venerdì 8 giugno 2018

€UROPA E WELFARE: TRA RIMEDIO AL PAUPERISMO, ONG E LEGALITA' COSTITUZIONALE


INTRODUZIONE
Forniremo un breve reminder che riguarda il concetto di welfare e la sua accezione fondativa del modello "legale-costituzionale", irriducibilmente alternativa a quello irresistibilmente sospinto dal vincolo esterno (in realtà, l'intero blog è rivolto a questa precisazione di paradigmi, come pure i due libri che traggono dal materiale emerso dal blog il loro contenuto di ricostruzione della legalità costituzionale).
Cercherò di integrare, per punti essenziali, il contenuto di vari post e di alcuni importanti commenti che ne sono scaturiti e che ci riportano a "fonti" che potremmo assumere quale interpretazione "quasi-autentica" del testo costituzionale. 

1. Premessa definitoria dei paradigmi alternativi interni alle moderne società ad economia capitalistica.
Esistono due tipi di welfare. Perchè esistono due modelli di società che poi sono due diversi modelli di capitalismo: uno è quello costituzionale e l'altro è quello "internazionalista-oligarchico-finanziario".
E infatti esiste un welfare "costituzionale", chiaramente identificabile in base alle previsioni della Carta fondamentale e un welfare "euro-trainato", che tende a orientare la società verso il modello finanziario-oligarchico del mainstream neo-classico.
Questi, sul piano economico, corrispondono a un ulteriore dualismo qui più volte evidenziato, che si incentra su due concetti diversi e incompatibili di "piena occupazione".
Questo dualismo era in realtà ben chiaro ai nostri Costituenti, che, nelle (forse irripetibili e purtroppo transitorie) condizioni in cui si diede vita all'Assemblea Costituente, non ebbero esitazione nella scelta tra le due opzioni. 
2.1.  La formula tattica e cosmetica della "economia sociale di mercato" tra Hayek, il vincolo europeo e il sistema delle Ong all'interno del welfare assistenziale e privatizzato.
La loro alternatività, irriducibile ad una presunta e tattica "Terza Via", o "economia sociale di mercato" (quale esplicitamente introdotta nei principi-chiave dei trattati europei, cfr; qui, p.9, infine) era in verità, un tempo, un patrimonio comune della cultura giuridico-costituzionale della Repubblica 
Il welfare connesso allo Stato democratico pluriclasse, basato sull'eguaglianza sostanziale, non coincide con il welfare liberal-liberista proprio della maggior parte della storia capitalistica anglosassone: un welfare, quest'ultimo, basato sull'idea "compassionevole" di soccorrere per mano pubblica, in via surrogatoria e residuale - rispetto alla carità meramente privata, quella dei "filantropi", che può opportunamente essere istituzionalizzata attraverso le Ong, in modo da rafforzare l'esclusione dello Stato-corrotto dai suoi compiti pubblicistici esponenziali di tutte le classi sociali- , il bisognoso e l'indigente per evitare che i loro atti di disperazione sconvolgano l'ordine sociale (propizio allo svolgersi delle forze del mercato). 
Si tratta, come è ben noto, di versioni tatticamente aggiornate della folgorante visione di Hayek (qui, p.2.1. ex multis): 
«Nel Mondo Occidentale, fornire agli indigenti e agli affamati per cause al di fuori del loro controllo una qualche forma di aiuto è una pratica oramai accettata come dovere dalla comunità. In una società industriale nessuno dubita che una qualche forma di intervento sia in questi casi necessaria, fosse anche solo nell’interesse di coloro che devono essere protetti da eventuali atti di disperazione da parte dei bisognosi.».
3. La scelta legale-costituzionale come corollario della "Repubblica fondata sul lavoro".
Vezio Crisafulli, - uno dei più importanti costituzionalisti del secondo dopo-guerra (un tempo gli studenti si formavano essenzialmente sui testi scritti da lui e da Costantino Mortati)-, ci mostra come il "respingimento" della concezione hayekiana, e del liberalismo "ristretto" anglosassone (in Italia einaudiano) che, dopo la crisi del 1929, su Hayek ha fatto affidamento come proprio autentico vessillo ideologico e politico, ma anche molto operativo (qui, p.2), fosse ben cosciente nella scelta legale-costituzionale: 
E anche questo i costituzionalisti lo sapevano e lo dicevano: “Giacché il principio della pubblica assistenza, pur rappresentando certamente un passo avanti rispetto alla beneficenza privata, si inquadra peraltro nel clima umanitaristico dell’epoca; era, in pratica, l’unico mezzo per alleviare il disagio dei meno abbienti senza venir meno ai principi fondamentali del nuovo ordinamento liberale borghese realizzato o confermato e consacrato da quelle Costituzioni
Tra tutte le possibili forme di intervento statale nella sfera dei rapporti economico-sociali, era ed è dunque, indubbiamente, il meno penetrante, il più consono alle ideologie allora imperanti, il meno compromettente.”
Nella Costituzione del '48, invece, non si tratta più del “concetto, vago e genericamente umanitaristico, dell’assistenza dovuta dalla collettività ai cittadini bisognosi, del rimedio al pauperismo, come nei primi accenni contenuti nelle vecchie Costituzioni che abbiamo rapidamente richiamato al par. precedente; ma è proprio l’affermazione di principio del diritto dei cittadini, ed in modo speciale dei cittadini in quanto lavoratori, a certe determinate prestazioni, in largo senso, assistenziali; diritto che, di solito, si configura sistematicamente come integrativo del fondamentale diritto al lavoro e all’attuazione del quale vengono chiamate a corrispondere, almeno in larga parte, le leggi e le istituzioni « previdenziali »”. (V. Crisafulli, Costituzione e prevenzione sociale, Rivista degli Infortuni e delle Malattie Professionali, 1950, n. 1 (gennaio-febbraio), ora in La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Giuffè, Milano, 1952, pagg. 122 e 125).
4. Il senso dei principi fondamentali della Costituzione e il suo modello economico di partecipazione pluriclasse alla crescita in condizione di pieno impiego.
La Costituzione presuppone che la Repubblica democratica, essendo fondata sul lavoro (art.1), garantisca o tenda a garantire la piena occupazione in senso keynesiano, cioè di utilizzazione più ampia possibile della forza lavoro, considerando la disoccupazione uno stato residuale che (solo) l'intervento pubblico tende a riassorbire a livelli fisiolgici.
Il modello di capitalismo neo-classico di Maastricht e dell'UEM, considera la piena occupazione il risultato di un riequilibrio "naturale" dell'effetto sistemico di domanda e offerta; tale principio incide anche sul "lavoro", considerato alla stregua di qualunque altro fattore della produzione o merce, e quindi implicando il riequilibrio mediante un'alta flessibilità salariale. Il cui primo riflesso attuativo è la progressiva eliminazione per via legale, degli elementi che determinano tale rigidità: primi i meccanismi di indicizzazione salariale e poi, in varie forme, la stessa stabilità della posizione lavorativa, depotenziata attraverso forme di lavoro appunto "instabili" e poi attraverso un nuovo regime di licenziamenti, cioè la flessibilità "in uscita" .

