giovedì 24 ottobre 2019

IL DESTINO DELL'ITALIA (6): LE MISURE FISCALI PER LA "TRANSIZIONE FINALE" SECONDO IL FMI (CHI? QUOMODO?)

IMF chief Christine Lagarde

1. Veniamo quindi al "dunque": muovendo dall'ipotesi di un riposizionamento svalutativo del dollaro su aree quali l'eurozona e il Giappone (qui, p.1), - che consenta ai risparmiatori d'oltreoceano , attraverso un durevole ciclo di svalutazione, sia di limitare i danni di una prossima bolla finanziaria USA, sia, di realizzare rendimenti (specialmente a fini previdenziali) più elevati di quelli attesi dall'esausta Wall Street - abbiamo dedotto una prospettiva futura italiana in termini di irlandesizzazione (definendone i caratteri fondamentali). 
E questo all'interno di una tendenza più ampia, in cui l'Italia, tristemente, già eccelle, che è la giapponificazione: un mix di bassa crescita, essenzialmente guidata dalle esportazioni, bassa inflazione (nella forma di sostanziale deflazione irrisolvibile), conseguente forte disagio sociale, determinato da un mercato del lavoro "dualistico", con concentrazione del reddito e della ricchezza in una fascia minoritaria della  popolazione che, tuttavia, controlla il processo di decisione politico-economico a presidio del proprio vantaggio. E naturalmente, ma come conseguenza, crisi demografica.
L'irlandesizzazione, introduce, nella "piega" italiana degli eventi, l'elemento aggiuntivo di una trasformazione industriale e, naturalmente, finanziaria, nel senso del controllo estero pressocché totalitario: in questo senso, il dualismo del mercato del lavoro, e prima ancora sociale, si caratterizzerebbe per l'essere, o meno, (il prestatore di lavoro) alle dipendenze di un gruppo industriale o finanziario estero, e per il valore aggiunto della filiera "acquisita", nonché, non secondariamente, per la (altamente incerta) stabilità dei profitti in essa realizzabili (cioè ipotizzando che, in qualche modo, l'Italia, in tale ristrutturazione acquisitiva, conservi delle produzioni ad alto valore aggiunto e che utilizzino un know-how tecnologico avanzato).

2. Questa prospettiva, appunto, pone in termini previsionali (cioè: di cosa ci dobbiamo aspettare che ci accada, nelle nostre vite di tutti i giorni) un problema del come ciò si verificherà.
Questo "come" può essere inteso in due sensi: 
a) in che modo si realizzerà politicamente e istituzionalmente questa linea di evoluzione imminente, e perciò, da ritenere piuttosto rapida. Problema che si intreccia inscindibilmente con l'interrogativo: CHI la realizzerà; 
b) in che modo si svilupperanno le politiche fiscali, economiche e sociali nell'azione futura del governo nazionale: cioè, quali misure legislative daranno probabilmente forma a questo riorientamento del nostro modello economico-sociale. 
Che è poi un aggiustamento "finale" di politiche preesistenti e che sono però state realizzate in modo insufficiente, come comprovano le costanti raccomandazioni della Commissione Ue e del FMI...o dell'OCSE, sulle (mitiche) "riforme strutturali". 

Insomma, il "come" rinvia inestricabilmente al CHI e al QUOMODO (politico-istituzionale, prima ancora che tecnico-economico).

3. Per meglio assolvere questo compito previsionale, appunto con la massima attendibilità possibile, ribadiamo e riassumiamo, nelle sue linee applicative più rilevanti, la visione politico-economica (e inevitabilmente "ideologica") che è inscritta organicamente nella irlandesizzazione e nelle riforme strutturali aggiuntive, e "finali", che ci si attende dall'Italia.
Insomma, come direbbe un mio amico (che certamente si riconoscerà leggendo), cerchiamo di farci un giro nella mente del...(predatore...ehm) policy maker ideale che si ponga l'obiettivo (non nuovo) di trasformare un paese industriale, ad alta vocazione manifatturiera e esportativa, in una società sostanzialmente governata dagli investitori esteri.
Tentiamo una ricostruzione "a contrario": cioè capiamo come sarebbe opportuno, nel senso di fit, che ragionasse questo policy maker in base alla esatta individuazione di "cosa" dovrebbe fare.
Ed infatti, il tipo di misure che dovrebbe adottare ci dice contemporaneamente quali diagnosi e terapie questi dovrebbe condividere (ideologicamente), ma anche, e perciò, chi abbia il profilo professionale e culturale per realizzarle.
Per dire: già denominare le misure politico-economiche da adottare "riforme strutturali" ci dice molto, se non tutto; avremmo di fronte un decidente neo-liberale, aderente alla macroeconomia neo-classica.

