Il tema dei poteri contingibili ed urgenti che conducono all'attribuzione all'Esecutivo di provvedimenti "liberi" nei contenuti (ovvero "innominati") in deroga ai precetti legislativi vigenti, anche direttamente attuativi delle previsioni della Costituzione relative ai diritti e alle libertà fondamentali, è oggi alla ribalta.
Il lavoro di Francesco Maimone, di cui pubblichiamo la prima parte, ricerca anzitutto sul piano storico gli antecedenti dell'attuale disciplina in materia, sia anteriori che posteriori alla Costituzione oggi (si spera) vigente.
Da questi precedenti, anzitutto, emerge che il Parlamento, e la stessa dottrina giuspubblicistica, abbiano intrapreso una progressiva cessione di terreno, una sorta di "ritirata" (molto poco strategica), rispetto al punto di partenza che emergeva dalla denuncia di Calamandrei e dal suo rivendicare la discontinuità che avrebbe dovuto segnare l'applicazione della nuova Carta del 1948.
Ora potremmo forse dire che questa cedevolezza deriva da una mancata interiorizzazione del sistema democratico costituzionale; un fenomeno (ben noto e risalente) che ha molto a che fare con la facilità con cui si è accettata la "cessione di sovranità" agli organi dell'Unione europea.
Quest'ultimo fenomeno è il frutto (rapidamente maturato, dopo il 1948) di un'antica incomprensione che, però, è anche il "pendant" di un costante rifiuto di prendere atto della insufficienza della democrazia "liberale" a fronteggiare "lo stato di eccezione" e, quindi, a porre un'argine all'erosione della sovranità popolare (art.1 Cost.), intesa come fastidioso slogan intrusivo con la realtà della "costituzione materiale" e dei rapporti di forza pre e meta-giuridici che impone il principio ordinatore del mercato (temi che in questa sede abbiamo lungamente affrontato).
Questa situazione sta giungendo rapidamente al suo punto di emersione irreversibile...Il timore è che una reazione legalitaria sia ormai tardiva e che l'Italia si sia perciò inoltrata in una terra di nessuno della legalità democratica.
ILLEGALISMO LEGALE ED EMERGENZA: “STATO DI ECCEZIONE ORGANIZZATIVO” O (ULTERIORI) PROVE DI REGIME? (1)
1. L’emergenza democratica
che sta interessando il nostro Paese, dovrebbe ormai essere del tutto palese, viene (non casualmente) coperta da un’altra emergenza, quella sanitaria, alla quale, sia chiaro, per
quanto grave, avrebbe di certo potuto farsi fronte ancor meglio, e senza mettere in discussione i principi basilari della nostra Costituzione, qualora lo Stato non
fosse stato costretto per decenni all’osservanza forzata dei più disparati “vincoli
esterni”, desovranizzanti, di matrice €uropea.
Limitati
da tempo i diritti sociali, l’Antisovrano non può che adoperarsi
di conseguenza per comprimere anche i diritti e le libertà politiche fondamentali
dei cittadini, tentando però di convincerli che ciò è necessario per il loro
bene.
1.1 La manovra di
compressione delle libertà democratiche si avvia a svelarsi, senza troppi giri di
parole, in modo persino banale:
1) sul piano istituzionale, con l’ulteriore
accentramento dei principali poteri in mano al Governo, ridotto ormai ad
ostentare, agli occhi del pubblico, uno sterile vitalismo televisivo;
2) il
Governo, nella propria azione di Governance estero-diretta, contina a rincorrere - mediante
il linguaggio rarefatto della politologia – l’economia politica mainstream
(il sostanziale pensiero neo-marginalista ed ordolib€rale dei Trattati, per ciò
stesso autoritario);
3) a sua volta, il momento “economico” - raddoppiato
dal chiacchiericcio di saturazione e di legittimazione della c.d. “opinione
pubblica, ovvero del monopolio mediatico-culturale del primato delle opinioni
ammesse – si avvale della stampella pseudo-veritativa (degli Esperti)
e de Lascienza la quale, in quanto ritenuta “oggettiva”, per definizione
non sarebbe democratica (ipse dixit) e quindi non ammette alcun contraddittorio
(portata la favoletta alle estreme conseguenze e parafrasando Heidegger, viene raccontato
che solo un vaccino potrà salvarci).
