lunedì 29 dicembre 2014

SOCIETA' A PARTECIPAZIONE PUBBLICA E SPENDING REVIEW: GLI "INTOCCABILI DEL PIU' €UROPA"

 
 

Questo articolo di Sansonetti ci racconta:
"E poi ci si stupisce che le partecipate pubbliche continuino a vivere indisturbate nel loro mondo di sprechi. E che il governo centrale non riesca a produrre norme incisive per smantellarle. Il fatto è che la situazione non sembra cambiare nemmeno a monte. Si prenda il ministero dell’economia, oggi retto da Pier Carlo Padoan, ovvero la maxistruttura per la quale è transitata l’ultima legge di Stabilità che contiene norme giudicate troppo timide sulle partecipate.

Ebbene, ancora oggi dal dicastero di via XX Settembre dipendono 30 società direttamente partecipate (ma considerando le controllate di secondo e terzo livello il perimetro si estende a dismisura). Ora, tralasciando società quotate come Eni, Enel e Finmeccanica, o le società più importanti come Cassa Depositi, Poste e Ferrovie, nel calderone delle 30  oggi rientra di tutto..."

All'autore dell'articolo diamo sommessamente un paio di indicazioni (o anche tre):
a) andare a verificare, - se vuole dirla "tutta"-, anche le società partecipate degli altri ministeri (e la loro utilità, la giustificazione economica della loro istituzione, i risultati gestionali che ne sono conseguiti, il numero dei dipendenti e le relative modalità di assunzione, le retribuzioni degli amministratori, ecc.);
b) di non dimenticare che la spending review implica seria volontà politica di riallocare razionalmente (cioè entro i compiti relativi alle "prestazioni essenziali" previste dalla Costituzione) la spesa pubblica; e non di tagliarla soltanto, con effetti pro-ciclici disastrosi.
c) infine di leggersi questo post di Sofia, che ripubblico aggiungendo qualche link utile "sopravvenuto" (per i numerosi "vecchi e nuovi lettori").

