venerdì 5 maggio 2017

RIFORME DELL'EUROZONA E "MINIRIFORMA" DELLE REGOLE DI BILANCIO: IL WISHFUL THINKING NELL'ERA DEL NEO-GOLD STANDARD


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1. Questo post intende istituire qualche connessione tra il materiale che, peraltro relativamente ad argomenti già di per sé collegati, è disseminato in diversi post e commenti (dato che l'apporto di taluni di voi, ormai ben "noti" agli utenti, si rivela quello di un gruppo di ricerca scientifica di ottimo livello).

Non mi occuperò, stavolta, di destra e sinistra - da intendere in senso economico, perché altrimenti si tratta di una perdita di senso a fini cosmetici, convenienti al consolidamento delle oligarchie finanziarie e del grande capitale. 
Né mi occuperò di fascismo e capitalismo, secondo una correlazione che, anch'essa, si ha interesse ad offuscare per costruire una para-narrazione pseudo-storica il cui effetto principale (voluto o meno che sia dai vari "autori") è il "negazionismo" proprio di questa chiara correlazione.

2. Mi occuperò, invece, di una problema di comprensione generale di aspetti economico-monetari, e fiscal-finanziari, che si collegano direttamente al problema istituzionale: cioè all'aspetto delle norme e forme organizzative che caratterizzano un certo ordinamento in un processo conformativo a cascata. 
In altri termini, esiste un livello costituzionale, formale o de facto, che, secondo un principio gerarchico inerente alle norme giuridiche, conforma l'assetto sociale (più esattamente: predetermina, in modo vincolante, l'indirizzo politico e quindi predetermina in modo consequenziale il contenuto della regolazione attuativa promanante dal potere legislativo). Questo livello costituzionale ad effetto conformativo dell'opera del legislatore, può essere o meno corrispondente a quello "formale" (cioè corrispondente alla Costituzione del 1948 ed alla sua proclamazione della sovranità appartenente al popolo): se non lo fosse, tuttavia, esso opera lo stesso, almeno fino a che non intervenga una presa di posizione, costituzionalmente in realtà dovuta, degli organi di garanzia della legalità costituzionale.

3. In una prospettiva storica, (se e solo se) sufficientemente arricchita da conoscenze di economia e di diritto, il problema generale monetario e politico-fiscale che tratteggeremo, rende in realtà ben più agevole compiere una corretta analisi su "sinistra-destra", in senso economico, e "fascismo-capitalismo", in modo da poter sgombrare il campo da letture storiche che, - basate su ideologie contigenti (e in "nome del nuovo"), più o meno dichiarate, nonché su epifenomeni assunti come significativi, magari anche "statisticamente", ma senza avere un quadro fenomenologico di riferimento-, finiscono per essere scarsamente attendibili per la ricostruzione del tempo passato. 

4. Partiamo da un assunto che scontato non è, eppure dovrebbe esserlo.
Per i paesi appartenenti all'unione monetaria €uropea, l'euro funziona come il gold standard
La conclusione dovrebbe essere scontata perché, non solo ne hanno parlato, anzitutto in Italia, e poi a livello internazionale, economisti accreditati che analizzano l'attuale dinamica del paradigma economico-istituzionale dell'eurozona, ma tale funzionalità (isomorfa) è stata predicata dagli stessi ideatori e propugnatori della moneta unica, e proprio come una funzionalità tendenziale positiva (basti ricordare la sintesi di Ann Pettifor, che ricalca quanto anche esposto in "La Costituzione nella palude" circa la genesi della moneta unica, poi trasposta inalterata nella sua attuale e perdurante configurazione: "Entrambe le proposte – il Rapporto Werner e il Rapporto Delors – replicavano l’architettura finanziaria del gold standard del diciannovesimo secolo")

4.1. La Pettifor illustra i punti comuni tra i due sistemi, pur sottolineandone anche le differenze, riferendosi alla concezione delle istituzioni e delle politiche monetarie, menzionando, nei 3 punti finali (numerazione da noi aggiunta), l'essenza comune dei risultati critici e delle conseguenti politiche economico-fiscali che divengono "vincolanti" per entrambi i sistemi: 
"I punti in comune i due sistemi (quello europeo e il gold standard NdVdE) includono (1) l’abbandono da parte dei governi del controllo sui tassi di cambio; (2) la perdita di una banca centrale controllata dallo stato; (3) l’euforia iniziale riguardo al fatto che un tasso di cambio sopravvalutato rende più economiche le importazioni e che la mobilità dei capitali incoraggia prestiti sconsiderati; (4) le conseguenti pressioni deflazionistiche; (5) l’assenza di un organismo di coordinamento in grado di controllare gli squilibri all’interno della zona e,  infine, (6) una crescente resistenza politica al sistema monetario".
5. In termini di effetti pratici, al netto delle differenti soluzioni istituzional-regolatorie rispetto al gold standard, si verifica questo: in assenza di un sistema fiscale di trasferimenti federali, l'eurozona riproduce il medesimo intenzionale assetto, - incentrato sulla priorità assoluta della stabilità della moneta perseguibile solo attraverso l'aggiustamento sui prezzi interni, e principalmente sul livello salariale-, ben descritto da Draghi e mirato a correggere le posizioni di indebitamento estero (tra paesi dell'eurozona stessa), che sono conseguenza delle inevitabili differenze di competitività interne all'area.
A rafforzamento di ciò si può agevolmente rilevare, quanto alla preventiva accettazione di tali asimmetrie, (ideologicamente ordoliberista e dunque "libero mercatista istituzionale") che nei trattati si sono tralasciati, o regolati in modo vago ed elastico, profili come la stretta convergenza delle legislazioni tributarie e del lavoro; per contro, è espresso in modo lapidario il divieto, ritenuto fondamentale, della solidarietà fiscale intra-area. 
Dunque, l'assetto normativo dei trattati è obiettivamente mirato a incentivare l'esclusività di tale meccanismo di aggiustamento esattamente come il gold standard.

