mercoledì 22 aprile 2020

ILLEGALISMO LEGALE ED EMERGENZA (1)

Il tema dei poteri contingibili ed urgenti che conducono all'attribuzione all'Esecutivo di provvedimenti "liberi" nei contenuti (ovvero "innominati") in deroga ai precetti legislativi vigenti, anche direttamente attuativi delle previsioni della Costituzione relative ai diritti e alle libertà fondamentali, è oggi alla ribalta.
Il lavoro di Francesco Maimone, di cui pubblichiamo la prima parte, ricerca anzitutto sul piano storico gli antecedenti dell'attuale disciplina in materia, sia anteriori che posteriori alla Costituzione oggi (si spera) vigente.
Da questi precedenti, anzitutto, emerge che il Parlamento, e la stessa dottrina giuspubblicistica, abbiano intrapreso una progressiva cessione di terreno, una sorta di "ritirata" (molto poco strategica), rispetto al punto di partenza che emergeva dalla denuncia di Calamandrei e dal suo rivendicare la discontinuità che avrebbe dovuto segnare l'applicazione della nuova Carta del 1948.
Ora potremmo forse dire che questa cedevolezza deriva da una mancata interiorizzazione del sistema democratico costituzionale; un fenomeno (ben noto e risalente) che ha molto a che fare con la facilità con cui si è accettata la "cessione di sovranità" agli organi dell'Unione europea.
Quest'ultimo fenomeno è il frutto (rapidamente maturato, dopo il 1948) di un'antica incomprensione che, però, è anche il "pendant" di un costante rifiuto di prendere atto della insufficienza della democrazia "liberale" a fronteggiare "lo stato di eccezione" e, quindi, a porre un'argine all'erosione della sovranità popolare (art.1 Cost.), intesa come fastidioso slogan intrusivo con la realtà della "costituzione materiale" e dei rapporti di forza pre e meta-giuridici che impone il principio ordinatore del mercato (temi che in questa sede abbiamo lungamente affrontato).
Questa situazione sta giungendo rapidamente al suo punto di emersione irreversibile...Il timore è che una reazione legalitaria sia ormai tardiva e che l'Italia si sia perciò inoltrata in una terra di nessuno della legalità democratica.



ILLEGALISMO LEGALE ED EMERGENZA: “STATO DI ECCEZIONE ORGANIZZATIVO” O (ULTERIORI) PROVE DI REGIME? (1)
1. L’emergenza democratica che sta interessando il nostro Paese, dovrebbe ormai essere del tutto palese, viene (non casualmente) coperta da un’altra emergenza, quella sanitaria, alla quale, sia chiaro, per quanto grave, avrebbe di certo potuto farsi fronte ancor meglio, e senza mettere in discussione i principi basilari della nostra Costituzione, qualora lo Stato non fosse stato costretto per decenni all’osservanza forzata dei più disparati “vincoli esterni”, desovranizzanti, di matrice €uropea
Limitati da tempo i diritti sociali, l’Antisovrano non può che adoperarsi di conseguenza per comprimere anche i diritti e le libertà politiche fondamentali dei cittadini, tentando però di convincerli che ciò è necessario per il loro bene.

1.1 La manovra di compressione delle libertà democratiche si avvia a svelarsi, senza troppi giri di parole, in modo persino banale: 
1) sul piano istituzionale, con l’ulteriore accentramento dei principali poteri in mano al Governo, ridotto ormai ad ostentare, agli occhi del pubblico, uno sterile vitalismo televisivo; 
2) il Governo, nella propria azione di Governance estero-diretta, contina a rincorrere - mediante il linguaggio rarefatto della politologia – l’economia politica mainstream (il sostanziale pensiero neo-marginalista ed ordolib€rale dei Trattati, per ciò stesso autoritario); 
3) a sua volta, il momento “economico” - raddoppiato dal chiacchiericcio di saturazione e di legittimazione della c.d. “opinione pubblica, ovvero del monopolio mediatico-culturale del primato delle opinioni ammesse – si avvale della stampella pseudo-veritativa (degli Esperti) e de Lascienza la quale, in quanto ritenuta “oggettiva”, per definizione non sarebbe democratica (ipse dixit) e quindi non ammette alcun contraddittorio (portata la favoletta alle estreme conseguenze e parafrasando Heidegger, viene raccontato che solo un vaccino potrà salvarci).

