sabato 25 maggio 2013

DE REDITU

DE REDITU

Intendendo il "ritorno", prima ancora che alla valuta nazionale, al buon senso e alla democrazia.

E naturalmente sperando in un esito ben più positivo di quello del viaggio di Claudio Rutilio Namaziano. Di cui però ci piace ricordare una definizione, riferita al tipo di uomini che intendeva combattere: "lucifugi viri", "uomini che fuggono la luce", nei versi del Rutilio storico. E se qualcuno ha avuto la pazienza, e la passione civile, di seguire questo blog e Goofynomics, non gli sarà difficile capire chi siano oggi "coloro che fuggono la luce".

In questa prospettiva di "illuminazione", riproduciamo qui il "Manifesto" per una nuova configurazione monetaria in Europa come tradotto dallo stesso Alberto Bagnai.
Questo manifesto, e questo è un punto che non deve sfuggire, può condurre all'enorme risultato della "rimessa in discussione" di tutte le questioni che all'euro si connettono, in un groviglio di regole economiche e di  meccanimi istituzionali che hanno schiacciato la democrazia costituzionale dei paesi che hanno aderito alla unione monetaria.
Quali siano queste questioni lo si può ritrarre da questo dialogo con Alberto stesso: "la governance della Banca centrale, l'interpretazione dell'inflazione e del conflitto distributivo, il ruolo dello Stato nell'economia, la diagnosi della crisi".
Non inserirò neppure i links relativi ai post con cui abbiamo affrontato queste stesse questioni. Prossimamente ripubblicherò il post sulla "dottrina delle banche centrali indipendenti" aggiornato con le "versioni" di Ciampi e Andreatta sul divorzio tesoro-bankitalia. Perchè in tale post si tratta proprio di questo insieme di questioni.
Intanto, poniamo i nostri sforzi, ideali e pratici, affinchè sia riaperto lo spazio per rimettere in discussione un assetto, quello del "vincolo esterno", che ha creato un'apnea di 30 anni nella democrazia costituzionale: avere un inizio serve a sapere che la via è percorribile.
La via della ragione e della democrazia dei diritti fondamentali. E non è poco. Il "tanto" di cui siamo "creditori" arriverà solo se sapremo essere tenaci fino in fondo, vigilando sempre sulle mosse del potere oligarchico. 

Solidarietà europea di fronte alla crisi dell’Eurozona

La segmentazione controllata dell’Eurozona per preservare le conquiste più preziose dell’integrazione europea.

La crisi dell’Eurozona mette a rischio l’esistenza dell’Unione Europea e del Mercato Unico.

La creazione dell’Unione Europea e del Mercato Comune Europeo si colloca fra le maggiori conquiste dell’Europa post-bellica in campo politico ed economico. Il notevole successo dell’integrazione europea è scaturito da un modello di cooperazione che beneficiava tutti gli stati membri, senza minacciarne alcuno.
Si era ritenuto che l’euro potesse essere un altro importante passo avanti sulla strada di una maggiore prosperità in Europa. Invece l’Eurozona, nella sua forma attuale, è diventata una seria minaccia al progetto di integrazione europea.
I paesi meridionali dell’Eurozona sono intrappolati nella recessione e non possono ristabilire la propria competitività svalutando leproprie valute. D’altra parte, ai paesi settentrionali si chiede di mettere arischio i benefici delle proprie politiche finanziarie prudenziali, e ci si aspetta che in quanto “benestanti” finanzino i paesi del Sud attraverso infiniti salvataggi. Questa situazione rischia di portare allo scoppio di gravi disordini sociali nell’Europa meridionale, e di compromettere profondamente il sostegno dei cittadini all’integrazione europea nell’Europa settentrionale. L’euro, invece di rafforzare l’Europa, produce divisioni e tensioni che minano le fondamenta stesse dell’Unione Europea e del Mercato Comune.

Una strategia nel segno della solidarietà europea

Riteniamo che la strategia che offre le migliori possibilitàdi salvare l’Unione Europea, la conquista più preziosa dell’integrazione europea, sia una segmentazione controllata dell’Eurozona attraverso l’uscita, presa di comune accordo, dei paesi più competitivi. L’euro potrebbe rimanere –per qualche tempo – la moneta comune dei paesi meno competitivi. Ciò potrebbe comportare in definitiva il ritorno alle valute nazionali, o a differenti valute adottate da gruppi di paesi omogenei. Questa soluzione sarebbe un’espressione di vera solidarietà europea. Un euro più debole migliorerebbe la competitività dei paesi dell’Europa meridionale e li aiuterebbe a uscire dalla recessione e tornare alla crescita. Ridurrebbe anche il rischio di panico bancario e il collasso del sistema bancario nei paesi dell’Europa meridionale, che potrebbe verificarsi se questi fossero costretti ad abbandonare l’Eurozona o decidessero di farlo per pressioni dell’opinione pubblica nazionale, prima di un abbandono dell’Eurozona da parte dei paesi più competitivi.
La solidarietà europea sarebbe ulteriormente sostenuta trovando un accordo su un nuovo sistema di coordinamento delle valute europee, volto alla prevenzione di guerre valutarie e di eccessive fluttuazioni dei cambi fra i paesi Europei.
Naturalmente sarebbe necessario, in almeno alcuni dei paesi meridionali, un abbuono (haircut) dei debiti. La dimensione di questi tagli e il loro costo per i creditori, tuttavia, sarebbero inferiori rispetto al caso in cui questi paesi restassero nell’Eurozona, e le loro economie continuassero a crescere al di sotto del proprio potenziale, soffrendo una elevata disoccupazione. Posta in questi termini, l’uscita dall’Eurozona non implicherebbe che le economie più competitive non debbano sopportare un costo per la diminuzione dell’onere deldebito dei paesi in crisi. Tuttavia, ciò accadrebbe in circostanze nelle quali il loro contributo aiuterebbe quelle economie a tornare a crescere, al contrario di quanto accade con gli attuali salvataggi, che non ci stanno portando da nessuna parte.