6. Dubitare della intenzionale coerenza di questo assetto rispetto alla sua finalità di equivalenza (nell'essenza fondamentale) al gold-standard, non ha alcun senso storico-economico e tantomeno giuridico-interpretativo.
In effetti questa intenzionalità ce la confermano:
6.1. Werner (cit. dalla Pettifor, fin dal 1962)

6.3. Einaudi, che indica, già dal 1944, gli esatti contorni della moneta unica come avente la stessa funzionalità del gold standard ai fini del sistema privilegiato di "aggiustamento" (in "I problemi economici della federazione europea" ora in in "La guerra e l'unità economica" del 1950). Egli riteneva: "Il vantaggio del sistema [di una moneta unica europea] non sarebbe solo di conteggio e di comodità nei pagamenti e nelle transazioni interstatali. Per quanto altissimo, il vantaggio sarebbe piccolo in confronto di un altro, di pregio di gran lunga superiore, che è l’abolizione della sovranità dei singoli stati in materia monetaria" (pagg. 81-82). Einaudi, poi, specifica inequivocabilmente la sua visione, fino a preconizzare qualcosa di simile ad un QE "mirato" o ad un "whaterver it takes", cioè l'outright monetary transaction del 2012 (pag.85): "...cadono talune riserve le quali sono messe innanzi da un gruppo di teorici, parti­colarmente inglesi, di cui il più noto e rappresentativo è Lord Keynes, e che qui non è il luogo di discutere particolareggiatamente. 
Riassumendo, dicono costoro che ad un singolo stato può convenire in dati momenti, particolarmente di crisi, svalutare l'unità mo­netaria (cambi esteri variabili) e tenere fermi i prezzi all'interno, piuttosto che tener ferma l’unità mone­taria (cambi esteri costanti) e lasciare ribassare i prez­zi all'nterno
Si dice che il primo metodo è più dolce e blando dell’altro, perchè non ribassando i prezzi nominali all’interno non occorre ribassare i salari nominali in moneta. Nulla cambia alla sostanza delle cose, trattandosi solo di differenti metodi di ovviare o di limitare i danni delle crisi. Come bene afferma il Robbins, non occorre che i federalisti prendano posizione in tale delicata e diffìcile materia. Se, come si deve, spetterà all’autorità federale di regolare la materia monetaria, l’autorità medesima potrà, in casi particolarmente gravi, deliberare di fare emissioni particolari di biglietti circolanti o di allargare le aper­ture di credito da parte della Banca centrale di emis­sione solo nel paese dove cotal metodo di cura appa­risse conveniente e potrà in tal caso stabilire saggi particolari di cambio fra i biglietti la cui circolazione sia ristretta ad un solo stato ed i biglietti aventi cir­colazione federale. Ma si ricorda la riserva quasi solo per memoria, essendo praticamente certo che in un grande stato federale quel metodo di cura delle crisi apparirà senz’altro sconsigliabile di fronte ad altri più efficaci, e che le crisi medesime saranno meno gravi di quel che siano in un mondo spezzettato ed irto di gelosie internazionali.”;

6.4. Erhard, economista tedesco, ministro dell'economia dal 1949 al 1963 e poi cancelliere dal 1963 al 1966, il cui pensiero economico è esposto, sempre da Einaudi, nelle "Prediche inutili" del 1959 (pagg. 296 ss.), con questa sintesi della sua visione monetaria:  
“La stabilità della moneta non vive da sé. Viga il sistema aureo o quello della moneta regolata, affinché ad esempio il principio del mercato comune europeo duri, occorre (p. 172), come in passato per il regime aureo, non ricchezza o forza, ma solo la modesta nozione che né uno stato né un popolo possono vivere al disopra delle «proprie condizioni".

6.5. Infine, Hayek  nel suo notissimo “The Economic Conditions of Interstate Federalism,” (New Commonwealth Quarterly, V, No.2 (September, 1939), ristampato in F. A  Hayek, Individualism and Economic Order, Chicago, Chicago Press University, 1948, pp. 255–72):  
“E' anche chiaro che gli stati dell'unione non saranno più in grado di perseguire una politica monetaria indipendente. Con una moneta unica, l'autonomia delle banche centrali nazionali sarà ristretta almeno quanto lo era sotto un rigido gold standarde forse anche di più dal momento che, anche sotto il tradizionale gold standard, le fluttuazioni dei cambi tra paesi erano più ampie di quelle fra diverse parti di uno Stato o di quanto sarebbe comunque desiderabile consentire nell'unione.”

7. L'essenza fenomenologica del gold standard, a funzionalità equipollente all'euro quanto alle policies di aggiustamento praticabili senza alternative dagli Stati, viene ben descritta, sul piano storico-politico, da Eichengreen (p.17.1) in
Globalizing Capital (Princeton University Press, New Jersey, 2008, pag. 2):  
"Ciò che era critico per il mantenimento di cambi fissi,.., era la protezione dei governi dalla pressione di dover sacrificare la stabilità dei cambi ad altri obiettivi. Vigendo il gold standard ottocentesco, la scaturigine di questa protezione era l'isolamento delle politiche di cambio dalle politiche interne
La pressione portata sui governi del XX° secolo a subordinare la stabilità della valuta ad altri obiettivi non costituì una caratteristica del mondo ottocentesco.
A causa della limitazione del suffragio, i lavoratori comuni che maggiormente soffrivano la durezza dei tempi, avevano scarse possibilità di obiettare agli aumenti dei tassi di interesse decisi dalle banche centrali per difendere i cambi fissi. Né i sindacati nè i partiti che potessero rappresentare i lavoratori nei parlamenti, si erano sviluppati al punto che i lavoratori potessero insistere nel rivendicare che la difesa del cambio potesse essere temperata dal perseguimento di un adeguato livello di occupazione.  
[ndr; agli effetti pratici, questa difesa democratica della classe lavoratrice dagli effetti del vincolo monetario, è esattamente ciò che "il manifesto" indica come i "sezionalismi" guerrafondai (?) da combattere, attribuendo al conflitto sociale il ruolo di uno scontro periferico rispetto ad un indefinito e, a questo punto misterioso, interesse generale, perseguibile solo da parte del solido stato internazionale!]
La priorità attribuita dalle banche centrali alla difesa dei tassi fissi (ndr; siano essi conseguenza del gold standard ovvero, come oggi in €uropa, di una moneta unica), rimaneva fondamentalmente incontestabile. I governi erano perciò liberi di difendere il mantenimento dei cambi fissi intraprendendo qualunque passo fosse ritenuto necessario.

