domenica 13 aprile 2014

EURO-EXIT CONCORDATA O "DISORDINATA", DA SINISTRA O DA DESTRA: UNA VIA DI COMPOSIZIONE RAGIONATA.

 
1. In margine all' "evento" oggettivamente costituito dal convegno di a/simmetrie di ieri, alcune osservazioni legate allo specifico tema, "Un'europa senza euro", che era poi il baricentro su cui si aggiravano l'insieme degli interventi.
La maggior focalizzazione del tema, non a caso, è venuta dal dibattito finale tra gli esponenti politici intervenuti.
Il clima inevitabilmente pre-elettorale ha agevolato prese di posizione (almeno un pò) più stringenti; se non altro perchè in questa fase, nulla si può ancora escludere sull'esito delle elezioni, in termini di composizione delle forze politiche che risulterà dal voto e che potrebbe o meno essere destabilizzante dell'attuale governance deflattivo-finanziaria. 
La stessa evoluzione europea del sentiment sulla moneta unica, rischia infatti di far apparire "cauta", se non superabile dagli eventi, la posizione del, diciamo così, fronte italiano del dissenso.

2. Provo a partire da una cosa affermata in quel dibattito da Fassina e che, come ho già detto su twitter, contiene in sè una obiettiva verità: se si guarda all'effettivo contenuto dei trattati, e quindi al disegno consolidato che perseguono, incentrato com'è, fin dallo SME, sul coronamento di un modello socio-economico legato al vincolo monetario "one size fits for all" (con tutte le sue implicazioni), immaginare un'euroexit concordata esigerebbe una convergenza, un'apertura alla revisione dei rapporti di forza, almeno pari a quella della stessa revisione dei trattati.
Quest'ultima implicherebbe, infatti, per essere risolutiva, un sacrificio della Germania (sicuramente da essa come tale percepito): cioè l'adesione da parte sua ad un'idea cooperativa che forzi le sue politiche economiche verso un'espansione della sua domanda interna, con una controcorrezione prolungata (e simmetrica) dei tassi di cambio reale e della crescita reale dei salari, che è contraria sia alla monolitica pretesa di percorrere una correzione gold-standard fatta propria dalle istituzioni UE, sia alla stessa tradizione mercantilista della Germania.

3. "Perchè lo dovrebbe fare" è un interrogativo che può avere varie risposte, ma tutte egualmente e fortemente dubitative; il diritto internazionale dei trattati, come abbiamo più volte illustrato, non solo tende a ratificare e, per via di prassi applicativa (che è fonte di diritto integrativo dei trattati stessi), a rafforzare i rapporti di forza presenti nella sociologia della politica internazionale, ma una variazione correttiva di tali rapporti di forza, all'interno di un trattato, promossa dalle parti più deboli (e divenute tali in modo crescente) è praticamente senza precedenti nella storia dei trattati; di più è una direzione di politica internazionale "innaturale".
Storicamente solo eventi traumatici o lunghi percorsi di mutamento degli equilibri caratterizzanti, a monte, il diritto internazionale generale, - cioè creato dalla consuetudine (osservanza de facto sostenuta nel tempo e diffusa di una certa serie di "nuove" regole)-, ha portato al superamento degli equilibri segnati dai trattati. Che sono tutti, fisiologicamente (e in vari gradi), ineguali nella loro essenza applicativa.
E questo al punto che l'art.11 Cost., come altrettanto abbiamo visto, assume una concezione rigorosa e, quasi "ideale", se non utopistica, delle condizioni cui subordinare la partecipazione italiana alle organizzazioni internazionali, legandola ESCLUSIVAMENTE, non a caso, prima di tutto alla "parità di condizioni con gli altri Stati" e poi, anche, alla promozione de "la pace a la giustizia tra le Nazioni".

4. Per tornare, sulla scorta di tali premesse, all'affermazione di Fassina (se abbiamo riportato fedelmente l'essenza del suo pensiero), possiamo altrettanto dire che se una correzione cooperativa, e non gold standard, degli squilibri creati dalla moneta unica, è inevitabilmente legata ad un sacrificio, da parte della Germania, del vantaggio e delle utilità accumulate grazie all'applicazione dell'euro, altrettanto vale per un'uscita concordata; e cioè se tale correzione deve corrispondere al mutuo riconoscimento di esigenze non soltanto sue, unilaterali, legate quindi al mantenimento del suo vantaggio mercantilista, implica un sacrificio pratico di pari segno.

Il margine di una trattativa si incentra sui saldi creditizi Target-2 e sulle condizioni valutarie di recupero dei suoi crediti pregressi. Un modo di tesaurizzare il vantaggio competitivo accumulato grazie ad una dubbia condotta di violazione strisciante dei trattati, consentita e tutt'ora avallata, in vari modi, dalla Commissione e in genere dalle istituzioni UE.
Ma anche risolvendo questo spinoso problema di tenuta del valore reale di quei crediti, la Germania, nel concordare l'euro-break dovrebbe in più sacrificare, anche per il futuro, una situazione di vantaggio che, sia nei rapporti intra-UE(M) che verso i mercati esterni all'Europa, le consente di prosperare con un cambio sottovalutato rispetto al corso naturale dell'ipotetico (nuovo) marco.
Nella direzione di una possibile flessibilità su questo complessivo quadro, depone la prospettiva di una generale insostenibilità della situazione valutaria ed economica, tale da incidere negativamente sulle prospettivie di crescita, di produzione industriale e di diffusa disoccupazione e sotto-occupazione, che tendono a "bloccare" la domanda intra-UEM in una stagnazione deflattiva a crescita praticamente 0. E con una situazione che impedisce la valorizzazione dell'intero sistema produttivo europeo e il suo sviluppo in un quadro di investimenti e innovazione, anche del capitale umano, altrimenti indispensabili.

5. Ma una consapevolezza di questi aspetti, evidenziati da economisti non appartenenti alla governance UEM, appare ancora lontana, per la cieca fiducia tedesca e della Commissione nella correzione attualmente perseguita.
Pertanto, in assenza di fattori di rilevante impatto che costringano la Germania a ragionare su principi economici sensati e non accaniti nel segnalato mix di mercantilismo e monetarismo avallati dalle istituzioni UE, ogni ipotesi di "sacrificio" appare egualmente improbabile. E semmai, risulta corrispondere a quella impraticabile correzione di assetti, comunque negoziali, che pone a capo sia alle famose politiche "reflattive" che allo stesso euro-break "concordato", cioè realizzato mediante concessioni che non possono che essere reciproche (e che dunque implicano il necessario riconoscimento degli interessi altrui razionalmente riconoscibili).