4.1. L'attuazione ormai prevalente del modello normativo ordoliberista dei trattati europei: welfare subordinato all'istituzionalizzazione del lavoro-merce.
La piena occupazione sarebbe raggiunta in presenza di qualunque livello di riequilibrio del prezzo del lavoro e il processo implica di vincere le resistenze a tale elasticità mediante un mercato del lavoro normativamente inteso a disattivare i meccanismi che innescano ogni rigidità all'adattamento dei salari verso le esigenze del sistema produttivo. E normativamente imposto dall'UE non dalla Costituzione. Il che determina fisiologicamente, nel tempo, un grado di disoccupazione stabilmente più elevato, e comunque funzionale a tale obiettivo di piegare le resistenze dei lavoratori ad accettare salari inferiori secondo le esigenze di aggiustamento dettate dall'aggiustamento dei costi delle imprese.
Poichè questo riequilibrio, basato sulla considerazione del lavoro come merce esclusivamente soggetta alla legge della domanda-offerta, esige, come abbiao visto, l'eliminazione di ogni elemento di rigidità, si introducono vincoli di bilancio pubblico, in particolare delimitando l'indebitamento fiscale, che si traduce in sostegno alla domanda e, quindi, all'occupazione, generato al di fuori del riequilibrio spontaneo dei costi di produzione (cioè in definitiva di quello che viene inteso come il reale fenomeno inflattivo). E ciò fino al punto di introdurre il pareggio di bilancio.

4.2. La Banca centrale indipendente come garante del lavoro-merce e della minimizzazione dell'intervento costituzionale dello Stato.
Questo insieme di misure, previste da rigidi meccanismi automatici e dalla sottrazione agli Stati democratici del potere di emissione della moneta,  acutizza lo schema fino a portarlo al livello "ideale" predicato dalla dottrina neo-classica, ma esso trova un complemento indispensabile nella indipendenza della banca centrale, il cui contributo alla flessibilità del lavoro, e quindi alla crescita strutturale della disoccupazione in funzione di flessibilità-deflazione salariale, è meno evidente ma altrettanto efficace.
L'affidamento esclusivo del rendimento dei titoli del debito pubblico alle dinamiche del mercato finanziario determina l'innalzamento rapido, e a effetto cumulativo, del costo della stessa spesa pubblica corrente non coperta dalle entrate. Il deficit diviene così un rischio di ulteriore innalzamento di tale costo, instaurandosi una condizione di "pericolo", strutturale e crescente, di non sostenibilità del debito, in quanto la crescita della ricchezza nazionale può verificarsi a tassi inferiori a quelli dell'incidenza annuale del deficit, per di più inesorabilmente ampliato dal costo cumulato degli interessi. 

4.3. Banca centrale indipendente, desovranizzazione e i pilastri di una società TINA.
Questa sola misura (l'indipendenza della BC), quindi, tende a "disciplinare" la spesa pubblica, in quanto il suo aumento deve divenire, in termini reali, più contenuto del tasso di inflazione, per impedire di far dilatare il costo degli interessi (secondo la legge della domanda e dell'offerta in combinazione con lo "sconto" da parte degli investitori finanziari della solvibilità in prospettiva dei titoli emessi a quei rendimenti).