Perché questa strategia è così importante?

Non occorre dire che è nostro comune interesse che l’UnioneEuropea torni alla crescita economica – la migliore garanzia per la stabilità e la prosperità dell’Europa. La strategia di segmentazione controllata dell’Eurozona faciliterà il conseguimento di questo risultato nei tempi più rapidi.

I firmatari

Alberto Bagnai (@AlbertoBagnai) – Professore associatodi politica economica presso il Dipartimentodi Economia dell’Università Gabriele d’Annunzio a Pescara (Italia), e ricercatore associato al CREAM (Centro diricerca in economia applicata alla globalizzazione, Università di Rouen). Isuoi interessi di ricerca si concentrano sulla sostenibilità del debitopubblico ed estero nelle economie emergenti; ha lavorato come consulente per l’UNECA(Commissione Economica per l’Africa delle Nazioni Unite) su progetti relativialla convergenza macroeconomica delle unioni monetarie in Africa. Percontribuire alla divulgazione dei temi economici ha aperto nel novembre del2011 il blog goofynomics.blogspot.ite contribuisce a “IlFatto Quotidiano” come opinionista e blogger. Il suo ultimo libro “Iltramonto dell’euro”, pubblicato nel 2012, ha riacceso in Italia ildibattito su costi e benefici dell’Eurozona. Alberto Bagnai è cittadino italiano.

Claudio BorghiAquilini (@borghi_claudio)– Professore incaricato di Economia degli Intermediari Finanziari presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. La suaesperienza lavorativa lo ha portato a occupare posizioni manageriali di spicconel settore finanziario in Italia. Ha lavorato per Deutsche Bank Italia aMilano (2001-2008) e prima per Merril Lynch. Attualmente collabora con “Il Giornale” come opinionista. Claudio Borghi Aquilini è cittadino italiano.

Brigitte Granville – Professore di Economia Internazionale e Politica Economicaalla School of Business and Management dell’UniversitàQueen Mary di Londra, dove dirige il Centro di Ricerca sulla Globalizzazione (CGR). In diverse occasioni èstata consulente su temi economici – in particolare, politica monetaria – per varipaesi emergenti o in via di sviluppo, fra i quali la Russia, il Kazakistan, l’Ucraina,l’Uzbekistan e la Costa d’Avorio, per conto dei rispettivi governi, o diorganizzazioni pubbliche quali la Commissione Europea o la Banca Mondiale. Neltriennio 1992-1994 Brigitte è stata membro del team di consulenti economici delMinistero delle Finanze russo, diretto dal professor Jeffrey Sachs. Inquel periodo ha svolto un ruolo guida nel motivare la necessità di unosmantellamento dell’area del rublo, che comprendeva diverse repubblichesovietiche, in seguito al collasso dell’Unione Sovietica. Il suo ultimo libro, “Remembering inflation”,è stato pubblicato dalla Princeton University Press. Cittadina francese,Brigitte Granville ha ricevuto nel 2007 l’onorificenza di Chevalier des PalmesAcadémiques – accordata dal governo francese per onorare contributisignificativi allo sviluppo della cultura.

Hans-Olaf Henkel (@HansOlafHenkel)– Professore di ManagementInternazionale all’Università diMannheim, già presidente della Confindustria tedesca - BDI (1995-2000). Ha lavorato in IBM dal 1962, hadiretto IBM Germania (1987-1992), poi è stato amministratore delegato di IBMEuropa (1993-94). Dal 2001 al 2005 è stato presidente dell’associazione Leibniz. Commendatore dellaLegion d’onore nel 2002. Hans-Olaf Henkel è cittadino tedesco.

Stefan Kawalec – Amministratore delegato di CapitalStrategy, una società polacca di consulenza strategica. Dal 1989 al 1994 hasvolto un ruolo significativo nella preparazione e nell’implementazione delpiano di stabilizzazione e trasformazione dell’economia polacca come capo deiconsulenti del Vice primo ministro e Ministro delle Finanze Leszek Balcerowicz,e successivamente come sottosegretario alle Finanze. È stato membro attivo dell’opposizionedemocratica e del movimento Solidarność sotto il regime comunista in Polonia. Èco-autore dell’articolo “Smantellamentocontrollato dell’Eurozona: una strategia per salvare l’Unione Europea e ilMercato Unico Europeo”, GermanEconomic Review, Febbraio 2013. Stefan Kawalec è cittadino polacco.