6. Questo non vuol dire, però, che, come pareva implicare sul piano "pratico" Fassina, ogni tentativo possa solo ridursi a una pseudo-negoziazione al ribasso, cioè compiuta nel timore che la Germania operi in retaliation sulle merci italiane, o di chiunque voglia uscire e svalutare; cioè ad una soluzione incentrata su palliativi inefficaci e ininfluenti sui meccanismi di conclamata insostenibilità dell'euro, quali gli eurobonds o forme di mutualizzazione del debito pubblico UEM equivalenti, e finanziamenti BEI sugli investimenti nei paesi dell'area.


La stessa perpetuazione degli intatti rapporti di forza sfavorevoli trasforma infatti, - e lo si preannunzia già in modo inquietante- i primi (gli eurobonds) nell'ERF, cioè in un meccanismo di mutualizzazione che tale non è, mirando prioritariamente alla riduzione dell'ammontare del debito di ciascun paese eccedente il 60% mediante "esecuzione forzata" sui suoi assets sovrani (la garanzia dell'oro e di altri beni patrimoniali statali) ovvero sul suo flusso di entrate tributarie ("sequestrate" a favore dell'ERF stesso) che, vincolato all'estinzione pro-rata del debito "eccedentario", obbligherebbe i paesi fuori parametro a degli avanzi primari obiettivamente insostenibili. E cioè mai realizzati nella storia dell'economia per periodi così prolungati: e questo, per di più, in una situazione di ciclo economico di post-recessione (nella migliore delle ipotesi) e di smiultaneo aggiustamento della domanda mondiale in senso correttivo generale degli squilibri commerciali (in testa i BRICS). 
Tutti fattori eclatanti che rendono improbabile pensare alla praticabilità concreta dello stesso pareggio di bilancio a cui, contemporaneamente, non si vuol rinunciare se non in vaghi termini di rinvio (finora neppure contemplati e in prospettiva, ove ammesso, incapace di segnare un mutamento di rotta rispetto al drammatico ristagnare della domanda interna e dell'occupazione).
Analoghe considerazioni si possono fare sui ventilati interventi concertati per finanziare gli investimenti, sia per le consuete difficoltà di originaria capitalizzazione asimmetrica, sia per il volume irrealistico che per la direzione "condizionale" -  che diverrebbe ulteriore occasione per intensificare delle riforme "strutturali" ormai distruttive- che questo flusso finanziario assumerebbe.

7. Insomma, la contro-obiezione che si può muovere al rilievo di Fassina sta nel fatto che il timore di una retaliation "core", o singolarmente tedesca, sui trading intra-UE, significa fare acquiescenza ad una linea di compromesso che tale non è, perchè incentrata su una transazione al ribasso che, al più, può dare l'apparenza di guadagnare tempo, ma che, in concreto, significa farsi strangolare consensualmente per paura di prendere un pugno da un interlocutore arrabbiato.

Ed allora? Siamo alla paralisi decisionale per irresolutezza di fronte ad alternativi scenari penalizzanti (con la certezza, nella linea "intimorita", di farsi carico del peggiore)?
La risposta non può essere affermativa.
Cercheremo di spiegare come e perchè la via d'uscita "debba" esserci e non possa essere vissuta all'ombra di timori alternativamente comparati in modi irrazionali.
Se non altro perchè una svalutazione post euro-exit ed un ipotetico instaurarsi di rappresaglia commerciale da parte tedesca non solo influirebbe scarsamente nel peggiorare un (immaginario) volume italiano di export verso la Germania, che già le sue attuali politiche hanno continuato fino ad oggi di a reprimere deliberatamente (in conformità di consolidati principi del mercantilismo in atto), ma deve anche tenere conto che la stessa esportazione di semilavorati italiani verso la Germania (nelle filiere da essa dominate) risulterebbe più conveniente per la stessa, la quale non avrebbe quindi alcuna convenienza ad aggravare la propria struttura dei costi in una fase di rivalutazione della propria moneta.

8. Detto questo (sperando di non aver tralasciato nulla di importante), occorre focalizzare alcuni fatti-nozioni che caratterizzano lo scenario.
Partiamo dalla conseguenza di quanto detto finora: l'euro-exit concordata, alle condizioni di scenario attuali, è improbabile. Quanto (o quasi) una modifica virtuosa, - se pure esiste un suo modello praticabile-, dei trattati stessi.
Ma questa è la situazione attuale, sul piano rebus sic stantibus delle condizioni politiche internazionali.
L'euro-break sarà, infatti, necessariamente un "processo", diacronicamente configurabile e non un effetto "uno actu".
Muovendo dallo scenario fin qui delineato (se è esatto ovviamente), occorre un punto di partenza politico-economico su cui fare leva. E questa leva non può essere altro che il ripristino della legalità costituzionale perseguita, questo è l'importante, attraverso una rivendicazione concorde delle forze politiche impegnate nel ripristino della sovranità, sostenuta da un significativo e crescente consenso elettorale.

9. Abbiamo più volte evidenziato come i trattati, a partire da Maastricht, si pongano in genetico contrasto con principi fondamentali e inderogabili della Costituzione, e come la correzione di questo squilibrio sia pregiudizialmente risolutiva delle asimmetrie che determinano l'insostenibilità dell'euro e dell'assetto fiscale imposto dal "vincolo esterno". 
Se poniamo queste violazioni sul piano della sovranità dobbiamo rammentare che questa è, nelle democrazie contemporanee, caratterizzata dalla tutela pubblica dei diritti fondamentali e di conseguenza del loro acme democratico consistente nella tutela del lavoro (artt.1, 4 , 3 cpv., 36, 41 e 47 Cost: per citare solo il principale tema, senza voler essere esaustivi e rinviando ad altri post e a "Euro e(o?) democrazia costituzionale").