Unito poi a "tetti" del deficit, il sistema funziona in termini di progressiva sterilizzazione dell'efficacia di sostegno della spesa pubblica sulla domanda: questa tende a stabilizzarsi sui livelli salariali dettati dalle esigenze di competitività (esportativa) del sistema industriale. E cioè sulla produttività che, però, a sua volta, è strettamente correlata al livello di cambio verso l'estero della moneta adottata.
Quindi questa ulteriore componente della dottrina neo-classica accelera l'instaurazione del sistema in cui il lavoro è, per necessità, solo una merce, che diviene agevolmente sotto-domandato, in coincidenza con l'interagire dei quattro fattori - regime del mercato del lavoro, banca centrale indipendente, delimitazioni legalizzate del deficit di bilancio e rigidità del cambio verso monete più forti di quella nazionale.


5. L'intervento pubblico a sostegno dell'economia come mera eventualità residuale, "de facto" monetariamente insostenibile.
L'intervento pubblico a sostegno dell'economia diviene una mera eventualità, soggetta a rigidi limiti congiunturali, e cioè realizzabile in una (remotamente teorica) fase di espansione che, però, il vincolo di cambio potrebbe non consentire mai, sottraendo stabilmente, in assenza di una rigida politica di contenimento del bilancio dello Stato e salariale, la domanda estera, riassunta nel complesso delle voci che compongono il current account balance, al prodotto nazionale.
La domanda interna (o a ristagnare in termini "reali") perciò tende inesorabilmente a calare, determinandosi un output-gap che può, in situazioni di crisi determinate da fattori esterni, divenire recessione acuita dall'inasprimento pro-ciclico di queste stesse politiche. 
Queste, formalmente, mirano al deleverage, cioè a ridurre l'indebitamento (del settore pubblico, e immancabilmente incrementando quello del settore privato), ma operano in modo strettamente contabile, ragionieristico - la famosa parodia dell'incubo di un contabile, di Keynes, entro lo slogan dello "Stato come una famiglia"-  tralasciando coscientemente di percorrere quel prioritario sistema di solvibilità del debitore che è la sua possibilità di tenuta e di incremento reddituale.

6. La scelta dell'irreversiblità del sistema €uropeo e la...Costituzione nella palude.
Preso atto, più o meno consapevolmente (a seconda della capacità culturale della forza che abbraccia tale "dottrina"), dell'irreversibilità di questo sistema, si finisce per accedere a un welfare non di sostegno diretto o indiretto dell'occupazione, quale quello previsto in Costituzione: questo prevede la tutela dell'equa retribuzione, art.36 Cost., la positiva valutazione ordinamentale della tutela sindacale, art.39 Cost., la cura dell'istruzione pubblica e della formazione professionale, artt. 33 e 35 Cost., il sostegno pubblico all'elevazione culturale e professionale dei privi di mezzi (art.34, commi 3 e 4), il coordinamento legislativo dell'attività economica PUBBLICA E PRIVATA per indirizzarla a fini sociali (art.41 Cost.), la "adeguatezza" dell'assistenza sociale - e dunque pensionistica- in caso di iogni genere di mpedimento della possibilità lavorativa (art.38 Cost.). Tutte previsioni che implicano appunto, con evidenza palmare, non solo il sostegno pubblico diretto o indiretto al livello occupazionale e salariale, ma anche forme che si traducono in un" salario indiretto", cioè in mezzi di sostentamento del cittadino/a-lavoratore-trice apprestati dallo Stato in dipendenza di eventi e condizioni non direttamente esplicantisi nel rapporto di lavoro.
Ma si tratta appunto di spesa pubblica. E di spesa pubblica programmaticamente assunta dallo Stato come "obbligatoria", cioè irrinunciabile alla luce dei principi fondamentali (art.1, 2, 3, in particolare secondo comma e 4 Cost.).
7. Il welfare "adattativo" come saldatura della scelta irreversibile in assenza della priorità costituzionale delle politiche di piena occupazione.
Aderire a un sistema di welfare che, invece, si connetta alla accettazione della crescente e strutturata maggior disoccupazione, come nel caso del salario di cittadinanza, da un lato implica la rinuncia a perseguire programmaticamente, - sempre nella impraticabilità contabile che vincola ad un sacrificio inevitabile all'interno della moneta unica -, gli strumenti di sostegno diretto e indiretto del lavoro e della domanda mediante spesa pubblica, dall'altro, assoggetta queste stesse provvidenze, nel quadro in cui vengono assunte, alla clausola, in effetti extracostituzionale, del limite del deficit o del pareggio di bilancio. Cioè, da un lato si prende semplicemente atto, senza più attribuirvi significato congiunturale da correggere,  che il sistema fa della disoccupazione la principale emergenza sociale, rinunciando a rivendicare gli altri strumenti costituzionali intesi a prevenirla, dall'altro, la cura di questa emergenza è perseguita nei limiti dell'accettazione dello schema generale neo-classico: cioè "se e in quanto" ciò sia compatibile coi tetti del deficit o ancor più col pareggio di bilancio, e quindi col perseguimento del sistema di sterilizzazione dell'intervento pubblico a favore della qualificazione ordinamentale (contraria ai principi della Costituzione) del lavoro come merce.
D'altra parte, anche volendo porre in constestazione tale in-compatibilità istituzionale, l'azione delle istituzioni dell'eurozona, già consolidata e sempre incombente, porta a quella situazione di crisi innescabile a piacimento dai "mercati", che riporta qualunque "ribelle" ai più miti consigli (classico esempio la vicenda "Tsipras").