Liberalizzazioni e privatizzazioni sulla spinta di imposizioni comunitarie tese a “realizzare”il libero mercato: alcuni fatti e dati.
1.     Cenni al fenomeno delle liberalizzazioni e privatizzazioni.
Il rapporto tra lo Stato e il sistema economico-produttivo è sostanzialmente contenuto in quella che viene definita la Costituzione economica italiana ossia gli articoli 41, 42, 43, 44, 45, 46 3 47.(su quest'ultimo: http://orizzonte48.blogspot.it/2013/12/riflessioni-sulla-unione-bancaria-tra.html)
Per quello che interessa in questa sede deve porsi l’attenzione al terzo comma dell’art. 41La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.  Proprio sulla base di tale ultima disposizione si è basata la politica economica e industriale italiana dagli anni cinquanta alla fine degli anni settanta del secolo scorso. Si trattava di una politica economica  imperniata sul concetto cardine di programmazione economica che poteva avvenire anche attraverso la limitazione o l’eliminazione della libera concorrenza affidando l’esclusività della produzione, in determinati ambiti del sistema economico, allo Stato (monopolio pubblico legale). Ciò anche sulla scorta dellart. 43 che stabilisce :A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”.
La costituzione, quindi non accenna alla libera concorrenza che comunque, sino agli anni 80, era di fatto limitata da molteplici elementi, tra i quali proprio la sussistenza dei monopoli e dal fatto che l’economia nazionale era un’economia parzialmente chiusa con limiti alla libera circolazione dei capitali e delle merci. La concorrenza non era considerata una forza da incentivare, (e s'è visto, non a torto, ndr.) perché ritenuta una  forza destabilizzante, fonte di squilibri e disuguaglianze che andava incanalata in un’ottica di programmazione economica a sostegno dei fini generali.
A partire dagli anni 80 questa impostazione incomincia a subire cambiamenti sulla scorta dei mutamenti legislativi avviati dalla comunità europea che esercita una forte spinta, da una parte, per una liberalizzazione tra le diverse economie nazionali dell’UE e, dall’altro, per una liberalizzazione all’interno dei paesi.
La piena liberalizzazione dei mercati verso l’esterno è avvenuta sulla base di vari atti o accordi comunitari (l’Atto Unico del 1987 basato sul libro bianco del 1985 per il completamente del mercato unico; la Direttiva 88/361/CEE sulla liberalizzazione del mercato dei capitali;  il trattato di Maastricht e di Roma;  le direttive CEE sulla libertà di accesso e sulle garanzie di pari opportunità delle imprese pubbliche e private nell’ambito del mercato comunitario;  la direttiva “Bolkenstein” 2006 che ha affermato la piena libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi).
La liberalizzazione all’interno è stata invece favorita dalle istituzioni europee tramite direttive specifiche per ciascun singolo settore che hanno imposto la liberalizzazione (con l’eliminazione delle imprese pubbliche ex monopoliste) e la privatizzazione totale o parziale delle stesse. A cui si è aggiunta una massiccia politica per la concorrenza che ha vigilato in tema di aiuti di Stato, concentrazioni, abuso di posizione dominante, intese e che sanziona ogni distorsione della libera concorrenza nell’ambito dei servizi di rilevanza economica (ossia pressoché tutti).
Emerge comunque, già da questi pochi assunti, un quadro che confligge in maniera stridente con il testo e lo spirito della Costituzione economica italiana che avrebbe dovuto porre all’attenzione delle istituzioni un serio problema di conflitti tra due fonti normative primarie: da un lato i trattati europei di ispirazioni univocamente e rigidamente liberista, dall’altro la Costituzione italiana che se pure è elastica ed aperta a molteplici soluzioni di politica economica e industriale, è esplicitamente sensibile alla centralità della programmazione.
La prima fonte ha finito per prevaricare sull’altra a tal punto che si è determinata una sorta di  neutralizzazione della sostanza della Costituzione economica italiana a favore di un’acritica adesione ai trattati comunitari, senza che siano ancora del tutto chiari gli effetti di questa operazione. E certamente senza che da questa ondata di privatizzazione e liberalizzazione il Paese si sia avvantaggiato in alcun modo; anzi, al contrario (con Fanfani e...Massimo Florio che, rispettivamente, premettono e confermano la bontà dell'idea del Costituente).
Certo è che la legislazione comunitaria e gli imposti principi del libero mercato  hanno avuto un ruolo fondamentale e determinante nel processo delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni, depotenziando fortemente le imprese pubbliche nazionali. Ed hanno portato ad una radicale modifica del sistema economico pubblico interno, in parte, facilitato  dalle disposizioni di cui agli artt. 41 e 43 della Cost.
La Costituzione, infatti, con il suo riferimento generico all'iniziativa economica pubblica (art. 41) riconosce allo Stato ed in generale ai pubblici poteri il potere di svolgere attività a carattere imprenditoriale. La portata di tale potere è assai più larga di quella indicata dall'art. 43 Cost.
Infatti non vi sono limiti nella tipologia delle attività assumibili, sicché non si dovrà trattare necessariamente di servizi pubblici, fonti di energia o monopoli.
La materia, inoltre, non è soggetta a riserva di legge, per cui vi si può provvedere in via amministrativa.
In tal caso, occorre solo che l'assunzione sia giustificabile per un qualche interesse pubblico, alla pari di ogni altra azione amministrativa (anche se in concreto questa condizione è stata spesso superata autorizzando le assunzioni singolari direttamente con leggi).
Questo stato di cose (utilizzato in maniera distorta dal sistema politico italiano)  insieme ai condizionamenti e alle forzature comunitarie, ha portato ad un progressivo cambiamento della forma giuridica dell'impresa pubblica verso assetti più flessibili ed adeguati all'esercizio di attività imprenditoriali ed, in particolare, la trasformazione delle aziende autonome e degli enti di diritto pubblico in società di diritto privato con risultati disastrosi per l’economia nazionale, di cui si forniscono solo alcuni dati e spunti di riflessione.
 