2. Qualche mente semplice
potrebbe affannarsi a salutare il quadro rammentato ancora come serio ed
affidabile, se non fosse che sempre Hegel ci ricorda che sia il momento economico
sia la scienza (gravida dei suoi afflati positivistici) sono collocati nell’ambito
dell’intelletto astratto (Verstand) e non nella
ragione dialettica (Vernunft). Tant’è, viviamo da decenni – rispetto
al paradigma della democrazia sostanziale delineata dalla Costituzione del ’48 – un
periodo prolungato di decadenza ed i periodi di decadenza sono sempre anche periodi
vivificati da stupidità diffusa.
I punti del metodo sommariamente rammentati,
quindi, costituiscono senza dubbio un formidabile trittico per la stretta a
tenaglia di quello che, a saperne interpretare i prodromi, potrebbe a breve materializzarsi
in un nuovo “regime”, diverso (almeno fino alle lampanti ricadute dell’”impedimento
meccanico”, anche se già in atto) da quello storico del ventennio fascista,
solo perché più sofisticato e tecnologico, ma sostanzialmente uguale negli effetti
e quindi ancora più ingannevole e subdolo a causa della sua dissimulazione (attualmente
si dispone di ritrovati tecnologici come “app”, “droni” e “microcips”
con i quali, c’è da scommeterci, verranno fatte trastullare intere legioni di task-force
operanti, nemmeno a dirsi, rigorosamente sotto l’egida dell’Esecutivo).
2.1 In questa sede verranno
svolte considerazioni generali relative al punto 1) (estraneazione del Parlamento),
avendo chiare le parole di Piero Calamandrei; questi, in un suo scritto dal
titolo “La funzione parlamentare sotto il fascismo”, ripercorreva con la sua
usuale chiarezza le tappe fondamentali che portarono all’avvento del regime, delineandone
in particolare i caratteri salienti che definì
“… visibili alterazioni
giuridiche che … trasformarono fino a ridurli una mera finzione i congegni
esterni del sistema parlamentare… sintomo di una più vasta e profonda crisi, che … non
solamente sconvolse ogni ordine di organi costituzionali sovvertendone il tradizionale equilibrio, ma colpì
alla base le stesse nozioni, che parevano acquisite per sempre, di sovranità, di legalità, di Stato…”
[P. CALAMANDREI, cit., in Centenario del Parlamento, 8 maggio 1848 – 8 maggio 1948,
1948, Camera dei Deputati, 261] (in tal senso, ci sarebbe primariamente da
discutere l’uso che le forze politiche farebbero delle loro prerogative qualora
vi fosse la riespansione dei poteri di fissazione e realizzazione dell'indirizzo politico delle Camere, visto che sino ad oggi l’agenda
politica è stata interamente dettata dal diritto €urounitario. Ma procederemo
nella discussione sforzandoci di dare per scontato che la rappresentanza verrebbe
esercitata, almeno da un certo momento in poi, nell’esclusivo interesse della
Nazione).
2.2 Il
periodo fascista, definito da Calamandrei “… il regime dell'illegalismo
legale: dell'illegalismo manovrato, o, se meglio piace … dell'illegalismo pianificato”
e, ancora, della “doppiezza”, si caratterizzò per un lungo e complicato
procedimento.
Non si trattò di trasformare con un colpo solo lo Stato, ma di “abolire
le garanzie statutarie simulando il rispetto dello statuto”, sopprimendo “ogni traccia di opposizione legale” in
Parlamento, per arrivare da ultimo ad un “Governo legislatore”, ovvero alla consegna nelle mani dell’Esecutivo “… o meglio al capo del governo, (dei) poteri legislativi già spettanti secondo lo
statuto alle Camere…” [P. CALAMANDREI,
cit., 277-280].