7.1. E dunque, in questo continuo incombere del sovrastante e inderogabile principio della riduzione della spesa pubblica, il nuovo "welfare" assumerà sempre e solo, nel tempo, il livello che non interferisce col riequilibrio naturale della domanda e dell'offerta: a livelli crescenti di disoccupazione, scontati nell'indebolimento della domanda provocato dall'insieme dei fattori sopra indicati, l'onere, altrimenti crescente, sarebbe considerato comprimibile e riducibile. Il welfare non sarà più un sistema attivo di promozione delle classi sociali subalterne, e in pratica di aumento del benessere generale determinato dalla mobilità sociale, ma una mera valvola di sicurezza per impedire il crollo "eccessivo" della domanda stessa. 

8. L'ottica temporeggiatrice di (inconsapevole) adattamento a livelli salariali decrescenti e l'espansione degli investimenti privati che non arriva mai.
Ci si colloca così  in un'ottica temporeggiatrice - strutturalmente non correttiva del "ciclo" da parte delle politiche fiscali (sostanzialmente automatizzate, secondo la formula di Milton Friedman)- che mira all'abituarsi della società a nuovi e più bassi livelli di reddito e, quindi, di prezzi, ottenendosi così quella deflazione che tutela il credito finanziario in termini reali e che spingerebbe le imprese verso gli investimenti contandosi sull'"effetto ricchezza" determinato dalla aspettative di calo dell'inflazione.
Nulla di tutto questo si verifica e si è mai verificato: quello che si verifica, nell'attuazione dell'ideologia neo-classica, è piuttosto la contrazione della domanda e la minor ricchezza collettiva, inclusi i profitti considerati in assoluto e nella loro dinamica di crescita. Ma aumenterà la loro rigidità verso il basso in percentuale al PIL, cioè l'assetto redistributivo nel suo insieme, potendosi comprimere il costo del lavoro, e più ancora, come evidenzia Kalecky, potendosi raggiungere l'obiettivo delle grandi imprese finanziarie e industriali di avere la forza politica incontrastata di influenzare e indirizzare l'azione dei governi.
Questa è dunque la società che sottende il "reddito di cittadinanza", che assume, appunto, la funzione di strumento di ratifica della resa delle forze sociali e politiche alla realizzazione del modello costituzionale (Keynesiano).

21 commenti:

  1. onestamente mi viene da chiedermi quanto ancora in basso potrebbero scendere i salari in un Paese dove oramai quasi tutti i lavori non qualificati si basano su una parte massiccia di lavoro nero, interinale, straordinari non pagati, contratti atipici in realtà manco rispettati e via dicendo.
    Questi sono tutti elementi da valutare.
    In un ristorante di campagna il cameriere tipo è ormai pagato, diciamo su 6 ore di lavoro in una serata, per 2 ore con voucher e per altre 2 in nero e le altre 2 gratis.
    gli apprendisti e tirocinanti e figure ancor più in basso che oramai lavorano anche gratis...si fa esperienza e forse si passa a uno stage retribuito dopo.
    quanto in basso si può scendere?

    D'altra parte chi lavora nelle realtà esportatrici e ha una posizione da lavoratore qualificato ha già adesso stipendi ben più alti del minimo di categoria, quindi da questi movimenti al ribasso non viene interessato direttamente.

    Non lo so. Non sono più convinto che arrivati a questo punto il reddito di cittadinanza, o un sussidio di disoccupazione a tempo indeterminato, possa portare a schiacciamenti salariali.

    Oramai i buoi sono scappati dove potevano scappare.
    Se 10-15 anni fa potevamo aver paura di ritrovarci nel mondo del lavoro anglosassone, mi viene da dire che oggi il mondo del lavoro italiano, sul piano della sicurezza del posto e dello schiacciamento dei salari dei poco qualificati, è sceso decisamente più in basso ancora.

    Con la differenza che il sussidio lo fanno in genitori ma solo SE pensionati al retributivo.
    non lo so...mi sembra che siamo andati oltre ogni aspettativa. stipendi romeni e costo della vita francese.

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    1. 1 di 2
      Ti sbagli. Pensa alla Grecia. E pensa ai dipendenti pubblici, ormai in maggioranza ultracinquantenni: essi sostengono spesso il lavoro precario, diciamo il minijob, della generazione successiva grazie a un salario (di poco superiore ai mille euro, proprio quello che dalla riforma fiscale non avrà beneficio, chissà come MAI!!!) che si permette di non diminuire nemmeno in tempi di inflazione, se non in maniera indiretta attraverso il taglio dei servizi. 48 avrà dei dati che mi smentiscono, magari, ma il minimo di domanda interna fuori dal mercato del lusso non mi stupirei venisse da li'.
      Ora, finché il sussidio viene dalla famiglia, si rimane comunque coscienti che c'è una perversione inaccettabile all'opera, che non puo' diventare stabile, che DEVE MUTARE. Nel momento in cui il sussidio anziché il lavoro DIVIENE di Stato, esso si identifica con un perverso diritto (non in senso einaudiano, per carità, perverso perché è appunto l'antitesi e la distruzione non solo di un diritto costituzionale ma della sua stessa coscienza, a livello di individui come di classe).