8. Ma anche Carli (sempre in "Cinquant’anni di vita italiana", 1996 [1993], pag. 187) ci dà un'illuminante descrizione dell'effetto squisitamente "sociale" del gold standard, incontrovertibilmente, abbiamo visto, alla base del concepimento €uropeo della moneta unica (ed infatti Carli fa riferimento proprio alle "uscite" di Werner, del 1965, riportate da Ann Pettifor, sopra citata, ed altri, in particolare Rueff, consigliere economico di De Gaulle, favorevoli alla moneta unica come sistema opportunamente aggiornato di gold standard):
"Nelle Considerazioni finali pronunciate nel maggio del 1965 avevo dato ampio spazio alle implicazioni sociali della scelta di un sistema monetario piuttosto che di un altro.
E mi riferivo a Rueff quando scrivevo:
L’argine contro il dilagare del potere d’acquisto che movendo dagli Stati Uniti minaccia di sommergere l’Europa, si continua a sostenere, potrebbe essere innalzato esclusivamente mediante il ripristino del gold standard. In realtà, concezioni del genere incontravano, un tempo, un coerente completamento nelle enunciazioni che attribuivano al meccanismo concorrenziale il compito di realizzare, mediante congrui adattamenti dei livelli salariali, il riequilibrio dei conti con l’estero.
Insomma, il ritorno alla convertibilità aurea generalizzata implicava governi autoritari, società costituite di plebi poverissime e poco istruite, desiderose solo di cibo, nelle quali la classe dirigente non stenta ad imporre riduzioni dei salari reali, a provocare scientemente disoccupazione, a ridurre lo sviluppo dell’economia."


9. Ora questa equipollenza funzionale, sub specie di vincolatività senza alternative del visto sistema di "aggiustamento", sta provocando gli effetti economici e politico-sociali indicati da Carli e Eichengreen (e "auspicati" da Einaudi, Hayek e Werner). E può permettersi di farlo grazie a una forte suggestione etico-ideale che appare offuscare, nell'opinione pubblica, la vera funzione e finalità socio-economica dell'euro.
Quest'ultimo, appunto, viene eticamente promosso per il suo valore "simbolico" di un'indimostrata capacità di unire e di condurre alla pace nel continente europeo: dice sempre Ann Pettifor, cit.: 
"Tale valuta – l’euro – non solo funge da riserva di valore e facilita le transazioni finanziarie attraverso i confini nazionali – essa agisce anche come un potente simbolo dell’unità europea. Così oltre a servire gli interessi dei banchieri del Lussemburgo e dei finanzieri europei, l’euro è stato in parte creato e pesantemente venduto ai cittadini, come un presunto modo e simbolo di unione per l’Europa e gli europei. Come l’oro sotto il gold standard, la moneta ha acquisito lo status di un feticcio per molti, sia tra le élite europee a Bruxelles e a Francoforte, ma anche tra quelle nei paesi periferici").
Non a caso, per agevolare questa irenica visione simbolica, e dissimulare la stretta analogia col gold standard, un "memo" datato 11 giugno 1965 (anno in cui si esprimono nel modo già visto sia Werner che Roueff) del Segretariato di Stato americano, (come riporta Evans Pritchard sul Telegraph di aprile 2016, riferendoci del materiale di archivio desecretato), dà istruzioni al vice-presidente della Commissione europea di perseguire l'unione monetaria by stealth, cioè in modo non avvertito, sopprimendo il dibattito pubblico fino a che "l'adozione di una tale proposta non divenga virtualmente indiscutibile". 

10. Che l'euro avesse la finalità sostanziale di determinare gli effetti monetari e sociali (neo-gerarchici) del gold standard, dunque, non è per forza deducibile dalle, pur numerose (e scientificamente rilevanti), critiche degli avversatori dell'euro: basta fondarsi sugli atti istituzionali dei governi dell'eurozona che, in via ufficiale intendono mantenerlo e non contestarne la validità ma, nondimeno, si trovano sempre di più davanti al dilagante problema socio-politico determinato dall'aggiustamento salariale, cioè dall'obbligata "svalutazione interna" (e non "esterna", del cambio flessibile, ormai preclusa...irreversibilmente).
Prendiamo ad esempio quanto contenuto nell'ultimo Def approvato lo scorso mese di aprile

11. Che la "provocata disoccupazione" e la "riduzione dello sviluppo dell'economia", per usare la medesima terminologia di Carli su questo tema, siano una preoccupazione politica ormai prioritaria, lo attesta questo paragrafo del Def

"La necessaria riforma dell’Unione europea 

Il Governo italiano ritiene prioritario continuare a promuovere la propria strategia di riforma delle istituzioni europee. È necessaria una nuova governance che, accanto all’integrazione monetaria e finanziaria, dovrà ripartire dalla centralità della crescita economica, dell’occupazione e dell’inclusione sociale, introducendo strumenti di condivisione dei rischi tra i Paesi membri, accanto a quelli di riduzione dei rischi associati a ciascuno di essi. Una crescente condivisione dei rischi aumenta la capacità di aggiustamento e la flessibilità degli Stati membri agli choc, contribuendo a ridurre i rischi specifici degli stessi. La nuova governance dell’area dovrà incentivare politiche di bilancio favorevoli alla crescita, migliorandone anche la distribuzione tra gli Stati membri.

L’Europa dovrà dotarsi di meccanismi condivisi in grado di alleviare i costi delle riallocazioni del fattore lavoro e delle crisi che colpiscano un comparto o un territorio; uno strumento comune di stabilizzazione macroeconomica consentirà anche ai Paesi soggetti a vincoli di bilancio stringenti di adottare politiche anticicliche, facendo fronte all’aumento del tasso di disoccupazione in caso di choc asimmetrici. La maggiore condivisione dei rischi tra i Paesi non ridurrebbe gli incentivi all’adozione delle riforme nazionali. Invece, la mancata condivisione degli sforzi per far fronte a nuove sfide comuni rischia di mettere a repentaglio beni pubblici europei essenziali per il processo d’integrazione".