2.     Le società pubbliche.
Le società pubbliche sono uno strumento utilizzato dalle amministrazioni, generalmente, per svolgere compiti istituzionali ad esse affidati per legge e allo scopo dichiarato di:
- voler perseguire una maggior efficienza economica nella gestione di servizi pubblici;
- realizzare opere attraverso l’utilizzo di strumenti privatistici;
-  sostenere l’attività di impresa e l’occupazione.
A fronte di tali scopi, senz’altro pregevoli, ciò a cui si è assistito è stato una crescita esponenziale di soggetti di natura privatistica, che difficilmente è avvenuta sulla base di idonei studi preliminari di convenienza economica e di analisi del mercato nel settore di riferimento. Al contrario, senza alcuna indagine preventiva di necessità e opportunità, si è assistito alla costituzione di società o comunque di figure soggettive alternative agli ordinari uffici ed organi dell’ente, per  ogni compito amministrativo.
Ma quel che è più grave è che, se pur nell’ottica di realizzare scopi significativi, si è avuta la proliferazione di società operanti sotto il controllo di forze politiche.
Sono queste, infatti, che incidono sui principali aspetti delle società pubbliche ossia:
- la loro costituzione, attraverso l’individuazione di programmi e finalità che vengono tacciati per essere assolutamente necessari alla realizzazione dei fini istituzionali e nell’interesse della collettività, ma che molto spesso rispondono a obiettivi “politici”, stabiliti discrezionalmente dalle istanze di governo;
- la loro gestione,attraverso:
i. nomine dirette di amministratori da parte dei rappresentanti politici che sono al governo (e che a loro volta subiscono le pressioni dei vari livelli territoriali su cui operano o da cui provengono) indipendentemente da qualunque idonea qualifica professionale e senza alcuna delimitazione quanto a cause di  incompatibilità e conflitti di interesse;
ii. impegnando risorse pubbliche nell’assunzione di personale senza procedure concorsuali. Infatti, la forma giuridica prescelta sottrae queste imprese al regime legale di determinazione delle piante organiche e delle assunzioni mediante pubblico concorso, spostando di fatto il gioco clientelare delle assunzioni su questi soggetti.
iii. impegnando ulteriori risorse per acquisizione di beni e servizi spesso eludendo e  aggirando le procedure pubblicistiche di derivazione europea nella contrattazione relativa agli appalti.
Ovviamente, tutto questo è stato possibile anche per il fatto che a livello legislativo è mancata la delineazione di principi  fondanti, di finalità che fossero riconosciute meritevoli di essere realizzate attraverso la forma societaria, di modalità sia preventive che successive di verifica sull’operatività, la economicità e la convenienza di tali soggetti.
E’ mancato un sistema di controllo effettivo sugli atti di spesa, così di verifica\controllo della cessione\riacquisto delle partecipazioni rispetto a soci privati (si pensi all’abolizione generalizzata su tutta la p.a., del controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti sugli atti di gara per pubblici appalti).
A ciò deve aggiungersi che la proliferazione del fenomeno ha trovato ampi margini di manovra anche per l’irrompere delle nuove competenze legislative esclusive delle regioni che si sono servite dell’istituto societario allo scopo di voler sostenere la politica economica di asserito sostegno al “privato”.
Anche gli interventi legislativi, lontani dall’affrontare il problema in maniera sistematica e strutturale, si sono nascosti dietro diversi espedienti (prima la necessità di ristabilire equilibri concorrenziali, poi di ridurre la spesa pubblica) per apportare  tagli in modo lineare, soprattutto a Regioni e enti locali che, lungi dal rivedere in termini di efficienza le proprie strutture societarie, hanno finito per tagliare i servizi spesso indispensabili per la collettività.
Le dimensioni del problema, acuite dalla sostanziale sottrazione alla concorrenza dell’attività di una parte di  queste società, sono piuttosto oscure, in assenza di una trasparente ricognizione dei dati relativi a bilanci, profitti, ricapitalizzazioni in corso di attività e redditività degli investimenti.