2. Qualche mente semplice potrebbe affannarsi a salutare il quadro rammentato ancora come serio ed affidabile, se non fosse che sempre Hegel ci ricorda che sia il momento economico sia la scienza (gravida dei suoi afflati positivistici) sono collocati nell’ambito dell’intelletto astratto (Verstand) e non nella ragione dialettica (Vernunft). Tant’è, viviamo da decenni – rispetto al paradigma della democrazia sostanziale delineata dalla Costituzione del ’48 – un periodo prolungato di decadenza ed i periodi di decadenza sono sempre anche periodi vivificati da stupidità diffusa. 
I punti del metodo sommariamente rammentati, quindi, costituiscono senza dubbio un formidabile trittico per la stretta a tenaglia di quello che, a saperne interpretare i prodromi, potrebbe a breve materializzarsi in un nuovo “regime”, diverso (almeno fino alle lampanti ricadute dell’”impedimento meccanico”, anche se già in atto) da quello storico del ventennio fascista, solo perché più sofisticato e tecnologico, ma sostanzialmente uguale negli effetti e quindi ancora più ingannevole e subdolo a causa della sua dissimulazione (attualmente si dispone di ritrovati tecnologici come “app”, “droni” e “microcips” con i quali, c’è da scommeterci, verranno fatte trastullare intere legioni di task-force operanti, nemmeno a dirsi, rigorosamente sotto l’egida dell’Esecutivo).

2.1 In questa sede verranno svolte considerazioni generali relative al punto 1) (estraneazione del Parlamento), avendo chiare le parole di Piero Calamandrei; questi, in un suo scritto dal titolo “La funzione parlamentare sotto il fascismo”, ripercorreva con la sua usuale chiarezza le tappe fondamentali che portarono all’avvento del regime, delineandone in particolare i caratteri salienti che definì 
visibili alterazioni giuridiche che … trasformarono fino a ridurli una mera finzione i congegni esterni del sistema parlamentare sintomo di una più vasta e profonda crisi, che … non solamente sconvolse ogni ordine di organi costituzionali sovvertendone il tradizionale equilibrio, ma colpì alla base le stesse nozioni, che parevano acquisite per sempre, di sovranità, di legalità, di Stato” [P. CALAMANDREI, cit., in Centenario del Parlamento, 8 maggio 1848 – 8 maggio 1948, 1948, Camera dei Deputati, 261] (in tal senso, ci sarebbe primariamente da discutere l’uso che le forze politiche farebbero delle loro prerogative qualora vi fosse la riespansione dei poteri di fissazione e realizzazione dell'indirizzo politico delle Camere, visto che sino ad oggi l’agenda politica è stata interamente dettata dal diritto €urounitario. Ma procederemo nella discussione sforzandoci di dare per scontato che la rappresentanza verrebbe esercitata, almeno da un certo momento in poi, nell’esclusivo interesse della Nazione).

2.2 Il periodo fascista, definito da Calamandrei il regime dell'illegalismo legale: dell'illegalismo manovrato, o, se meglio piace … dell'illegalismo pianificato” e, ancora, della “doppiezza”, si caratterizzò per un lungo e complicato procedimento. 
Non si trattò di trasformare con un colpo solo lo Stato, ma di “abolire le garanzie statutarie simulando il rispetto dello statuto, sopprimendo “ogni traccia di opposizione legale” in Parlamento, per arrivare da ultimo ad un “Governo legislatore”, ovvero alla consegna nelle mani dell’Esecutivo  “… o meglio al capo del governo, (dei) poteri legislativi già spettanti secondo lo statuto alle Camere…” [P. CALAMANDREI, cit., 277-280]. 
E’ significativo, nondimeno, che Calamandrei ricordi come “nei commenti scolastici e nei trattati scientifici di quel periodo…fu buona regola astenersi dal ricercare dietro le formule giuridiche la realtà politica che vi si celava: e si continuò a qualificare i nuovi istituti colle vecchie definizioni accomodanti, in modo da lasciare nel lettore non informato la impressione che le fondamenta costituzionali dello Stato fossero rimaste immutate” [P.CALAMANDREI, cit., 262].

