venerdì 24 maggio 2013

LE VERE CAUSE DELLA SVENDITA DEL MADE IN ITALY

Ci sarebbe poco da aggiungere a questo commentario ragionato di Flavio sulla questione della "svendita all'estero" dell'industria italiana. Questione che, nei media italiani si tende ad affrontare continuando a dare la colpa alla eccessiva tassazione e dimenticando che essa è solo un corollario di una "verità" più ampia e, complessivamente, ben diversa.  Essa ha a che fare con il divorzio tesoro-Bankitalia, col legare il nostro cambio al marco (nelle varie forme partite con lo SME), con la competitività di prezzo regalata a concorrenti che "barano" e che addirittura additiamo a modello, con la assurda auto-preclusione della domanda estera, con una connessa debolezza della spesa pubblica, corrente e per investimenti: tutti elementi che hanno determinato la crisi da domanda in cui ora ci ritroviamo. Senza che i governanti lo vogliano riconoscere come tale e senza che, comunque, mostrino la benchè minima volontà di adottare i provvedimenti indispensabili per risolverla.

Le vere cause della svendita del “Made in Italy”.

Lo Stato colpevole, lo Stato che spreca, lo Stato che impedisce all’impresa di sopravvivere. Il luogo comunismo imperversa anche sul web. Noi, nel nostro piccolo, ci dedichiamo a correggere le “lievi imprecisioni” che da troppe parti falsificano la storia economica del nostro paese. Ci dedichiamo oggi ad un articolo di qualche tempo fa’. Partiamo dal pezzo: eccolo.
Prima di tutto suggeriamo di leggerlo completamente. Perché è molto utile: la prima parte, fatto salvo un passo non chiaro sulla politica, è sostanzialmente corretta, inoltre la tabella delle aziende italiane di proprietà straniera ci può aiutare a capire molte cose sui comportamenti ufficiali delle stesse imprese in questa crisi oramai divenuta di lungo corso. Che il liberoscambismo europeo sia un male per il nostro paese (cfr. ad esempio) non lo diciamo solo noi, ma numerosi altri economisti di fama internazionale tra cui Dani Rodrik.
Partire con il piglio giusto però non vuol dire, come in questo caso, giungere alle conclusioni corrette. Tutt’altro. Le parole: “mercato unico”, “libero mercato”, “adeguarsi all’Europa” possono risuonare dolci al lettore disattento ma, come sentenzia il famoso proverbio, il diavolo fa le pentole, non i coperchi. Il perché di queste nostre rimostranze? E’ presto detto.
Innanzitutto per dovere di informazione: farla nel modo corretto, senza urlare, né sparando dati o numeri a caso, in momenti di crisi come quello in cui stiamo vivendo, risulta essere quanto mai di fondamentale importanza. Indispensabile è inoltre focalizzare bene il cosiddetto “colpevole” che si vorrebbe andare a smascherare. Cerchiamo quindi di fare chiarezza.
Sostanzialmente l’incipit del post linkato è corretto: non è difficile dimostrare come, nella realtà, numerose aziende italiane siano di fatto di proprietà estera. Altro che Made in Italy quindi direte voi!! Calma, un passo per volta. Che ciò accada è purtroppo vero. Ma non dimentichiamoci di tutte quelle aziende che in Italia producono e mantengono viva l’occupazione ed il lustro dei nostri prodotti nel mondo. imprenditori e lavoratori encomiabili, che andrebbero premiati per il loro coraggio. Ma, ritornando a noi, davvero vogliamo credere che la colpa di quanto accade in Italia sia solo ed esclusivamente dello Stato italiano? Davvero vogliamo credere che a far fuggire gli imprenditori siano state solo le tasse, i sindacati comunisti e la Costituzione sovietica?

Dichiarare che l’impresa in Italia è ostaggio dalla Costituzione, che ne farebbe il nemico pubblico numero uno, non è assolutamente corretto. Affermando ciò, infatti, ci si pone in palese contrasto con quanto affermato nell’art.41 della nostra Carta: “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”.
Vorremmo capire come questo articolo, ad esempio, ostacoli l’iniziativa privata e possa in qualche modo andare in contrasto con l’attività imprenditoriale, visto che la Costituzione definisce esplicitamente il ruolo “sociale” che essa deve avere: essere cioè fonte di lavoro, occupazione, reddito e quindi risparmio per i cittadini che si tramutano necessariamente, attenzione, in domanda per i beni delle imprese stesse. Dov’è quindi che la Costituzione uccide l’impresa? Perché mette dei paletti vincolandola ai “fini sociali”, che non sono nient’altro che i diritti al lavoro, al reddito dignitoso, alla sanità pubblica, alla previdenza, alla maternità dei cittadini e delle cittadine italiani/e? O forse, come afferma Kalecky, essa è scomoda perché intralcia qualcos’altro 
La figura dell’imprenditore, come ben sapete, è disciplinata inoltre nel Codice civile all’art.2082. Imprenditore è colui che “esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi”. Beni e servizi, non finanza quindi (sempre che non si voglia far rientrare nei servizi resi al pubblico l'attività di trading sui "nuovi" strumenti finanziari che le banche svolgono sostanzialmente "in proprio", sia operando direttamente come investitore-scommettitore, sia orientando, in conflitto di interessi, il risparmiatore che entra in rapporto con loro per "consulenze" di investimento).  
Il Codice civile definisce la figura dell’imprenditore e non quella dell’impresa, ponendo in primo piano la persona che esercita l’impresa e non l’organizzazione, in quanto l’economia è fatta per le persone, non le persone per l’economia. E le persone hanno doveri, certo, ma pure dei diritti.
La libertà economica riconosciuta dalla Costituzione si differenzia dalle altre libertà fondamentali anch’esse previste nella Carta in quanto non può essere esercitata tenendo conto dei soli interessi dell’imprenditore, ma deve tenere conto anche degli interessi di quei soggetti su cui si possono riflettere le scelte aziendali. Bene.
Il problema principale quindi è: quando un’azienda chiude, de-localizza o viene acquistata da una multinazionale straniera (come sta accadendo ad esempio or ora in Italia), essa tiene conto degli interessi “estranei” all’imprenditore?

Non pare. Dimenticare quindi il ruolo che certe scelte politiche ed economiche hanno avuto sull’economia italiana, e sulle scelte imprenditoriali nazionali, in questi ultimi trent’anni è errore grave. Non scomodiamo di certo Francesco Carlucci, che nel suo “L’Italia in ristagno”, Franco Angeli 2008, ben fotografa l’errore cardine: l’entrata in un sistema di cambi fissi insostenibile per la nostra economia. Che l’Euro sia per l’Italia una moneta sopravvalutata non è difficile da dimostrare: non credo servano molti esempi. Basterà per chi è già avvezzo, dare un rapido sguardo a due o tre cose :
 - il CLUP italiano al confronto con i concorrenti (cfr. pagina 64 bollettino Bankitalia) .

Cosa ci dicono questi tre dati? Che la moneta unica ha chiuso i nostri mercati di sbocco, strozzando la domanda estera. Infatti, a fronte di un conto di parte corrente negativo, che avrebbe quindi dovuto dare luogo ad una progressiva svalutazione della divisa nazionale (meno richiesta dai mercati), il sistema Italia si ritrova con cambio nominale (verso gli Usa ad esempio) in costante rivalutazione verso “l’esterno” dell’Eurozona, ed un andamento dei prezzi interni in aumento al confronto con quelli dei propri partner commerciali (in EU i principali sono infatti Germania e Francia). Un’enorme perdita di competitività quindi, sia all’interno dell’Eurozona (Clup), che all’esterno della stessa (Euro forte), che ha facilitato l’import ed ostacolato l’esportazione (deficit partite correnti), a danno delle imprese italiane e dell’occupazione nazionale.
C’è chi dice che senza l’Euro avremmo "fatto il botto"…ma, dopo aver visto questo terrificante grafico, possiamo davvero essere ancora sicuri di ciò?