L’entità delle dimensioni si percepisce soltanto dalle ricadute in termini di spesa pubblica dall’entità e disomogeneità degli interventi normativi nel settore; da ultimo le recenti norme sulla spending review che vanno ad interessare le società pubbliche, anche se è troppo presto per comprendere se gli interventi previsti saranno adeguati alla necessità di ripristino di situazioni di legalità, economicità ed efficienza di cui ci sarebbe bisogno.
3.     Alcuni dati numerici sull'entità del fenomeno.
Rinvenire dati esaurienti sul numero e la tipologia delle società pubbliche e sullo stato di salute economico-finanziario delle stesse per riuscire quantomeno a comprendere se le amministrazioni sono riuscite a perseguire gli scopi di pubblica utilità che si erano prefissate con la loro costituzione, non è cosa agevole.
In base all'articolo 1 della Legge n. 296 del 27 dicembre 2006 (“Operazione Trasparenza”) le Amministrazioni devono comunicare al Dipartimento della Funzione Pubblica le partecipazioni in consorzi e società partecipate. Accedendo al sito www.consoc.it–per l’anno 2011 si rinviene un file in excel (http://www.perlapa.gov.it/web/guest/partecip2011) che dovrebbe contenere le partecipazioni delle pubbliche amministrazioni in consorzi e società partecipate.
Da questo documento le partecipazioni in consorzi/società/fondazioni (non quindi il numero di società) ammonterebbero a 39.357
E si tratta comunque di dati relativi poiché la ricognizione è su base volontaria.
La Corte dei conti, Sezione delle Autonomie, con l’Indagine sul fenomeno delle partecipazioni in società ed altri organismi da parte dei comuni e province del giugno 2010 ha fornito alcuni dati quantitativi del fenomeno che però si riferiscono all’arco temporale 2005-2008, sono stati rilevati 5.860 organismi partecipati da 5.928 enti (attenzione però perché si tratta solo di Comuni e Province, escluse quindi regioni e amministrazioni statali) costituiti da 3.787 società e 2.073 organismi diversi (dati che sono riportati nel documento n. 337 del 4.4.12 della Camera dei Deputati rinvenibile su http://documenti.camera.it/leg16/dossier/Testi/BI0506.htm#_ftnref2). 
  La Corte dei Conti conferma che con riferimento ai risultati economici delle società partecipate, nel triennio 2005-2007, dall’indagine risulta che 568 società, corrispondenti al 22,35% del totale, sono sempre in perdita.  
L’area di attività prevalente per le società sempre in perdita è quella dei servizi diversi dai servizi pubblici locali (con il 63,32% delle società sempre in perdita).
Nell’area dei servizi pubblici locali, il settore che mostra la percentuale più elevata di società in perdita è quello dei trasporti, seguito dal settore dell’ambiente – rifiuti. La Corte conferma che la costituzione e la partecipazione in società da parte degli enti locali risulta essere spesso utilizzata quale strumento per forzare le regole poste a tutela della concorrenza e sovente finalizzato ad eludere i vincoli di finanza pubblica imposti agli enti locali.
Ma anche il precedente documento n. 237 del 27.5.2011 della Camera dei deputati (http://documenti.camera.it/leg16/dossier/testi/bi0409.htm#_ftnref2), richiamando una ricerca dell’Assonime,  parla di 5000 società a partecipazione pubblica.
Anche l’ANCI ha estratto dal sistema informativo del registro delle imprese i dati di tutte le imprese tra i cui soci al 31 dicembre 2010 figurava almeno un Comune.
Il risultato dell’estrazione ha dato 4.206 imprese (che si ribadisce sono solo comunali). Dall’esame dei bilanci depositati, inoltre, l’ANCI ha ricavato i seguenti dati: Valore della produzione complessivo 24.893.483.916, Costi del personale 7.254.217.511. Utile totale delle società in utile 824.662.289. Perdite totali delle società in perdita -581.216.033.
Un recente articolo pubblicato sul Corriere della Sera dell’8.10.12 (http://www.corriere.it/politica/12_ottobre_08/quelle-societa-in-rosso-finanziate-da-regioni-antonella-baccaro_83723228-110b-11e2-b61f-b7b290547c92.shtml) richiamando una relazione di agosto della Corte dei Conti, pubblicava dati ancora diversi in base ai quali risulterebbero censiti 394 organismi partecipati di proprietà delle Regioni e per questi le perdite ammonterebbero a 92 milioni di euro solo per le partecipate al 100% delle regioni a fronte di 780 mil versati a titolo di contributo in conto esercizio e corrispettivi (solo per avere dati di confronto numerici si ricorda che soltanto l’ultima manovra finanziaria ammontava a circa 10 milioni di euro).