Jens Nordvig – Amministratore delegato di Nomura, la bancadi investimento globale, dove dirige la Fixed Income Research, ed è capo dellastrategie valutarie globali. In precedenza ha lavorato come Senior CurrencyStrategist alla Bridgewater Associates, e come Senior Global Markets Economistpresso Goldman Sachs. Nel 2012 si è classificato primo nella categoria “ricercasui mercati valutari” nella rassegna InstitutionalInvestor. Jens Nordvig è cittadino danese.

Ernest Pytlarczyk – Economista capo alla Banca BRE (sussidiaria della Commerzbank, e terzabanca commerciale della Polonia), dove dirige il dipartimento ricerca. Hacominciato la propria carriera come analista finanziario alla BRE nel 2002, èstato assistente all’Università di Amburgo (Istituto per il Ciclo Economico) ericercatore presso la Deutsche Bundesbank. Coautore dell’articolo “Smantellamentocontrollato dell’Eurozona: una strategia per salvare l’Unione Europea e ilMercato Unico Europeo”, GermanEconomic Review, Febbraio 2013. Ernest Pytlarczyk è cittadino polacco.

Jean-Jacques Rosa – Professore Emerito di Economia e Finanza all’Institut d’Etudes Politiques (Parigi). Coordinatoree fondatore del dottorato in economia di Sciences Po a Parigi dal 1978 al 2004.Curatore della rubrica economica “Cheminement du Futur” su Le Figaro dal 1987 al 2001. Ha ottenuto nel 1995 il premio “Economistadell’anno” dal Nouvel Economiste.Jean-Jaques Rosa è cittadino francese.

JacquesSapir (@russeurope) –Professore di economia presso la Scuola di Alti Studi in Scienze Sociali (EHESS) e professore visitatore presso la MSE di Mosca. Hastudiato scienze politiche e economia all’IEPdi Parigi e ha scritto la sua tesi sulle politiche del lavoro nell’UnioneSovietica nel periodo fra le due guerre mondiali, e la tesi di dottorato sulciclo degli investimenti nell’Unione Sovietica nel periodo postbellico. Halavorato all’università di Nanterre prima di entrare all’EHESS dove è diventatodirettore del Centro di Studi sui Modi di Industrializzazione (CEMI) nel 1997.È stato fra i pochissimi economisti a prevedere il crac russo del 1998. Daallora si è specializzato sul modello economico russo e sulle conseguenzemacroeconomiche dell’Unione Economica e Monetaria. Conduce un blog piuttostofrequentato http://russeurope.hypotheses.org.I suoi ultimi libri: “Faut-il sortir de l’euro?”, Parigi: Le Seuil, 2012 (tradottoin italiano); “La transition vingt ans après” (con Ivanter, Kuvalin andNekipelov), Parigi-Ginevra, Les Syrtes, 2012 (in corso di traduzione in russo).Jacques Sapir è cittadino francese.

Juan Francisco Martín Seco – Docente universitario diIntroduzione all’economia, Teoria della Popolazione, e Finanza pubblica. Appartieneall’ordine dei Revisori dei conti (Ministero delle Finanze spagnolo) e allaservizio di vigilanza delle cooperative di credito del Banco de España. Haprestato servizio come Revisore dei conti dell’Amministrazione centrale e delMinistero delle Finanze. Opinionista per diversi giornali e riviste: “El Pais”,“Cinco Dias”, “Gaceta de los nogocios”, “Diario 16”. Ha fatto parte delcomitato di redazione di “El Mundo” e di “Publico”. Attualmente è editorialistaper “República”. Autore di numerosi libri, fra i quali: “Latrastienda de la crisis” (2010), “¿Para qué servimos los economistas? (2010), “Economía.Mentiras y trampas” (2012), “Contra el euro” (2013). Juan Francisco MartínSeco è un cittadino spagnolo.

AlfredSteinherr – Professore presso la facoltà di Economia e Management dellaLibera Università di Bolzano, della quale è stato fondatore (1998-2003). Inprecedenza, economista e direttore generale del dipartimento per l’economia e l’informazionedella Banca Europea degli Investimenti,Lussemburgo (1995-2001). Ha fatto parte del Dipartimento di ricerca del FondoMonetario Internazionale a Washington, e consulente economico della CommissioneEuropea. Alfred Steinherr è cittadino tedesco

26 commenti:

  1. Grazie ad eco per il link al De reditu. Se per caso non lo sapeste ancora vi informo che quest'opera aveva attirato, prima della vostra, l'attenzione del Prof. Ugo Bardi in un suo godibilissimo paper che si dovrebbe trovare ancor disponibile in rete relativo alla caduta dell'impero romano. Da Alberto Bagnai mi son già congedato, fortunatamente prima che uscisse "Il manifesto", per motivi all'apparenza futili e marginali. Mentre condivido sostanzialmente la sua e vostra analisi del fenomeno, la via proposta per un'uscita mi lascia del tutto scettico in relazione alla fattibilità politica.

    carlo (quello del flauto)

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    1. E pensa se l'uscita fosse enunciata in tutte le sue implicazioni sostenute in una corretta e completa analisi, quale sarebbe la "fattibilità politica"!
      La "rimessa in discussione", a cui parteciperà Bagnai stesso insieme a Sapir (il che non è poco nel nulla distruttivo attuale) è comunque un risultato.
      Poi ho costantemente espresso l'idea che per far ragionare gli europei ci vogliono nette affermazioni della volontà USA. Che piaccia o non piaccia, non è schematizzabile nel capitalismo finanziario e nel paradigma NMC e monetarista. Perchè oggi c'è un ritorno mondiale alla "domanda" e alla considerazione "sana" dell'interdipendenza degli interessi nazionali sotto questo profilo; che significa inziare a ripreoccuparsi dei cittadini, del loro lavoro e del loro benessere.
      Qualcuno (molti) ha esagerato: ma l'UEM non lo vuole ammettere. Riaprire il discorso è l'inizio di un processo, tanto più che il 25 luglio è alle porte...