E’ significativo, nondimeno, che
Calamandrei ricordi come “… nei
commenti scolastici e nei trattati scientifici di quel periodo…fu buona regola
astenersi dal ricercare dietro le formule giuridiche la realtà politica
che vi si celava: e si continuò a qualificare i nuovi istituti colle
vecchie definizioni accomodanti, in modo da
lasciare nel lettore non informato la impressione che le fondamenta costituzionali
dello Stato fossero rimaste immutate…” [P.CALAMANDREI, cit., 262].
2.3. Non che tali “visibili
alterazioni”, come sappiamo, si stiano per la prima volta svelando, nell’ambito dell’attuale ordinamento
costituzionale, nel corso degli ultimi tre mesi.
Piuttosto, trattasi di pratiche
di lungo corso e duramente sedimentate che, non di rado, sono state avallate da
giuristi ed organi costituzionali, e delle quali qualche rappresentante illustre di tale ambito solo
oggi sembra accorgersi, anche se con “attenzione selettiva”. I frutti avvelenati
di un tale stato dell’arte sono purtroppo imputabili al fatto che non sia mai
stato veramente interiorizzato, paradossalmente (ma non troppo) proprio dalla maggior parte degli
“addetti ai lavori”, lo spirito democratico che permea in modo radicale l’intera
Costituzione del ’48.
2.4 Una “attenzione selettiva”, per
intenderci, non contempla per esempio tra gli specialisti mainstream
del neo-costituzionalismo un’analisi della vicenda relativa a decisioni
europee riguardanti l’adozione di misure per far fronte alla crisi economica di
proporzioni epocali.
Al di là dello spettacolo poco edificante palesatosi negli
ultimi mesi con le dichiarazioni dei plenipotenziari dei Paesi coinvolti e con l’assoluta
mancanza di trasparenza delle loro riunioni in sede di €urogruppo, per quanto
riguarda l’Italia, in particolare, si è posto a monte anche un problema di stretta
legalità connesso al mancato rispetto della L. n. 234/2012.
Si dà il caso che, nonostante il Parlamento, nelle persone degli organi deputati,
abbia più volte ritualmente invitato l’Esecutivo a riferire sui negoziati al
fine di essere messo in condizione di esercitare il proprio potere di controllo
ed indirizzo, l’Esecutivo si sia però sempre sottratto all’invito, eludendo di
fatto gli obblighi posti a suo carico, in particolare dall’art. 5
L. 234/2012 (novella che avrebbe dovuto paradossalmente rimediare al
c.d. deficit democratico de
l€uropa!).
2.5 Ora, posto che “un protocollo di intesa con l’ESM, una volta comunque
negoziato e “concluso da parte dell’Esecutivo…sia comunque soggetto alla
ratifica parlamentare, poiché in tal senso dispone espressamente l’art. 80
della Costituzione”, rimane però il fatto che il Parlamento è stato estromesso
dalla c.d. fase ascendente.
Tuttavia, allora come oggi non
pare essersi levata “nei commenti scolastici e nei trattati scientifici”, di cui parlava Calamandrei, una voce unanime per denunciare tale (ennesimo) vulnus
costituzionale, essendo di certo più comodo per gli esponenti del clero scientifico-universitario – prigionieri
come sono dell’antica incomprensione dell’€uropa – continuare
a baloccarsi con il mito della (inesistente) “solidarietà €uropea” e con la formale
ricerca di nuovi “equilibri costituzionali” diretti a migliorare la credibilità
del mercato, anzichè mettere in discussione ab imis i principi di cui sono
animati i Trattati, incompatibili con la Carta.