2.3. Non che tali “visibili alterazioni”, come sappiamo, si stiano per la prima volta svelando, nell’ambito dell’attuale ordinamento costituzionale, nel corso degli ultimi tre mesi. 
Piuttosto, trattasi di pratiche di lungo corso e duramente sedimentate che, non di rado, sono state avallate da giuristi ed organi costituzionali, e delle quali qualche rappresentante illustre di tale ambito solo oggi sembra accorgersi, anche se con “attenzione selettiva”. I frutti avvelenati di un tale stato dell’arte sono purtroppo imputabili al fatto che non sia mai stato veramente interiorizzato, paradossalmente (ma non troppo) proprio dalla maggior parte degli “addetti ai lavori”, lo spirito democratico che permea in modo radicale l’intera Costituzione del ’48.

2.4 Una “attenzione selettiva”, per intenderci, non contempla per esempio tra gli specialisti mainstream del neo-costituzionalismo un’analisi della vicenda relativa a decisioni europee riguardanti l’adozione di misure per far fronte alla crisi economica di proporzioni epocali. 
Al di là dello spettacolo poco edificante palesatosi negli ultimi mesi con le dichiarazioni dei plenipotenziari dei Paesi coinvolti e con l’assoluta mancanza di trasparenza delle loro riunioni in sede di €urogruppo, per quanto riguarda l’Italia, in particolare, si è posto a monte anche un problema di stretta legalità connesso al mancato rispetto della L. n. 234/2012
Si dà il caso che, nonostante il Parlamento, nelle persone degli organi deputati, abbia più volte ritualmente invitato l’Esecutivo a riferire sui negoziati al fine di essere messo in condizione di esercitare il proprio potere di controllo ed indirizzo, l’Esecutivo si sia però sempre sottratto all’invito, eludendo di fatto gli obblighi posti a suo carico, in particolare dall’art. 5 L. 234/2012 (novella che avrebbe dovuto paradossalmente rimediare al c.d. deficit democratico de l€uropa!).

Tuttavia, allora come oggi non pare essersi levata “nei commenti scolastici e nei trattati scientifici”, di cui parlava Calamandrei, una voce unanime per denunciare tale (ennesimo) vulnus costituzionale, essendo di certo più comodo per gli esponenti del clero scientifico-universitario – prigionieri come sono dell’antica incomprensione dell’€uropa – continuare a baloccarsi con il mito della (inesistente) “solidarietà €uropea” e con la formale ricerca di nuovi “equilibri costituzionali” diretti a migliorare la credibilità del mercato, anzichè mettere in discussione ab imis i principi di cui sono animati i Trattati, incompatibili con la Carta. 
Detto più chiaramente: sporgersi in modo saltuario per lamentare il rischio (sempre più concreto, è vero) di una compressione delle libertà e dei diritti politici (fenomeno-effetto) continuando però ad omettere una ferma denuncia contro le cessioni di sovranità e la pluridecennale violazione di tutti i diritti sociali (noumeno-causa) è uno spettacolo degno di miglior sorte.
[Per inciso, con una buona dose di ingenuità e senza pretesa di adombrare soluzioni certe o definitive, considerati anche i precedenti non confortanti della Corte, non è dato intendere il motivo per cui già da tempo, sul punto, non sia stata adita la Consulta al fine di sollevare in maniera acconcia un conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato” (art. 134 Cost.), unico rimedio giuridico-costituzionale al di là di una sanzione “politica” da rimandare ovviamente in sede di consultazione elettorale, ormai ridotta peraltro ad un mero miraggio].

3. Ma veniamo più da vicino alla gestione dell’emergenza sanitaria
E’ stato fatto notare da più parti che il lockdown, con annessa sospensione di alcune fondamentali libertà costituzionali, non potesse essere disposto per mezzo di atti dell’Esecutivo (provvedimenti amministrativi). 
Tale notazione è indubbiamente corretta; allo stesso tempo, tuttavia, essa è anche parziale, se vale ancora l’espressione hegeliana per cui “il vero è l’intero” e non ci si continui ad accontentare di un’analisi sciattamente destoricizzata. 
Difatti, anche il Parlamento, che oggi a ragione lamenta la violazione delle proprie prerogative, risulta co-responsabile di tale stato di fatto e lo è poiché nel passato (sia remoto che prossimo) ha mancato di esibire una coscienza democratica-costituzionale, non dimostrandosi abbastanza “geloso” delle prerogative che i Costituenti vollero assegnargli ed approvando leggi che ancora gridano vendetta.