12. E' evidente che il riferimento alla riforma, o "nuova governance", consistente nel dotarsi di "meccanismi condivisi in grado di alleviare i costi delle riallocazioni del fattore lavoro e delle crisi che colpiscano un comparto o un territorio", e nello "strumento comune di stabilizzazione macroeconomica", si riferisce alla funzionalità gold standard dell'euro, cioè ai costi sociali, sulla crescita e (conseguentemente) di consenso politico che derivano dal divieto normativo di solidarietà fiscale (e tra Stati: cfr; artt. 123, 124 e 125 TFUE), posto deliberatamente nei trattati, che prelude alla vincolatività del sistema di aggiustamento manutentivo dell'euro a carico dell'occupazione e dei livelli salariali
Un divieto, oltre che esplicito (e non se ne parla mai abbastanza) considerato peraltro, esplicitamente, essenziale, cioè come presupposto decisivo della stessa adesione ai trattati dei paesi principali, come confermato da plurime indicazioni delle istituzioni UE nel corso del tempo. 
Esemplifichiamo (ex multis):
12.1.)  Risoluzione sull'Unione Economica e Monetaria (doc. A 3-99/90) il Parlamento Europeo:

“A) considerando che l'Unione: economica e monetaria costituisce un obiettivo della Comunità dichiarato reiterato dal 1969 fino al suo inserimento nel Trattato CEE mediante l'Atto Unico ed esplicitamente ribadito dai Consigli europei di Hannover, Madrid e Strasburgo,

B) considerando che un'armonica realizzazione di tale obiettivo è strettamente legata a un'accelerazione dell'Unione politica della Comunità, con una revisione dei trattati che determini un rafforzamento del ruolo del PE; considerando che l'Unione politica s'impone tanto più in considerazione della riunificazione della Germania e degli sviluppi in corso nei paesi dell'Europa orientale…

C) considerando che il completamento del grande mercato interno non potrà produrre in maniera costante e permanente tutti i vantaggi che si aspettano i cittadini se non verrà rapidamente consolidato da un'Unione economica e monetaria in cui l'uso progressivo di una moneta comune (l'ECU) finirà per portare a una moneta unica…

G) considerando che l'Unione monetaria deve garantire la stabilità monetaria e favorire il progresso economico e sociale, e che tali finalità potranno essere garantite attraverso un sistema europeo di banche centrali, la cui autonomia dovrà fondarsi su basi giuridiche chiare,

H) considerando che il Sistema europeo di banche centrali (SEBC) deve godere del privilegio esclusivo della creazione monetaria, e quindi della capacità di utilizzare, senza alcuna autorizzazione preventiva, tutti gli strumenti di cui le grandi banche centrali moderne dispongono oggi par influenzare i mercati monetari…”
...“M) considerando che, per evitare che le autorità nazionali nuocciano all'obiettivo della stabilità monetaria e alla convergenza delle politiche macroeconomiche degli Stati membri, DEVONO ESSERE ADOTTATE NORME SEVERE CHE LIMITINO RIGOROSAMENTE il finanziamento monetario dei disavanzi pubblici E PROIBISCANO IL SALVATAGGIO AUTOMATICO, da parte della Comunità, DEGLI STATI MEMBRI IN DIFFICOLTÀ FINANZIARIA…
...PLAUDE alla decisione delle autorità degli Stati membri DI PROIBIRE IL FINANZIAMENTO MONETARIO DEL DISAVANZO PUBBLICO E L'INTERVENTO AUTOMATICO DELLA COMUNITÀ IN SOCCORSO DEGLI STATI MEMBRI CHE VERSANO IN DIFFICOLTÀ DI BILANCIO…
...considera necessario creare un sistema europeo di banche centrali che decida autonomamente come attuare gli obiettivi della politica monetaria definiti dal Consiglio e approvati dal Parlamento…; onde evitare che le autorità nazionali nuocciano all'obiettivo della stabilità monetaria e della convergenza delle politiche macroeconomiche degli Stati membri, DOVRANNO ESSERE ADOTTATE SEVERE NORME CHE LIMITINO RIGOROSAMENTE IL FINANZIAMENTO MONETARIO DEI DISAVANZI PUBBLICI E PROIBISCANO IL SALVATAGGIO AUTOMATICO DELLA COMUNITÀ, DEGLI STATI MEMBRI IN DIFFICOLTÀ…”;
12.2.)  Ancora, Europe/Documenti pubblicava quindi questo secondo rapporto dal titolo “L'unione Economica e monetaria al di là della prima tappa - Orientamenti per la preparazione della Conferenza intergovernativa”. A pag. 2, punto 4), intitolato “I principi di una sana politica di bilancio”, veniva riportato testualmente quanto segue:
“… I seguenti elementi potrebbero essere incorporati nel Trattato:
Gli Stati membri adottano politiche di bilancio conformi ai principi della disicplina di bilancio. Per il Comitato monetario, questi principi sono i seguenti:
(i) OGNI FINANZIAMENTO MONETARIO ED OGNI FINANZIAMENTO OBBLIGATORIO DEI DEFICIT PUBBLICI DEVE ESSERE ESCLUSO. Ciò significa che i governi non devono aver accesso al finanziamento da parte della banca centrale e che gli istituti finanziari non devono essere obbligati ad acquistare titoli di Stato per finanziare il deficit del settore pubblico. Le operazioni del SESC su titoli di Stato interverrebbero solo per motivi inerenti alla politica monetaria.
Il rispetto di questo principio proteggerà il buon funzionamento della politica monetaria, ma CONTRIBUIRÀ ANCHE A GARANTIRE CHE I GOVERNI SIANO SOTTOPOSTI ALLE CONDIZIONI DEL MERCATO QUANDO PRENDONO A PRESTITO. Inoltre, quando un governo prende a prestito nella moneta di un paese terzo, nessuna banca centrale dovrà essere tenuta a convertire il prodotto di questo prestito nella propria moneta.
(ii) Ogni stato membro deve assumere la responsabilità della propria gestione di bilancio e deve assicurare che è in grado di rispettare i propri impegni. Dev'essere chiaro che i paesi membri non garantiscono i debiti di altri paesi membri. QUESTA REGOLA DEL "NO BAIL OUT" PERMETTERÀ DI ASSICURARE CHE I MERCATI FINANZIARI ESERCITINO UNA DISCIPLINA SU OGNI STATO MEMBRO CHE CONDUCA UNA POLITICA DI BILANCIO CHE NON SAREBBE APPROPRIATA IMPONENDO CONDIZIONI DIVERSE SUI SUOI PRESTITI, o, in casi estremi, rifiutando di imprestare…”.


