistico, comporta, 
laddove finanziato con capitale pubblico, l’ulteriore anomalia della non
 coincidenza della figura del socio finanziatore (i contribuenti) con quella del socio titolare dei diritti di partecipazione sociale (la pubblica amministrazione partecipante). In buona sostanza mentre nel caso del privato investitore la decisione di assumere il “rischio”
 di una partecipazione è diretta, nel caso delle partecipazioni 
pubbliche il contribuente finanziatore paga i tributi per avere servizi,
 scontando poi le conseguenze di decisioni di partecipazione societaria 
assunte, talvolta avventatamente, dai singoli enti”. 
Ed ancora “Non
 possiamo esimerci dall’evidenziare che attraverso le società create 
dagli enti locali e dalla Regione possono verificarsi situazioni di 
dilapidazione del denaro pubblico, soprattutto quando i servizi, per i 
quali sono state create e giustificate, non vengono resi o vengono resi 
in maniera insufficiente e costosa.  Una
 recente sentenza (n. 402/2011) della Sezione Prima Centrale di Appello 
della Corte dei Conti ha condannato gli amministratori di un comune e di
 una società controllata per la costituzione e la gestione antieconomica
 di una partecipata. Contrariamente a quanto affermato nello statuto e 
negli atti costitutivi, la società non sarebbe stata utilizzata per 
rendere più efficienti ed economici i servizi dell’ente locale, ma per 
perseguire scopi occupazionali…L’utilizzo di strumenti, di per sé 
legittimi, quali le partecipate, al solo scopo di eludere i vincoli di 
finanza pubblica e le regole di contenimento della spesa, costituiscono 
un comportamento gravemente colposo se non addirittura doloso che è 
produttivo di danni erariali e coinvolge la responsabilità degli 
amministratori locali e regionali da verificare nel giudizio davanti 
alla Corte dei Conti…
Difatti
 alcune inchieste di questa Procura hanno riguardato situazioni di 
turbative di aste pubbliche, di utilizzo indebito di finanziamenti 
pubblici, se non addirittura di appropriazione di denaro pubblico. I
 fatti accertati potrebbero essere solo la punta emersa di un grosso 
iceberg…La mancanza di effettivi controlli sia nelle procedure di scelta
 dei soggetti privati, cui affidare le forniture di servizi o gli 
appalti pubblici sia nelle fasi successive di esecuzione dei contratti 
di servizi e di lavori costituiscono situazioni di pericolo, in cui 
possono insinuarsi scambi di favori o dazioni di denaro”.
Sconcertanti,
 poi sono anche i dati giudiziali che emergono dal discorso. Il 
Procuratore (e si evidenzia che i dati riguardano il solo territorio del
 Friuli) riferisce che “Le citazioni emesse nel 2011 contengono richieste di risarcimento danni per un importo complessivo di euro 10.372.902,05…Deve
 essere, comunque, osservato che, a seguito degli atti istruttori e 
degli inviti a dedurre formulati da questa Procura Regionale, sono state
 recuperate somme per un importo complessivo di euro 11.701,24”.
La
 sintesi su riportata sulle società pubbliche induce ad un atteggiamento
 assolutamente critico nei confronti di questo fenomeno che ha 
determinato enormi perdite per la finanza pubblica  ma
 che soprattutto induce a forme di avversione e repulsione per un 
sistema che palesemente favorisce clientelismi, favoritismi, 
compravendita di voti politici e quant’altro.
Nonostante
 il legislatore si sia avveduto della gravità del fenomeno e abbia 
tentato di porre rimedio stabilendo anche limiti alla costituzione di 
nuove società e alla dismissione di alcune di esse si è ancora ben 
lontani dal raggiungimento di risultati soddisfacenti. 
Invero
 anche le nuove disposizioni introducono importanti deroghe che 
confermano la volontà del legislatore di mantenere in vita il modello 
della società a partecipazione pubblica strumentale, quando invece negli
 ultimi tempi (v. Rapporto Assonime, ma anche il Rapporto CER)  alcune
 riflessioni avevano auspicato il superamento della forma societaria per
 il ritorno a modelli pubblicistici coerenti con la natura delle 
attività svolte[1] oppure avevano suggerito sistemi di risanamento rimasti inascoltati (rapporto dell’OCSE sulla governante delle State Owned Enterprises - SOE[2]).