      Ricorda le parole di Hayek: "plebe miserabile desiderosa soltanto di cibo". Non ci siamo ancora. Ricorda che per i tedeschi l'unica inflazione buona è quella morta. Non ci siamo ancora (quasi). Pensa alle condizioni di lavoro che condizionano il rdc nei Laender dell'Anschluss come si leggono in Voci dalla Germania. Non ci siamo. O pensa ai braccianti extracomunitari che vivono in baracche in Calabria, bersagli di tiro al piccione, svago alla miseria umana. Un modo di vita sudamericano che prefigura quello che dovrebbe diventare un "modello per tutti"... Anche li': non ci siamo ancora.

      Noi abbiamo conosciuto di fatto solo la vita in paesi dove certi standard non liberisti di welfare erano acquisiti e sorretti da servizi che in alcune aree, forse in quelle che tu hai conosciuto da vicino, riuscivano a arrivare all'eccellenza, per quanto molto inferiori a altri paesi UE. Non abbiamo idea di cosa sia vivere davvero senza alcuna protezione sociale, lavorare fino a 90 anni, curarsi con gli analgesici (impressionante e indimenticabile entrare in un supermercato USA e vedere distese di "pain killer" in esposizione ma essere guardata come una tossica perché chiedevo un disinfettante per la gola a un individuo barricato dietro un vetro che custodiva i farmaci a loro dire "sensibili"), avere un lavoro ma non una casa, crepare a 60 anni di disfunzioni dovute al cibo da GDO (se penso alle dementi foodblogger che fanno a gara per introdurre le "ricettine" madeinUSA a base di snack nelle nostre cucine come sinonimo di apertura mentale e trionfo del sacro gusto individuale!) e alla mancanza di cure. Sono casi "pietosi" questi, per noi, non la condizione di vita della maggioranza o di una significativa proporzione della popolazione. [segue]

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    2. [seguito] 2 di 2
      Proprio perché non ne abbiamo idea possiamo pensare che "tanto, ormai". Tanto ormai un accidente! Questo post spiega bene perché, e anche quello sulla "disoccupazione necessitata" di un paio di mesi fa che illustrava perché nella UE essa non potrà, anzi non Dovrà mai diminuire.

      Nei giorni agitati della settimana scorsa mi sono capitati sotto gli occhi un paio di tweet di ambito anglosassone, verosimilmente di economisti o a loro agio nella materia. Nella concitazione non so più come ci fossi arrivata, forse da Sapir, forse dai tweet in inglese (!) di Bagnai dei giorni Cottarelli.

      Il discorso era chiarissimo: l'Italia ha ragione a volersi liberare dell'EMU, perché la distrugge; va quindi sostenuta, in più le manovre vanno in direzione ortodossa (supply side) quindi va benone. Il problema dell'Italia, testuale: "sono i salari dei dipendenti pubblici e le pensioni".
      Essi rappresentano infatti, ad oggi, l'unico calmiere salariale verso l'alto A NON ESSERE STATO ANCORA DISTRUTTO.
      Ma basta la spesa pubblica centrata sugli "investimenti" a Jobs Act anziché sui servizi a dargli già una bella botta, oltre all'età anagrafica che incalza l'ultima grande infornata concorsuale, la sanatoria della 285 degli anni'80, prima del gelo post Maastricht.
      Dopodiché via con privatizzazioni e esternalizzazioni, cioè investimenti, quelli buoni, quelli degli "imprenditori"... mica come i salari improduttivi dei fannulloni, eh.

      Questo è il prezzo che ci aspetta se vogliamo tentare di liberarci dell'EMU, ma soprattutto, una volta liberati NON saremo liberi di rimettere in moto alcuna rivendicazione di classe, o se vogliamo dirlo in modo inclusivo e educato, alcun richiamo alla dignità del lavoro e all'indirizzo dell'attività privata (Kalecki, in fondo?) intesa come realizzazione della democrazia necessitata.
      (Arrivano i nostri fa molto effetto, ma non basta.)
      Chiaro?

      (Del resto nel programma Lega non c'è nulla a favore dei salari.)
      Balzava agli occhi fin dalla campagna elettorale, ma non l'ha voluto vedere nessuno. Lo vedremo adesso, ma è tardi.

