giovedì 9 maggio 2013

DIRITTI UMANI E DEMOCRAZIA: LO STATO NAZIONE COME "BARRIERA" ALLA MERA FINZIONE DEI DIRITTI IN SEDE INTERNAZIONALE

Da un bellissmo articolo di Giancarlo Montedoro, consigliere di Stato e fine studioso, estraiamo questi brani che trattano della evoluzione dei diritti umani, passano per la collocazione del noto Von Hayek, asciuttamente registrata, ma affermano, senza mezzi termini, la vitalità possibile dei diritti stessi solo all'interno della "barriera" ("corallina", diremmo) dello Stato-nazione.
Affermandosi limpidamente la irrealizzazione di una loro effettività all'interno del diritto internazionale ove  "le relazioni internazionali restano affidate alla dipendenza (coloniale), alla violenza e alla guerra".
Come appunto accade in quella sfera del diritto internazionale che pur sempre rimane il diritto europeo. Che infatti, sta "dando spettacolo" di come si insceni l'ennesima vicenda di colonizzazione, interna all'Europa stessa - degradando strutturalmente il rango di gran parte delle nazioni aderenti-, ed instaurando, come ben sapete, una guerra condotta coi mezzi commerciali e finanziari che sta trasformando appunto l'UEM, nel "mattatotio dei diritti umani".
Nonostante le teorie anti-sovranità statale di Barbara Spinelli e i premi Nobel per la pace all'UE....

Una bibliografia ragionata sull’argomento ‘diritti umani’ non può che partire dai documenti in cui tali diritti sono stati solennemente proclamati. In questo senso l’argomento si lega strettamente con la storia del costituzionalismo europeo. Un buon punto di partenza è dato dall’esperienza inglese, con l’Habeas corpus act del 1679 e il Bill of rights del 1689, successivo alla gloriosa rivoluzione del 1688.
Meritano poi di essere ricordati la Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti del 1776 e i primi dieci emendamenti della stessa Costituzione USA (Bill of rights) del 1791.
Se ci spostiamo sul continente europeo la nostra attenzione si deve innanzitutto concentrare sulla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789; deve essere poi presa in considerazione anche la Costituzione giacobina del 1793, per i primi accenni ai diritti sociali che essa contiene.
Una prima effettiva proclamazione dei diritti sociali (dato che la Costituzione rivoluzionaria francese del ‘93 non entrò mai in vigore) si trova però solo nella Costituzione di Weimar del 1919.
Infine, una pagina importante del costituzionalismo occidentale è data anche dalla nostra Costituzione, di cui meritano di essere esaminati, per ciò che riguarda i diritti fondamentali, i principi fondamentali (artt. 1-12) e la prima parte dedicata ai "diritti e doveri dei cittadini" (artt. 13-54).
Può essere tra l’altro utile, in questo quadro, un confronto con la parte relativa ai diritti fondamentali dello Statuto albertino (artt. 24-32). Inoltre, alla luce di progressi nel processo dell’integrazione europea, può essere utile dare uno sguardo al catalogo dei diritti contenuto nelle Costituzioni degli altri Stati dell’Unione europea (Le Costituzioni dei paesi dell’Unione europea, Padova, CEDAM, 2001).
Dalla fine della seconda guerra mondiale i diritti umani hanno trovato solenne riconoscimento anche a livello internazionale e sovranazionale.
In questa sede è opportuno ricordare la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1948; la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, elaborata in seno al Consiglio d’Europa; l’Atto finale di Helsinki del 1975 e la Carta di Parigi per una nuova Europa del 1990, prodotti della Conferenza sulla cooperazione e la sicurezza in Europa, e, infine, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Ulteriore documentazione sulla proclamazione e la protezione a livello internazionale dei diritti fondamentali può essere ritrovata nel Codice dei diritti umani, a cura di GIOVANNI CONSO e A. SACCUCCI (Padova. CEDAM, 2001).