Primo fra tutti quello pratico di
Hayek (che pare aver tratto profitto dalle letture hegeliane) secondo cui “Il controllo economico non è il semplice controllo di un settore
della vita umana che possa essere separato dal resto; è il controllo dei mezzi
per tutti i nostri fini. E chiunque abbia il controllo dei mezzi deve anche
determinare queli fini debbano essere alimentati, quali valori vadano stimati…in
breve, ciò che gli uomini debbano credere e ciò per cui debbano affannarsi”.
Detto più chiaramente: sporgersi in
modo saltuario per lamentare il rischio (sempre più concreto, è vero) di una compressione
delle libertà e dei diritti politici (fenomeno-effetto) continuando
però ad omettere una ferma denuncia contro le cessioni di sovranità e la pluridecennale violazione di tutti i diritti
sociali (noumeno-causa) è uno spettacolo degno di miglior
sorte.
[Per inciso, con una buona dose di
ingenuità e senza pretesa di adombrare soluzioni certe o definitive, considerati
anche i precedenti non confortanti della Corte, non è dato intendere il
motivo per cui già da tempo, sul punto, non sia stata adita la Consulta al fine
di sollevare in maniera acconcia un “conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato”
(art. 134 Cost.), unico rimedio giuridico-costituzionale al di là di una sanzione
“politica” da rimandare ovviamente in sede di consultazione elettorale, ormai ridotta
peraltro ad un mero miraggio].
3. Ma veniamo più da vicino alla gestione dell’emergenza sanitaria.
E’ stato fatto notare da più parti che il lockdown, con annessa
sospensione di alcune fondamentali libertà costituzionali, non potesse essere
disposto per mezzo di atti dell’Esecutivo (provvedimenti amministrativi).
Tale notazione
è indubbiamente corretta; allo stesso tempo, tuttavia, essa è anche parziale,
se vale ancora l’espressione hegeliana per cui “il vero è l’intero” e non
ci si continui ad accontentare di un’analisi sciattamente destoricizzata.
Difatti,
anche il Parlamento, che oggi a ragione lamenta la violazione delle proprie prerogative,
risulta co-responsabile di tale stato di fatto e lo è poiché nel passato (sia remoto
che prossimo) ha mancato di esibire una coscienza democratica-costituzionale, non
dimostrandosi abbastanza “geloso” delle prerogative che i Costituenti vollero
assegnargli ed approvando leggi che ancora gridano vendetta.
4. Per cercare di rendere più chiaro il significato
di quanto poc’anzi detto, è necessario innanzi tutto “fare un salto” storico negli
anni ’50, allorché l’allora Ministro dell’Interno Scelba presentò alla Camera dei
Deputati un “Disegno di legge per la protezione della popolazione
civile in caso di guerra o di calamità (Difesa Civile)”
approvato dalla Camera l’11 luglio 1951, poi decaduto (come quello sostanzialmente
analogo riproposto il 20 dicembre 1956) perché il Senato non riuscì ad
esaminarlo prima della conclusione della legislatura.
Il disegno di legge prevedeva
l’istituzione presso il Ministero dell’Interno di una “Direzione generale di
servizi per la difesa civile” con compiti di prevenzione e soccorso delle
popolazioni anche in caso di calamità naturali, compiti da espletare mediante
il reclutamento, tra l’altro, di personale volontario i cui requisiti e le modalità
di scelta avrebbero dovuti essere stabiliti dal Ministro dell’Interno.
Quel
disegno di legge annoverava, all’art. 4, due profili che ci
interessano da vicino: 1) la possibilità di disporre la “requisizione di beni e
di prestazioni personali nei limiti strettamente
indispensabili per il funzionamento dei servizi” in caso di “grave ed urgente
calamità pubblica”;
2) e, soprattutto, la previsione che la “grave ed urgente
calamità pubblica” ed il “pericolo per la sicurezza del Paese” fossero
riconosciuti “con deliberazione del Consiglio dei Ministri”.
Il
provvedimento incontrò la durissima opposizione delle sinistre le quali, anche dal
punto di vista strettamente giuridico e fedeli allo spirito della Carta, non esitarono
a sollevare opportune pregiudiziali di incostituzionalità.