Vista l’impossibilità di  avere dati omogenei e certi con riferimento a tutto il territorio nazionale (e questo è già indicativo di una ingiustificata distorsione del sistema), i dati parziali su emersi servono comunque a comprendere l’entità del fenomeno in termini economici, a cui si aggiungono ulteriori e inammissibili alterazioni del sistema pubblico con riferimento al regime di concorrenza, alle assunzioni del personale, alle nomine degli amministratori ecc...
4.     Considerazioni critiche conclusive.
Che il fenomeno societario si sia rivelato un autentico disastro per l’economia del paese non lo dice solo la scrivente, ma si rinviene in atti e documenti ufficiali che provengono anche dalle più alte cariche dello Stato.
Ad esempio il Documento della Camera dei Deputati n. 237 del 27.05.11 riporta: “Recentemente, il legislatore è poi intervenuto ulteriormente sul fenomeno della proliferazione delle società a partecipazione locale, con l’intento di rimediare alle distorsioni di cui tale fenomeno è foriero: distorsione della concorrenza ed aggiramento dei vincoli di finanza pubblica in capo agli enti territoriali” (http://documenti.camera.it/leg16/dossier/testi/bi0409.htm), ed il doc. 337 del 4.4.12 ha aggiunto che “A tale fenomeno distorsivo il legislatore ha ritenuto di dover porre rimedio attraverso l’adozione di specifici divieti alla costituzione e al mantenimento di società”.
Nel discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario 2012 (http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/documenti_procura/friuli_venezia_giulia/relazione_perlx_inaugurazione_dellxanno_giudiziario_2012.pdf) il Procuratore Regionale della Corte dei Conti per il Friuli Venezia Giulia-Trieste ha dichiarato: “E’ quindi da chiedersi se il ricorso allo strumento delle società per azioni fornisca strumenti sufficienti e soprattutto adeguati ai bisogni propri del sistema pubblico, dove l’obiettivo principale non è il profitto, ma, al contrario, il conseguimento dell’efficienza e dell’economicità dell’attività.   Proprio in un periodo, in cui, come quello attuale, la situazione finanziaria ed economica sfavorevole rende drammaticamente indispensabili comportamenti gestori che assicurino ai cittadini i servizi necessari senza il pericolo di sprecare risorse, ormai limitate e, quindi, molto preziose, sembra proprio che il modello societario rappresenti per i contribuenti più un pericolo che un’opportunità” . Ed aggiunge, mettendo in risalto una delle più importanti anomalie del sistema delle società pubbliche che “Lo strumento societario, che è previsto nel diritto civile come naturalmente preordinato a finalità di lucro, e che come tale risulta non sempre perfettamente aderente alle esigenze del sistema pubblicistico, comporta, laddove finanziato con capitale pubblico, l’ulteriore anomalia della non coincidenza della figura del socio finanziatore (i contribuenti) con quella del socio titolare dei diritti di partecipazione sociale (la pubblica amministrazione partecipante). In buona sostanza mentre nel caso del privato investitore la decisione di assumere il “rischio” di una partecipazione è diretta, nel caso delle partecipazioni pubbliche il contribuente finanziatore paga i tributi per avere servizi, scontando poi le conseguenze di decisioni di partecipazione societaria assunte, talvolta avventatamente, dai singoli enti”. Ed ancora “Non possiamo esimerci dall’evidenziare che attraverso le società create dagli enti locali e dalla Regione possono verificarsi situazioni di dilapidazione del denaro pubblico, soprattutto quando i servizi, per i quali sono state create e giustificate, non vengono resi o vengono resi in maniera insufficiente e costosa.  