10. Da ciò traendo le conseguenze vincolate della premessa di "legalità" suprema:
a) l'uscita dalla moneta unica e dalla vincolatività delle altre limitazioni di sovranità che gli si accompagnano (ad effetto spiralizzato: ESM, FC, Redemption Fund) diventa oggetto di un obbligo gravante, in base ai principi fondamentali della Costituzione, sugli stessi organi interni di indirizzo politico (governo e parlamento);

b) questo obbligo è un fatto emergenziale di sopravvivenza della democrazia "necessitata" quale immaginata dai Costituenti e, - in assenza dell'affermazione consolidata di un "altro" Potere Costituente (inconfigurabile, allo stato, nella forzatura-sospensione sine die dell'impianto della Costituzione ad opera del vincolo esterno) che abbia sostituito quello ancora oggi operante e vincolante-, costituisce l'elemento propulsivo indispensabile per poter portare all'interno del quadro delle relazioni internazionali l'estrema e irrinunciabile forza residua della sovranità democratica
Dunque questo è l'elemento necessario e sufficiente che, se consapevolmente recuperato, configura la forza negoziale e al tempo stesso la legittimazione di ogni azione che possa portare ad un mutamento delle condizioni attuali;

c) questo recupero legittimo e irrinunciabile degli obblighi (non delle mere facoltà) derivanti dalla Carta prefigura, al tempo stesso, il superamento del, pur comprensibile, dilemma "uscita da destra o uscita da sinistra". Questo punto va spiegato (nei limiti delle mie capacità comunicative):
    c.1) l'uscita dall'euro, posta sul piano "necessitato" qui suggerito, si incentra sul tema della contemporanea violazione, da parte del "vincolo esterno", di due principi che sono l'essenza della predetta legittimazione e quindi condizionano in radice la stessa legittimazione italiana sul piano negoziale internazionale (quali che siano i passi tecnicamente da intraprendere): la tutela e quindi il conseguente assetto del lavoro, nelle sue connessioni inverse col problema della mera lotta all'inflazione cui si riduce il vincolo monetario, ed il conseguente ruolo dello Stato al sostegno dell'economia e della domanda in genere, appunto configurati come obblighi primari delle istituzioni repubblicane in base alle indicate norme-chiave della Costituzione;
    c.2) qualsiasi azione di qualsiasi forza politica, se correttamente intrapresa in questo quadro di legittimazione "necessitata" (dalla sovranità democratica in senso moderno) non potrebbe dunque che procedere nella direzione del recupero della tutela del lavoro e dell'intervento dello Stato nella politica monetaria, fiscale e industriale precedenti all'irruzione del vincolo esterno
Questo è il senso del recupero della legalità costituzionale e a ciò nulla toglierebbe la naturale esigenza di riattivare queste prerogative della sovranità legale non (tanto) nelle esatte forme legislative e organizzative anteriori alla stessa introduzione dello SME, (per dare un riferimento sintetico ma di valore altamente indicativo), sebbene adattandole alla realtà attuale caratterizzata, se non altro, dal trascorrere di tre decenni di alterne vicende, comunque compressive delle politiche dell'occupazione e dell'intervento pubblico nell'economia;
    c.3) qualunque forza politica, comunque prima, ed anche attualmente, contrassegnata rispetto all'asse destra-sinistra, se prendesse una chiara posizione "euro-exit" si troverebbe automaticamente nella situazione di dover utilmente invocare la propria legittimazione anzitutto giuridica, e quindi politica e negoziale-internazionale, collocandosi su piano del ripristino necessitato della legalità costituzionale, sapendo che, in alternativa, sarebbe praticamente impossibile avviare un'azione che ritragga una legittimità condivisa e spendibile fuori e dentro l'ordinamento nazionale.
    c.4) la conseguenza è che, in nome della Costituzione e del suo modello socio-economico ancora cogente, ogni forza politica comunque coinvolta dovrebbe simultaneamente rivendicare la propria condivisione di un recupero del perseguimento prioritario della piena occupazione, mediante gli strumenti costituzionali di tutela del lavoro e mediante la ri-attivazione delle specifiche forme di intervento nell'economia che la Costituzione affida alle istituzioni democratiche.

11. A questo punto, sull'auspicabile presupposto che ciò sia compreso e condiviso, parrebbe evidente che il destra-sinistra dell'uscita perde molto della sua discussa attitudine ostativa al raggiungimento di un'unità di intenti tra tutte le forze politiche impegnate nel rivendicare la sovranità democratica: in definitiva, ed è importante sottolinearlo, perde di "identità" lo stesso concetto tralaticio e inerziale che distingue il destra-sinistra.

Quest'ultimo, infatti, di fronte al "respingimento" dell'euro e delle limitazioni della sovranità contra-constitutionem, non ha più il suo riferimento nella presunta diversità, passivamente accettata, del presunto atteggiamento rispetto a problemi come il mercato del lavoro e la struttura dello Stato e dei suoi poteri tributari e di spesa
Accettando che la violazione dei principi fondanti della Costituzione sia la base della legittimazione dell'azione politica interna e internazionale, non sarebbe infatti coerente credere di poter mantenere una "preferenza" per forme di flessibilizzazione e deflazione del lavoro, nonchè di privatizzazione e svendita delle funzioni e assets pubblici che si rivelano tutti insieme null'altro che il portato del liberismo rappresentato dall'euro.
Uscire dall'euro, dunque, non può che essere una revisione ed un'inversione di rotta rispetto a tali linee imposte dall'euro stesso, senza spesso averne la piena consapevolezza politica e culturale (che si spera ora acquisita, almeno nella parte sana della politica italiana), e che dell'euro costituiscono in definitiva la vera essenza.

12. Sarebbe infatti insanabilmente contraddittorio respingere l'euro ma accettarne ed ancora sostenerne il modello di società che sacrifica lo sviluppo alla stabilità monetaria-finanziaria, perpetuando per altra via le stesse linee di "riforma" sociale.
Il far ciò, inoltre, lo ripetiamo, priverebbe la forza politica che si limitasse ad un indistinto proclama anti-euro del poter seriamente ed oggettivamente rivendicare lo stesso fatto legittimante fondato sulla sovranità costituzionale (cioè di suprema validazione giuridica), e perciò autoesplicativo e strutturato in sè. 
Una tale forza politica minerebbe alla base la propria legittimazione e la stessa efficacia di ogni tentativo di modificare autonomamente dei rapporti di forza internazionale; tale tentativo, infatti, dovrebbe ricercare una "ragion d'essere" diversa, non solo avulsa dalla Costituzione e dal sostegno decisivo del Potere Costituente, ma dalla stessa sovranità intesa in senso contemporaneo.
La legittimazione di tale forza politica "incoerente", rimarrebbe affidata al puro dispiegarsi dei rapporti di forza tra attori internazionali che hanno immense capacità di condizionamento nonchè alle mutevoli "correnti" del sostegno mediatico, mosso da questi stessi interessi economico-finanziari, correnti che non potrebbero consentire la libertà espressiva e la piena coerenza nel rapporto diretto con la base elettorale.
E, va particolarmente sottolineato, questo è ciò che, allo stato, Marine Le Pen pare aver compreso molto bene (al di là di qualsiasi precomprensione ideologica del fenomeno).