4. E visto che, tra alti e bassi, parliamo delle propaggini ultime delle politiche codificate dal Washington Consensus, cominciamo a vedere cosa ci prescrive il FMI; ancor più diretto ed eloquente della Commissione col suo Country Report annuale, che riprende costantemente le indicazioni del Fondo.
Prendiamo allora le raccomandazioni relative all'Italia dell'ultimo Report FMI disponibile (pubblicato a febbraio 2019, poco prima del Country Report della Commissione; non casualmente...). 

Il succo complessivo dei (pressanti) "consigli" del FMI è così sintetizzabile (punto19, pagg.11 e ss.):
a) qualunque sia la diagnosi dei problemi di bassa crescita italiana, la priorità assoluta (overarching) sono le riforme strutturali;

b) E quali sono queste riforme strutturali? 
Al di là della cornice di "promuovere" la crescita di "lungo periodo" maggiormente "inclusiva", il loro scopo fondamentale sarebbe quello di di ottenere un consolidamento fiscale credibile per porre in una stabile e decisa traiettoria verso il basso il rapporto debito pubblico/PIL.
Notare (p.34) che il Fondo qualifica il consolidamento fiscale quale "pre-requisito" della stabilità finanziaria, considerando essenziale gestire il bail-in dei risparmiatori nel quadro di un "rigorous public enforcement of MiFID rules"...(E non dite che la cosa non metta i brividi!).

4.1. Sintetizzando dal linguaggio tecnocratico del Fondo, e ritraducendo in termini intelleggibili all'italiano comune, ecco le misure più significative:
i) abolire la contrattazione collettiva nazionale e spostarla al solo livello decentrato al fine di allineare i salari alla effettiva produttività (cioè crescita del PIL), differenziata nelle varie regioni (p.22). Introducendo però un "salario minimo" (in modo da avere, come dovrebbe essere noto, ma non è, un indice di salario massimo, qui p.6, vita natural durante, di lavoro precario in lavoro precario); 

ii) ridurre i costi del licenziamento (economico) riportando alla piena espansione la riforma del jobs act del 2015 (dopo una sentenza della Corte costituzionale che ha creato incertezza su tale costo, svincolandolo dalla durata pregressa del rapporto di lavoro); ciò per rendere massimamente agevole il licenziamento stesso (il che, secondo il FMI...incoraggerebbe le assunzioni) (p.23);

iii) a parte le rituali, quanto generiche, indicazioni sulla rimozione delle barriere alla libera concorrenza, l'efficientamento della pubblica amministrazione e l'accelerazione della (immancabile) giustizia lenta, (da realizzare rigorosamente mediante tagli alla spesa pubblica di tali settori...e se no che efficientamento è?), arriviamo alle "pensioni": il FMI, in soldoni, ci dice (p.32) di portare tutte le prestazioni erogate (anche quelle totalmente, o semi, contributive in corso) al sistema contributivo, tagliando gli "eccessi" e di rivedere verso il basso i rendimenti dei contributi versati e da versare, in modo da abbassare comunque il livello delle pensioni e da tenere conto delle aspettative di vita (cioè, i pensionati tendono a campare troppo a lungo e occorre comunque innalzare progressivamente l'età pensionabile per ridurre il totale dell'erogazione nel tempo, oltre che il suo ammontare comunque calcolato).
E c'è da considerare che il valore pro-capite degli assegni pensionistici italiani è, già attualmente, al 75% della media dell'eurozona (qui, p.2);

iv) Del sistema sanitario pubblico non si parla direttamente; ma...dall'insieme delle riforme strutturali e delle politiche di consolidamento, solide e prudenti, richieste si capisce qualcosa (o molto): affermato, en passant, che in Italia si spende troppo poco nel sistema di sostegno alla povertà - modern safety net -, poiché si spenderebbe troppo in pensioni..., e chiarito che il reddito di cittadinanza,  è commendevole (qui, pp.7), ma il relativo assegno deve essere opportunamente ribassato entro una forchetta del 40-70% del livello di povertà relativa, in modo da non disincentivare il ritorno al lavoro (p.32), il punto rivelatore (il 31) è laddove si "intima" di effettuare un consolidamento fiscale di 2,5 punti di PIL durante il periodo 2019-2023, basato su maggiori entrate e tagli alla spesa