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  2. Scusami Quarantotto. Non sono del tutto certo di capire.
    Stiamo dicendo che il campo della "fattibilità politica", di quella stessa politica che dovrebbe stare alla base di una non valutazione/sottovalutazione/distorsione dei fatti economici sarebbe quello di una corretta e completa analisi? A me sembra che, politicamente, visto che mi pare tutti concordiamo sul fatto che Hollande in Francia è quello che è, l'unica flebile speranza di un dialogo (e incrocia tutte le dita anche quelle dei piedi che Alternative fuer Deutschland prenda, da qui a settembre, i voti che i sondaggi le attribuiscono) sia appunto la possibilità di trovare una mediazione con questi ultimi. Altrimenti quali dovrebbero, di grazia, essere i tuoi interlocutori europei nei paesi cosiddetti "core"?

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    1. Ma no: voglio dire che aprire un discorso, i cui interlocutori sono politici europei ignoranti e compromessi con il sistema bancario, è sempre meglio che far finta di aprirlo senza parlare dell'euro e dicendo che l'austerità non va bene. Facendo in ultima analisi il gioco del "prendere tempo" e completare le "riforme strutturali" fino all'irreversibile distruzione delle democrazie costituzionali.

      Però, forse il discorso che facciamo qui da mesi non lo conosci a fondo. Abbiamo denunciato dall'inizio e per primi la strategia del prendere tempo (cioè "un'altra UEM è possibile": cetriolo maximum).

      Poi puoi trovare tutti gli ostacoli che vuoi: chi dice che non ci siano?
      I fatti in arrivo (recessione-stagnazione e disoccupazione insostenibili) ridurranno però drasticamente la capacità di questi euro-politici di raccontare emerite cialtronate.
      Quindi si creerà uno spazio, sempre più vasto di "mediazione" perchè non avranno scelta: hai altre idee e possibilità concrete di avviare un processo non "insano" di occupazione di questo spazio, ovviamente per il ripristino della democrazia e del buon senso? Altri spazi concreti non ne vedo.
      Ma questo di cui stiamo parlando, poi, è SOLO UNO DEGLI STRUMENTI A DISPOSIZIONE. Vedi l'intervento di Bargazzino qui sotto che ha capito benissimo...

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  3. Ok.
    Sano pragmatismo, quello di Bagnai nel sottoscrivere quel manifesto.

    Non è che lo condivida in toto (e anche molto meno di "toto") quel manifesto ma , credo lo stesso, con sfumature diverse valga anche per Bagnai medesimo.

    Dunque, se è un punto di partenza, e forse è davvero l' unico possibile, va bene, e anche benissimo.

    Questo commento di Bagnai mi convince molto:

    "A te e a lungofucile [i due intelocutori con il quale interloquisce Bagnai] è quindi chiaro quello che è chiaro a me: questa cornice molto ampia ci lascia con il compito di promuovere nel nostro paese un movimento di opinione che informi in modo corretto quelli che risponderanno alla chiamata.
    Sto lavorando, e non da solo (anche se ovviamente non con economisti), anche su questo fronte."

    Immagino che tu sia uno di quelli con i quali sta lavorando Bagnai. O sbaglio?

    Ecco, se il manifesto ha lo scopo di "lasciare una cornice molto ampia" sono completamente d' accordo.

    Bisogna pero', in quella cornice, promuovere un dibattito molto ampio; sul ruolo della BC e sul ripristino dei principi costituzionali.

    Considerando che il PD è, come preconizzato magistralmente da Bagnai (un buon economista, ma soprattutto un grande scrittore e un grandissimo politologo), in fase di disintegrazione, occorre riempire quel vuoto con argomentazioni come quelle di cui sopra -esposte in maniera eccelsa da te- e come queste:

    http://il-main-stream.blogspot.it/2013/05/la-sinistra-rivelata1.html

    Bisognerà far sedere al tavolo costituente che seguirà la fine della "guerra eurista" o dell' occupazione alemanna (fai tu), anche l' "ala sinistra" del fronte di liberazione (che esiste e come, nella sua base elettorale), altrimenti, i nostrani "tea-party" alle vongole si papperanno il futuro di qualche generazione lo stesso.

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    1. Hai colto lo "Spirito" della cosa e le sue esatte implicazioni.
      Siccome siamo d'accordo, occorre anche che maturi una diffusa consapevolezza (consentita solo dal riuscire a rimuovere il piccolo dettaglio della propaganda di regime: pensa all'articolo di Stefano Feltri sull'austerità...) affinchè si sia "abbastanza" ad essere d'accordo.
      Quanto all'ala sinistra, bisogna che qualche traccia vi sia: riusciranno ad abbandonare l'idea internazionalista (e la vena decrescista) in tempo?
      La spazio dei tea party è direttamente proporzionale alla spaventosa incapacità di adeguamento a sinsitra.