      Quella schifezza del rdc serve eccome, a ESSI e a chi gli tiene bordone. Serve a livello economico e culturale per trasformarci in una banda di mendicanti laceri e umiliati e non in cittadini titolari di diritti. Serve a smantellare definitivamente quel baluardo minimo che è il servizio pubblico.
      Serve a farci precipitare definitivamente nell'idea che avere un salario che non permette di vivere SIA NORMALE, perché poi "lo Stato interviene". E' il completamento trionfale della restaurazione liberista.
      Va respinta a cominciare dalle nostre teste.
      E' una scoria tossica del liberismo quanto il welfare aziendale, cui del resto si accompagna.
      [fine]

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    3. Chiedo scusa nel primo commento c'è una frase insensata: Salario "che si permette di non diminuire nemmeno in tempi di inflazione" ovviamente non ha senso, intendevo "si permette di non diminuire nemmeno in tempi di deflazione salariale generalizzata".

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    4. Io fuori dalle poche sacche di benessere rimaste...essenzialmente le realtà esportatrici...questo scenario lo vedo già onestamente.
      Un rdc da 500 euro netti potrebbe paradossalmente invece alzare molti salari. Tipo quelli dei lavoratori della gig economy che già lavorano in regola per molto meno di 500 euro.

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    5. Tra l altro in Grecia non c è il sussidio a tempo indeterminato. Se ci fosse stato del resto non si sarebbero diffusi i posti di lavoro in cambio di vitto e alloggio di cui si legge.
      Non faccio un apologia della cosa...dico solo che siamo già andati oltre in molte zone d Italia.

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    6. Tra l altro in Grecia non c è il sussidio a tempo indeterminato. Se ci fosse stato forse non si sarebbero diffusi i posti di lavoro in cambio di vitto e alloggio di cui si legge.
      Non faccio un apologia della cosa...dico solo che siamo già andati oltre in molte zone d Italia.il sud Italia in molte zone è già Grecia

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    7. Poi certo che vivere come in America dove un lavoratore non può andare in ospedale neanche se si spacca una gamba è peggio.
      Però questo è legato all assenza di welfare in altri settori. Certo che non si può dare un sussidio e in cambio togliere scuole e ospedali. Ma Forme di sussidio a tempo indeterminato esistono anche in paesi con qualità della vita alta.

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    8. Difatti la lega è contraria al reddito di cittadinanza come lo intendono i 5S...proprio perché non vuole spendere in welfare.

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    9. Come eravamo.

      "Quella corsa sfiatata tra le strette
      aree da costruzione, le prodaie bruciate,
      la lunga Tiburtina... Quelle file di operai,
      disoccupati, ladri, che scendevano
      ancora uniti del grigio sudore
      dei letti - dove dormivano da piedi
      coi nipoti - in camerette sporche
      di polvere come carrozzoni, biechi e gai...
      Quella periferia tagliata in lotti
      tutti uguali, assorbiti dal sole
      troppo caldo, tra cave abbandonate,
      rotti argini, tuguri, fabbrichette...

      Pier Paolo Pasolini, da Le Poesie, 1975

      Come non saremo più!

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    10. Io lavoravo e spero di poter lavorare in una realtà esportatrice nel distretto moda calzaturiero.
      Oggi è in stato comatoso assistenziale.
      Vari fattori hanno influito.
      Inizialmente hanno colpito con gli studi di settore ben orientati a distruggere i piccoli artigiani nel mentre nel distretto si sono inseriti laboratori cinesi traboccanti di schiavi notturni pronti a tutto.
      Si è permesso mentre le nostre aziende sotto i colpi delle cartelle esattoriali( me compreso) di chiudere mentre si è permesso a codesti lager cinesi di evadere iva e contributi, cosa ancora in atto oggi.
      Nel mentre i più furbi delocalizzavano i capannoni in tunisia, romania,cina india.
      Prodotti di élite al costo di uno strofinaccio.
      Evidentemente gli schiavi cinesi non lavorano come noi italiani e i problemi sia al estero che interni erano evidenti.
      Un aiutino è stato il jobs act con la postilla sui licenziamenti collettivi.
      Una strizzata di occhio al sindacato e in pochi mesi aziende sostanzialmente sane hanno chiuso per crisi e riaperto dopo pochi giorni sotto altro nome.
      Stessi padroni e stessi operai e stessi clienti e macchinari.
      Era cambiato solo che ora il dipendente era interinale, a chiamata settimanale.
      Alla festa si sospende il contratto perché è un costo.
      La malattia te la sogni e pure un finanziamento ti sogni.
      Il livello retributivo resta sempre il medesimo visto che non maturi alcun che.
      Gente che produce indumenti dal valore di oltre 1000 euro e con esperienze trentennali trattate come un raccoglitore di pomodori.
      A chiamata, per pochi soldi, senza tutela alcuna, sotto caporalato.
      Questi sono quelli che aumentano le nostre esportazioni, insomma....i buoni.

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    11. No. La moda è un settore a basso valore aggiunto esposto alla competizione di vietnam e cina ecc... la moda non fa parte delle realtà esportatrici sane.
      Le realtà esportatrici che creano benessere sono quelle almeno a medio valore aggiunto: tipo meccanica di precisione. Automazione. E cose simili. In questi settori gli stipendi sono ancora decenti proprio perché la competizione è con paesi come la germania e non come la cina.
      La deflazione da precarietà in questi settori colpisce poco.
      Anche perché richiedono forza lavoro qualificata: non puoi permetterti di pagare un montatore meccanico di parti di precisione meno di 1400-1500 euro al mese netti al nord est...indipendentemente dal salario minimo di categoria.