4. Per cercare di rendere più chiaro il significato di quanto poc’anzi detto, è necessario innanzi tutto “fare un salto” storico negli anni ’50, allorché l’allora Ministro dell’Interno Scelba presentò alla Camera dei Deputati un “Disegno di legge per la protezione della popolazione civile in caso di guerra o di calamità (Difesa Civile)” approvato dalla Camera l’11 luglio 1951, poi decaduto (come quello sostanzialmente analogo riproposto il 20 dicembre 1956) perché il Senato non riuscì ad esaminarlo prima della conclusione della legislatura. 
Il disegno di legge prevedeva l’istituzione presso il Ministero dell’Interno di una “Direzione generale di servizi per la difesa civile” con compiti di prevenzione e soccorso delle popolazioni anche in caso di calamità naturali, compiti da espletare mediante il reclutamento, tra l’altro, di personale volontario i cui requisiti e le modalità di scelta avrebbero dovuti essere stabiliti dal Ministro dell’Interno. 
Quel disegno di legge annoverava, all’art. 4, due profili che ci interessano da vicino: 1) la possibilità di disporre la “requisizione di beni e di prestazioni personali nei limiti strettamente indispensabili per il funzionamento dei servizi” in caso di “grave ed urgente calamità pubblica”; 
2) e, soprattutto, la previsione che la “grave ed urgente calamità pubblica” ed il “pericolo per la sicurezza del Paese” fossero riconosciuti “con deliberazione del Consiglio dei Ministri”. 
Il provvedimento incontrò la durissima opposizione delle sinistre le quali, anche dal punto di vista strettamente giuridico e fedeli allo spirito della Carta, non esitarono a sollevare opportune pregiudiziali di incostituzionalità.

4.1 Tra gli altri, Ada Natali, nella seduta del 13 giugno 1951, così si espresse in proposito: “… secondo l’articolo 4 del disegno di legge, IL CONSIGLIO DEI MINISTRI SOLTANTO SAREBBE L’ORGANO CHE AVREBBE IL POTERE DI RICONOSCERE, con sua deliberazione, l’esistenza della “grave ed urgente necessità dipendente da pubblica calamità o il “pericolo per la sicurezza del paese ... SAREBBE QUINDI UNA CAPITOLAZIONE VERA E PROPRIA DEL POTERE LEGISLATIVO DI FRONTE AL POTERE ESECUTIVO, UN CAPOVOLGIMENTO DI POSIZIONI E DI RAPPORTI FRA I DUE POTERI DELLO STATO. Pertanto, noi riteniamo che tradiremmo il mandato affidatoci e la fiducia in noi riposta dal popolo italiano, se acconsentissimo a votare in favore di una tale legge. La quale legge non avrebbe altro significato che quello di riesumare e rendere nuovamente attuali i principi fondamentali su cui si fondò la tirannia fascista del ventennio, violando le libertà essenziali del cittadino, che non sono state gratuitamente elargite dall’alto, ma conquistate dal popolo italiano col proprio sangue e col proprio eroico sacrificio…”.

4.2 Giuseppe Di Vittorio, nel corso della seduta del 10 luglio 1951, non fu da meno e contro il disegno di legge si espresse in questi termini: “… Questa è una legge che nella sostanza mira a consolidare ed allargare il predominio più o meno assolutista delle oligarchie capitalistiche … Avete respinto persino un emendamento all’articolo 4 tendente ad ottenere che il riconoscimento dello stato di pericolo per la sicurezza del paese, NECESSARIO PER PERMETTERE AL GOVERNO DI SOSPENDERE LA COSTITUZIONE, avvenisse mediante un decreto firmato dal Presidente della Repubblica. Voi non volete quindi neppure che il Capo dello Stato possa partecipare al riconoscimento o meno di quello stato di emergenza o di pericolo nel quale IL GOVERNO TENDE A PRENDERSI L’ARBITRIO DI SOSPENDERE LA COSTITUZIONE e quindi di sospendere tutte le garanzie costituzionali e tutti i diritti conquistati dai cittadini italiani…”.