4.1 Tra gli altri, Ada Natali, nella seduta del
13 giugno 1951, così si espresse in proposito: “… secondo l’articolo 4 del
disegno di legge, IL
CONSIGLIO DEI MINISTRI SOLTANTO SAREBBE L’ORGANO CHE AVREBBE IL POTERE DI RICONOSCERE,
con sua deliberazione, l’esistenza
della “grave ed urgente necessità dipendente da pubblica calamità o
il “pericolo per la sicurezza del paese” ... SAREBBE QUINDI UNA CAPITOLAZIONE VERA E PROPRIA DEL
POTERE LEGISLATIVO DI FRONTE AL POTERE ESECUTIVO, UN CAPOVOLGIMENTO DI
POSIZIONI E DI RAPPORTI FRA I DUE POTERI DELLO STATO. Pertanto, noi
riteniamo che tradiremmo il mandato affidatoci e la fiducia in noi riposta dal
popolo italiano, se acconsentissimo a votare in favore di una tale legge. La
quale legge non avrebbe altro significato che quello di riesumare e rendere
nuovamente attuali i principi fondamentali su cui si fondò la tirannia fascista
del ventennio, violando le libertà essenziali del cittadino, che
non sono state gratuitamente elargite dall’alto, ma conquistate dal popolo
italiano col proprio sangue e col proprio eroico sacrificio…”.
4.2 Giuseppe Di
Vittorio, nel corso
della seduta del 10 luglio 1951, non fu da meno e contro il disegno di legge si
espresse in questi termini: “… Questa è una legge che nella sostanza mira a consolidare
ed allargare il predominio più o meno assolutista delle oligarchie capitalistiche
… Avete respinto
persino un emendamento all’articolo 4 tendente ad ottenere che il
riconoscimento dello stato di pericolo per la sicurezza del paese, NECESSARIO
PER PERMETTERE AL GOVERNO DI SOSPENDERE LA COSTITUZIONE, avvenisse mediante
un decreto firmato dal Presidente della Repubblica. Voi non volete quindi neppure che il
Capo dello Stato possa partecipare al riconoscimento o meno di quello stato di emergenza
o di pericolo nel quale IL GOVERNO TENDE A PRENDERSI L’ARBITRIO DI SOSPENDERE LA
COSTITUZIONE e quindi di sospendere tutte le garanzie costituzionali
e tutti i diritti conquistati dai cittadini italiani…”.
4.3 Lelio
Basso, dal canto
suo, dopo aver illustrato la propria contrarietà al provvedimento intervenendo nella
seduta dell’8 maggio 1951, in un editoriale apparso il successivo 15 dello
stesso mese sull’ “Avanti!” aveva a sua volta spiegato quali fossero le
criticità del disegno governativo:
“È in discussione in questi giorni alla
Camera il disegno di legge sulla cosiddetta “difesa civile”, sulla cui
eccezionale gravità non pare che l’opinione pubblica italiana abbia fino ad
oggi abbastanza riflettuto. Secondo le dichiarazioni ufficiali il disegno
di legge ha due scopi: coordinare le norme relative alla difesa della
popolazione civile contro le pubbliche calamità e predisporre fin d’ora le
opportune protezioni contro l’offesa aerea o navale in caso di guerra. Ma il
disegno di legge è articolato in modo così ambiguo da contrabbandare molta altra
merce sotto veste così innocente.