Come si vede, si può concordare con il giurista PECES BARBA MARTINEZ che, nella sua Teoria dei diritti fondamentali  (Milano, Giuffré, 1993), ha parlato, con riferimento all’evoluzione dei diritti dell’uomo, di un processo di progressiva positivizzazione (riconoscimento dei diritti da parte degli ordinamenti giuridici); universalizzazione (estensione dei diritti a tutti i gruppi sociali); specificazione (proliferazione dei diritti rispetto alle diverse esigenze della vita sociale); internazionalizzazione (riconoscimento dei diritti da parte del diritto internazionale).
Per quel che riguarda la positivizzazione dei diritti, la discussione si è sempre svolta intorno a un dilemma di fondo: i diritti dell’uomo esistono solo in quanto riconosciuti dagli ordinamenti giuridici (una posizione che può essere definita di positivismo giuridico) oppure, come sostengono le tesi giusnaturaliste, un nucleo originario di diritti si ricollega alla natura umana e quindi preesiste a ogni concreto ordinamento giuridico, che risulta anzi legittimo solo in quanto non contraddice il diritto di natura.
Sul giusnaturalismo è utile vedere ALESSANDRO PASSERIN D’ENTREVES, La dottrina del diritto naturale  (Milano, Comunità, 1980) e Leo Strauss, Diritto naturale e storia (Genova, Il Melangolo, 1990).
Una critica delle tesi giusnaturaliste, a sostegno della ‘storicità’ delle varie categorie di diritti, è invece presente in molte opere di NORBERTO BOBBIO; tra queste si può qui ricordare L’età dei diritti (Torino, Einaudi, 1990).
Nel dibattito filosofico-politico, si è avuta una ripresa delle posizioni giusnaturaliste a partire dalla pubblicazione, nel 1971, di A Theory of justice di JOHN RAWLS (Milano, Feltrinelli, 1999). Pochi anni dopo, nel 1977, RONALD DWORKIN, in Taking the rightsseriously, ha sostenuto la positivizzazione dei principi di diritto naturale a opera dei cataloghi dei diritti contenuti nelle Costituzione e attraverso l’operato delle Corti costituzionali (I diritti presi sul serio, Bologna, Il Mulino, 1982).
L’universalizzazione e la specificazione dei diritti si collega invece alla classificazione operata dal sociologo inglese THOMAS H. MARSHALL in alcune celebri lezioni tenute nel 1949 a Cambridge (ora in Cittadinanza e classe sociale , Torino, UTET, 1976). Marshall parlò di tre tipi di diritti. "I diritti del primo tipo" sono quelli che attengono alla piena affermazione della libertà individuale (libertà di pensiero, libertà religiosa, libertà di stampa, libertà di associazione); "i diritti del secondo tipo" sono i diritti politici (l’elettorato attivo e passivo, il diritto di partecipare all’esercizio del potere politico); "i diritti del terzo tipo" sono i diritti sociali, ovvero il diritto all’istruzione, all’assistenza sanitaria, all’assistenza sociale in caso di disoccupazione, diritti che presuppongono un’azione dello Stato per consentire a ogni cittadino di vivere la vita di un essere civile secondo gli standard prevalenti nella società.
In questo quadro, esempi classici di riflessioni sui diritti del primo tipo sono Il secondo trattato sul governo di JOHN LOCKE del 1690 (Milano, Rizzoli, 1998) e il Saggio sulla libertà di JOHN STUART MILL del 1859 (Milano, Mondadori, 2002). La riflessione sui diritti politici richiama invece quella sul rapporto tra liberalismo e democrazia. A questo proposito, si può ricordare il celebre discorso di BENJAMIN CONSTANT su La libertà degli antichi, paragonata a quella dei moderni (Torino, Einaudi, 1991).
Ma, in qualche modo, al tema si ricollega anche ISAIAH BERLIN in Twoconcepts of liberty (in Quattro saggi sulla libertà, Milano, Feltrinelli, 1989) con la descrizione della dicotomia tra "libertà da" (libertà negativa, intesa come non interferenza) e "libertà di" (libertà positiva, intesa come effettiva capacità di decisione, autonomia, autogoverno).