Alla domanda estera stagnante, aggiungiamo quanto afferma Giarda nel suo famoso report sulla spesa pubblica :
Per un lungo periodo il peso degli interessi passivi sul totale della spesa è progressivamente aumentato, passando al 3,8% nel 1951 al 10,7% nel 1980, al 12,7% nel 1993. Si è gradualmente ridotto fino all’8,8% nel 2010. Nel corso del periodo in esame, si è drasticamente ridotto il peso delle componenti tradizionali dell’intervento pubblico, la fornitura di servizi pubblici, le spese per trasferimenti di sostegno alle famiglie e gli investimenti pubblici; complessivamente queste tre categorie di spesa assorbivano l’81,9% del totale nel 1951, il 59,8% nel 1980 e il 57% nel 2010. La quota dei consumi pubblici nella spesa complessiva è scesa dal 54,4% nel 1951 e si è stabilizzata a partire dal 1980 nell’intorno del 41% del totale; la quota degli investimenti pubblici è scesa dal 15,4% del totale nel 1951 al 10,8% nel 1980 e al 6,8% nel 2010. I numerosi programmi di sostegno di individui, lavoratori e famiglie assorbivano il 12,1% del totale della spesa nel 1951, il 8,1% nel 1980 e il 8,8% nel 2010.”.
Cosa ci dicono questi dati? Che, oltre la domanda estera, manca anche quella pubblica.
Quest’ultima ha dovuto nell’ultimo trentennio far fronte ad un imprevisto di non poco conto: gli interessi.
Lo dice lo stesso Giarda: negli ultimi anni si sono letteralmente regalati, perché di elargizione a titolo gratuito si tratta, miliardi e miliardi di interessi alle banche, a cui lo Stato italiano si deve rivolgere, non potendo, prima a seguito del "divorzio", e poi da trattato UE-Maastricht, avere più Bankitalia come prestatore di ultima istanza, per ottenere la liquidità necessaria per le proprie spese. Omettere questo dato di non poco conto, significa sostanzialmente fare informazione NON corretta. 80, 90, 100 miliardi trasferiti l’anno alle banche, private, quante manovre sono?
Quanti investimenti si possono fare con tutti quei soldi, nostri, per rimettere in moto i NOSTRI ospedali pubblici, le NOSTRE ferrovie, le NOSTRE scuole fatiscenti, la NOSTRA fibra ottica per aiutare le NOSTRE imprese. Ecco, partiamo da qui. Partiamo dal fatto che 90 miliardi l’anno di soldi, NOSTRI, vanno alle banche tedesche, americane, francesi, italiane e non finiscono nelle nostre tasche sotto forma di servizi pubblici al cittadino, o domanda aggiuntiva per i beni ed i servizi delle NOSTRE imprese.
Tralasciando le enormità trasferite all’UE per i salvataggi dei paesi in difficoltà. Pensiamoci bene quando parliamo di spesa pubblica da ridurre, come da troppe parti a sproposito si continua a fare, dato che lo Stato italiano da oltre vent’anni fa AVANZO PRIMARIO . Pensiamoci, e pensiamo a tutte le cose che si potrebbero mettere a posto ed a come la nostra economia ripartirebbe. Dire che la spesa pubblica italiana va ridotta perché strozza le imprese, è dire un’emerita stupidaggine se non si specificano le parole “per interessi”. Perché? Perché Giarda il debito pubblico lo studia da 30 anni. E dire che lui non ci capisce nulla è cosa grave… da bocciatura all’esame di economia del primo anno.

Chiusa la doverosa digressione, ci chiediamo quindi: e se manca la domanda, gli investimenti in ottica futura, dal lato dell’imprenditore, si fanno oppure no? Domanda retorica.
Studi dimostrano che, a fronte di questi “intoppi” accade che “In Italia anche l’andamento della formazione del capitale risulta più basso, per tutto il periodo considerato, rispetto alla Francia e alla media europea, mentre risulta superiore a quello della Germania per buona parte del periodo a partire dall’inizio del nuovo secolo, fino al 2009, evidente indizio che non conta solo il volume, ma anche la qualità degli investimenti. Con la crisi, dopo il 2007, questa variabile assume in Italia un andamento drammaticamente decrescente, molto più accentuato rispetto agli altri paesi. Il problema degli investimenti si presenta quindi particolarmente acuto nel nostro paese durante la crisi e l’effetto delle politiche di austerità è quello deprimere gli investimenti, cioè proprio una dei fattori essenziali su cui puntare per uscire dalla crisi.  In conclusione i dati sembrano supportare l’ipotesi che una parte considerevole, anche se, a parere di chi scrive, non esaustiva, delle cause delle difficoltà attuali dell’Italia, anche in rapporto agli altri paesi europei, sono legate all’andamento della domanda aggregata. Ad esempio, è difficile negare che una scarsa dinamica della domanda domestica non abbia conseguenze molto negative per le micro imprese, che difficilmente, a differenza delle medie, possono essere orientate all’esportazione. Basti pensare che nella manifattura in Italia, secondo dati Eurostat, prima della crisi era impiegato nelle micro imprese (da 1 a 9 occupati) il 25% dell’occupazione totale del settore, mentre in Germania appena il 6% e in Francia il 12%. Inoltre in ciascuna micro-impresa in Italia sono impiegati in media 2,8 lavoratori. Ignorare questo aspetto significa entrare in una spirale recessiva da cui è onestamente difficile vedere l’uscita.”.

Aggiungiamoci inoltre un altro drammatico dato, il ristagno dei salari reali  : “L’accordo del luglio 1993 raggiunge il suo principale obiettivo ovvero la moderazione salariale, contribuendo così alla stagnazione dei salari a livello nazionale... In seguito, sotto la pressione delle novità legislative introdotte nel mercato del lavoro, la flessibilità del lavoro, in particolare quella “in entrata”, è aumentata in modo consistente: il lavoro a termine, il lavoro a progetto e tutte le forme atipiche di lavoro sono esplose. Il processo è stato completato di recente con una legge del giugno 2012 che ha introdotto alcune forme di flessibilità del lavoro “in uscita”. Tuttavia, la flessibilizzazione del mercato del lavoro non è stata accompagnata da un livello più elevato livello di spesa pubblica per la dimensione sociale, per l’occupazione e più in generale per le politiche del lavoro (come è spesso il caso nei paesi che hanno introdotto un cosiddetto modello di “flexicurity” come la Danimarca o la Svezia). In realtà, si è verificato tutto il contrario poiché anche il salario indiretto (ovvero la spesa pubblica per le politiche sociali) è diminuito. La disuguaglianza del reddito è aumentata e il potere d’acquisto dei lavoratori è diminuito.”.