13. Supponendo che questo punto sia chiaro, e sufficientemente avvertito dai protagonisti italiani della Liberazione dal vincolo esterno (e dalla sua intrinseca visione autorazzista), ne scaturisce che la prospettiva di euro-exit, in qualsiasi paese europeo, passerà probabilmente per una prima fase autolegittimante basata sulla sovranità che, per il suo stesso affermarsi elettorale e culturale, riaprirà le condizioni per una seguente ed ulteriore fase di trattativa
Ma sarà una trattativa che avrà già in sè realizzato il presupposto dell'eliminazione di ogni tatticismo e di ogni ipocrisia: non solo gli Stati si ricomporrebbero nella loro veste "sovrana" a tutela della democrazia, ma nel far ciò si ricollocherebbero, per necessità di sopravvivenza e responsabilità verso le rispettive comunità sociali, su un piano di parità con una Germania il cui chiaro atteggiamento è sempre stato quello di rivendicare la propria veste di Stato sovrano come prevalente su quello di Stato-membro, rafforzando con ciò una posizione che "sconta" proprio il giocare con le mani (volontariamente) legate degli altri governi che credono utile dirsi prima di tutto europeisti.
E questo, come detto in precedenza, configura un processo che si svolge nel tempo: soltanto da una chiara riaffermazione del principio di sovranità, autonomamente fondata sul supremo diritto interno delle Costituzioni, potrà scaturire una seconda fase in cui, ripristinata legalità sostanziale e rispetto reciproci, si potrà giungere ad una soluzione concordata.

14. Come ha affermato Lapavitas in un discorso affrontato e commentato in un precedente post:
"I governi di Grecia e Portogallo non possono cambiare la struttura dell’Unione Europea, peró possono intervenire in Grecia e Portogallo. Naturalmente il mio non è un argomento nazionalista. In certe occasioni si possono usare i meccanismi di uno Stato Nazione per creare una corrente internazionale".
Lo stesso vale in Italia e per la salvezza,  democraticamente concordata, della stessa Europa.

37 commenti:

  1. Grazie. Tutti dovrebbero leggere questo intervento.
    (Sembra un post da spambot, né? Ci aggiungo che scrivi proprio da giurista :D )

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  2. Post strepitoso. Il percorso è chiaro, e concordo su tutto.
    Ma sono e resto profano, e ti chiedo come concretamente potrà accadere ciò che tutti auspichiamo. O meglio, i popoli se si arrabbiano possono tutto, ma non riesco a figurarmi come poter passare per 1) la messa alla berlina di tutto il nostro ceto politico che, chi più chi meno, ha sposato l'euro; 2) la messa alla berlina dei nostri economisti di grido e dei giornali (una domanda: oltre te, chi altro sostiene Keynes in Italia? c'è una qualche scuola strutturata con cattedre etc?) 3) la ripresa del ruolo dello Stato in economia (nazionalizzazioni o solo strumenti di leva finanziaria-fiscale? Protezionismo? Ci capisco poco, abbi pazienza...).
    Soprattutto non riesco a immaginare con che energia ci si potrà opporre a una visione della forza lavoro come merce che non mi sembra soltanto europea, piuttosto anglosassone! Il paradigma di precarietà, mercificazione del lavoro, finanziarizzazione dell'economia e un po' di charity tanto per pulirsi la coscienza è quello attorno al quale si sta strutturando (senza apparenti ripensamenti) tutta l'economia americana e inglese, in maniera selvaggia dal duo Regan - Thatcher in poi. La matrice è lì, credo, non a Bruxelles. Culturalmente guardiamo a Londra e a New York, non a Parigi o alla Berlino di Bismark!
    Insomma, temo che ci vorrà una generazione per fornare indietro. Se basterà...e io, nel lungo periodo e a dispetto di Keynes, vorrei evitare di morire.
    Maurizio

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    1. Beh ma ormai sono andati troppo oltre e proprio "Essi" hanno ormai messo la questione in termini di "o noi o voi". Dovranno passare per il recupero della sovranità a furor di popolo e nonostante la grancassa mediatica di supporto. Ogni altra soluzione - tranne sorprese attualmente inimagginabili- sarebbe instabile e comunque ormai tardiva: non c'è molto tempo prima della irreversibilità che travolgerà tutto, rendendo impresentabile ogni minimo accenno al neo-liberismo arrogante...prima dell'eccesso speriamo nella autocoscienza democratica...
      Tutto è difficile ma almeno la Costituzione ancora l'abbiamo (per un pò almeno)...

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    2. Tu credi che ciò avverrà? Cioè tu credi che da noi potrà risorgere un capitalismo dal volto umano senza il pungolo comunista con il quale doversi confrontare e rispetto al quale dover fare per forza bella figura pena la rivolta di tutta America Latina (come stava per avvenire con Castro), Africa e chissà anche Europa?? Cioè tu credi che bastino le sole affermazioni della Costituzione, che Calamandrei diceva disapplicata già dopo pochi anni, per riuscire a far leva in dinamiche, e contro poteri la cui forza, e soprattutto la cui CATTIVERIA (e dunque disponibilità a fare TUTTO pur di trionfare) è infinita?
      Quello che tu auspichi è un cambio di dinamiche economiche, rispetto a certe relazioni di forza tra capitale finanziario e lavoro che, credo, oramai prescindono dall'EU. Da noi il lavoro è stato reso merce dall'EU ma non tornerà ad essere qualcos'altro anche ad EU crollata senza una ripresa di uno scontro di classe che vedo eliminato proprio come paradigma di lettura della realtà (che poi continua lo stesso, anche se non lo si dice, e di certo non lo stiamo vincendo noi...). Negli anni '70 mi dicevano che negli USA, udite udite, i sindacati c'erano e facevano qualcosa...e nel nord del Regno Unito c'erano i minatori e non i musei che parlano di quando c'erano i minatori!!!
      Ti giuro, io sogno tutto ciò che scrivi. Ma poichè il diritto è sempre sovrastruttura (sbaglio???), mi viene da pensare che manchi il "soggetto rivoluzionario" per poter realizzare ciò che si auspica in questo che, per quel poco che ho letto, è senz'altro il blog più colto e tecnicamente preparato. E cioè, mi pare che manchi da parte di chi potrebbe e dovrebbe muoversi una consapevolezza, se non di classe quanto meno di Popolo (P maiuscola, prego...), indispensabile per esprimere una svolta in tal senso. Ammesso e non concesso, anche qui, che a consapevolezza conseguita ci siano le leve per poter agire...anche queste andrebbero ripensate. Scendere in piazza non serve a nulla, astenersi dai consumi pure peggio (alla faccia della decrescita sedicente felice)...ci facciamo tutti boddhisti e naufraghiamo in un tripudio di peace love e tanto ohm?
      Ti prego, dimmi che mi sbaglio, che sono un marxista de'noantri da quattro lire, e che non rischio per davvero di morire amerikano.
      Maurizio