4.3 Lelio Basso, dal canto suo, dopo aver illustrato la propria contrarietà al provvedimento intervenendo nella seduta dell’8 maggio 1951, in un editoriale apparso il successivo 15 dello stesso mese sull’ “Avanti!” aveva a sua volta spiegato quali fossero le criticità del disegno governativo:
È in discussione in questi giorni alla Camera il disegno di legge sulla cosiddetta “difesa civile”, sulla cui eccezionale gravità non pare che l’opinione pubblica italiana abbia fino ad oggi abbastanza riflettuto. Secondo le dichiarazioni ufficiali il disegno di legge ha due scopi: coordinare le norme relative alla difesa della popolazione civile contro le pubbliche calamità e predisporre fin d’ora le opportune protezioni contro l’offesa aerea o navale in caso di guerra. Ma il disegno di legge è articolato in modo così ambiguo da contrabbandare molta altra merce sotto veste così innocente.
Infatti il disegno di legge dà al potere esecutivo la facoltà di requisire beni e prestazioni personali per le evenienze prospettate, ma la formula usata non si limita alle sole calamità naturali (incendi, inondazioni, terremoti, ecc.) o agli eventi bellici, ma è volutamente generica l’articolo 4 parla di: “riconosciuto pericolo per la sicurezza del Paese”...  BASTA …UNA DECISIONE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI PER RICONOSCERE UNA SITUAZIONE DI EMERGENZA e attribuire all’esecutivo stesso e alle autorità da esso dipendenti…poteri specialiSIAMO GIÀ QUI IN PRESENZA DI UNA PALESE INCOSTITUZIONALITÀ. Infatti mentre per il caso di guerra la Costituzione prevede che sia il Parlamento ad attribuire al Governo i necessari poteri (articolo 78), questa legge stabilisce che in un’ipotesi molto meno grave che si verifichi in tempo di paceIL CONSIGLIO DEI MINISTRI, SCAVALCANDO IL PARLAMENTO, POSSA ATTRIBUIRSI DA SÉ QUESTI ECCEZIONALI POTERI”.

5. Del vivace dibattito che animò la discussione sul “disegno di legge Scelba” ovviamente non è rimasta traccia alcuna se, dopo quarant’anni, il Parlamento italiano è riuscito a ricadere nel medesimo errore approvando la Legge n. 225/1992
La proposta di legge di iniziativa del deputato Balestracci - presentata alla Camera dei deputati sin dal 2 luglio 1987 ed approvata in via definitiva il 28 giugno 1990 –prevedeva infatti al comma I dell’originario art. 6 (rubricato “Potere di ordinanza) che, verificarsi di determinati eventi di eccezionale gravità, fosse addirittura il solo Ministro per il coordinamento della protezione civile competente a dichiarare lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione territoriale; il comma II dello stesso articolo 6 consentiva inoltre allo stesso Ministro di provvedere allo stato di emergenza “anche a mezzo di delegati ed in deroga ad ogni disposizione vigente”.

5.1 Il progetto di legge fu però rinviato alle Camere dall’allora Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, che in prima battuta ne rifiutò la promulgazione. Nel messaggio trasmesso alle Camere il 15 agosto 1990, il Capo dello Stato si premurò di muovere nei confronti del testo alcuni rilievi di costituzionalità facendo innanzi tutto notare che “il problema della dichiarazione e della gestione degli stati di emergenza è uno dei problemi più delicati dal punto di vista costituzionale in uno Stato di diritto ed in un regime di libertà collettive ed individuali” e che l’istituzione di regimi istituzionali particolari per la gestione delle emergenze “in deroga all’organizzazione ordinaria” dovrebbe muoversi “strettamente nell’ambito del sistema di garanzie e diritti del cittadino e nel sistema di governo istituito dalla Costituzione”.
5.2 Più specificamente, poi, quanto allo stato di emergenza, veniva sottolineato come “… sotto il profilo della “garanzia”, la dichiarazione e la gestione degli “stati di emergenza” siano procedure da cui non si possa escludere il Presidente della Repubblica o anche il Presidente del Consiglio dei ministri quale capo dell’Esecutivo, almeno nella fase dell’instaurazione degli stati di emergenza”; in merito al regime degli interventi necessari per fronteggiare l’emergenza, invece, il Capo dello Stato evidenzò “gravi perplessità”, in quanto “… la norma prevede(va) che si pot(esse) provvedere anche a mezzo di delegati, che è figura amministrativa che non trova né in questa né in altre leggi neanche un principio o un criterio di regolamentazione, né sotto il profilo della istituzione e della nomina, né sotto quello della individuazione delle funzioni, e ciò in aperto contrasto con l’art. 97 della Costituzione e con il fondamentale principio di legalità”.  
Insomma, il Presidente della Repubblica dimostrava di aver compreso l’importanza della “posta in gioco”, tanto che i rilievi di incostituzionalità dallo stesso mossi devono ritenersi (come si dirà) sostanzialmente corretti.