13. Il  recepimento dei principi "progettuali" della moneta unica,  e del connesso quadro del vincolo fiscale sui singoli Stati aderenti, è poi, in effetti, avvenuto e viene ribadito con convinzione dopo l'entrata in vigore del trattato ed anche in epoca post-crisi del 2008 con (sempre ex multis):
"Il divieto di finanziamento monetario è fondamentale per assicurare che il raggiungimento dell’obiettivo primario della politica monetaria (principalmente il mantenimento della stabilità dei prezzi) non sia ostacolato. Inoltre, il finanziamento del settore pubblico da parte delle banche centrali attenua gli incentivi per una *disciplina di politica fiscale*. Tale divieto deve pertanto essere interpretato estensivamente in modo da assicurare una sua rigorosa applicazione ed è soggetto solo ad alcune esenzioni limitate contenute nell’articolo 123, paragrafo 2, del trattato e nel Regolamento (CE) n. 3603/93." 
b) il regolamento 3603/93, considerando 8, che chiarisce la ratio dell'eccezione rispetto al principio generale: 
"considerando che, nei limiti fissati dal presente regolamento, l'acquisizione diretta, da parte della banca centrale di uno Stato membro, di titoli negoziabili del debito pubblico di un altro Stato membro non può contribuire a sottrarre il settore pubblico alla *disciplina dei meccanismi del mercato* se l'acquisizione è effettuata unicamente ai fini della gestione delle riserve valutarie;"

14. La forza consolidata della volontà politico-negoziale di questi fondamenti istituzionali trasposti nei trattati, rende realisticamente impraticabile qualunque volontà di riforma nel senso auspicato nel Def dal governo italiano; e non solo da esso (come vedremo) e non solo da...adesso. 
Si tratta di una diatriba "riformistica" di lunga data, sempre infrantasi sull'effettivo costo della solidarietà fiscale per la Germania (e gli altri Stati in forte surplus dei conti con l'estero), stimato realisticamente da Sapir ad esempio. A questa ormai poco convinta rivendicazione "solidale" viene opposto (con successo): 
a) il pacta sunt servanda, cioè l'irrevocabilità (più o meno correttamente sostenibile sul piano delle regole del diritto dei trattati) di vincoli assunti volontariamente dagli Stati, per quanto onerosi possano poi rivelarsi; 
b) ai fini di adozione di regolamenti o "risoluzioni" (v. ad es; l'OMT, cioè il whatever it takes annunciato da Draghi) che introducano la flessibilità e/o la "solidarietà", l'essenzialità stessa delle clausole sul divieto di solidarietà fiscale, che giustificherebbero, comunque, la legittimità del richiamo tedesco alla teoria della "presupposizione" e quindi alla nullità di ogni modifica dei principi dei trattati che ne costituiscono Voraussetzungen: cioè presupposti essenziali della stessa conclusione del trattato, tali da risultare invocabili davanti alla stessa Corte GUE, e, prima ancora, davanti alla Corte costituzionale tedesca, per sancire la nullità/inefficacia dell'introduzione di ogni meccanismo solidaristico di tal genere; 
c) l'esigenza dell'unanimità per poter comunque introdurre una sostanziale modifica del trattato UE e FUE (a prescindere dall'invocabilità della procedura ex art.48 TUE, in forma ordinaria o semplificata).

15. Quanto appena detto consente di diagnosticare che i governi dei paesi dell'eurozona, nell'eseguire gli adempimenti imposti dai trattati (e dalle loro fonti via via applicative, in materia finanziaria pubblica), attraverso le c.d. "riforme strutturali", (non casualmente imperniate su misure che mettono in scena una diretta o indiretta riforma permanente del mercato del lavoro, a fini di aggiustamento deflattivo), ben sappiano, o comunque siano realisticamente in grado di sapere, che ogni riforma dei trattati "solidaristica" tesa a rendere sostenibile la situazione sociale, di crescita e, perciò, di consenso politico, è un mero wishful thinking. 
Ed infatti, nessuno Stato dell'eurozona, tantomeno in associazione con altri aventi interessi convergenti, ha mai in concreto formalizzato una proposta in tal senso, ai termini dell'art.48 TUE, quantomeno per aprire un fronte minimo di discussione.  

16. Preclusa la via negoziale principale da rapporti di forza intergovernativi che fanno propendere per una posizione dominante della Germania divenuta inscalfibile, e quindi una strada realmente risolutiva, proprio in questi ultimissimi giorni si è resa pubblica,  un'iniziativa congiunta tra i governi italiano, francese, portoghese e spagnolo. E la si è intrapresa, si può obiettivamente arguire, probabilmente proprio per poter mostrare, davanti allo scontento degli elettorati, l'esistenza di una speranza per i problemi di crescita e di disoccupazione, ormai strutturali e irrisolvibili, nell'eurozona, rebus sic stantibus.
Questa iniziativa agisce su aspetti tecnico-econimici della disciplina applicativa del c.d. fiscal compact e suggerisce alcune possibili varianti sulle modalità di calcolo "controfattuale" dello scostamento della crescita dal suo potenziale (output-gap) nonché sul connesso rilievo del livello di "piena occupazione": quest'ultimo infatti, incorpora ormai livelli crescenti di disoccupazione considerata "strutturale", ma, così facendo, riflette la natura fisiologica e progressivamente distruttiva dell'aggiustamento consentito nell'eurozona.
A questo link si può leggere il testo (in inglese) della lettera indirizzata, da parte dei quattro ministri economici interessati (Padoan, Sapin, Centeno e De Guindos) a Dombrovsky e a Moscovici.