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    3. Se segui per bene la "massa" dei post finora pubblicati, tutte le domande e le questioni che poni le abbiamo più volte trattate.
      Ti rinvio alla risposta a Bargazzino.
      Non posso far altro che tentare, senza ripensamenti, di rilanciare la democrazia e i suoi necessari presupposti cognitivi diffusi...Almeno non avrò lasciato alle mie spalle delle cose trattenute solo per me...La conoscenza è per tutti e a tutti può giovare.
      Poi possiamo interrogarci e deprimerci (i motivi nonmancano) senza riuscire a cambiare comunque nulla :-)

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  3. Il post coglie il punto ed è, credo ed in maniera molto più spicciola, la stessa riflessione che facevo ieri camminando verso la stazione all'uscita dal convegno.

    Se per lo smantellamento concordato si richiede un grado di cooperazione tale da permettere di proseguire il cammino anche dentro l'euro, allora è chiaro che:
    1- questa cooperazione al momento non c'è
    2- va assolutamente costruita
    E l'unico modo che vedo è quello di forzare la mano, ricostruendo all'interno dei singoli Stati la coscienza sovrana che ripristinerebbe le condizioni di parità (art. 11), ma non solo. Spingere la situazione sempre più vicina ad una rottura unilaterale costringerà le parti a trovare una soluzione "meno peggio"; in altre parole, il costo di determinate scelte dovrà essere inferiore al costo conseguente al non prenderle. Per certi versi l'ondata "no-euro" potrebbe anche aprire a scenari cooperativi in senso di permanenza, dando agli Stati periferici quella forza negoziale alla quale hanno inspiegabilmente rinunciato. In ogni caso, allo stato attuale, tentare di spingere la situazione sull'orlo della rottura rimane l'unica via per uscire dallo squilibrio di potere esistente e cristallizzato dai trattati.

    Ho provato tristezza nei riguardi dell'atteggiamento dell'On. Fassina (nonostante io sia estremamente contento della sua partecipazione), poiché trasudava fatalismo ed ho realizzato che la naturale conseguenza del suo ragionamento è quella di affidarsi alla speranza che la Germania si comporti da agente razionale rimodulando quindi i suoi atteggiamenti mercantilisti, venendo di conseguenza incontro anche ad i nostri interessi.
    Ecco, questo è da escludere (almeno senza una rimodulazione del potere negoziale), ma anche ove si realizzasse credo sia umiliante per uno Stato come il nostro, umiliante quanto l'immobilismo supino che a questa """strategia""" è sotteso.

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    1. Ma anche la correzione cooperativa non dà alcuna garanzia di tenuta nel lungo periodo. Credo che una volta raggiunto il livello di spostamento del consenso che certificherà la perdita del controllo politico da parte dei partiti ordoliberisti, la razionalità implicita dei fatti della Storia riporterà all'affermazione delle sovranità e ai cmabi flessibili, piuttosto che a un altro pateracchio con pezza a colori...

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    2. Un'uscita concertata presupporrebbe la formazione nella maggior parte dei paesi della Zona di un'alleanza tra politici, economisti e giuristi dotata di interessi e strumenti sulla stessa lunghezza d'onda, o no?

      E soprattutto, anche a fronte di un malcontento popolare crescente, gli attuali governanti non cercherebbero comunque di garantirsi un'uscita "col coltello dalla parte del manico"? Già portare un fronte comune e un dibattito sulla moneta unica condotto da persone raziocinanti e che operano nell'interesse dei propri elettori a Bruxelles è una cosa mai vista. Nella mia oggettiva mancanza di dati, penso che il la pratico lo possano dare solo 2-3 Paesi determinati e in contatto tra loro, e con un dibattito interno vigorosamente riaperto.

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    3. Innanzitutto Italia e Francia bastano e avanzano per determinare l'euro-break o qualsiasi altra modifica sostanziale dei trattati.
      IN secondo luogo, l'analisi si riferisce chiaramente alla realtà italiana. In Francia, ad es;, il senso della sovranità nazionale e del rispetto dei loro principi democratici è molto più diffuso e radicato che in Italia.
      Vedremo cosa accade; ma intanto occupiamoci pragmaticamente, o quantomeno, correttamente, di come in Italia si potrebbe avere un'evoluzione democratica costruttiva

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  4. Io temo che usciremo dall' euro al grido di "comunque dobbiamo fare le riforme strutturali, anzi ora le dobbiamo fare ancora piu' in fretta altrimenti saremo invasi dalle cavallette"....
    Ricordiamoci che anche nel 1992, in buona sostanza, accadde questo.


    Oh, io temo; ma spero anche!
    Nel '92 la gente non aveva a dispozione un Quarantotto. ;-)

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    1. NOn lo dire a me del "corso e ricorso" col 1992
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/11/il-rilancioliberoscambista-ue-usa.html
      Anche io "temo" ma proprio per questo "diffondo" ciò che potrebbe consentire di sperare...di più

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  5. "Naturalmente il mio non è un argomento nazionalista". CERRRTO... e questa non è una pipa!

    Quella che descrivi è l'"uscita da sinistra", cioè l'uscita che prevede il ripristino della costituzione economica del (di?) 48. In absentia, si ha l'"uscita da destra". E diGiamolo! O c'è qualcuno che pensa che l'"uscita da sinistra" significhi vedere i cosacchi abbeverare i loro cavalli in Piazza San Pietro?

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    1. Non lo so Fiorenzo; a me interessa che almeno si sappia PERCHE' vale la pena di uscire e come in effetti per questo basti la legalità costituzionale. All'interno della quale POI potranno prendersi vie diverse. Ma "all'interno della quale"....