Tutto ciò, ragionando per assurdo, avrebbe dovuto in qualche modo stimolare la competitività della nostra economia, ed invece: “Appare chiara una forte diminuzione del livello della domanda aggregata italiana causata da una diminuzione drammatica dei consumi che a sua volta è generata dalla sensibile riduzione della quota dei salari sul Pil, dalla marcata diminuzione del salario indiretto, vale a dire la spesa pubblica, in particolare nelle dimensioni sociali, dall’aumento della disuguaglianza e dalla pressione sul lavoro e sui salari causata da una forte flessibilità del lavoro e dalla conseguente creazione di posti di lavoro precari. Il calo della domanda aggregata è la causa principale della riduzione del PIL e, più generalmente, della recessione…
Le imprese, a causa dei costi del lavoro relativamente più bassi (garantiti appunto dalle pressioni della flessibilità), e delle protezioni di cui possono godere nel mercato dei beni, preferiscono una strategia di investimenti “labour intensive” piuttosto che una strategia di innovazione tecnologica (in contraddizione con quanto stabilito negli accordi di luglio del 1993)... 
L’analisi dei dati rivela che la dinamica di crescita delle principali componenti del PIL è sistematicamente al di sotto di quella dei principali partner (Francia e Germania). In particolare, il contributo alla crescita del consumo - elemento cruciale della domanda aggregata - è pari solo allo 0,3% nell’ultimo decennio; il valore più basso tra quelli registrati dai paesi OCSE ed una delle peggiori performance dalla Seconda Guerra Mondiale in poi. Una dinamica simile riguarda il contributo degli investimenti alla crescita e il contributo della spesa pubblica alla crescita.
La scarsa dinamica di crescita delle principali componenti del PIL può confermare la nostra ipotesi: il crollo della domanda è una conseguenza di un calo dei consumi e degli investimenti. La dinamica delle esportazioni ha registrato una crescita cumulativa nel periodo 1990-2011 superiore rispetto alle altre componenti, ma ancora inferiore a quella di Francia e Germania. La politica economica negli ultimi 15-20 anni non ha sostenuto la domanda interna, e la competitività internazionale ha mirato solo a tagliare i costi del lavoro attraverso la flessibilità del lavoro e una pressione sui salari che ha portato alla loro stagnazione. Alla fine, tuttavia, le esportazioni non erano più sufficienti per sostenere la domanda aggregata e mantenere una dinamica positiva del PIL; la produttività del lavoro non è cresciuta anche perché non si è investito.
 Nell’Unione Europea, Italia compresa, fino a prima della crisi del 2007-08, si è avuto un aumento di occupazione nel settore terziario, frammentato e disorganizzato, scarsamente motivato e poco retribuito. La conseguenza è stata la bassa produttività dell’economia europea, e di quella italiana in particolare. Alla fine, l’unico dato parzialmente positivo, cioè il relativo aumento di occupazione, è stato negativamente compensato dall’andamento negativo della produttività, dalla riduzione della percentuale dei salari sul Pil, dalla riduzione del potere di acquisto dei lavoratori e dalla scarsa dinamica del Pil. La mancata crescita economica e l’attuale crisi hanno riportato l’occupazione sui bassi livelli iniziali, soprattutto in Italia.
I minori salari reali, hanno portato, un aumento dei profitti, i quali non si sono trasformati in maggiori investimenti. Il sistema economico non ha ottenuto effetti positivi in termini di produttività e crescita economica.”.

Ancora convinti che l’Italia non sia un paese per imprenditori a causa “dell’arretratezza culturale e dall’aspirazione a divenire dipendenti pubblici”?
Nel caso non foste ancora persuasi, Vi chiediamo: alla luce di quanto sopra affermato, e dovendo avere a che fare con concorrenti così, che praticano dumping salariale (qui alla Daimler, ed i famosi minijobs teutonici salvati dal sussidio statale) e dumping fiscale (i casi irlandesi per Apple  ed inglesi della FIAT,  sono all’ordine del giorno, per non parlare di quello, ben noto, tedesco ), sommati a tutti i problemi di domanda estera ed interna, e di calo dei consumi causa salari reali stagnanti se non calanti, possiamo ancora dire che la colpa sia SOLO ed esclusivamente dello Stato e della Costituzione sovietica, oppure le svendite agli stranieri di aziende italiane, produttrici del Made in Italy, esaurite da una tassazione assurda, derivano piuttosto dall’assenza per lo Stato di un prestatore di ultima istanza e da una domanda aggregata in continuo calo, entrambe generate dai trattati di Maastricht e dalle direttive UE?
Per questi due motivi gli imprenditori italiani vendono agli stranieri: perché produrre in queste condizioni, con tasse sempre più alte, per ripagare via avanzi primari costanti il debito alle banche ed avendo a che fare con clienti senza soldi,  non ha senso!!!
Mettendoci dalla parte dell’imprenditore: che senso ha investire e produrre, se nessuno compra? Tanto meglio vendere la propria attività alle multinazionali, almeno si ha un ritorno economico e si evitano numerosi problemi al fegato.

Chi non ricorda infine lo SME  (in cui confluì l’Alivar), l’azienda pubblica italiana “incubatore” del settore agricolo-alimentare italiano? Provate a cerca in rete quante, delle aziende menzionate nella tabella dell’articolo, facevano parte di quel gruppo. Quando venne smembrato? Nel 1993… Vi ricorda qualcosa, come poi ha stimato la Corte dei conti, il lo “vuole l’Europa” ?
Ecco, pure lo SME fu parte della svendita coatta che diede il via alla prima vera ondata di privatizzazioni italiane degli anni ’90.
Dare uno sguardo alla galassia IRI 1992 di pagina 21, figura 4, del documento della Corte dei Conti è istruttivo. E’ bello infatti notare quanti, dei gruppi indicati nella tabella dell’articolo da cui prendiamo le mosse, e inizialmente linkato, facevano al tempo parte dello SME o dello stesso Istituto per la Ricostruzione Industriale.
Ecco il motivo per cui furono privatizzate: per fare cassa, per tentare di rispettare i vincoli fiscali di deficit al 3% e debito pubblico al 60% del trattato di Maastricht, nella speranza di poter aderire definitivamente alla moneta unica negli stessi tempi degli altri partecipanti. Finendo, alla fin dei conti, in mano estera.

Vi ricordo, nel caso non fosse ancora chiaro, quanto si afferma in un bel documento Deutsche Bank: “Il rinnovato concentrarsi sull'economia di mercato in seguito al declino del socialismo, ed i concomitanti stimoli delle istituzioni europee, hanno svolto un ruolo importante. Da un verso, la legislazione che richiedeva l'apertura dell’economia ai mercati ha comportato una notevole pressione sui vari governi per sciogliere i loro attuali monopoli… privatizzando attività e strutture pubbliche. Dall’altro…i Paesi membri dell'UE hanno utilizzato le privatizzazioni per… migliorare la posizione dei loro bilanci pubblici nel periodo di poco precedente al lancio dell'Unione…e quindi… soddisfare i criteri di convergenza fiscale del Trattato di Maastricht. I governi si sono focalizzati principalmente sulla cessione di partecipazioni delle imprese statali nei settori delle telecomunicazioni e della fornitura di energia…la maggior parte dei Paesi dell'UE hanno registrato le loro entrate più alte dalle privatizzazioni in questo periodo.”.

Eccolo il vero motivo che strozza l’impresa: il trattato di Maastricht!! E’ questa la causa! Allora, che senso ha dire che la colpa è dello Stato, se non si capisce che il vero punto di partenza di un’analisi corretta deve essere la moneta unica ed i trattati di Maastricht e di Lisbona!?!
Basta dare uno sguardo su Wikipedia e cercare il nome di una azienda delle tante citate, a caso: Avio, Fastweb, Buitoni, San Pellegrino, Parmalat, Carapelli, Standa,  Coin, Ducati   (in mano ad Audi, gruppo Volkswagen, Germania). Segni particolari di queste aziende? Tutte italiane, pubbliche o private che fossero, tutte vendute agli stranieri, e tutte, caso strano, cedute negli anni del declino economico italiano iniziato negli anni ’80 e continuato fino ai giorni nostri.
Colpa dello Stato o colpa delle vicissitudini che lo Stato e l’economia italiana hanno dovuto subire in questo trentennio di adesione alla “zona del marco allargata”? Dopo la lettura di questi due post, qual è per Voi, tra le due, la soluzione più plausibile?