16.1. Oggetto delle obiezioni" metodologiche", rispetto ai criteri di sorveglianza sull'andamento di bilancio dei singoli Stati, sono, appunto, aspetti come la "crescita potenziale" (cioè in base ad un supposto pieno impiego dei fattori disponibili in un certo paese), l'output-gap (cioè il differenziale negativo, che include la maggior disoccupazione, rispetto all'ipotesi di crescita potenziale) e la velocità a cui tale differenziale si starebbe chiudendo. Il prolungarsi della crisi, e la difficoltà del recupero dei livelli precedenti di prodotto e di crescita, renderebbero, secondo i firmatari della lettera, incerta l'attendibilità dei modelli attualmente utilizzati dalla Commissione.
Si pone l'accento proprio sull'impatto occupazionale, e quindi sulla crescita (in termini di compressione della domanda interna, anche se ciò non viene esplicitato, ma solo necessariamente sottinteso) delle "riforme strutturali" concepite, nell'eurozona, a fini di aumento della competitività: si intuisce la critica verso il modello di crescita, e verso i paradigmi macroeconomici, dell'eurozona, che mimando il modello tedesco, puntano esclusivamente ad una crescita export led.
Beninteso la critica è "sfumata" e si dirige su aspetti che potrebbero definirsi "econometrici", cioè di parametri e incidenza di fattori inseribili nel calcolo, proponendosi perciò metodologie alternative che aumentino la stima del potenziale di crescita e, di conseguenza, del differenziale rispetto a tale condizione ricalcolata, facendo emergere spazi più ampi per ritenere rispettati i criteri di sorveglianza fiscale. In definitiva, consentendo più ampi margini di deficit strutturale e, quindi, più intervento fiscale degli Stati in funzione anticiclica (cioè, nel caso, teso a ridurre la disoccupazione e ad aumentare la crescita).

17. L'intento è lodevole. 
Ma, nel quadro negoziale e di rapporti di forza interni all'eurozona, e, quindi, di essenzialità delle norme che i trattati pongono a presidio del finanziamento voluto dell'eurozona, si può predire, fin da ora, il sostanziale "non liquet" che ne risulterà.
Una maggior tolleranza nel registrare i livelli di indebitamento statale consentiti annualmente, avrebbe come effetto di vanificare l'aggiustamento finora ottenuto e di rilanciare, attraverso la ripresa della domanda interna, - sia pur limitata dalla mera natura correttiva dei metodi alternativi proposti, pur sempre coerenti col risultato finale, spostato in avanti, del raggiungimento del pareggio strutturale di bilancio-, squilibri di inflazione e di flussi di capitali tra i paesi più competitivi e quelli oggi ancora debitori (parliamo di saldi delle partite correnti e di posizioni nette sull'estero). L'eurozona si è ormai attestata su un peculiare circolo vizioso (o "uroboro"): il potenziale di crescita dei paesi "in partenza" meno competitivi, se pienamente espresso, condurrebbe a un aumento delle importazioni tale da riprodurre, nella sua dinamica, il problema di asimmetrie e di debito commerciale, che le politiche di austerità hanno inteso correggere (come appunto "spiegato" da Draghi in modo fin troppo chiaro).

18. In sostanza, dunque, il rimedio compromissorio fondato su un calcolo di più elevati differenziali di crescita e su più bassi livelli naturali di disoccupazione che rifletterebbero l'effettivo potenziale di crescita, deve comunque fare i conti col divieto di solidarietà fiscale stabilito nei trattati e con la realtà provocata, nel periodo in cui s'è applicata l'attuale metodologia (quantomeno a partire dal 2010): cioè la deindustrializzazione fortemente selettiva, delle varie filiere interne ai paesi dell'eurozona, ormai a uno stadio avanzato, e tipico delle aree free-trade dove agisce il principio ricardiano dei "vantaggi comparati", per cui i paesi più forti si specializzano nelle produzioni a più alto valore aggiunto e lasciano via via, ai paesi più deboli, le produzioni meno" redditizie", fissandone per il futuro la condizione di assoggettamento politico-commerciale (in termini quasi-coloniali: ed infatti, questo sistema trova proprio il suo antecedente nei rapporti tra "centro" imperialista e colonie, durante i secoli XVIII e XIX, per debordare in conflitti e tensioni "finali" nel XX secolo).

Questo insieme di dinamiche, istituzionalizzate nei trattati, ha portato a privilegiare la (mera) sopravvivenza delle industrie legate all'esportazione ma ha pure simultaneamente instaurato una situazione per cui, a fronte di una (sia pur calibrata e limitata) espansione della domanda interna per via fiscale, non sarebbe più pienamente possibile rimediare tramite il c.d. "effetto sostituzione" delle merci importate con quelle prodotte nei singoli Stati, al fine di bilanciare i conti negativi con l'estero.

19. Oggi l'Italia, per fare l'esempio del paese più sano, dal punto di vista dei conti con l'estero, tra quelli firmatari della lettera, è in questa situazione (tratta dall'ultimo bollettino Bankitalia di aprile):


Un risultato non trascurabile su un certo piano (il deficit della PNE è stato quasi dimezzato e risulta "fuori pericolo" rispetto al livello considerato "di guardia" per qualsiasi paese); e tuttavia con risvolti negativi altrettanto "importanti" sul piano della sostenibilità sociale (e quindi politica), proprio nei sensi indicati da Carli (profeticamente, ma non troppo, nel 1965), che si stanno progressivamente manifestando. 

19.1. La conferma implicita di ciò è desumibile dalle stesse valutazioni di Moscovici sulla "manovrina" di correzione e sulla traiettoria dei nostri conti pubblici (traiamo dall'ANSA)
"Stiamo valutando i piani di stabilità e riforme italiani e di altri Paesi, per l'Italia sappiamo che questa valutazione è particolarmente complessa perché bisogna valutare la regola del debito e la manovra da 0,2%. E questa (correzione, ndr), a prima vista, sembra essere tale", ha aggiunto.
Il mantenimento dei medesimi obiettivi programmatici stabiliti nell'ottobre scorso e la disattivazione completa delle clausole di salvaguardia sulle imposte indirette "determinerebbero la necessità di predisporre, nei prossimi mesi, misure almeno pari a circa 1 punto percentuale di Pil nel 2018 e a circa 1,5 punti percentuali nel biennio successivo, senza peraltro considerare la necessità di finanziare ulteriori interventi dichiarati dal Governo per sostenere la crescita e l'occupazione". Lo scrive l'Upb nel Rapporto sulla programmazione di bilancio 2017 dedicato al Def e al Pnr."