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  6. Sempre per finire il lavoro sulla newspeak orwelliana sottolineo la differenza tra nazionalismo e patriottismo.

    Ai vili metamarxisti che prendono tempo (il nostro) a discutere tra uscite destrorse o sinistrorse, oltre a ricordare che è da da sinistra che ci siamo cacciati in questo pasticcio¹, rinfresco loro i neuroni piddinizzati ricordando che colui che ha sviluppato l'Art.3 cost. citato, è stato uno dei più grandi intellettuali di matrice marxiana del'900: a differenza di tutto il resto della Fattoria degli Animali, vedeva proprio nel compimento programmatico del del dettato costituzionale la sostanzializzazione della Repubblica democratica e, quindi, la concreta realizzazione dell'utopia marxiana e socialista.

    Credo che, se la nostre speranze sovrane son morte con Moro, la Sinistra è morta con Basso.

    ¹ cit. A. Bagnai :-)

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  7. Salve Luciano, ero al convegno, e mi rammarico molto per non essere riuscito a conoscerla, in quanto bloccato da un'imprevista emozione. Riguardo il post, che non trovo inutile dire essere interessante e stimolante per diversi spunti di riflessione.
    Ho maturato una convinzione sul percorso che ci porterà un giorno ( chissà quando, chi può dirlo? ) all' uscita dall'euro, ed è accaduto quando su goofynomics il prof. Bagnai ha fatto ben tre post sulla passeggiata aleatoria. Il corso degli eventi, non è logico come crediamo e rifacendomi all'esempio del tacchino induttivista, ritengo possibile qualsiasi soluzione, almeno a priori, sull'ipotesi di uscita dall'euro, anche la meno probabile come un accordo tra tutti i paesi coinvolti.
    Tuttavia se dovessi optare per la le soluzioni più logiche, penso che sarà la Francia a mandare tutto all'aria piuttosto che la Germania, perchè come ci ha ricordato la dott. Granville, ai francesi non puoi toccare lo stato sociale e mettere le tasse senza che succeda una rivolta sociale.
    Pertanto tendo ad escludere che sia l'Italia o la Spagna, etc.
    L'unione europea non esiste, punto.

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    1. Da queste parti si punta sulla Francia da un pezzo (ex multis e non il primo)
      http://orizzonte48.blogspot.com/2014/04/aggiornamento-frattalico-il-crollo.html?showComment=1396337239102#c7086614423627577394
      E tra l'altro per le ragioni indicate da Brigitte
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/07/hollande-e-la-spesa-pubblica-von-hayek.html

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  8. Concordo con il post, di cui la seconda parte, specialmente, mi è piaciuta moltissimo nel disegno delle conclusioni. Mi pare, anche, che i nostri Politici, di sinistra, ma non solo, abbiano paura di muoversi: la spinta può venire dagli esiti elettorali e, concordo pure, dall'esempio della "Grande Nation", mentre la situazione spagnola mi pare, oggi, meno chiara, anche per le particolari politiche, ad es., di "i erotizzarono" delle sofferenze bancarie, seguite da quel Paese.

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    1. FAccio fatica a pensare che siano ancora coerentemente di sinistra gli allineati all'ordoliberismo. La minoranza che ha capito l'euro, giustamente, si richiama alla Costituzione: dovrebbe smettere di credere che tale richiamo possa essere solo "contro" la c.d. destra e tentare di intavolare un discorso su un terreno comune. Il recupero dei poteri fiscali e di politica economica e monetaria non è infattti uno svantaggio per nessuna forza politica...

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    2. Il recupero dei poteri fiscali e di politica economica e monetaria, sembra spaventare i ns. "campioni" al governo. In realtà penso abbiano incoscientemente alzato la posta, quando hanno capito che il vicolo è cieco.
      Al di là dei discorsi di carattere giuridico economico, credo che la cosa sia anche di competenza dell'antropologia ( lo dissi qualche giorno fa ), e così è stato al convegno, e dell a psichiatria. Forse ad un prossimo convegno, bisognerebbe pensare di invitare un luminare in psichiatria, per spiegarci le vere cause dei disturbi degli esponenti pude.

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    3. Mi viene in mente Cesare Pozzi quando, parlando dell'ascesa del fascismo, ricordava come nel 22 ci fosse una tale paura a prendersi delle responsabilità al punto da preferire affidare tutto a un dittatore senza opporsi davvero.

      Bene penso che parte del ceto politico italiano abbia proprio anche, ANCHE non solo, questa paura: "ma se finalmente saremo noi, senza paraventi esterni, a comandare....poi saremo anche noi i responsabili!"

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    4. Ma proprio l'ascesa del fascismo, insieme all'incalzante necessità di scegliere un modello di capitalismo che fosse il meno nocivo per la collettività, hanno portato alla redazione di un modello Costituzionale che, in fondo, facilita il compito di quei ceti politici che hanno timore a prendersi delle responsabilità, perchè in fondo potrebbero AGIRE rispettando i diritti fondamentali e poi dire semplicemente "siamo obbligati a fare quello che la Costituzione ci chiede". Non è quindi, tanto un problema di assunzione di responsabilità, ma di quanta forza predatoria è riuscita a riassumere il capitalismo malato che la Costituzione del 48 voleva combattere sapendo bene che ciclicamente riprende con vigore la sua avanzata. E a questo proposito paiono tristemente calzanti le parole di Calamandrei secondo cui non vi è mai stata, in realtà, una rivoluzione che ha fatto tabula rasa di tutto l‟ordinamento precedente,per poi mettersi a ricostruire con nuovi materiali su un terreno sgombro dalle macerie.Al contrario, la nuova Costituzione si appoggiava in gran parte su antiche mura in rovina: dietro le nuove facciate c'erano ancora le vecchie stanze, nelle quali erano rimasti ad abitare, o sarebbero tornati dopo breve assenza, i soliti padroni.
      Tra l'altru, per questioni lavorative, mi sono appena imbattuta in passaggio di una sentenza della Corte Costituzionale (n. 143/2013) che vi segnalo perchè in parte calzante con quanto si è detto in questo come in altri post: "non può esservi un decremento di tutela di un diritto fondamentale se ad esso non fa riscontro un corrispondente incremento di tutela di altro interesse di pari grado".