      Ma poi: ti pare che qui i valori della Costituzione e della tutela del lavoro siano trascurati? Abbiamo bisogno di qualcuno che si tiene il manifesto del barbuto in camera per farci insegnare e validare le cose che nessuno ha più avuto il coraggio di dire da 30 anni?
      No, dico, trovami un altro luogo dove si dicano espressamente le cose che vengono dette qui, e perchè mai chi si sente a sinistra dovrebbe sentirsi rassicurato solo se le confermasse qualche esponente "connotato e approvato", che però ha taciuto e le ha rinnegate fino ad oggi..

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    2. No ma...figurati 48.

      "No, dico, trovami un altro luogo dove si dicano espressamente le cose che vengono dette qui"

      Ci mancherebbe!
      il mio personalissimo "premio Nobel per il miglior blog d' Italia" va senza ombra di dubbio a questo blog.
      Addirittura, ti devo confessare, che da quando sto riscontrando l' esattezza delle previsioni in campo "geostrategico-finanziario" sto scadendo in un atteggiamento quasi fideistico nei tuoi confronti ;-)

      Però;

      "il compito di promuovere nel nostro paese un movimento di opinione che informi in modo corretto" chi se lo puo' assumere?

      Certamente tu, certamente Bagnai (che gode già una certa notorietà), ma poi?
      Quale canale si puo' usare per raggiungere una piu' vasta platea?
      intendo; quale canale politco (CHE TROVI RISCONTRO IN UN PARTITO/MOVIMENTO/LISTA possibile)?

      ora-
      "qualche esponente connotato e approvato", PURTOPPO è necessario trovarlo.

      Certo! Certissimamente è letteralmente impossibile trovarne qualcuno non colluso col "sistema disinformativo-eurista".

      Però; il trasformismo italiano potrebbe essere anche una risorsa (lo vedi quanto sono pragmatico pure io?).

      Mi spiego.
      Ci sono dei tizi, in circolazione, tipo Rodotà e Zagrebelsky che godono di grande notorietà, che in pubblico dicono -udite udite- DI AVER LETTO LA COSTITUZIONE (e addirittura di averla capita).

      Certo! mi dirai, omettono i perché del fatto che la costituzione venga SISTEMATICAMENTE esautorata.
      Però, consideriamolo anche quello un punto di partenza.
      Metti quel tale (non ricordo il nome) che su "Micromega" scopiazzando spudoratamente Bagnai, porta all' attenzione dei suoi lettori i fatti a noi da tempo noti.
      Certo; certissimamente, fino all' altroieri, campava di omissioni "leggerissime" ...ma tant'è , quelle cose, quei fatti, alla fine li ha riconosciuti e riportati ai suoi lettori.

      Insomma bisogna anche individuare i soggetti (potenzialmente) politici su cui "il movimento di opinione" possa fare pressione (nella mia immaginazione arrivando ad una sorta di "cattura" -dal basso, per una volta!- di alcuni "opinion-leader" già esistenti su piazza).
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      per quato riguarda quelli che si tengono sul comodino i testi del berbuto:

      una riflessione.

      il keynesismo, diciamoci la verità, era la famosa "terza via" , di cui in tanti andavano cianciando, senza rendersi conto che già esisteva E FUNZIONAVA (e come se funzionava!!).

      Keynes, nella sua analisi, io credo, non disconosceva affatto l' analisi di Marx.
      Semplicemente, riscontrava che le soluzioni non erano un granché.

      Quindi la piattaforma capitalista era a suo modo di vedere l' unica strada possibile (eresia per i "marxiani"), ma l' unico modo perché quel sistema stessein piedi era che esistesse un soggetto (LO STATO) che agisse con logiche diverse (anzi, inverse) rispetto alla logica del profitto.

      Ora, questo, agli occhi dei "marxiani" era una cosa insopportabile (maledetto "Stato borghese"!!).
      insomma, quel tizio, forniva al sistema capitalistico, la "formula" perché esso potesse perpetrarsi anche in eterno (volendo) e addirittura, col consenso popolare (massimo "scorno" per i "marxiani").
      capisci bene che era il nemico da abbatere Keynes, per questi signori, al punto da finire per abbracciare integralmente le teorie "classiche" dei loro VERI avversari (le uniche possibili dato il presunto e MAI dimostrato, fallimento di Keynes), al punto da rimanere infatuati da Malthus (lui si che era uno "de sinistra"...)

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    3. Marco troppo buono, mi rendo conto che l'affermazione di "unicità" potrebbe sembrare la presunzione di poter svolgere da solo una funzione al di là delle mie misere forze. Dio non voglia!
      E invece volevo intendere il contrario: il fatto che sia solo io a dirle queste cose è una sentenza di morte pendente sulla democrazia.
      Non sul marxismo però, se ci pensi, che può sempre prosperare, una volta che il capitalismo si manifesti come negazione della democrazia e una volta che lo stalinismo, orrido, sia di nuovo un fine che giustifica i mezzi.
      Perciò siamo (regolarmente) d'accordo su Keynes.