19.2. Ecco: il passaggio saliente riguarda proprio la "necessità di finanziare ulteriori interventi dichiarati dal Governo per sostenere la crescita e l'occupazione". 
Il presupposto implicito è che ottemperare, - con la "manovrina" e poi, in misura maggiore, con la legge di stabilità-, ai livelli di correzione fiscale richiesti dalla Commissione, pone il concreto pericolo di finire, nel 2018, nuovamente in recessione (come già avvenuto nel triennio 2012-2014): si tratta infatti di assorbire un consolidamento fiscale di 1,2 punti di PIL, soggetto ad un moltiplicatore superiore all'unità rispetto alla crescita, laddove una stima ottimistica della crescita 2018 si aggira intorno all'1% del PIL, ma a legislazione sostanzialmente invariata.

20. Ma Moscovici, conscio di questo effetto, (anche se non "può" dichiararsi consapevole che i moltiplicatori fiscali applicati dalla Commissione non sono realistici), già sconta che il governo italiano, di fronte a questa dura prospettiva, assumerebbe misure di bilanciamento anticicliche "espansive". Perciò avverte che queste stesse misure dovrebbero essere sostenute in pareggio di bilancio: cioè finanziate rispettando i saldi di deficit strutturale indicati dalla Commissione. 
Il che ne vanificherebbe ogni aspetto espansivo.
Salvo ricorrere a una imposizione fiscale straordinaria, o comunque inasprita, sul patrimonio mobiliare e immobiliare degli italiani
Ciò avrebbe però non indifferenti effetti repressivi dei consumi (in funzione della propensione marginale al consumo della ricchezza patrimoniale, mobiliare e immobiliare, già calcolata dall'ufficio studi di Bankitalia) e, quindi, della domanda interna, proprio per evitare la sua espansione orientata, giocoforza, all'importazione.

20.1. L'euro sarebbe salvo, ma non gli italiani; certamente non si potrebbe ragionevolmente ridurre la disoccupazione, in una situazione di continua contrazione o stagnazione (nella migliore delle ipotesi) della domanda interna.
Le filiere che esportano continuerebbero a farlo (forse: dipende anche da fattori congiunturali dell'economia mondiale), ma altre industrie, per contro, sarebbero costrette a chiudere per sempre. O a finire nelle mani straniere di concorrenti che hanno il principale interesse di depredare gli impianti acquisiti dell'"avviamento" costituito dai marchi (ove siano ancora prestigiosi) e delle (residue) competenze.
Ritardare questo processo, mediante una maggior larghezza di vedute nel calcolo della "crescita potenziale" (cioè una "miniriforma" delle regole tecniche europee di bilancio), a un certo punto di sviluppo di questo paradigma, potrebbe persino rivelarsi inutile: la deindustrializzazione incombente darebbe ragione alle attuali metodologie della Commissione. 
E' solo questione di tempo, in effetti. Ma, più probabilmente, la lettera di sollecitazione dei ministri dei quattro paesi "latini", sarà oggetto di melina e di discussione di circostanza da parte di istituzioni che vivono sotto l'influenza dominante della Germania. 
Almeno per arrivare, fingendo di considerare l'eventualità, al fatto compiuto della piena realizzazione degli effetti strutturali del gold standard-euro.

7 commenti:

  1. Premessa: se lo ritieni troppo offensivo non pubblicare il commento. Del quale, tuttavia, mi assumo la responsabilità.

    Leggo: "Se, come si deve, spetterà all’autorità federale di regolare la materia monetaria, l’autorità medesima potrà, in casi particolarmente gravi, deliberare di fare emissioni particolari di biglietti circolanti o di allargare le aper­ture di credito da parte della Banca centrale di emis­sione solo nel paese dove cotal metodo di cura appa­risse conveniente e potrà in tal caso stabilire saggi particolari di cambio fra i biglietti la cui circolazione sia ristretta ad un solo stato ed i biglietti aventi cir­colazione federale"

    Sbalio (nel qual caso corigemi)) o qui si preconizzano i certificati di credito fiscali, o comunque monete parallele o comuni, tanto carine e tanto belle - basta che non si affronti il toro per le corna le quali (corna), si sa, fanno tanto tanto male? "Bua bua bua" strillano i bimbini, e tornano spaventati tra le braccia della Macron... oops della maman. Che sempre puttana è, e liberoscambista.

    Lascia perdere, non pubblicare, sono solo incazzato come una biscia. E scusa.

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    1. Hai invece svolto un'acuta osservazione: il dettaglio che rilevi non è secondario...

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  2. Non ce la fanno, Presidente, è inutile, non ci vogliono arrivare. Se anche il chihuahua della mia vicina ha capito come stiamo – al solo pronunciare in sua presenza la parola “€uro” si mette a ringhiare – allora davvero €SSI sono in malafede.

    Mi permetto di richiamare, ad integrazione del post, la Sua limpida sintesi storica, ideologica e giuridica de L€uropa proposta in occasione del Goofy5: qualsiasi modifica dei trattati (per di più in senso solidaristico!) è “un’antimateria che…se si incontrasse con la materia politica dei trattati, si annullerebbero a vicenda distruggendoli”. Insomma è come chiedere ad una mucca di non fare più latte. Impossibile.

    In illo tempore il rapporto mezzo-scopo (in diritto dei contratti si parla di “causa”) nelle categorie aristoteliche avevano un senso. Oggi non più, perché la sete manicomiale di potere e profitto a tutti i costi a danno delle costituzioni democratiche (e quindi della pelle dei lavoratori) ha praticamente spianato tutto. Il Truman show deve continuare sino al naufragio. E quando il naufragio si materializzerà, €SSI avranno anche la faccia da culo di raccontarci che ci avevano provato a cambiare rotta! L’attuale classe dirigente si comporta come i nostri alti ufficiali di Caporetto: la disfatta è sempre colpa della truppa che si è arresa ignobilmente. Menzogne propagandate per anni.