49 commenti:

  1. Ma fare qui a Roma come Piero Valerio in Sicilia, cioè cercare uun terreno comune con i 5 Stelle?

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    1. Le vie del Signore (degli Anelli) sono infinite...in tutti i sensi. E occorre armarsi di infinita pazienza.
      Parlerò con Piero, ma non dimentichiamo che esiste una versione 2.0 del vecchio brocardo adattabile in "si vis "communionem" para "scissionem"...

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    2. E comunque, visto che sei un "qui a Roma", cosa che appare abbastanza rarefatta (nelle precedenti occasioni scientifico-informative), hai il polso della situazione di quanti romani siano "coscientemente informati" sulla euro-verità e frequentatori di goofynomics e del presente blog?

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    3. E' vero che non è facile e non hai idea di come è andato un mio tentativo privato. Ti dico solo il finale tralasciando cose difficili da credere successe prima. Era una riunione in cui partecipavano i deputati Di Battista e altri due (ossia poco dopo le elezioni 2013). Ero andato fino a quel ridente (non troppo) paesino laziale per dire ai rappresentanti al parlamento che si decidessero a parlare di economia in modo serio, con competenza e proponendo soluzioni.
      Dopo una serie di vicissitudini da film di Alvaro Vitali finalmente riesco a prendere la parola; gli dico che Grillo ha sbagliato a elogiare le riforme Hartz...Di Battista mi interrompe bruscamente e mi dice che non è vero e se è vero devo portargli le prove.
      Non avevo le prove...allora con il loro programma economico stampato alla mano li incalzo: sì ma nel vostro programma si parla di tagli alla spesa pubblica mentre forse sarebbe più efficace parlare di aumento della spesa pubblica e tagli solo ed esclusivamente agli sprechi facendo quuella spending review che Monti ha fatto solo per scherzo; perché non ne parlate?. La risposta di tutti e tre i parlamentari a una sola voce è stata (testuale, prego):
      "Che c'entra...nel programma non l'abbiamo scritto ma fra noi ne parliamo!".

      Fatto sta che senza la gente non si fa nulla e la grande qualità di Grillo è di essere riuscito in qualche modo a mobilitare delle masse di persone che fino a ieri non distinguevano fra la Gabanelli e Rodotà.

      Per quello che può servire questo sarebbe un progetto che condividerei pienamente.
      Spero che altri lettori del tuo blog (eccellente blog davvero) vogliano pronunciarsi sulla questione.

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    4. A proposito del qui a Roma che leggo solo adesso.
      Del tuo blog nessuno che io conosca; di Goofy alcuni, molti grillini fra i dirigenti (quelli che ho conosciuto in due occasioni) ma attenzione...si tratta di gente che mi è venuta a spiegare un po' seccata che il Movimento 5 Stelle ha degli ottimi economisti alle spalle, come Stiglitz che ha inventato la mano invisibile (giuro). Capisci quindi che non significa molto che sappiano chi siano Bagnai o Borghi.

      In generale si sta faticosamente facendo strada l'idea che la spesa pubblica possa avere una sua utilità ma direi che la coscienza della situazione è ancora molto labile, stiamo prevalentemente sul "più Europa" e le voci di dissenso sono isolate o si basano su visioni molto semplicistiche.

      Ha ragione Grillo che l'unica strada per la mobilitazione è il brutale vaffa e il "devono andare in galera" ma a me pare che in modo molto sottile stia anche cercando di dare una maggiore consistenza propositiva al M5S.
      Certo gli manca il contributo di intellettuali con il curriculum "pesante".
      Credo che Valerio si stia rendendo conto della strada giusta da seguire, ma sappiate che è una missione che richiede una fede perinde ac cadaver perché il livello di coscienza della "base" è semplicemente pauroso (non solo ti spazientisci tu che gli parli e cerchi di trattenerti, si incazzano loro se non capiscono e pensano che sei un infiltrato. Bisogna andare in tanti e con gente, come ho detto, che abbia un curriculum importante).

      Spero con tutto il cuore che altri lettori vogliano gentilmente dire la loro al proposito.

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    5. Caro Marco,
      andare in tanti da gente che non vuole ascoltare, se on in una minima ristrettissima parte di persone con qualche barlume di approfondimento diciamo "serio"?
      Mmmmmm...Non credere che non abbiano avuto contatti con "l'esterno" ma l'impressione è che siano alquanto "castrati" dal resto "dell'interno".
      Ora: la realtà li metterà di fronte agli esiti distrastrosi di quella che è la loro linea principale: specapubblicaimproduttivacorruzionebrutto.

      Per altre vie, non grazie a loro -anche se eccettuo attivisti valorosi come Simone Curini e Mattia Corsini, ma, constato, vere "mosche bianche"-, la gente, sempre più in massa, si accorgerà che stanno abbaiando alla luna e per di più sbraitando cose che non hanno nulla a che fare con le soluzioni possibili (dicono di ripubblicizzare bankitalia e non sanno che ormai è solo vigilanza bancaria mentre il problema non è neppure la BCE, ma la BCE in quanto "indipedente pura").

      Quando si troveranno a essere oggetto del malcontento diffuso per manifesta incapacità culturale (non sapnedo bene chi sia Von Hayek e che gioco si fa nel sostenere quello che sostengono in assoluta maggioranza), vedrai che verranno a più miti atteggiamenti.
      Ma non è affrontandoli nelle loro sedi e mentre devono "suonare la loro musica" che si può ottenere di farli ragionare...
      Il mondo va avanti anche senza di loro: e lo sta facendo

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    6. Sì ma è un discorso un po' strano dire che capiranno sulla loro pelle dopo aver battuto la testa contro il muro.
      Almeno non è il mio modo di vedere; in quanto persona (una delle tante - ma non troppe) che si è resa conto da molti anni della situazione mi sento responsabile per quelli che per impossibilità si trovano a vivere come gli asini in mezzo ai suoni, incapaci nemmeno di capire chi potrà rappresentare al meglio i loro interessi.

      Ecco, faccio fatica a capire come mai anche altri non si sentano altrettanto responsabili nei confronti dei più indifesi (indifesi ma scassapalle di tutto rispetto a volte, lo riconosco ma la vita è così e non mi riferisco solo ai grillini, naturalmente).

      A proposito del capire dopo aver sbattuto la testa temo che anche altri avranno modo di riflettere sul mancato impegno a sensibilizzare la massa meno preparata dei cittadini. Perché ci penserà qualcun altro...

      Saluti e complimenti ancora per il blog che ho scoperto da na settimana circa e da allora sta nei miei bookmarks.

      P.S.: A proposito, ma avete visto a Omnibus stamattina, Piga che si lisciava Monti (che gradiva moltissimo) e poi alla fine gli consegnava speranzoso il libretto del programma della sua associazione. Ma non ha fatto che criticarlo sulla stupida austerità...gli ha detto che non aveva la preparazione culturale per rispondere a Stiglitz sul problema della crescita in recessione...adesso se lo coccola...
      Ha ragione la Merkel che voi italiani siete tutti dei marpioni (sono italiano anch'io, scherzo).

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    7. Ma vedi, forse la lettura delle ampmie analisi dedicate alla situazione, nei mesi di post che precedono, può aiutarti a capire meglio.

      La testa, chi sostiene lo slogan "castadebitopubblicocorruzionespesapubblicaimproduttiva" la fa sbattere a noi: loro stanno benissimo!
      In piena gratificazione di potere e di visibilità.

      La responsabilità verso gli altri, dal momento che sono una formazione politica e che hanno rappresentanti in parlamento, ce l'hanno loro!