Una recente sentenza (n. 402/2011) della Sezione Prima Centrale di Appello della Corte dei Conti ha condannato gli amministratori di un comune e di una società controllata per la costituzione e la gestione antieconomica di una partecipata. Contrariamente a quanto affermato nello statuto e negli atti costitutivi, la società non sarebbe stata utilizzata per rendere più efficienti ed economici i servizi dell’ente locale, ma per perseguire scopi occupazionali…L’utilizzo di strumenti, di per sé legittimi, quali le partecipate, al solo scopo di eludere i vincoli di finanza pubblica e le regole di contenimento della spesa, costituiscono un comportamento gravemente colposo se non addirittura doloso che è produttivo di danni erariali e coinvolge la responsabilità degli amministratori locali e regionali da verificare nel giudizio davanti alla Corte dei Conti Difatti alcune inchieste di questa Procura hanno riguardato situazioni di turbative di aste pubbliche, di utilizzo indebito di finanziamenti pubblici, se non addirittura di appropriazione di denaro pubblico. I fatti accertati potrebbero essere solo la punta emersa di un grosso iceberg…La mancanza di effettivi controlli sia nelle procedure di scelta dei soggetti privati, cui affidare le forniture di servizi o gli appalti pubblici sia nelle fasi successive di esecuzione dei contratti di servizi e di lavori costituiscono situazioni di pericolo, in cui possono insinuarsi scambi di favori o dazioni di denaro”.
Sconcertanti, poi sono anche i dati giudiziali che emergono dal discorso. Il Procuratore (e si evidenzia che i dati riguardano il solo territorio del Friuli) riferisce che “Le citazioni emesse nel 2011 contengono richieste di risarcimento danni per un importo complessivo di euro 10.372.902,05…Deve essere, comunque, osservato che, a seguito degli atti istruttori e degli inviti a dedurre formulati da questa Procura Regionale, sono state recuperate somme per un importo complessivo di euro 11.701,24.
La sintesi su riportata sulle società pubbliche induce ad un atteggiamento assolutamente critico nei confronti di questo fenomeno che ha determinato enormi perdite per la finanza pubblica  ma che soprattutto induce a forme di avversione e repulsione per un sistema che palesemente favorisce clientelismi, favoritismi, compravendita di voti politici e quant’altro.
Nonostante il legislatore si sia avveduto della gravità del fenomeno e abbia tentato di porre rimedio stabilendo anche limiti alla costituzione di nuove società e alla dismissione di alcune di esse si è ancora ben lontani dal raggiungimento di risultati soddisfacenti.
Invero anche le nuove disposizioni introducono importanti deroghe che confermano la volontà del legislatore di mantenere in vita il modello della società a partecipazione pubblica strumentale, quando invece negli ultimi tempi (v. Rapporto Assonime, ma anche il Rapporto CER)  alcune riflessioni avevano auspicato il superamento della forma societaria per il ritorno a modelli pubblicistici coerenti con la natura delle attività svolte[1] oppure avevano suggerito sistemi di risanamento rimasti inascoltati (rapporto dell’OCSE sulla governante delle State Owned Enterprises - SOE[2]).
 Così come il legislatore non ha previsto meccanismi preventivi per la valutazione della convenienza e dell’opportunità di costituire società, non ha previsto la ricognizione di quelle già costituite al fine di verificarne la convenienza; non sono state introdotte norme che predeterminino i requisiti di nomina degli amministratori; non sono stati introdotti i controlli preventivi di legittimità della Corte dei conti  sugli atti ed in particolare su quelli di avvio della contrattazione relativa agli appalti per tutti i soggetti tenuti all’osservanza delle regole dell’evidenza pubblica, inclusi quelli societari.
In conclusione, anche l’ultima riforma, per la necessità di ridurre la spesa pubblica  sulla spinta di propulsioni europeiste e pressioni comunitarie (ancora una volta), sembra aver perso un’altra occasione per rivedere un impianto in cui principi e norme pubblicistiche e privatistiche convivono in un connubio improbabile e per questo difficilmente gestibile, ma che per converso si presta a facili elusioni, distorsioni, giochi di potere e clientelismi che hanno quale unica conseguenza lo sperpero di ingenti risorse economiche pubbliche  e il disfacimento del sistema dei servizi pubblici in danno della collettività.