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  9. Qualche osservazione.
    L'argomento “di Puglisi” in realtà è di Eichengreen, risale al 2007 ed già stato confutato factis dal caso cipriota, come ebbe a sostenere, direi plausibilmente, Krugman qualche mese fa.

    Insopportabili gli apoftegmi fumosi (“i tempi son cambiati”. Sì, e non ci sono più le mezze stagioni) di Fassina: se ha da obiettare, argomenti invece di scalfarare.

    Nell'analisi di Sapir e Murier sui possibili scenari di dissoluzione dell'eurozona, l'ipotesi di un'esplosione non controllata è quella che risulta più dannosa per la Germania. E' questa la ragione per cui i due autori così opinano: “C’est la raison pour laquelle le scénario d’une explosion non contrôlée de la zone Euro nous apparaît comme peu probable, même si nous la retenons aux fins de
    comparaison.”.

    Sono d'accordo sulla ricerca di un terreno comune; questo suggerirebbe di evitare questioni inutilmente divisive, cosa che purtroppo la Le Pen non sempre fa (anche se forse ne è antidoto la proposta, raramente ricordata nelle cronache italiane, di una legge elettorale proporzionale).

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    1. Non se trapeli lo sforzo di portare anche il ragionamento di Fassina all'interno di un possibile dialogo su costi/benefici comparabili razionalmente. Anche se in fondo l'appello a ragionarci su è rivolto ad altri più "volenterosi".
      Quanto a Sapie e Murier, grazie: confortano sostanzialmente la mia analisi, che distingue le fasi di un processo praticabile. Almeno si spera...

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  10. Resto dell' idea che la questione, resti un po' asimmetrica...
    Nel senso che: il più Europa, deve necessariamente avvenire per costrizione. L' eventuale break-up invece, lo sarà per constatazione. Anche Fassina deve tenere presente la legge di Cromeell. La possibilità di verificarsi degli eventi, vede il più Europa leggermente più vicino allo 0, di quanto non lo sia il break-up.
    Partendo naturalmente dalle condizioni attuali. Se poi attueranno l'ERF, queste cambierebbero. Osservando, poi la tendenza dei saldi TARGET2 mi chiedo: nell' eventualità del rientro del famoso "dentifricio dentro al tubetto", non si renderebbe a quel punto più probabile il più Europa? E visto la quantità di distruzione economica e sociale, generate dalle politiche atte al verificarsi dell' eventualità, il prezzo quanto sarebbe alto? Non rischiano forse, di rendere meno probabile l' euro-break, ma di aumentare il costo del verificarsi. In fondo sono gli ordolib€uristi a stare seduti su un barile di polvere? E perché, hanno questa tendenza a giocare con l' accendino?

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    1. Ma il dentifricio lo vogliono ricavare dalla domanda extra-UE e quindi il tubetto rimarrà progressivamente mezzo vuoto. Non c'è più crescita della domanda mondiale che tenga ora che il QE risalta nella sua insufficienza perversa.Se saltano OTC su commodities salta WS e poi...
      Sono ancora peggio di quello che descrivi
      http://scenarieconomici.it/modello-comuliberista/
      http://www.rivistaeuropae.eu/economia/il-baltic-dry-index-cose-e-perche-guardarlo/

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  11. ERF (detto anche DRF/P) riserve d'oro e earmarking delle tasse.
    http://ec.europa.eu/economy_finance/articles/governance/2014-03-31-redemption_fund_and_eurobills_en.htm

    Magari non ho capito bene, ma forZe dice la Gertrude (Tumpel-Gugerell ) che prendersi l'oro è filo problematico alla luce proprio dell'art 123 TFEU. naaa
    sarebbe il paradosso della BC "troppo" indipendente pure per loro:

    When discussing collateral for a DRF/P or a eurobills scheme, the Treaty’s prohibition of monetary financing (Article 123 TFEU) needs to be borne in mind. This is relevant as regards gold and foreign currency reserves. In the euro area, Member States’ gold reserves are owned mostly by the national central banks (or, in a few cases, by the government, but even there the authority to manage the reserve may be entrusted by law to the central bank). Under Article 123 TFEU, the ECB or national central banks may not provide any credit facility inter alia to governments or any bodies governed by public law. This means that gold reserves held or administered by central banks may not be disposed of by the Member States, even acting in agreement with the central banks, as collateral for a scheme which serves to raise finances for national budgets. The same is true for foreign currency reserves held by national central banks.
    http://ec.europa.eu/economy_finance/articles/governance/pdf/20140331_conclusion_en.pdf

    Con l'ENI se po' fa'? che dice Gertude? L'ENI in fondo è a disposizione del governo no?
    infatti sull'IVA o altre tasse dice la Gertrude che nZomma, se potrebbe pure fare (ma dovrei leggere tutto):

    "Earmarking the proceeds from specific taxes (such as VAT or a wealth tax) for servicing payments would be another way of making such payments more certain and reduce the potential for moral hazard. Such earmarking has been in fact used in a number of guarantee arrangements in the 19th and early 20th centuries57[ Alessandro Guerani segnalava pure il precedente di Filippo II coi juros e gli asientos]. However, there are downsides related to legal and constitutional problems (see Chapters IV and V above)."

    Tanto i constitutional problems nostri li risolvono con destrezza...
    e nell'annex riporta gli articoli rilevanti: TFUE e ... costituzione tedesca (ma guarda un po')
    Conclude Gertrude:

    "To sum up, while the current EU Treaties do not allow any schemes of joint issuance of debt resting on Member States’ joint and several liability, they may allow guarantee structures based on pro rata commitments and in particular a capital structure analogous to that of the ESM."

    PS: ah, grazie per questo tuo post fondamentale

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  12. Grazie Prof per la speranza che trasmette.
    La mia paura, che trova riscontri nel post su Malthus e nella storia, è che la soluzione che loro (le élites ordoliberiste) hanno in mente sia un'altra.
    La guerra.

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    1. Ma no, sono troppo sicuri di se e della loro capacità di intortare i popoli per progettare un tale incomodo. E confidano di raggiungere risultati sostanzialmente analoghi con alta disoccupazione strutturale e tagli al welfare (chi vorrà/potrà vivere a lungo senza sanità e pensione?)
      Ma c'è anche da dire che la loro mente è talmente derailed (nell'odio verso l'umanità) che finora hanno sbagliato tutti i calcoli...Nel lungo periodo pure quello sull'efficacia di una propaganda mediatica asservita alle loro menzogne

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  13. Buona sera prof. 48 forse "non hanno sbagliato niente" essendo ordo-liberisti hanno una visione di breve termine ossia vedono solo i guadagni immediati non riuscendo a capire come ci ricorda Keynes che nel lungo termine saremo tutti morti.