4.2. Ora, fermo restando che un consolidamento fiscale netto e strutturale, di 0.5 punti di PIL all'anno, in progressione aggiuntiva (ai valori attuali oltre 43 miliardi di tagli & tasse aggiuntivi) porterebbe il paese in una grave recessione, e che lo stesso Fondo sconsiglia tagli del prelievo (cioè riduzioni delle tasse) e, invece, consiglia di allargare le basi imponibili, nonostante le riconosciute difficoltà a realizzare ciò (p.30), fermo tutto questo:
dove volete che si trovino questi 43 miliardi (e rotti) di prevalenti tagli alla spesa, considerato che, dopo le pensioni, (e prima della spesa per stipendi del personale pubblico), quella sanitaria costituisce il più grande aggregato della spesa pubblica?
Non so a voi, ma tra un consiglio di consolidare il bilancio di 2,5 punti di PIL nei prossimi 5 anni (il 2018 è già....andato: quindi si andrebbe dal 2020 al 2024, minimo: e sempre per promuovere la crescita sostenibile, inclusiva, e di lungo periodo) e la tesi di aumentare la modern safety net per il sollievo a povertà e disoccupazione (ma con prestazioni al 40-70% del livello di povertà relativa), a me, il destino del servizio sanitario pubblico, universale e gratuito, mi pare alquanto, come dire, "segnato".

E quella descritta è una tipica diagnosi-terapia del FMI: non (necessariamente) collegata al riorientamento svalutativo a fini di attenuazione degli effetti (presenti e futuri) della crisi di redditività del sistema industriale USA, di cui abbiamo parlato nella seconda "puntata".
Ma opera comunque in quella direzione. A prescindere...

Se si trova, appunto, (in un adeguato "stato di eccezione, visto che occorrerà "disapplicare", che dico! disintegrare, gli artt. 32, 38 e 36 della Costituzione; al minimo) qualcuno che abbia lo standing e la incorrotta forza politica di fare quel che ci chiede di fare il FMI.

4.3. Ultima ciliegina sulla torta, buttata là: il Fondo rileva che sono irragionevolmente elevati i proventi che lo Stato italiano si attende dalle privatizzazioni (p.30: privatization proceeds). Questo è peraltro un rilievo "annoso", un vecchio cavallo di battaglia del Fondo. 
Come dire: bene, le privatizzazioni sono un ottimo modo di consolidare il bilancio ma...fatele sul serio, in modo credibile (non ti puoi sbagliare) e ne avrete un sicuro beneficio (qui e qui).

5. Ma prima di affrontare un'ipotesi che componga un paniere di tagli alla spesa pubblica e di privatizzazioni che "abbattano il debito pubblico", correggendo drasticamente la traiettoria inerziale (cioè già acquisita) della finanza pubblica italiana, vediamo in cosa credono, o meglio, come ragionano i nostri super-qualificati consiglieri
[ Perché, poi, cosa credano veramente, almeno i più "istruiti" tra gli economisti mainstream, - specie se si ritrovino a dover veramente applicare le loro ricette da una posizione di governo,  dovendo impegnarsi davanti a un parlamento a ottenere sul serio la crescita sostenibile inclusiva e di lungo periodo -, è un'altro "paio di maniche"; sicché nel gap tra la predisposizione teorico-ideologica e la realtà operativa, richiamando il titolo del post, vale la pena di citare Cicerone: "nescio quomodo dum lego assentior; cum posui librum...assensio omnis illa elabitur"...laddove a "libro" si può sostituire la parola Report].
Questo frame cognitivo lo vedremo per punti teorici, o per tools, rilevanti, non facendo ricorso all'intera summa del pensiero neo-liberale e statominimista in auge (che potete trovare tratteggiato qui, pp. 3 e seguenti e qui, pp. 1-2):

5.1.) la prima "leva", o credenza, che caratterizza la forma mentis degli illuminati policy makers ideali è la Legge di Sayl'offerta (cioè la produzione industriale), creerebbe di per sé ed inevitabilmente la propria domanda, ritenendosi un errore l'ipotesi di un "consumo eccessivamente" piccolo, cioè di insufficienza e debolezza della domanda (qui, p.1). 
Ciò viene attualizzato (rispetto all'originaria versione ottocentesca) utilizzando modelli (stocastici) di equilibrio macroeconomico fondati sulla funzione di produzione, che determinano l'impiego efficiente di capitale e lavoro non-inflazionistico, immaginando una possibilità di crescita dovuta solo a un certo tasso di innovazione tecnologica (c.d. residuo di Solow). Questi modelli, pur con diverse sfumature, sono adottati sia dalla Commissione Ue che dal FMI e servono a calcolare il famoso output-gap (qui, p.3);