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    12. Che vuoi che ti dica, se il basso valore aggiunto è esportare un paio di scarpe dal costo di 1000 dollari in su tocca tacere.
      Faccio presente che siamo noi che andiamo a fare le calzature in quei posti, non siamo in competizione con loro su prodotti cosi di pregio.
      Loro producono quello che gli operai italiani indossano.
      Io mai mi potrei permettere una calzatura gucci di coccodrillo o pitone.
      La questione è che se puoi guadagnare 100 invece di 90 preferisci 100.
      Poi quello che affermi sul montatore meccanico non è propriamente vero, dopo la hartz in germania lavorano gomito a gomito meccanici di serie a e quelli di serie b che prendono meno della metà dei primi.
      Ho amici in italia che da metalmeccanici gli è stato decurtato il 25percento dello stipendio sotto il ricatto di chiudere l'azienda.

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    13. Il valore aggiunto non dipende dal prezzo di vendita.
      È risaputo che borse costose vengono spesso comprate dai laboratori semi schiavili di cui parli dai grandi marchi e poi griffate.
      Il costo di una materia prima può essere alto...così come il prezzo di vendita che è determinato da molti fattori.
      Ma è sul valore aggiunto che si compete. Sulla lavorazione.
      Tutta la produzione di massa (anche quella automobilistica) richiede lavorazioni umane, cioè non automatiche, a valore aggiunto piuttosto basso: il classico operaio che avvia la macchina e interviene quando si blocca. Queste figure fanno parte dei metalmeccanici di cui parli e sono quelle cui viene tagliato lo stipendio perché appunto a parità di macchinari utilizzati non hanno da offrire molto di più di un polacco. Questa non è intesa come forza lavoro altamente qualificata né portatrice di alto valore aggiunto. Difatti alla fiat ad esempio le cose vanno come vanno. Perfino volkswagen produce più all estero che in germania: Polonia, repubblica ceca, sudafrica.
      Invece il montatore in grado di lavorarti un pezzo di metallo per fare un pezzo di precisione in una macchina automatica (nei tempi giusti) ha una competenza di un altro tipo. Quelli sono, ad esempio, i lavoratori altamente qualificati e sono quelli che fanno lavorazioni ad alto valore aggiunto, che non risentono di tagli salariali - almeno non diretti - e che lavorano nelle aziende esportatrici italiane che stanno sul mercato. Purtroppo una parte soltanto della produzione italiana viene da aziende di questo tipo che sono anche geograficamente localizzate in parti precise del paese.

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    14. Luca: certo che la precarizzazione è avanzata, ma ripeto la differenza è anzitutto psicologica: mantenere la percezione di una situazione anormale contro l'accogliere l'idea che lo stato debba "naturalmente" integrare il reddito da lavoro sollevando il daotre da qualsiasi responsabilità e eliminando QUINDI il legame fra lavoro e indipendenza economica del lavoratore, cioè potenzialmente di tutto il popolo (secondo Costituzione). Guarda che ci passa un mondo, non è questione di qualche euro di differenza. Inoltre il rdc potrebbe essere paragonato facilmente al MES: ti soccorro ma a condizionalità pesantissime. Cosi' avviene per gli Hartz e sia Voci dalla Germania che Voci dall'estero hanno materiale sul tema che fuga ogni dubbio.

      Tuttavia ecco due mete facili facili per ulteriori precarizzazioni, ma ce ne sono sicuramente altre:
      1) l'abolizione definitiva della contrattazione nazionale per sostituirla legalmente con quella aziendale o in ogni caso sovraordinare interamente la seconda alla prima
      2) la pensione definitivamente affidata ai fondi privati.

      Per la PA, c'è da aspettarsi la perdita progressiva dello stato e delle garanzie di funzionario pubblico (tranne diplomatici, magistrati, docenti universitari): è quello che sta facendo in Francia Macron per i ferrovieri i quali si battono come meglio possono ma i sindacati li hanno sostanzialmente lasciati soli in uno sforzo che ha dell'eroico (quasi un mese di sciopero in un sostanziale silenzio stampa).
      Gli ingenui scrivono che il JA è stato copiato dalla loi travail: beati loro non si sono ancora resi conto che c'è un modello unico cui TUTTI si devono uniformare e che non sta né a Roma né a Parigi...

      Che siano queste le riforme strutturali promesse dal beneamato Giovanni Tria nella sua recente intervista?