5.3 Il Parlamento, tuttavia, disattese quasi del tutto dette osservazioni. Ed infatti, nella versione definitiva approvata da entrambi i rami, il testo della legge venne modificato prevedendo semplicemente, al comma I del definitivo art. 5, che spettasse al Consiglio dei ministri deliberare lo stato di emergenza (anche se su proposta del P.d.C.M. ovvero, per sua delega, al Ministro per il coordinamento della protezione civile); ai successivi commi II, III e IV, vennero invece tenuti fermi sia il potere di attuare gli interventi di emergenza anche “a mezzo di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente” sia la possibilità per il P.d.C.M. di avvalersi di “commissari delegati (anch’essi, ovviamente, investiti del potere di adottare provvedimenti amministrativi nei limiti della delega ricevuta).

6. La sparuta dottrina che si è occupata di esaminare gli effetti dell’approvazione della L. n. 225/1992 non ha mancato di mostrare come, accanto all’uso abnorme della decretazione d’urgenza e dei decreti legislativi [cfr. A. SIMONCINI, 1998-2008: la fine della legge?, in Osservatoriosullefonti.it, n. 2/2009], si è dovuta altresì registrare negli anni “… l’espansione di un'ulteriore categoria di atti (N.d.F, appunto le ordinanze di protezione civile di cui all'art. 5 L. n. 225/1992) che, tuttavia, non hanno forza di legge né tanto meno natura normativa, ma che sono in grado di derogare ad ogni disposizione vigente”, espansione che sembra quindi avvalorare “… l’impressione di una progressiva “attrazione” di interi ambiti materiali nell'orbita di siffatte ordinanze, con conseguente sottrazione di questi ultimi alla legislazione parlamentare e, più in generale, alla legislazione primaria” [R. ZACCARIA – E. ALBANESI, Le ordinanze di protezione civile “per l'attuazione” di decreti-legge (ed altri scostamenti dalla L. n. 225 del 1992), in Giur. cost., fasc.3, 2009, pag. 2232].

6.1 Gli elementi che giustificano tale giudizio sono stati in particolare individuati dalla dottrina citata: 
I) nella quantità considerevole di ordinanze (in primis, del P.d.C.M) emanate soprattutto ed in modo crescente a partire dal 2002; 
II) dalla “trasformazione del contenuto delle ordinanze stesse”, tanto che è stato notato come pare assistersi ormai ad una “… destrutturazione della forma amministrativa del potere contingibile ed urgente [A. CARDONE, Le ordinanze di necessità ed urgenza del Governo, in Osservatorio sulle fonti 2006, a cura di P. Caretti, Torino 2007, 236], considerata la diffusa previsione di prescrizioni generali ed astratte nel contenuto delle ordinanze
III) “… dall'interpretazione estensiva data nella prassi dal Governo alla nozione di evento straordinario di protezione civileper l'emanazione di ordinanze di protezione civile” [R. ZACCARIA – E. ALBANESI, cit.; cfr. anche S. STAIANO, Brevi note su un ossimoro: l'emergenza stabilizzata, in Giurisprudenza costituzionale e principi fondamentali, a cura di S. Staiano, Torino 2006, 659 ss.]; 
IV) dall'introduzione di disposizioni legislative le quali, “… rispetto a quanto previsto nella base legislativa offerta dalla L. n. 225 del 1992, hanno esteso i presupposti sostanziali delle ordinanze di protezione civile e ne hanno distorto la finalità, ne hanno reso meno stringenti i limiti e depotenziato i controlli” (si pensi al potere di adottare ordinanze di protezione civile anche in occasione di “grandi eventi”, quindi di fatti prevedibili e addirittura programmati). 
Un tale ampliamento dei presupposti per l’adozione di ordinanze hanno quindi finito per portare “…alla riconduzione all'ambito di cui alla L. n. 225 del 1992 di una moltitudine di fattispecie concrete in realtà estranee all'area dell'emergenza” [R. ZACCARIA – E. ALBANESI, cit.]. 
La dottrina ha perciò parlato della L. n. 225/1992 come di una vera e propria “…legge quadro della materia “ordinanze libere”…” [G. MORBIDELLI, Delle ordinanze libere di natura normativa, in Diritto Amministrativo, fasc.01-02, Milano, 2016, pag. 34] o di “amministrazione parallela che, in virtù degli speciali poteri che la legge le attribuisce, si sostituisce alle amministrazioni ordinarie …” [A. FIORITTO, Una nuova emergenza: l’alluvione delle ordinanze della protezione civile, in Osservatoriosullefonti.it, fasc. 1/2011].