      Ti dirò una cosa: uno si legge keynes, una qualsiasi delle sue numerose pubblicazioni, e si ritrova di fronte a un essere umano di grandi principi e non solo: ma capace con la cultura, la temperanza, l'umanesimo in senso assoluto, di offire soluzioni pratiche.
      Politicamente schivo (non aspirò mai a diventare uomo di governo partitico) fu però uno degli esseri umani che ha esercitato una delle più grandi influenze positive riscontrabili sull'intera umanità.
      Molto più di Madre Teresa (che mi fa sempre ridere un pò) e persino di Ghandi un grande combattente non-violento, che alla fine fu sconfitto da quelli in cui aveva risposto la sua fiducia.
      Keyens ha agito così efficacemente da suscitare l'odio (sentimento che a sua volta non manifesta mai) sia dei capitalisti sfrenati, i neoclassici, che lo diffamano senza neanche averlo seriamente studiato (prendi uno Stefano Feltri, espressione quasi moderata in tal senso), sia dei marxisti, che non gli perdonarono, al tempo, di aver dimostrato che i loro calcoli di "prassi" erano sbagliati. E che oggi, gli imputano un filo-capitalismo conservatore comprovato...dalla negazione capitalista, per riaffermazione neo-classica, del suo modello!

      Quindi sì, amo Keynes e lo addito a modello di essere umano, prima ancora che di solo pensiero.
      Ma con esso pure Mortati e Calamandrei, che erano della stessa rara pasta. Non potrei dire altrettanto di Einaudi o di Caffè, semplicemente perchè non furono i protagonisti della formulazione della Costituzione che sta all'Italia come la teoria generale keynesiana realizzata post Yalta (per semplificare e non inoltrarci nel compromesso di "Bretton Woods") sta al mondo.

      E veniamo quindi al dunque che tu sollevi razionalmente e pragmaticamente: se come personaggi "connotati e approvati" intendi Rodotà e Zagrelbesky, saremmo in linea puramente teorica d'accordo.
      Ma sai qual'è il problema? Non scenderebbero mai dal piedistallo. Mai e poi mai. E non potrebbero cambiare idea sull'euro, su come sia agevole dimostrare che è Maastricht ad aver "sospeso" illecitamente la Costituzione, sulle complicità commissive e omissive di quelli con cui si siedono e si sono seduti ai tavoli del potere: mai e poi mai.
      Finchè le cose stanno come oggi.

      Perchè gli italiani trovassero lo "spirito del '48" ci volle una distruzione materiale e morale come quella del 1943-45. Duro vederla così no?

      Ebbene, siamo ancora alla prima fase del 1943, non abbiamo ancora visto niente.

      Conto molto più su di te, e su altri come Flavio, Lorenzo e così via, per riuscirre a creare un nucleo di persone legittimate a parlare PER i "dimenticati" dallo spietato capitalismo neo-classico.
      Sarete VOI che farete cambiare atteggiamento ai Rodotà e agli Zagrelebesky, con la vostra cultura in crescita e passione civile autentiche.

      Un'ultima cosa: VIENI A VIAREGGIO IL 22 GIUGNO? Parleremo proporio di queste cose e vorrei che tu e altricome te le dicessero a tutti quelli che interverranno...

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  4. Divido il commento i due (mi sono un poco dilungato ...)

    La lettura dell'ottimo contributo di Flavio (http://orizzonte48.blogspot.it/2013/05/le-vere-cause-della-svendita-del-made.html) è stata agevole, certo non piacevole : l'argomento è doloroso, ma non si può rimuovere.
    A fine anni '80 del secolo scorso un migliaio di aziende a partecipazione pubblica occupavano il 16% della forza lavoro nazionale e costituivano il 24% del capitale fisso dell'economia italiana. Quindi anche aziende di buona dimensione (Iri, Eni ed Enel, da soli, impiegavano 610 mila persone) [grazie a Sofia - http://orizzonte48.blogspot.it/2012/12/il-vero-volto-di-liberalizzazioni-e.html]
    Al link "ci si accapiglia" di poggiopoggiolini, commento al post di Flavio, si lamenta che "European Solidarity Manifesto" non disponga di una teoria generale che possa spiegare la malattia congenita che affligge il sistema capitalistico.
    Ho messo insieme la questione relativa all'insieme produttivo italiano e questa. La visione è deprimente (ma, come spiegherò subito, la responsabilità è solo mia: personale).
    Il fatto è che un plot che secondo te non funziona, la prima volta che te lo raccontano lo puoi sopportare abbastanza agevolmente. Col post di Flavio e il link di Poggio, mi si è riproposto un canovaccio ben noto.
    Negli anni '60 e '70 del secolo scorso in molti luoghi dove si discuteva della malattia congenita che affligge il sistema capitalistico, si cercava anche il superamento del capitalismo. Sono cresciuto e vivevo allora all'interno di un distretto industriale dalla lunga tradizione (risale al XIII secolo), la discussione economica non poteva tralasciare la dimensione delle imprese che costituivano il distretto : tutte troppo piccole (impossibile far breccia : aziendepiccolebruttepocoproduttive era il luogocomune da omaggiare, nonostante fosse il tempo di "Il piccolo è bello" e nonostante quella forma distrettuale venisse studiata da emissari provenienti da tutto il mondo).