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  2. Sto leggendo il documento di Keynes richiamato in questo post. E' di un'attualità imbarazzante. Tanto più imbarazzante se si considera il fatto che i fautori del liberismo/mondialismo, che affermano di essere il futuro, riprendono idee addirittura più vecchie di quelle del novecento che invece giudicano obsolete.

    http://www.panarchy.org/keynes/autarchia.1933.html

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    1. Sto leggendo diverso materiale sul neoliberismo (mi son perfino tuffata in qualche capitolo del Dornbusch ma mi sono per ora dovuta arrendere, non ci arrivo, mi mancano i termini :-555). Il loro vecchiume è impressionante.
      Ricordo di avere ascoltato alla radio giorni fa uno scandalizzato bocconiano (Tabellini???) farfugliare che qui si tornava "a un seminario di economia anni '70".
      AHAHAHA!
      Ci sarebbe veramente da ridergli sul muso, a questi modernizzatori senza coscienza storica, anche tenendo conto del link sulle scuole monetariste del post...
      Strano come siano riusciti a rimettere indietro le lancette del tempo, manco la Restaurazione post napoleonica era riuscita a spianare tanto le coscienze, anzi, esse restavano brucianti. Curioso come questa Restaurazione si accompagni a una volontà d pacificazione della memoria sulla Seconda guerra mondiale che comincia proprio negli stessi anni post Maastricht.

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    2. La pacificazione (o rimozione con rinarrazione, cioè riscrittura immaginifica) della memoria, può essere collocata, in un'attenza ricostruzione storica, nella "misteriosa" conversione di Mitterand, che sostanzialmente inizia a predicare l'economia sociale di mercato (ascoltando una "nuova" generazione di ENArchi; peraltro, poi divenuti subito modello da imitare per i tetri tecnocrati paneuropeisti e "vincolisti" italiani)

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    3. I due matematici di Bercy che partorirono il 3% dopo aver fatto dei calcoli a caso hanno recentemente ricordato l'operazione compiuta dal Mitterand post nazionalizzazioni (articolo ripreso anche in Italia). Anche Denord che è una vera miniera per le mie limitate conoscenze ricostruisce la lotta che i capitalisti francesi ingaggiarono all'epoca portando M. al cambiamento di politica da loro auspicato. Di certo esso non fu brutale come quello da noi sperimentato e come la tempesta rapinosa e devastatrice di Macron (con buona pace di chi pensava che non avrebbe terminato il mandato). Probabilmente questa realtiva morbidezza unita all'alta qualità dei servizi pubblici, istruzione, cultura, senza dimenticare un colbertismo ancora relativamente saldo fino ai tempi più recenti hanno agevolato la cecità e l'arrendevolezza del ceto intellettuale più sensibile a tematiche sociali.

      Tuttavia la memoria "su" Mitterand non è cosi' alterata, almeno qui si ha ricordo di un cambio di passo durante i suoi mandati anche se non sempre lo si riconduce in modo consapevole alle sue -vecchie- radici tedesche.
      La cosa cambia certo quando il discorso verte sui temi più prettamente economici quindi meno immediatamente comprensibili e che possono più facilmente sfociare nel controllo psicologico, come l'angoscia indotta riguardo al rapporto debito/pil o i cosiddetti "doppi" nei servizi pubblici, un tema prettamente sarkozyano, ecc.

      In generale, qui è più semplice non perdere memoria storica perché hai strumenti e servizi che ti permettono di mantenerla. Ho potuto leggere cosi' tanto perché la produzione editoriale locale è sterminata e soprattutto esistono biblioteche che la mettono a disposizione praticamente tutta con orari di apertura e distribuzione che in Italia ci sognamo. Mi si stringe il cuore al pensiero che quando dovro' tornare dovro' anche smettere di studiare: non posso permettermi di comprare i libri, in biblioteca non li trovo e quand'anche li trovassi non potrei leggerli perché li distribuiscono con il contagocce. Qui in un pomeriggio controlli una bibliografia intera, l'unico limite è la tua velocità di lettura. A Roma mi si atrofizzerà il cervello e la cosa mi fa profondamente disperare. Per me studiare è respirare.

      Da questo si vede anche cosa sia un paese egemone...

      I rapporti di filiazione oltremontana e/o oltreatlantica m'incuriosiscono. Diciamo che in tv giornalisti francesi non se ne sono visti molti finora.

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  3. Vabbè, che il modello dello Stato sociale "dell'economia sociale di mercato" si concretizzi nel welfare bancario, oramai, non è solo questione teoretica ma storica: Mario Draghi, come tutti i buon banchieri cosmopoliti, è un socialista liberale.

    Eh sì, come Spinelli e Rossi, quelli del Manifesto di Ventotene.

    Abbiamo dichiarazione assolutamente autorevole per cui il liberal-socialismo, ovvero il socialismo liberale, siano l'ordoliberismo, ossia l'economia sociale di mercato. Né di destra, né di sinistra. Ossia la "terza via" che non esiste, stando con Röpke. Lo Stato che si astiene non astenendosi stando con Robbins.

    L'onestà della disonestà intellettuale.

    Capito Luigino? Einaudino caro? Il "sociale" i crucchi non lo hanno messo lì a caso.

    Significa stato sociale bancario, significa redditi indiretti e differiti per la simpatica finanzia predatoria.

    Che bella la dialettica... ah, no... come dicono "certi scrittori antifa" , da bravi post-sessantottini (avete perso! sparite!), che brutto il linguaggio binario... o bianco o nero... (nero! nero!)

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  4. Complimenti Presidente per la nomina,la seguo da anni,ho letto i suoi libri. Grazie per tutto cio' che mi ha insegnato.
    Ancora più orgogliso di sostenere Asimmetrie.
    Grazie.

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