      Gli indifesi (dalle loro carenze culturali...a essere buoni) siamo noi non loro: e ciò vale per tutti quelli che nei fatti si allineano al PUDE.
      Ora perchè prendere un atteggiamento "missionario" per redimere una sola parte del PUDE?

      Non c'è un PUDE buono: c'è solo un PUDE che aggrava la situazione, disprezza l'Italia come comunità democratica, e fa il gioco di interessi oligarchici sovranazionali.
      E chi agisce in questo modo è, in genere, lautamente compensato: se non altro come posizione di potere, attuale e potenziale. E il seguito, la base, agisce sentendosi portatore di verità, senza tentennamenti e l'umiltà di studiare, capire, informarsi al di là, che so, delle inchieste della Gabbanelli.

      Ora che ci si debba mobilitare per "salvare", nel LORO interesse di "indifesi", chi ti opprime e ti guarda persino con sospetto e ostilità, mi pare un pò tanto.

      La resistenza si fa per la democrazia, per il futuro nostro e dei nostri figli, per ripristinare la legalità costituzionale, non per impedire a chi si contrappone a questi obiettivi di pagare il prezzo delle sue azioni e omissioni.

      La linea del m5s l'hanno dettata Grillo-Casaleggio, con anni di slogan livorosi; la selezione di opportuni rappresentanti, privi di altra qualificazione che l'adesione agli slogan, non l'abbiamo fatta noi.
      Se essi saranno capaci di aprirsi al dialogo con la parte della società che ha i mezzi culturali e scientifici per riportare le decisioni politiche al buon senso minimo, sarà un percorso che possono maturare solo agendo secondo coscienza.
      E nessuno spirito "missionario" può indurli a farlo imponendoglielo.
      Sta a loro evolversi e ricercare il grado di conoscenza che li deve guidare, senza credere di avere ogni possibile risorsa per fronteggiare la situazione.
      E vale per loro come per qualunque altra forza politica.
      NOn c'è ragione al mondo per differenziarne l'una dall'altra.
      Smettere di essere PUDE riguarda tutta la politica italiana e la sua pallida capacità di autoredimersi, pallida per tutti, nessuno eccettuato. Come tutti "loro" stanno dimostrando nei fatti

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    8. Non sono convinto che Grillo sia PUDE ma a parte le mie convinzioni scrivo qesta ulteriore replica per segnalarti che anche Piero Valerio come me ha dei dubbi sulle PUDEnda ortottere.

      Siccome il siculo non ha il dono della sintesi riporto il passaggio in questione:

      "Eppure, per non perdere consensi e per cavalcare l’onda della protesta qualunquista basata soltanto sul livore e la rabbia nei confronti della classe politica, Grillo è costretto a continuare la solita manfrina che a tutti piace sentire, lasciando da parte gli argomenti più complicati e difficili da ingoiare con immediatezza dall’uomo della strada durante un comizio elettorale. In questo modo Grillo affida il “lavoro sporco” della vera informazione e denuncia dei peggiori malanni del paese ai ragazzi in Parlamento, che fino ad oggi sono stati piuttosto incisivi e convincenti. Potrei sbagliarmi, ma le ultime dichiarazioni fatte a Mirandola, in cui Grillo spiega che fra un anno vuole fare un referendum sull’euro (di tipo esplorativo suppongo, visto che l’articolo 75 della Costituzione vieta l’utilizzo del referendum per ratificare o abrogare trattati internazionali) dopo un periodo di informazione capillare sull’argomento, mi fanno pensare di non essere andato troppo lontano dalla verità. Il problema però è che la politica non è solo denuncia o distruzione di ciò che c’è, ma anche proposta e costruzione di ciò che ancora non c’è e su questo ultimo punto il Movimento 5 Stelle mi sembra piuttosto carente e lacunoso."

      Io la penso allo stesso modo e una via potrebbe essere quella non tanto dell'avvicinamento ma del lavorìo dall'interno.




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    9. Ma se ritieni di prendere spunto da queste parole di Piero, provaci pure.
      E' una tua libera valutazione.
      Le nostre le abbiamo fatte, e sono espresse in vari post. Se poi qualcuno del m5s terrà conto della linea e delle analisi qui espresse, e che bisognerebbe conoscere per cercare di cambiarle e andare a lavorare dall'interno con un movimento che non te lo chiede, ne saremo ben felici.
      Ripeto intanto con Piero di queste cose ho anche parlato e mi pareva concordare nel merito, e, nel frattempo, la sua attività si dirige sull'ARS a quanto pare.

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    10. Ah, ma quindi Bagnai non c'entra con l'ARS...
      Vabbè, aspetto con molto interesse i suoi (vostri) sviluppi.

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  2. Eccellente post, la cui verità sembra cominci ad essere intuita anche dai (sordi?) organismi ufficiali: vedi relazione dei servizi segreti al Parlamento di quest'anno, che parla esplicitamente di "azione aggressiva di gruppi esterì" e di "strategie acquisitive di patrimoni industriali, tecnologici e scientifici nazionalì, nonchè 'di marchi storici del 'made in Italy', a detrimento della competitività delle nostre imprese strategiche".

    (http://www.huffingtonpost.it/2013/02/28/relazione-dei-servizi-segreti_n_2779654.html).

    A questo punto, mi viene il forte sospetto che certi fenomeni siano ben noti anche a anche ai Talebani della "spesapubblicaimproduttivabrutta", che saebbero pertanto deliberatamente in malafede e perseguirebbero consapevolmente una politica volta a destrutturare il tessuto sociale ed economico di un intero paese.
    Spero che rimanga un sospetto e non diventi una certezza......

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    1. Siine pure certo: prima acquisisci questa certezza, prima si va verso una soluzione democratica. I "responsabili" di queste "politiche credibili" sanno benissimo che idee sottostanti stanno cercando di realizzare. Tanto che in TV le affermano senza mezzi termini: sono solo le compatte coperture dell'informazione che non consentono alla gente di capire bene il cetriolone che "essi" spingono.
      Ma poi arriva Luttwak e glielo dice papale papale...Addavenì l'8 settembre

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    2. Oddio. Non vorrei esagerare, ma se il sospetto è certezza, certe persone nella migliore delle ipotesi dovrebbero essere chiamate "collaborazionisti", e, nella peggiore "traditori" (lo so, è frase molto retorica: ma come definire chi persegue consapevolmente una politica nociva per il Paese che giura di servire?)....

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    3. Oh beh, le qualificazioni terminologiche a un certo punto fioccheranno...Magari riassorbiranno le esigenze di appicazione di sanzioni varie, in una clima di pacificazione in cui si tenderà a dimenticare le responsabilità, per "guardare avanti". Ma che queste ci siano state lo dicono i risultati: abbiamo un cadavere e abbiamo il movente, e abbiamo pure, punto per punto, la dinamica dell'Italicidio...che dovremo fare dei disegni (o un plastico?):-)

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    4. comunque si comincia a denotare qualche mutamento, diciamo qualche trasformismo, tra alcuni piccoli Quisling evolventisi in piccoli Badogli...

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  3. Sottoscrivo tutto, parola per parola.
    daro' il mio piccolo contributo su alcuni punti.