Infatti il disegno di legge dà al potere esecutivo
la facoltà di requisire beni e prestazioni personali per le evenienze
prospettate, ma la formula usata non si limita alle sole calamità naturali
(incendi, inondazioni, terremoti, ecc.) o agli eventi bellici, ma è volutamente
generica… l’articolo 4 parla di: “riconosciuto
pericolo per la sicurezza del Paese”... BASTA …UNA DECISIONE
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI PER RICONOSCERE UNA SITUAZIONE DI EMERGENZA e attribuire all’esecutivo stesso e alle
autorità da esso dipendenti…poteri speciali…SIAMO GIÀ QUI IN PRESENZA DI UNA PALESE
INCOSTITUZIONALITÀ. Infatti mentre per il caso di guerra
la Costituzione prevede che sia il Parlamento ad attribuire al Governo i
necessari poteri (articolo 78), questa legge
stabilisce che in un’ipotesi molto meno grave che si verifichi in tempo di pace … IL CONSIGLIO DEI MINISTRI, SCAVALCANDO IL PARLAMENTO,
POSSA ATTRIBUIRSI DA SÉ QUESTI ECCEZIONALI POTERI…”.
5. Del vivace dibattito che
animò la discussione sul “disegno di legge Scelba” ovviamente non è rimasta
traccia alcuna se, dopo quarant’anni, il Parlamento italiano è riuscito a ricadere
nel medesimo errore approvando la Legge n. 225/1992.
La proposta di legge di iniziativa
del deputato Balestracci - presentata alla Camera dei deputati sin
dal 2 luglio 1987 ed approvata in via definitiva il 28 giugno 1990 –prevedeva
infatti al comma I dell’originario art. 6 (rubricato “Potere di
ordinanza) che, verificarsi di determinati eventi di eccezionale gravità,
fosse addirittura il solo Ministro per il coordinamento della protezione
civile competente a dichiarare lo stato di emergenza, determinandone
durata ed estensione territoriale; il comma II dello stesso articolo 6
consentiva inoltre allo stesso Ministro di provvedere allo stato di emergenza “anche
a mezzo di delegati ed in deroga ad ogni disposizione vigente”.
5.1 Il progetto di legge fu però rinviato
alle Camere dall’allora Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, che in
prima battuta ne rifiutò la promulgazione. Nel messaggio trasmesso alle Camere il 15 agosto 1990, il Capo dello Stato si premurò di muovere nei
confronti del testo alcuni rilievi di costituzionalità facendo innanzi tutto
notare che “il problema della dichiarazione e della gestione degli stati di emergenza è uno dei problemi più delicati dal punto di vista
costituzionale in uno Stato di diritto ed in un regime di libertà collettive ed
individuali” e che l’istituzione
di regimi istituzionali particolari per la gestione delle emergenze “in deroga all’organizzazione
ordinaria” dovrebbe
muoversi “strettamente nell’ambito del sistema di garanzie e diritti del
cittadino e nel sistema di governo istituito dalla
Costituzione”.
5.2 Più specificamente, poi, quanto
allo stato di emergenza, veniva sottolineato come “… sotto il profilo della “garanzia”, la dichiarazione e la gestione degli “stati di emergenza” … siano procedure da cui
non si possa escludere il Presidente della Repubblica o anche il Presidente del
Consiglio dei ministri quale capo dell’Esecutivo,
almeno nella fase dell’instaurazione degli stati di emergenza…”;
in merito al regime degli interventi necessari per fronteggiare l’emergenza, invece,
il Capo dello Stato evidenzò “gravi perplessità”, in quanto “… la
norma prevede(va) che si pot(esse) provvedere anche a mezzo di
delegati, che è figura amministrativa che
non trova né in questa né in altre leggi neanche un principio o un criterio di
regolamentazione, né sotto il profilo della istituzione e della nomina, né sotto quello
della individuazione delle funzioni, e ciò in aperto contrasto con l’art. 97 della
Costituzione e con il fondamentale principio di legalità…”.
Insomma, il Presidente della Repubblica
dimostrava di aver compreso l’importanza della “posta in gioco”, tanto che i
rilievi di incostituzionalità dallo stesso mossi devono ritenersi (come si
dirà) sostanzialmente corretti.