Ma il tema più dibattuto e complesso è quello dello status dei diritti sociali. La concezione che le esigenze di protezione sociale potessero costituire sviluppo e potenziamento delle libertà individuali fu propria, tra fine Ottocento e inizi Novecento, del new liberalism
inglese (basti pensare a LEONARD HOBHOUSE, Liberalismo, Firenze, Sansoni, 1973).
In Italia, un ragionamento simile venne compiuto da CARLO ROSSELLI in Socialismo liberale  (Torino, Einaudi, 1997). Ma per la definizione dei diritti sociali nell’ambito dei diritti di libertà è interessante anche la prefazione di PIERO CALAMANDREI alla seconda edizione, del 1945, a Diritti di libertà di FRANCESCO RUFFINI (che, pubblicato per la prima volta dalle edizioni Gobetti nel 1926, aveva invece rappresentato l’estrema difesa delle fondamentali libertà di pensiero, di religione, di stampa e di associazione contro il nascente regime fascista); il saggio di Calamandrei è ora presente nella raccolta La libertà dei moderni (a cura di Gaetano Pecora, Milano, 1997).
Nel già ricordato L’età dei diritti, Norberto Bobbio riprende, da un lato, la classificazione di Marshall, dall’altro, ne introduce però una diversa: dopo aver parlato dei diritti sociali come diritti di seconda generazione, individua una serie di nuovi diritti come "diritti di terza generazione". Tra questi ricorda il diritto a un ambiente sano, i diritti dei consumatori, i diritti alla qualità della vita, alla privacy, il diritto allo sviluppo.
E delinea, infine, dei "diritti di quarta generazione", legati alla tutela dell’integrità del patrimonio genetico a fronte dei progressi della ricerca biologica. Si tratta di tematiche sviluppatesi a partire dagli anni Settanta: basti pensare allo sviluppo dei movimenti femministi, alle lotte su divorzio, obiezione di coscienza, aborto. E nella stessa temperie culturale è nato in fondo, a partire dagli USA, anche il dibattito sul multiculturalismo: ci si è posti cioè l’interrogativo di quali diritti dovessero essere riconosciuti ai gruppi, alle comunità in quanto tali (basti pensare alle minoranze razziali e religiose), e quali rapporti vi fossero tra questi diritti e i diritti dell’individuo (si veda, a questo proposito, CHARLES TAYLOR, Multiculturalismo. La politica del riconoscimento, Milano, Anabasi, 1993).

Il tema si collega oggi anche al problema dell’universalità dei diritti umani, che può essere così riassunto: la protezione dei diritti fondamentali è tipica del solo mondo ‘occidentale’ e quindi estranea ad altre civiltà, che preferiscono dare la preferenza ad altri valori, oppure i diritti umani devono essere protetti e garantiti da tutti gli Stati membri della comunità internazionale?
Ma, da un diverso punto di vista, sempre a partire dagli anni Settanta, ci si è interrogati sulle degenerazioni burocratiche dei moderni Welfare State, tornando a rivendicare, contro l’ingerenza statale, "i diritti del primo tipo" e auspicando uno "Stato minimo": basti qui ricordare ROBERT NOZICK, Anarchia, Stato, Utopia (trad. it. Milano, Mondadori, 2000) e FRIEDRICH VON HAYEK, Legge, legislazione e libertà (Milano, EST, 2000).

La questione della edificazione della nazione e del suo rapporto con la democrazia è controversa. Potrebbe pensarsi infatti che l’idea di nazione ha condotto alle degenerazioni del nazionalismo ed alle guerre mondiali per sposare una irenica prospettiva universalistica e federalistica (che è più o meno alla base dell’ideologia dell’Unione europea).
Tuttavia la stessa Unione ed il mercato globale sono il frutto – a ben vedere – di politiche statali.
Benché il nesso tra la costituzione di stati-nazione centralizzati e burocratizzati, da un lato, e, dall’altro, lo sviluppo del capitalismo globale non sia un nesso causale diretto, questi due fenomeni sono strettamente correlati.
La creazione di territori statali delimitati e controllati centralmente ha fornito condizioni chiave per lo sviluppo di forti economie capitalistiche circoscritte. Certamente tali economie "nazionali" potevano svilupparsi soltanto nel contesto dell’emergente mercato mondiale: il commercio estero e il colonialismo hanno fornito una base importante all’accumulazione capitalistica e all’industrializzazione e poi alle diverse fasi di globalizzazione dei mercati.
Ma esiste anche una complessa relazione tra sviluppo dello stato-nazione capitalistico e "borghesia", vale a dire democrazia politica parlamentare e pluralista: una relazione derivante dal fatto che lotte democratiche e conflitti di classe hanno potuto svilupparsi con successo solo entro terreni economici e istituzionali relativamente delimitati.
I fondamentali orientamenti normativi - eguaglianza, relazioni sociali governate da regole legali, libertà generali, rispetto per i diritti umani - anche se spesso non pienamente praticati, restano legati allo stato-nazione.
Paradossalmente, lo stato-nazione funziona anche come barriera sostanziale, nella misura in cui tali orientamenti restano mere finzioni al di fuori dei confini dello stato-nazione.
I diritti umani trovano infatti sostanza solo in quanto codificati come diritti civili entro uno stato-nazione, mentre le relazioni internazionali restano affidate alla dipendenza (coloniale), alla violenza e alla guerra.
Solo occasionalmente l’oppressione e il diritto del più forte sono stati controbilanciati da sistemi legali e istituzionali.
La relativa importanza dei valori fondati sulla democrazia e sulla società civile è rimasta confinata all’interno di un piccolo numero di stati economicamente e politicamente potenti.

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