    -Quando si parla di puntare sull' export e bla bla i soloni che vivono su Marte non sanno di cosa parlano.
    Io sono uno di quel 25% che lavora in una microimpresa (meccanica di precisione). Zona Firenze , indotto (dell' indotto) GE (ex Nuovo Pignone)MA NON SOLO.
    Qualche anno fa piu' della metà del lavoro era per piccoli clienti locali (i settori piu' disparati; dalla moda , alla carpenteria all' arredamento)e l' altra parte appunto, indotto GE.
    oggi, è vero che le commesse dalla GE (quindi prevalentemente per l' export) sono aumentate , anche di parecchio, ma i piccoli clienti che lavoravano per il mercato interno (quando non addirittura locale) sono letteralmente in via di estinzione. Ovviamente è in corso una competizione di prezzo al ribasso mostruosa operata dall'unica (mega) azienda rimasta in grado di fornire commesse.

    inoltre i soloni dimenticano che la maggior parte delle imprese che esportano (anche piccole, ci sono e come) hanno una parte del fatturato sull' export ma anche una parte di fatturato (consistente) sul mercato interno, una volta crollato il mercato interno finisce spesso per morire anche la azienda stessa che così, pur essendo capace di piazzare i suoi prodotti all' estero, quindi essendo "competitiva" (come direbbero i soloni) finisce per fallire lo stesso facendo perdere proprio una quota del tanto ricercato e mitico export italiano.

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  4. per chi se la fosse persa, consiglio lettura (o visione) di questa ottima intervista.

    http://www.byoblu.com/post/2013/04/29/nino-galloni-come-ci-hanno-deindustrializzato.aspx

    La consiglio vivamente a tutti, a Flavio in particolare e pure a 48 (anche se probabilmente ti "dirà" poco di nuovo ma forse qualche spunto c'è anche per te).
    E' un po' lunghetta, ma se 48 ha voglia (e tempo) di leggersela, una sua opinione o sue integrazioni sarebbero assai interessanti.

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  5. scusa 48 se oggi sono un po' insolente con i miei "che ne penzi" ma, ti domando; non c'è da chiedersi qualcosa anche in riguardo alla magistratura?
    Voglio dire, io ho sempre avuto grande stima dell' ordinamento giudiziario che permette alle procure di lavorare con grande indipendenza (certamente piu' che altrove).
    MA
    dico io, è mai possibile che non ci sia stato (o mi son perso qualcosa?)uno straccio di indagine sulle privatizzazioni degli ultimi 30 anni?? (a parte nota vicenda SME, anche se non mi pare si sia approfondito, anche li la vicenda vera).
    Insomma, è mai possibile che , che so, la privatizzazione della Telecom non abbia suscitato qualche sospetto? E quella della Stet?? E, in buona sostanza, tutte le altre???

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    1. Già strano...Ma ti ho mai parlato della precomprensione? :-)

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  6. un piccolo inciso, ritengo abbastanza rivelatore:
    Ricordiamo che negli anni '80 la FIAT (ma non certo solo la FIAT), in alcuni anni ha ottenuto piu' profitti con i titoli pubblici che con la le vendita dei prodotti, e ci tengo a sottolineare che parliamo di anni in cui la FIAT è stata anche produttrice del modello (la mitica "uno") piu' venduto d' Europa, grazie anche -tra l' altro- ad un florido mercato interno (all' epoca) e ad un centro ricerche (a Orbassano mi pare)assolutamente straordinario (e, ovviamente, in via di smantellamento).

    Altro fattore che vorrei integrare.
    ricordiamo che la produttività (sempre invocata) è frutto proprio della domanda (direi, principalmente).
    Se la gente ha soldi, come in Francia (5% di popolazione in piu', 40-50% di spesa pubblica in piu' rispetto all' Italia) li spende e paga di piu'...per dire il caffè o la cena al ristorante, ed eccoti che il barrista e il cameriere transalpino è piu' produttivo del "mariuolo vagabondo" di quello italiano.

    Lo so, lo so, adoro semplificare e buttarla in caciara, pero' è effettivamente così che funziona. O sbaglio 48?

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    1. Ma questi so' cavalli di battaglia qui ampiamente illustrati :-). Ma non è che hai un rigurgito di adrenalina per avere letto il blog del FQ? No, perchè in questo caso qui puoi pure sfogarti; solo che sfondi una porta aperta da...sempre (v.interventi su goofynomics di oltre un anno fa)

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    2. Certo che ritrovarsi tutti qui dopo le "battaglie" sul FQ non ha prezzo...grande Marco, grande 48!

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    3. E su un sito "livoros-free" e "statoinefficientedebitopubblicobrutto-free"...Ma lo sai che oggi c'è record di contatti?

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    4. Siamo "main-stream free" allora!! Grande!! Mi fa piacere che siano tanti lettori. Le analisi che si fanno qui sono veramente "super-partes" e orientate all'unica vera carta che conta: la Costituzione. Qui si respira l'aria nuova: quella di cui tutta l'Italia avrebbe bisogno...

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  7. Arriva un momento in cui ti chiedi se il tuo modello di business sia ancora valido. Le cose vanno bene ma il sole non dura per sempre. Così decidi di guardarti intorno, di cercare alcuni elementi che ti permettano di esser maggiormente competitivo (prodotti migliori o/e a prezzi più bassi)per non abbandonare la posizione conquistata. Così decidi di investire una certa quota del reddito per acquisire questa competitività attraverso nuovi macchinari, nuovi sistemi commerciali, nuovi prodotti, ecc... Tutto questo costa però, si fa un bel business plan, si cercano le fonti finanziarie e si parte. La struttura finanziaria è ancora solida, le vendite vanno, i prestiti acquisiti vengono rimborsati. Poi arrivano le sorprese. Prima una moneta troppo forte per i fondamentali di un sistema industriale di tipo distrettuale, poi un sistema di tassazione volto a penalizzare i consumi interni (e favorire lo sviluppo all'estero) ed infine la chiusura di tutto il mercato estero di prossimità (quando la compressione dei consumi viene imposta a tutti i mercati/paesi di sbocco su cui ti eri faticosamente costruito una posizione "competitiva"). A questo punto ti chiedi: cosa faccio?
    Investo per migliorare ancora la competitività? Ma a chi vendo se tutti i mercati (interno ed estero) non hanno consumi e la moneta è ancora troppo forte rispetto ai beni esteri. E soprattutto con quali risorse? devi finire di pagare i finanziamenti passati e la banca non è mica così "disponibile" come quando i soldi dal core europa piovevano a scrioscio.
    Chiudo? probabile, una prima soluzione.
    Vendo al miglior offerente? di sicuro (se ci sarà e domani si affacciasse) ma non sarà italiano.
    Credo che in questa situazione si possa sintetizzare (dal punto di vista microeconomico) la condizione della gran parte del sistema industriale/manifatturiero italiano. Quello dal quale il primo ministro Letta vorrebbe ripartire. Ma il tempo passa, Tic tac tic tac.

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    1. Ma siamo sicuri che Letta abbia qualche pallida idea su cosa significhi ripartire?
      Ad es; gli oneri della burocrazia (che in situazione di crollo della domanda e di vincolo di cambio aiuterebbe attenuare anche se non risolverebbe), sono aumentati a causa dell'irrompere della disciplina UE.
      Qualsiasi obiettivo, me ne rendo conto esaminando le cause dove tale disciplina è applicata, diventa più difficile per la folle complicatezza concettuale, inconciliabile in un linguaggio comune giuridico tra i vari paesi. E l'italia, puntualmente, finisce per interpretare il tutto nel modo più repressivo possibile. Andando aggiungere oneri macchinosi a pressione fiscale demenziale.