5.3 Il Parlamento, tuttavia, disattese quasi del tutto dette osservazioni. Ed infatti, nella versione definitiva approvata da entrambi i rami,
il testo della legge venne modificato prevedendo semplicemente, al comma I del definitivo
art. 5, che spettasse al Consiglio dei ministri deliberare lo stato di
emergenza (anche se su proposta del P.d.C.M. ovvero, per sua delega, al Ministro
per il coordinamento della protezione civile); ai successivi commi II, III e
IV, vennero invece tenuti fermi sia il potere di attuare gli interventi di
emergenza anche “a mezzo di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente”
sia la possibilità per il P.d.C.M. di avvalersi di “commissari delegati”
(anch’essi, ovviamente, investiti del potere di adottare provvedimenti
amministrativi nei limiti della delega ricevuta).
6. La sparuta dottrina che si è occupata
di esaminare gli effetti dell’approvazione della L. n. 225/1992 non ha
mancato di mostrare come, accanto all’uso abnorme della decretazione d’urgenza
e dei decreti legislativi [cfr. A. SIMONCINI, 1998-2008: la
fine della legge?, in Osservatoriosullefonti.it, n. 2/2009], si
è dovuta altresì registrare negli anni “… l’espansione di un'ulteriore
categoria di atti (N.d.F, appunto le ordinanze di protezione civile di cui
all'art. 5 L. n. 225/1992) che, tuttavia, non hanno forza di legge
né tanto meno natura normativa, ma che sono in grado di derogare ad ogni disposizione vigente”,
espansione che sembra quindi avvalorare “… l’impressione di una progressiva “attrazione” di
interi ambiti materiali nell'orbita di siffatte ordinanze, con conseguente sottrazione
di questi ultimi alla legislazione parlamentare e, più in generale,
alla legislazione primaria” [R. ZACCARIA – E. ALBANESI,
Le ordinanze di protezione civile “per l'attuazione” di decreti-legge (ed
altri scostamenti dalla L. n. 225 del 1992), in Giur. cost.,
fasc.3, 2009, pag. 2232].
6.1 Gli elementi che giustificano tale
giudizio sono stati in particolare individuati dalla dottrina citata:
I) nella quantità considerevole
di ordinanze (in primis, del P.d.C.M) emanate soprattutto ed in modo
crescente a partire dal 2002;
II) dalla “trasformazione del contenuto delle ordinanze
stesse”, tanto che è stato notato come pare assistersi ormai ad una “… destrutturazione
della forma amministrativa del potere contingibile ed urgente” [A. CARDONE,
Le ordinanze di necessità ed urgenza del Governo, in Osservatorio
sulle fonti 2006, a cura di P. Caretti, Torino 2007, 236], considerata la diffusa
previsione di prescrizioni generali ed astratte nel contenuto delle ordinanze;
III) “… dall'interpretazione
estensiva data nella prassi dal Governo alla nozione di evento straordinario di
protezione civile…per l'emanazione di ordinanze di protezione civile”
[R. ZACCARIA – E. ALBANESI, cit.; cfr. anche S. STAIANO,
Brevi note su un ossimoro: l'emergenza stabilizzata, in Giurisprudenza
costituzionale e principi fondamentali, a cura di S. Staiano, Torino 2006, 659
ss.];
IV) dall'introduzione
di disposizioni legislative le quali, “… rispetto a quanto previsto nella
base legislativa offerta dalla L. n. 225 del 1992, hanno esteso i
presupposti sostanziali delle ordinanze di protezione civile e ne hanno
distorto la finalità, ne hanno reso meno stringenti i limiti e depotenziato
i controlli” (si pensi al potere di adottare ordinanze di protezione civile
anche in occasione di “grandi eventi”, quindi di fatti prevedibili e
addirittura programmati).
Un tale ampliamento dei presupposti per l’adozione di
ordinanze hanno quindi finito per portare “…alla riconduzione all'ambito di
cui alla L. n. 225 del 1992 di una moltitudine di fattispecie
concrete in realtà estranee all'area dell'emergenza…” [R. ZACCARIA – E. ALBANESI,
cit.].