    Per loro sfortuna, però, ci saranno i documenti di Quarantotto e di altri pochissimi - come il diario di guerra e di prigionia di Gadda - a dimostrare esattamente il contrario, ovvero che sono degli asini, asini, asini. Perché è sempre l’eterno ritorno dell’uguale?

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    1. Peraltro, la situazione è preoccupante.
      Prende sempre più piede l'idea che il dissenso conduca a un voto "non consapevole" (così, da ultimo, dopo i Severgnini, i Riotta e altri influencers oggettivamente elitari, Cecilia Strada su twitter) e come tale non legittimo.

      L'accusa di fascismo alla Le Pen, per dire, appare come una clausola preventiva che autorizzi una svolta autoritaria di sospensione (sine die) dei diritti politici, ove mai le elezioni non fossero più a esito "idraulicamente" predeterminabile.

      Senza contare che Macron, quand'anche vincesse domenica, si troverebbe a dover poi fronteggiare delle elezioni legislative, a giugno, avendo già mostrato il suo vero volto alla stordita opinione pubblica francese: non tanto con misure concrete, che pure dovrebbe in qualche modo manifestare, rivelando comunque le sue priorità (ben occultate nello spezzatino cosmetico del programma elettorale), quanto con l'atteggiamento di sudditanza verso la Germania che sarebbe ben più difficile da nascondere nelle prime settimane di presidenza.

      Ergo; cavalcano un toro invece di una mucca, e saranno tentati di fare i toreri (cioè, abbattere il popolo riottoso con le cattive), piuttosto che i cowboys (cioè quelli che cercano di tenersi in sella il più a lungo possibile ma sapendo che saranno sbalzati fragorosamente)

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  3. Eichengreen sul Sole ci dice oggi che sì, l’euro e l’adesione dell’Italia al medesimo possono essere considerati errori, ma uscirene…follia! E poi le “riforme” chi le fa? Notevole che non ci sia la minima menzione di una certa questioncella…

    Sì, perché il nostro nel 2010 aveva dedicato un paper in cui ci spiegava, con Peter Temin, che “the gold standard and the euro are extreme forms of fixed exchange rates” e se “we are lucky to have avoided another catastrophe like the Great Depression in 2008-9, mainly by virtue of policy makers’ aggressive use of monetary and fiscal stimuli, the world economy still is experiencing many difficulties. As in the Great Depression, this second round of problems stems from the prevalence of fixed exchange rates.”.

    E perché? Presto detto: “The adjustment mechanism for deficit countries was deflation rather than devaluation, that is, a change in domestic prices instead of a change in the exchange rate.
    This last point—the choice of deflation over devaluation—can be seen clearly in contemporary views at the nadir of the Depression. Lionel Robbins argued that ‘a greater flexibility of wage rates would considerably reduce unemployment’. He applied this view to the Depression: ‘If it had not been for the prevalence of the view that wage rates must at all costs be maintained in order to maintain the purchasing power of the consumer, the violence of the present depression and the magnitude of the unemployment which has accompanied it would have been considerably less’. Robbins had the wit to acknowledge that this was a ‘hard saying’ and to insist that all prices, not just wages, needed to be flexible. These caveats did not moderate his prescription; they simply exposed the depth of his conviction that internal deflation was the only way to deal with a
    fall in demand (Robbins 1934, p. 186).


    Sostituiamo “deflazione interna” con “fare le riforme” e spiegatemi qual è la differenza fra l’hard saying del Robbins degli anni Trenta e quello dell’Eichengreen di oggi.

    Al contrario, nel 2010, il nostro così concludeva (pagg. 24-5): “The point is that an exchange rate system is a system, in which countries on both sides of the exchange rate relationship have a responsibility for contributing to its stability and smooth operation. The actions of surplus as well as deficit countries have systemic implications. Their actions matter for the stability and smooth operation of the international system; they cannot realistically assign all responsibility for adjustment to their deficit counterparts. Keynes drew this lesson from the experience of the Great Depression. It was why he wanted taxes and sanctions on chronic surplus countries in the clearing union proposal that he developed during World War II. Sixty-plus years later, we seem to have forgotten his point.

    Tra gli smemorati bisogna ovviamente includere pure l’Eichengreen odierno.

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  4. Ma c’è di più. Torniamo a Globalizing Capital, a proposito del peg argentino (pag. 210): “Apologists for the currency board insisted that blame for this catastrophe rested not with the exchange rate regime but with the government’s failure to maintain fiscal discipline and push through structural reforms over political opposition. [cioè quello che sostiene Eichengreen oggi] A more realistic assessment is that these ancillary requirements for a smoothly functioning currency board are simply too demanding for a democratic society. By locking itself into a rigid peg with no exit, Argentina effectively sealed its fate.”.

    Evidentemente non è però “too demanding” Barry Eichengreen per raccomandare misure che lui stesso ritiene incompatibili con la democrazia, nella nozione che può averne un economista americano mainstream.

    Qualcuno ne è stupito?

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    1. Credo che il momento storico conti, eccome: oggi, hanno utilizzato in modo talmente efficace la storia dei populismi, che ciò che era evidente, e poteva indurre alla prudenza, all'indomani della crisi del 2008 e dell'inizio della reazione deflazionista €uropea, appare un pericolo disinnescato.

      In pratica, l'auto-azzeramento delle sinistre, impegnate a giustificare il tradimento dei più elementari principi identitari, si è rivelato un danno assorbibile: sono divenute superflue persino al fine di rendere accettabili, in forma di slogan cosmetico e di feticcio irenico, le trite politiche restaurative del capitalismo sfrenato.

      Si sono accorti (ESSI) che ormai il corpo sociale non ha più effettive capacità di autotelarsi e difendere la democrazia.
      Ormai siamo nella condizione ideale affinché il conflitto armato sia visto come inevitabile e ultimativo sistema di correzione (rilancio degli investimenti e della domanda e soluzione concentrata del problema demografico e occupazionale)

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