      Anche perchè abbiamo problemi di congestione territoriale senza pari: siamo l'unico paese industrializzato "avanzato", che sia anche il più pieno di reperti archeologici, artistici di vedute paesaggistiche, un patrimonio difficile da conservare ma facile da disperdere se non si fa spesa pubblica.
      Una cosa che parrebbe ovvia a chiunque ma non ai nosti governanti.
      UN intero modello di sviluppo sarebbe possibile, ma è impraticabile per depauparamento in radice delle competenze per concepirlo e delle risorse per attivarlo.
      Quel che è certo è che l'UE non considera tutto ciò un valore tutelabile (e non stiamo parlando di diritti umani, semmai di asset "umanistici").
      Insomma, se vogliamo essere l'isola dell'export di qualità superiore non ci sono i presupposti per via dell'euro, se volessimo coltivare la "bellezza" come fattore della produzione sistemico (ammesso che sia sentita diffusamente come tale, data l'ignoranza incentivata, come valore Von Hayek che autoperpetua la sua diagnosi), l'europa ci sabota, direi, quasi con soddisfazione...

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  8. Complimenti per il post Quarantotto sempre molto preciso ed esaustivo.
    Anche se commento pochissimo il tuo blog, lo leggo spesso, come goofynomics e voci dall'estero e dalla Germania. State facendo un lavoro eccezionale.

    Ti volevo segnalare questi articoli del giornale dei padroni ( Sole24 ), quando qualche verità ci viene detta direttamente dai tedeschi.

    http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-02-06/supereuro-litalia-francia-sono-122022.shtml?uuid=AbEIzkRH

    http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-02-28/aziende-tedesche-pagano-bonus-181625.shtml?uuid=Abk5IPZH

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    1. A onor del vero "questo" post è dell'ottimo Flavio.:-)
      Ma lo sai che non si riesce più a star dietro agli articoli del giornale in questione che danno un colpo al cerchio e una alla botte. Dovrebbero fare delle riunioni di redazione: se il problema è il debito pubblico, se emettere moneta crea inflazione, se la competitività si guadagna con stipendi più bassi e orari più lunghi, se i consumi sono rilanciabili tagliando le tasse con corrispondenti tagli della spesa, perchè si contraddicono denunciando queste cose ma continuando imperterriti sulle altre?
      L'impressione è che a Confindustria non sappiano più a cosa attaccarsi, tranne che ad una generica distruzione dello Stato, dipinto come nemico.
      Nell'illusione che lo Stato come struttura sia la causa della pressione tributaria e senza ricordare che "loro", proprio "loro", hanno invocato il divorzio e poi il vincolo esterno, che è la madre dell'innalzamento delle tasse.
      Non si può odiare le tasse ora che la lotta all'evasione colpisce un pò di più i loro comportamenti elusivi (per godersi all'estero i profitti accumulati), dopo averle amate quando il cash flow che garantiva (e garantisce) il debito pubblico ha inciso essenzialmente sul lavoro, mentre "loro" facevano di tutto per diminuirne il potere di acquisto. Credendo che i profitti del "subito" sarebbero stati mantenibili adottando il marco.
      Il cieco furore anti-Stato e l'idea Von Hayek, che ha fallito in tutto il mondo, li hanno portati a fregarsi con le loro stesse mani. Ora piangono e si lamentano, ma il loro fuoco è spento perchè hanno tagliato la foresta per un falò effimero e gli ultimi bagliori delle rendite non li pongono al riparo dall'acquisizione estera...

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    2. Parafrasando Bagnai, molti di quelli che si credevano Fuuuuuuurbi stanno segnando il ramo su cui siedono.
      Ma invece con l'ipotesi frattalica come siam messi? Vorrei iniziare il 2014 con la buona vecchia li retta. :-)

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    3. La tua osservazione finale merita forse un post di aggiornamento frattalico...

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    4. OH, nel frattempo Rinaldi all'Ultima Parola ha citato Guarino...c'è il tuo zampino? ;)

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    5. Absolutely not: non so a che proposito sia stato citato Guarino. Ma la sua teoria dell'inefficacia del fiscal compact, in base ad analisi testuale interna alle fonti europee (contrasto "trattati" coi reg.ti sul FC, da cui scatterebbe l'inefficaccia inapplicabilità di questi), è tutto sommato di modesto impatto.
      Essa lascia intatta sia l'idea che Maastricht sia sostenibile, sia la teoria (per così dire) economica che sottosta allo stesso FC. Insomma Guarino non critica in sè nè la teoria monetarista (essendo un giurista la prende per buona) nè l'indipendenza della BC, a livello nazionale o sovranazionale che sia...Nè si preoccupa che la Costituzione sia incompatibile coi principi cardine di Maastricht (sull'occupazione, sulla prevalenza della deflazione etc.)

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    6. Si lo citava in merito al Fiscal Compact che è in contrasto con quanto si afferma nei trattati. Il mio intento era di segnalare come, finalmente, si accompagni all'analisi economica anche quella "giuridica". Infatti si è anche richiamata la Costituzione, l'art. 1. E' poco. Ma è un inizio.

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  9. SALDI DI FINE (di una) STAGIONE

    Flavio, sempre più efficiente &efficace, motiva sistemicamente le cause della “dismissione” del patrimonio industriale italiano e di quello nazionale italiano richiamando con disarmante efficacia articoli costituzionali e del diritto che affermano la dignità e il diritto dello Stato repubblicano, democratico e libero (ndr, note “marche” di colluttorio orali e di (ri)sciacquo genitale dei “liberi” venditori di “tutte le stagioni”).

    (S)parlando di “stagioni” meteopatiche e sempre molto british, vale la “pena” ricordare, nel lungo inverno del nostro scontento in attesa di una primavera “tarda”, l’ultimo atto del “littorio” Vittoriale (ndr, quello che riflette amleticamente su mogli che non sono mogli mentre, alle ricerca delle compatibilità tra crescita e austerità, taroccava il DEP 2013 di € 148 mld) è la costituzione dI SGR per “gestire” il “fondo dei fondi” con ratifica solerte, efficente ed efficace, delle nomine da parte dellla Corte dei Conti (ndr, quando “celochiedono” e/o “celoordinano” qui è d’uso “ubbidire & combattere” che è poi sempre attenuante in sede di giudizio).

    Dei grand commis, il giornalettismo ha lungamente trattato di trame degne della migliore letteratura “noire” che spaziano dall’avidità singolare sino a più ampie “concertazioni” (ndr, a volte servono, altre meno come rimebrano i “loden” grigio-verdi)
    qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui, qui.

    A me, affetto da gonadismo regressivo, il compito del cronacista nel rileggere i diari di bordo .

    E dalle “piste cifrate” appaiono le (in)solite icone di tanti “nipotini”, vecchi e giovani, ancora intenti a raccontare in giro che il rinnovato interesse per l’oro (pubblico) è per le sole proprietà terapeutiche del metallo.
    Nel frattempo si bisticcia e ci si accapiglia .

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    1. Caro Poggio (se me lo concedi), sono balzato ai link del bisticcio e poi accapiglio. Un ronzio iniziale (ma era breve escurso) diventato poi boato. Impossibile proseguire causa : E 'sti cazzi ...

      ps già che cito un francesismo (che spero sarà scusato) vorrei sapere se almeno è scritto giusto : non sono madrelingua

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    2. Uso corretto, anche nel significato (essendo invalso l'uso errato della locuzione in senso diverso dal "chissenefrega", cui correttamente equivale).
      Mi fa un pò ridere che si critichi Bagnai per cose diverse da quelle che dice o per l'assunzione arbitraria di una parte di quello che sostiene(sottraendone il senso complessivo).