    Fine prima parte

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  5. Fine

    La realtà è un po'cambiata. La stragrande maggioranza delle imprese italiane sono piccole e medie (per forza, quelle più grosse erano partecipazioni statali e sono state privatizzate come racconta Flavio e divise. Ora che ci penso le banche furono accorpate). Anzi, come rileva il "ROADSHOW PMI LE PICCOLE E EDIE IMPRESE IN ITALIA" : «In Italia le PMI costituiscono una realtà numericamente molto significativa: su 4.338.766 imprese, 4.335.448 (il 99,9%) sono, infatti, piccole e medie imprese (Tab. 1). Inoltre, la quasi totalità di PMI (il 95%) è costituita da imprese con meno di 10 addetti. Il resto è formato da imprese che impiegano da 10 a 49 addetti (196.090 unità, pari al 4,5%), mentre le imprese di taglia più grande (da 50 a 249 addetti) sono appena 21.867, ossia lo 0,5% del totale.» [www.confcommerciovenezia.it/public/comunicazione/materiale_news/scheda_pmi_italia.pdf].
    L'accusa (e come ti sbagli) sulle dimensioni delle aziende italiane è un cavallo di battaglia delle istituzioni europee (e noi, qui, sappiamo bene quanto le istituzioni europee si rendano conto delle difficoltà incontrate dalle piccole aziende nei confronti della superfetazione di norme da loro stesse sostenuta).
    Siccome ho sentito attribuire ad Emiliano Brancaccio la lamentazione sulla dimensione delle aziende italiane (attribuzione pesante, del tipo : tumori metastatici. Ma io non ho riscontri : se qualcuno può avvalorare, speriamo di no, o confutare sarei grato). Siccome il prof. Brancaccio ritiene opportuno tentare di uscire da sinistra http://www.emilianobrancaccio.it/2013/02/26/leuro-e-ormai-un-morto-che-cammina-occorre-tentare-una-exit-strategy-da-sinistra/
    E siccome, ritornando ancora una volta al link "ci si accapiglia" molti commentatori fanno il nome di Brancaccio, mi sembra di capire, quasi in contrapposizione al "European aolidarity Manifesto", tutto ciò mi ha riportato alla mente il dibattito estenuante cui accennavo all'inizio : superare la malattia congenita del capitalismo e nanismo delle imprese italiane.

    Vorrei tranquillizzare quelli che "senza una teoria generale non si va lontano, e senza questa non possiamo spiegarci la malattia congenita che affligge il sistema capitalistico" : le istituzioni europee ci stanno pensando anche loro. E, se le cose restano così, la cureranno a loro modo. Le norme sfornate a getto continuo, il costante e, direi, Costituzionale ;-( calo del PIL, il punto di vista rigorosamente supply side, e via enumerando, schiacceranno la piccola e media impresa e, dato che l'Italia non ha nient'altro, fine dell'impresa industriale italiana. E'la fine del capitalismo (almeno per noi) o mi sbaglio? Quindi niente più malattia : siamo salvi ...

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    1. Eccerto che hai ragione.
      La dico scema scema: le PMI arrancano per via del cambio fisso. Questo è un fatto. Le economie di scala si ottengono quando hai conquistato un settore di mercato più ampio: prima sono immobilizzi ad alto rischio.
      E la flessibilità produttiva (che include anche quella della manodopera, vecchio art.18 non applicabile), è un enorme vantaggio unito alla capacità imprenditoriale.

      Quello che da' fastidio delle PMI è: a) essere per lo più manifatturiere, aggressive sul lato dei prezzi (al netto del cambio fisso) e delle innovazioni di qualità, in un'era di oligopoli transnazionali in crescita che vogliono controllare tutto e finanziarizzarsi col marketing e senza investire se non per restyling;
      b) portare alla instabilità nella composizione dirigenziale della classe imprenditoriale, cioè a un implicito avvicendamento di "classe" e alla mobilità sociale...nei salotti buoni;
      c) quindi di non dare punti di riferimento al "grande sindacato" al cui potere sfuggono e quindi alla sua rendita ormai di garanzia del disegno deflazionistico.

      La vitalità delle PMI fa cadere il mito dell'europa, e la sua strategia di dumping normativo a favore degli oligopoli, e ripropone l'utilità di una legislazione flessibile e di chiara giustificabilità razionale che solo un legislatore democratico nazionale può dettare.
      Togliamo il vincolo e vedremo se fenomeni come Del Vecchio, Benetton e simili non sono ripetibili.