5.2.) la seconda è la consequenzialità deficit pubblico-crowding out
Codificato da Barro (qui, pp.4-5), il suo funzionamento è questo: "Se uno Stato spende più di quanto incassa, sarà costretto prima o poi ad incassare più di quanto spenderà e quindi ad aumentare proporzionalmente le tasse. Per tale ragione il debito pubblico potrebbe essere considerato al pari di un’imposta patrimoniale sui privati, intesa come valore attuale di tutte le tasse che in futuro verranno richieste in più per rimborsare il debito pubblico.
La spesa a deficit dello Stato, quindi, non migliorerebbe la posizione patrimoniale dei privati nel lungo periodo. Inoltre, a causa dell’inevitabile aumento delle imposte che dovrà avvenire in futuro per ripagare tale debito, gli stessi privati vorranno risparmiare oggi una quota maggiore del loro reddito per far fronte al successivo inasprimento fiscale (Barro, 1974) determinando, anche nel breve periodo, un effetto contrario a quello espansivo del deficit pubblico (c.d. azioni compensative). La spesa pubblica poi spiazzerebbe quella privata secondo il fenomeno del crowding out e quindi, non aggiungendo niente alla domanda aggregata, verrebbe spiazzata quella privata a favore di quella pubblica (che secondo l’impostazione neoclassica è più inefficiente)".
Ancor più esplicita, su questa linea critica verso il welfare State, è la c.d. ipotesi di Baumol, (o "legge della malattia da costo", v. qui, pagg.5-6...malattia dello Stato democratico, beninteso); per essa, la rigidità della domanda di pubblici servizi in democrazia (sostanziale) porterebbe ad un consumo di risorse altrimenti destinate ad un impiego più efficiente nel settore privato (qui, p.7).

5.3.) La terza è  l'effetto "saldi reali” (real balance effect): teorizzato da Patinkin, (qui, p.4: neo-kenesiano, cioè neo-liberale moderato) come, "l’effetto potenziale che sulla domanda aggregata potrebbe essere esercitato dall’accrescimento delle disponibilità monetarie reali detenute dagli individui a seguito di una caduta del livello dei prezzi, a partire da una situazione di pieno impiego (adde: rammentando che per i neo-liberali, il pieno impiego c'è...sempre e ogni transitorio scostamento non è mai imputabile a una carenza sul lato della domanda).
Maggiori disponibilità monetarie reali, afferma Patinkin, potrebbero generare un aumento della domanda aggregata e un conseguente aumento della produzione e dell’occupazione, sino a che l’equilibrio di pieno impiego non sia ristabilito".

5.4.) La quarta è il c.d. trickle down (collegato, come vedrete, al real balance effect, sottolineandone un effetto particolare): l'economia del trickle-down, o “trickle-down theory”, afferma che i tagli delle imposte e i sussidi-benefici per le corporations e a vantaggio dei più ricchi (wealthy), si trasmettono (trickle down= sgocciolamento) a tutti gli altri. Sostiene così che la riduzione delle tasse sul reddito e sui capital gains, o altri benefici finanziari, alle grandi imprese, agli investitori professionali, e agli imprenditori in genere, stimolino la crescita economica. L'affermazione fa perno su due assunti: che tutti i membri della società beneficino dalla crescita, e che la crescita sia più probabilmente realizzabile da parte di coloro che dispongano delle risorse e delle abilità (skills) per accrescere il risultato produttivo (productive output).

7. Abbiamo dunque definito sia il quadro delle misure di politica economica che dovranno essere intensificate in Italia nell'imminente futuro, sia la cornice teorico-scientifica, formale (di facciata), che conduce a prescrivercele, con incrollabile coerenza, da parte degli organismi economici sovranazionali; gli stessi che predeterminano, da decenni, gli indirizzi che, sia pure con una (stigmatizzata) titubanza compromissoria, i nostri governi sono chiamati formalmente a progettare e i nostri parlamenti, sempre formalmente, a votare.
L'attitudine, elevata e tempestiva, a condividere queste premesse teorico-economiche e ad attuarle integralmente, definisce il CHI: cioè individua il policy maker ideale che (a breve) dovrebbe comparire sulla scena politica nazionale.

Prima di procedere al..."gran finale" di tale aspetto "predittivo" (politico-istituzionale), conviene soffermarsi su un altro aspetto che ci chiarirà un duplice ordine di interrogativi: ci credono veramente?
E se così non fosse, cosa pensano veramente e, dunque, cosa li spinge ad agire? 
(Lo so: verrà naturale pensare agli "spingitori di cavalieri" di Guzzanti; ma, in fondo, va bene così).


(6- SEGUE)

1 commento:

  1. mah
    premetto che sono un miserabile ingegnere, ma FMI assomiglia tanto all'ingegneria moderna: tutto chiacchere e powerpoint, nel mezzo prodotti scarsi,guadagni fatti ormai sulla pelle delle persone e competenze che non si ritrovano neanche a pagare oro (e la germania è maestra in millantate competenze).
    Il tutto in un clima da fine del mondo e tutti insieme a fischiettare finchè la barca va.....

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