3 commenti:

  1. BATTI IL CINQUE
    (OTC .. è d'uopo e uso)

    Dopo il PRIMO viene il SECONDO e non manca mai il TERZO per giungere in sequenza algebrica alle CINQUE MISURE.

    Dopo i primi, secondi e terzi e con sofferenze nelle oscurità del “tunnel”, c’è la ragionata rigenerazione mattutina dei fegati di Prometeo per giungere alle CINQUE MISURE propagandate da oche padovane con "qualche" marginale considerazione prima di ritornare nella catacomba domiziae.

    La prima, è SEMANTICA che presenta note di “nuances” (s.f., sfumature) del linguaggio noto alla finanzia internazionale:
    “pareggio” tradotto in “stabilità”, “austerità” declinata in “esecuzione di un avanzo primario”, “dati” che diventano “potenziali possibili” – lista lunga .. - raccontate da economisti OCSE devoti del libero mercato che constestualizzano bestemmie vaticane non conoscendone neppure la grammatica.

    La seconda, è PSICOLOGICA, quella dell’ottimismo che, forse, mediaticamente figuri meno lombrosiani porterebbero a risultati migliori nella diffusione della MENZOGNA soprattutto quando mostrano positive la perdita del 10% di PIL dal 2011 in progressiva diminuzione e la disocccupazione in costante aumento senza dettagliare i motivi del deprezzamento dell’ € (unione monetaria “integrata” che privilegia la "sistemazione" del fallimento finanziario), del deprezzamento del petrolio e della crescita glorificata del PIL negli USA .

    La terza, è POLITICA legata a nuovo “pacco” governativo dell’ ”investment compact” fondato sugli IDE (investimenti diretti esteri) e sul ruolo della “nuova” finanza non “convenzionale” che saranno avventurosamente coordinati in un futuro prossimo con i responsabili ministeriali dello “sviluppo” economico di un Bel Paese in profonda crisi di identità DEMOCRATICA.

    La quarta, è TEOLOGICA, quella del vincolismo e condizionalità supine alle strategie di ANNESSIONE culturale, economica, politica senza l’uso vecchio del cannone scoperta l’efficacia del “gas mostrada” irradiato mediaticamente 24/24, 7/7 agli abitatori delle comunictà civiche.

    Last but not least, la quinta, è CRIMINOGENA, quella delle privatizzazioni del patromonio civico infrastruturale (FFSS, ENAV, ENEL, PPTT), “montanti contributivi pensionistici svalutabili, ma solo il .. primo anno” e infine “anche le municipalizzate efficienti potranno essere messe sul mercato”.

    An happy new year .. comandante!

    RispondiElimina
  2. Approfitto di questo bel post per farti gli auguri di buon anno 48. Sei instancabile nella tua opera per questo povero paese. Grazie.

    Un abbraccio!

    RispondiElimina
  3. @mattia

    questo è un Bel Paese .. :-)
    un esempio costitutivo di appartenenza ad una comunità solidale, sussidiaria e .. umana

    RispondiElimina