 Così
 come il legislatore non ha previsto meccanismi preventivi per la 
valutazione della convenienza e dell’opportunità di costituire società, 
non ha previsto la ricognizione di quelle già costituite al fine di verificarne la convenienza; non sono state introdotte norme che predeterminino i requisiti di nomina degli amministratori; non sono stati introdotti i controlli preventivi di legittimità della Corte dei conti  sugli atti ed
 in particolare su quelli di avvio della contrattazione relativa agli 
appalti per tutti i soggetti tenuti all’osservanza delle regole 
dell’evidenza pubblica, inclusi quelli societari.
In conclusione, anche l’ultima riforma, per la necessità di ridurre la spesa pubblica  sulla
 spinta di propulsioni europeiste e pressioni comunitarie (ancora una 
volta), sembra aver perso un’altra occasione per rivedere un impianto in
 cui principi e norme pubblicistiche e privatistiche convivono in un 
connubio improbabile e per questo difficilmente gestibile, ma 
che per converso si presta a facili elusioni, distorsioni, giochi di 
potere e clientelismi che hanno quale unica conseguenza lo sperpero di 
ingenti risorse economiche pubbliche  e il disfacimento del sistema dei servizi pubblici in danno della collettività.
BATTI IL CINQUE
RispondiElimina(OTC .. è d'uopo e uso)
Dopo il PRIMO viene il SECONDO e non manca mai il TERZO per giungere in sequenza algebrica alle CINQUE MISURE.
Dopo i primi, secondi e terzi e con sofferenze nelle oscurità del “tunnel”, c’è la ragionata rigenerazione mattutina dei fegati di Prometeo per giungere alle CINQUE MISURE propagandate da oche padovane con "qualche" marginale considerazione prima di ritornare nella catacomba domiziae.
La prima, è SEMANTICA che presenta note di “nuances” (s.f., sfumature) del linguaggio noto alla finanzia internazionale:
“pareggio” tradotto in “stabilità”, “austerità” declinata in “esecuzione di un avanzo primario”, “dati” che diventano “potenziali possibili” – lista lunga .. - raccontate da economisti OCSE devoti del libero mercato che constestualizzano bestemmie vaticane non conoscendone neppure la grammatica.
La seconda, è PSICOLOGICA, quella dell’ottimismo che, forse, mediaticamente figuri meno lombrosiani porterebbero a risultati migliori nella diffusione della MENZOGNA soprattutto quando mostrano positive la perdita del 10% di PIL dal 2011 in progressiva diminuzione e la disocccupazione in costante aumento senza dettagliare i motivi del deprezzamento dell’ € (unione monetaria “integrata” che privilegia la "sistemazione" del fallimento finanziario), del deprezzamento del petrolio e della crescita glorificata del PIL negli USA .
La terza, è POLITICA legata a nuovo “pacco” governativo dell’ ”investment compact” fondato sugli IDE (investimenti diretti esteri) e sul ruolo della “nuova” finanza non “convenzionale” che saranno avventurosamente coordinati in un futuro prossimo con i responsabili ministeriali dello “sviluppo” economico di un Bel Paese in profonda crisi di identità DEMOCRATICA.
La quarta, è TEOLOGICA, quella del vincolismo e condizionalità supine alle strategie di ANNESSIONE culturale, economica, politica senza l’uso vecchio del cannone scoperta l’efficacia del “gas mostrada” irradiato mediaticamente 24/24, 7/7 agli abitatori delle comunictà civiche.
Last but not least, la quinta, è CRIMINOGENA, quella delle privatizzazioni del patromonio civico infrastruturale (FFSS, ENAV, ENEL, PPTT), “montanti contributivi pensionistici svalutabili, ma solo il .. primo anno” e infine “anche le municipalizzate efficienti potranno essere messe sul mercato”.
An happy new year .. comandante!
Approfitto di questo bel post per farti gli auguri di buon anno 48. Sei instancabile nella tua opera per questo povero paese. Grazie.
RispondiEliminaUn abbraccio!
@mattia
RispondiEliminaquesto è un Bel Paese .. :-)
un esempio costitutivo di appartenenza ad una comunità solidale, sussidiaria e .. umana