6.2 Ora, appare chiaro che le disfunzioni aggiuntive introdotte con la L. n. 225/1992 (con l’attribuzione di un ormai generale potere di ordinanza in capo all’Esecutivo) hanno rappresentato altrettanti MOMENTI DI GRAVE EROSIONE DELLE COMPETENZE DEL PARLAMENTO il quale, evidentemente non pago di quanto accaduto, ed affetto da una “coazione a ripetere”, ha continuato ad avallare talune malepratiche
Difatti, con la Legge 16 marzo 2017 n. 30 le Camere hanno delegato il Governo ad adottare “uno o più decreti legislativi di ricognizione, riordino, coordinamento, modifica e integrazione” delle disposizioni vigenti in materia di Protezione Civile, legge delega cui è puntualmente seguita l’emanazione del D.Lgs. 2 gennaio 2018 n. 1, ribattezzato per l’occasione “Codice della protezione civile (stavolta senza nemmeno il conforto di un intervento del Capo dello Stato).
6.3 La L. n. 30/2017, all’art. 1, comma I, lett. g), ha legittimato l’Esecutivo ad adottare, tra l’altro, disposizioni disciplinanti lo stato di emergenza” e la “previsione del potere di ordinanza”, e l’Esecutivo si è adeguato mediante la formulazione degli artt. 24 e 25 del D.Lgs. n. 1/2018 (ricalcanti nella sostanza l’art. 5 dell’abrogata L. n. 225/1992), vedendosi attribuito ancora una volta sia il potere di deliberare lo stato di emergenza sia quello di adottare ordinanze di protezione civile in deroga ad ogni disposizione vigente nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento
Non risulta che anche a seguito dell’approvazione di dette norme, si siano levate voci tra coloro che oggi si affrettano a lanciare strali contro gli atti emanati dal P.d.C.M e discutono della violazione di libertà e diritti politici per mezzo di provvedimento amministrativo. 
Perciò, riproponendo le parole pronunciate da Vincenzo La Rocca (già membro dell’Assemblea Costituente) nella seduta del 9 maggio 1951 a corrosivo commento del cennato art. 4 del “disegno di legge Scelba”, verrebbe da dire:
“…Udite: “soltanto nell’ipotesi di pericolo per la sicurezza del paese”da riconoscersi con deliberazione del Consiglio dei ministri”. DI CHE VI LAMENTATE? IL PARLAMENTO NON ESISTE…”.
Date queste premesse, sarà conveniente svolgere per chiarezza alcune considerazioni teoriche sul concetto di “emergenza”, esaminare la giurisprudenza costituzionale in tema di ordinanze d’urgenza nonché le principali posizioni della dottrina anche recente al fine di avere una visione più completa delle vicende descritte, tema che formerà però oggetto del prossimo post unitamente alle riflessioni conclusive.
(1- SEGUE)

1 commento:

  1. una calamità naturale oppure una sconfitta militare disastrosa sono le due occasioni nelle quali da sempre si è potuto con facilità tentare l' annichilimento della democrazia,fin dai tempi della guerra del Peloponneso ,con il caso del colpo di stato di Antifonte e Pisandro e il governo dei 400.Purtroppo per noi non c'è una flotta di Samo che insorga e accorra a liberarci

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