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  10. La distruzione dello Stato sociale attraverso la catastrofe delle liberalizzazioni-privatizzazioni in Italia Su questa questione c'è anche questo articolo (che ho nella cartella documenti da diversi anni, insieme ad altri...), e che anche se hanno in testa “soluzioni diverse” sembrano mossi da molte condivise motivazioni. Da cui;
    “Alla luce di questi dati chi ancora oggi parla di liberalizzazioni e privatizzazioni come sistemi per la soluzione dei problemi economici e sociali che affliggono il nostro Paese è o un traditore del popolo italiano o più semplicemente un ignorante.
    In ogni caso ci troviamo di fronte a persone che non hanno niente a che fare con la complessa arte politica
    che mira al perseguimento del Bene Comune.
    Le liberalizzazioni si sono dimostrate la porta di ingresso ai processi di ristrettissima concentrazione privatistica
    di ciò che prima era pubblico o comunque diffuso e parcellizzato tra una vastissima pluralità di imprenditori.
    In ogni caso si è assistito a fenomeni di distruzione dei posti di lavoro, abbassando dunque il monte salari e dunque le entrate dello Stato……………………………
    ……….Così, a fronte di un mondo del lavoro dipendente sottopagato26 e fortemente tassato, il mondo del lavoro autonomo
    cerca di rendere congruo il proprio rischio d’impresa ricorrendo all’evasione fiscale. Senza il ricorso a questa impropria
    forma di sopravvivenza imprenditoriale, assisteremmo ad un’ulteriore moria delle piccole attività imprenditoriali,
    rispetto a quella già prodotta dalle liberalizzazioni-privatizzazioni e più in generale dalle politiche neo-liberiste.
    Riepilogando, il quadro che abbiamo di fronte è il seguente:
    a) A manifesta violazione del dettato costituzionale, sono venute meno, a tutto vantaggio dello scopo lucrativo, la funzione sociale dell’iniziativa economica e della proprietà privata, così come l’azione di rimozione degli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana che l’art. 3 della Costituzione impone alla Repubblica.
    b) Conseguentemente al venir meno della mission per cui i nostri padri costituenti si riorganizzarono dopo il
    fallimento dell’esperienza dello stato liberale ottocentesco, sfociato nei totalitarismi, l’azione politica (ma
    anche sindacale) è divenuta ossequiosa a fronte delle esose e capricciose richieste delle oligarchie finanziarie che nel corso degli anni sono tornate a subordinare a sé la dimensione politica, grazie ad un disonesto utilizzo dei media ed alla debolezza morale della classe politica.
    c) Questo processo passa per la distruzione delle funzioni produttive e di necessaria difesa dell’interesse generale che allo stato attuale si concretizza ancora con la tutela del lavoro, nonché della capacità nazionale di riconoscere diritti fondamentali (welfare) sempre più ampi. Tale processo è passato prima per una generica deindustrializzazione e deinfrastrutturazione del Paese, poi per la più specifica dismissione dell’impresa pubblica, regalata all’oligarchia finanziaria.
    d) La procurata distruzione della capacità produttiva nazionale e del monte salari, a tutto vantaggio della
    speculazione finanziaria, ha ridotto i flussi di entrata dell’erario, rendendo complicato il sostentamento della spesa pubblica e delle peculiari funzioni di welfare che caratterizzavano lo Stato sociale moderno, implicando un anacronistico ritorno ai processi del riformismo verso il basso.
    e) Il processo innescato vede il formarsi di sempre più imponenti concentramenti di capitali in pochissime mani, di cui il fenomeno delle continue fusioni tra imprese non è altro che la più manifesta dimostrazione;
    corrispondentemente la percentuale degli stipendi sul p.i.l. è in costante diminuzione e quella dei profitti sul p.i.l. in constante aumento.
    f) Tutto ciò porterà all’inevitabile implosione degli Stati-nazionali, avviando nuove forme di impero, così come preconizzato dai teorici utopisti del Governo unico mondiale.”

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  11. Bravo Flavio: " Il calo della domanda aggregata è la causa principale della riduzione del PIL e, più generalmente, della recessione…"
    Questi cialtroni si ostinano ad ignorare la crisi di domanda e farneticano sull'aumento dell'offerta.
    Dopo questo interessante Post. appare più che mai necessario, un piano di ricostruzione industriale. Sì lo so , nulla di originale. Basterebbe ricordare perché nacque l'IRI e con quali fini. (Come morì e chi la uccise si sa.)

    http://it.wikipedia.org/wiki/IRI

    "Negli anni '60, mentre l'economia italiana cresceva ad alti ritmi, l'IRI era tra i protagonisti del "miracolo" italiano. Altri paesi europei, in particolare i governi laburisti inglesi, guardavano alla "formula IRI" come ad un esempio positivo di intervento dello stato dell'economia, migliore della semplice "nazionalizzazione" perché permetteva una cooperazione tra capitale pubblico e capitale privato.

    In molte aziende del gruppo il capitale era misto, in parte pubblico, in parte privato. Molte aziende del gruppo IRI rimasero quotate in borsa e le obbligazioni emesse dall'Istituto per finanziare le proprie imprese erano sottoscritte in massa dai risparmiatori."

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  12. Ottimo post, grazie a 48 e Flavio! E' un piacere leggere, con la tranquilla forza del ragionamento, quanto siano indegne le tesi dei liberisti alle vongole (che purtroppo non allignano solo tra quei grandi "intellettuali" di FID). Indegne anche solo di esser lette. Darei un suggerimento per un altro post: studiare le ragioni per le quali diverse aziende friulane stanno "emigrando" in Carinzia

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    1. Ciao Saverio, ti suggerisco questo articolo de Il Friuli . Direi che rende bene l'idea della tassazione e agevolazioni possibili oltre-confine rispetto ai vincoli, imposti, che purtroppo lo Stato italiano deve imporre...

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    2. Grazie per la segnalazione! Il dumping fiscale va condannato e combattuto come quello salariale o ambientale. Ma figurati se il governo italiano ha il coraggio di alzare la voce contro queste pratiche scorrettissime! Altro che "unione" europea, questa organizzazione internazionale (chiamiamola con il suo nome) è sempre più una catastrofe. Ormai non basta più solo dire: fuori dall'euro, ma fuori dall'UE!

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    3. E di che, ci mancherebbe! Ma guarda, basterebbe (e avanzerebbe) lasciare l'Euro, l'Ue (o la CEE del tempo) ha funzionato relativamente bene fino all'avvento dei cambi fissi (SME ecc.). Il problema dell'Italia è però quello di avere una classe dirigente così... capisci che se questi qui vedono il problema, ma non ne sanno (o non vogliono) trarre le dovute conclusioni come avviene invece in Portogallo (dove i Costituzionalisti ed i Professori si uniscono nella critica alla stupida condotta suicida dell'UEM), sono cavoli amari (per noi)... quello che manca è il coordinamento, ma non solo a livello europeo, a livello globale...non so se avevi letto questo post. Direi che il nuovo modo di concepire il mondo, ed il lavoro stesso, dovrebbe più che mai partire dai punti in esso sviluppati...e dalla vecchia idea che Keynes portò a Bretton Woods ma fu scartata dagli Stati Uniti...

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  13. Complimenti a Flavio per il post, e complimenti a Quarantotto per l'ottimo blog. IL fatto è che che più apro gli occhi e più mi scoraggio (e ... ovvio, mi incazzo).
    ... ho scritto per un quarto d'ora e poi ho cancellato tutto ...
    Come faccio ad avere fiducia se non ne ho più nemmeno in me stesso ?

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    1. Ti "consolo" :-)
      Che tu non abbia più fiducia in te stesso è esattamente l'effetto, strategicamente perseguito via mediatica, con cui cercano di controllarti da 20, rectius, 30 anni.
      Quindi accettalo come un virus...ma si guarisce evitando ricadute (cioè l'accreditare l'informazione PUDE, praticamente tutta). Disintossicati su questo sito e su goofynomics, e vedrai che il sistema immunitario si riprende

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    2. Grazie, è vero, non mi sono ancora disintossicato del tutto,
      :-)

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