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    2. @Neri: se ti interessa l'affermazione di Brancaccio riguardo i piccoli e medi imprenditori metastasi del sistema Italia, ecco qui il link. scorri fino al minuto 15:30

      http://www.youtube.com/watch?v=xSdO4NpCH-U

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    3. Ricordavo bene, come segnalato da Luca, Brancaccio parlava di piccoli capitalisti, poi possiamo assimilarli a piccoli imprenditori, ma 'nzomma...
      Quello che hai scritto, Neri, e' una analisi impeccabile.
      L' economia italiana e' sempre andata alla grande con la pmi che ruotava intorno ad una grande industria quasi escluvamente gestita dallo Stato.
      ....caduto lo Stato, per la gioia di tanti piccoli capitalisti, sta crollando anche la pmi.
      Si tratta poi di un disegno piu' ampio, che ha toccato da prima la distribuzione, poi la manifattura e i servizi.
      Perche' -efficienzaefficienzaefficienza....
      E, ovviamente i soloni ottengono l'efficienza eliminando il piccolo (mantra dell' economia di scala).
      Non e' tollerabile il bottegaio, l' artigiano, il tassinaro che col loro capitalismo diffuso (questo e' termine corretto) ottengono una redistribuzione molto piu' equa del reddito. Costa troppo, a sentire i soloni (che tralasciano completamente l' aspetto qualita' e partecipazione attiva al ciclo produttivo dei beni e dei servizi).
      Il sistema dei tassinari, mettiamo, non va bene.
      Tanti piccoli imprenditori che si dividono il mercato, no! Ci vogliono tre o quattro megaditte (magari con sede all'estero) che fanno lavorare come schiavi i tassinari di cui sopra per lasciargli le briciole, ai tassinari che lavorano e lavoreranno tutti alle dipendenze di lor signori.

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    4. però non mi è chiaro chi altro dovremmo identificare con "piccoli e piccolissimi capitalisti" se non le PMI...

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    5. @ Bargazzino

      Sei troppo ottimista: i tassisti li facciamo venire dal Bangladesh che costano meno e non rompono.

      Ciao

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    6. i piccoli e piccolissimi capitalisti in Italia non sono solo i proprietari di PMI.
      Siamo il paese con l' 80% di famiglie proprietarie di casa (è comunque un patrimonio anche se non da reddito monetario, rimane pur sempre un capitale) e con il 30% delle famiglie proprietarie di seconda casa, con un patrimonio privato di oltre 8000 miliardi (tra immobilie e ricchezza finanziaria). Non sono tutti proprietari di pmi.
      ci sono i liberi professionisti (pensa a medici, notai, avvocati, ma anche geometri e persino periti meccanici), persino molti operai, anzi figli di operai , non parliamo dei nipoti dei contadini...

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  6. Ringrazio Luca Tonelli per il link e mi rammarico di aver attribuito a Emiliano Brancaccio quella che è, in realtà, una citazione da lui stesso riportata e attribuita. Tratta da un articolo di Marcello De Cecco di presentazione per il libro di Marco Pivato “Il miracolo scippato. Le quattro occasioni sprecate della scienza italiana negli anni sessanta”.
    A proposito di citazioni. Il "piccoli e piccolissimi capitalisti" potrebbe provenire da un altro testo, che il prof. Brancaccio non
    rivela apertamente : Il tallone di ferro dal cap VIII "I distruttori della macchina".

    ps Caro 48, col tuo permesso vorrei stimolare i nostri compari di blog che non l'abbiano ancora fatto, a leggerseli tutti e due (o anche a rileggerli. Credo possano essere considerati anche avvincenti)

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    1. Per "Il tallone di ferro" con me sfondi una porta aperta: in altri post l'ho varie volte citata come locuzione (virgolettata).
      Per De cecco: l'articolo ribalta la realtà, dimenticando i dati che ci chiariscono come sia stato proprio il vincolo di cambio ad affossare quei settori industriali e imputando all'industria italiana, retrospettivamente e quando non si erano affatto manifestati, i difetti causati proprio dall'irrompere del modello lavoristico imposto da Maastricht
      http://orizzonte48.blogspot.it/2012/12/la-produttivita-e-i-tagli-e-poi-ancora.html

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    2. Ovviamente d'accordo : il professor DeCecco le cose le sa ma, quando si mette a scriverle,la tastiera assume come una vita propria e di frequente escono testi con realtà ribaltata.
      L'invito riguardava la conoscenza delle vicende Olivetti, Mattei, Marotta, Ippolito negli anni 60 del secolo scorso (si potrebbe forse aggiungere anche Buzzati Traverso e il LIGB)
      E sì, avevo notato qualche citazione da Jack London ...

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  7. Nel copia-incolla del commento precedente è saltata la prima riga : questa

    @bargazzino Mi fa piacere che tu condivida il contenuto del commento a puntate :-)

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  8. il manifesto è un punto di partenza che ha il merito di rompere il tabù dell'indissolubilità dell'euro, e in più viene proposto in un momento storico in cui l'euro sta presentando il conto anche alle economie più forti. Per quanti ritengono che così Bagnai sia sceso a compromessi, gli ricordo la famosa frase di D'Alema che diceva che l'art.18 non era più un tabù: da quella frase sono passati più di vent'anni e un passo alla volta sono arrivati al completo smantellamento non solo dello Statudo dei Lavoratori, ma anche della Costituzione. Si tratta di rifare il cammino inverso e non lo si può fare certo con un unico passo. Spero almeno che i miei figli possano vedere applicati i Principi Costituzionali.

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    1. Questo è il punto essenziale, bravo!
      Se un processo si avvia (soltanto), è inutile stare a criticarlo solo perchè si vuole un risultato finale (magari tratto da ideologie del passato mai relizzatesi) subito e per intero.
      I massimalisti, in fondo, amano stare a criticare e a lamentarsi. Così si sentono migliori degli altri senza dover fare troppa fatica

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