La dottrina ha perciò parlato della L. n. 225/1992 come
di una vera e propria “…legge quadro della materia “ordinanze libere”…” [G. MORBIDELLI,
Delle ordinanze libere di natura normativa, in Diritto Amministrativo,
fasc.01-02, Milano, 2016, pag. 34] o di “amministrazione parallela che, in virtù degli
speciali poteri che la legge le attribuisce, si sostituisce alle
amministrazioni ordinarie …” [A. FIORITTO, Una nuova emergenza: l’alluvione
delle ordinanze della protezione civile, in Osservatoriosullefonti.it,
fasc. 1/2011].
6.2 Ora, appare chiaro che le disfunzioni
aggiuntive introdotte con la L. n. 225/1992 (con l’attribuzione di un
ormai generale potere di ordinanza in capo all’Esecutivo) hanno rappresentato
altrettanti MOMENTI
DI GRAVE EROSIONE DELLE COMPETENZE DEL PARLAMENTO il quale, evidentemente
non pago di quanto accaduto, ed affetto da una “coazione a ripetere”, ha continuato
ad avallare talune malepratiche.
Difatti,
con la Legge 16 marzo 2017 n. 30 le
Camere hanno delegato il Governo ad adottare “uno o più decreti legislativi
di ricognizione, riordino, coordinamento, modifica e integrazione” delle disposizioni
vigenti in materia di Protezione Civile, legge delega cui è puntualmente seguita
l’emanazione del D.Lgs. 2 gennaio 2018 n. 1,
ribattezzato per l’occasione “Codice della protezione civile” (stavolta
senza nemmeno il conforto di un intervento del Capo dello Stato).
6.3 La L. n. 30/2017, all’art. 1,
comma I, lett. g), ha legittimato l’Esecutivo ad adottare, tra l’altro, disposizioni
disciplinanti “lo stato di emergenza” e la
“previsione del potere di ordinanza”, e l’Esecutivo si è adeguato mediante
la formulazione degli artt. 24 e 25 del D.Lgs. n. 1/2018 (ricalcanti
nella sostanza l’art. 5 dell’abrogata L. n. 225/1992), vedendosi
attribuito ancora una volta sia il potere di deliberare lo stato di emergenza sia
quello di adottare ordinanze di protezione civile in deroga ad ogni
disposizione vigente nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento.
Non
risulta che anche a seguito dell’approvazione di dette norme, si siano levate voci
tra coloro che oggi si affrettano a lanciare strali contro gli atti emanati dal
P.d.C.M e discutono della violazione di libertà e diritti politici per mezzo di
provvedimento amministrativo.
Perciò, riproponendo le parole pronunciate da Vincenzo
La Rocca (già membro dell’Assemblea Costituente) nella seduta del 9 maggio 1951
a corrosivo commento del cennato art. 4 del “disegno di legge Scelba”,
verrebbe da dire:
“…Udite: “soltanto nell’ipotesi di pericolo per la sicurezza del paese”… “da riconoscersi con deliberazione del Consiglio dei ministri”. DI CHE VI LAMENTATE? IL PARLAMENTO NON ESISTE…”.
Date
queste premesse, sarà conveniente svolgere per chiarezza alcune considerazioni teoriche
sul concetto di “emergenza”, esaminare la giurisprudenza costituzionale in
tema di ordinanze d’urgenza nonché le principali posizioni della dottrina anche
recente al fine di avere una visione più completa delle vicende descritte, tema
che formerà però oggetto del prossimo post unitamente alle riflessioni
conclusive.
(1- SEGUE)
una calamità naturale oppure una sconfitta militare disastrosa sono le due occasioni nelle quali da sempre si è potuto con facilità tentare l' annichilimento della democrazia,fin dai tempi della guerra del Peloponneso ,con il caso del colpo di stato di Antifonte e Pisandro e il governo dei 400.Purtroppo per noi non c'è una flotta di Samo che insorga e accorra a liberarci
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