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  14. Veramente io la cosiddetta uscita "concordata" del paese "core" par excellence, me la immagino in pratica un po' diversa: cioè me la immagino in realtà un po' "obbligata".
    Mi spiego facendo un passo indietro.
    Il primo scenario di rottura - chiamiamolo scenario A - è questo: in un paese si produce un evento - ribellione sociale, una forza euro-scettica al potere, eccetera - che costringe l'esecutivo a proclamare l'uscita per decreto. E' lo scenario più probabile, allo stato attuale; e il principale candidato è naturalmente la Francia per le vicende politiche che conosciamo.
    Potrebbe anche avvenire, tuttavia, lo scenario B: l'euro-scetticismo sale, ma non esplode (es. Grillo vince le elezioni). Ora, se si realizzasse una condizione simile in più paesi, ossia un ammontare generale di euro-scetticismo, ciò potrebbe produrre pressioni interne tali da costringere più esecutivi nazionali a coalizzarsi per tentare di forzare la mano ai tedeschi.
    A ben vedere questo è lo scenario ipotizzato dal "più Europa": solo che naturalmente la Germania non accetterebbe di farsi forzare la mano, come ha già chiarito Angela Merkel dicendo che «non si può chiedere ai tedeschi di essere meno competitivi».
    A quel punto allora avremmo due possibilità: o la "alleanza del sud" cede (ma allora si ricadrebbe verosimilmente nello scenario A), oppure la Germania fa quello che è nel suo migliore interesse: ossia decide di uscire.
    E questo difficilmente può essere vissuto come un "sacrifico" nell'immaginario collettivo degli elettori tedeschi: un sacrifico è il restare nell'euro per mantenere il sud sprecone; uscire sarebbe invece riappropriarsi del glorioso marco.
    Il punto, però, è che, anche se lo scenario A rimane in assoluto il più probabile, lo scenario B diventa inevitabile, nell'ipotesi in cui non si verificasse lo scenario A.
    Dunque aver discusso dello scenario B sarebbe servito a due cose: 1) in caso di scenario A, ad aver impostato il problema in senso cooperativo, per non essere taciuti di pensare solo egoisticamente all'interesse nazionale; 2) in caso di scenario B, a discutere con la Germania i termini della sua uscita unilaterale decisa dalla Germania stessa.
    Se c'è un'ipotesi di smantellamento coordinato sul piatto è possibile (forse anche probabile) che i tedeschi vogliano considerarla, in virtù del fatto che la decisione l'hanno presa loro e che, a quel punto, una rottura traumatica e imprevista non sarebbe più nell'interesse di nessuno.
    Dunque non occorrerebbe "convincere" la Germania: basterebbe aspettare che gli eventi facessero il loro corso. Non so se ho reso l'idea...

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    1. Oddio, quando parlo di "processo" implico esattamente tutte queste possibilità. Forse non mi sono spiegato bene.
      Al di là del dipanarsi degli eventi concreti, certamente imperniati su eventi del genere (la progressione può esserci pure da scenario B verso lo scenario A in successione, portando a varie possibilità-avvio di negoziati, compatibili e variamente conciliabili) il problema che pongo è quello della legittimazione.
      Se ancorata al modello costituzionale (sovranità nazionali democratiche) è pronta e concretamente percorribile: non solo, ma, ancora più importante, porta alla coerenza di azione ed alla stabilità delle soluzioni, altrimenti disancorate e deboli di fronte al tentativo di rigenerazione del liberismo.
      Mi sono spiegato meglio?

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    2. Il discorso della legittimazione di un'uscita lo capisco e lo condivido in pieno.
      Io mi riferivo però al punto iniziale del ragionamento: cioè che sulla base dei trattati un'uscita concordata richiederebbe un livello di coordinamento tale, che a quel punto tanto varrebbe riformare i trattati stessi.
      Ecco, secondo me questo concetto espresso da Fassina non è proprio corretto: in realtà non c'è bisogno di concordare un'uscita in funzione anti-mercantilista; al contrario essa verrebbe decisa dalla Germania proprio per preservare la sua autonomia in politica economica, e solo dopo sarebbe possibile (eventualmente) coordinarsi con i partner.
      Riformare i trattati richiederebbe ratificare un rapporto di forza paritario, che non c'è; al contrario un'uscita della Germania sarebbe coerente con le possibilità reali e le politiche sempre perseguite da quello stato.

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    3. Ma la confutazione di questa presunta equivalenza è proprio contenuta nella parte iniziale del post, dove è sottolineata l'esistenza di un "sacrificio" in qualunque ipotesi per la Germania: poi è chiaro che data la sua irremovibilità determinata dalla posizione di vantaggio, graduare il sacrificio nelle due rispettive ipotesi negoziali diviene un problema praticamente inutile.
      Proprio per la intrinseca instabilità-incoerenza di una soluzione di modifica dei trattati che la stessa Germania possa considerare accettabile sui presupposti irrinunciabili (che consentono il mercantilismo-monetarismo) che l'hanno portata a entrare nell'UE-UEM.
      Ma questo mi pareva esposto e argomentato.

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    4. Allora sono io che non avevo capito... :)

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  15. «Stare nell'euro non è meno difficile di quanto sia uscirne. Se il costo per rimanervi è la perdita di quote importanti del nostro apparato produttivo e disoccupazione crescente, concentrata per giunta nel settore giovanile, i gruppi dirigenti politici violerebbero i doveri costituzionali stando nell'eurosistema. In assenza di una unificazione politica democratica, essi hanno il dovere costituzionale di difendere gli interessi nazionali.
    Trovo intollerabile sentire questi gruppi diffondere il panico su ciò che verrebbe dopo, se abbandonassimo l'euro, senza dire che cosa accadrebbe se lo mantenessimo a ogni costo, come stiamo facendo».

    Consola leggere quest parole di Savona circa i doveri costituzionali,
    che stia iniziando a passare il tuo messaggio?

    http://www.forexinfo.it/Paolo-Savona-serve-un-piano-B-per

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    1. Mi auguro che a tal fine abbia avuto un ruolo anche la comune amicizia con Antonio Rinaldi con cui discuto e faccio convegni :-)

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    2. Spero di avere modo di ringraziare anche lui personalmente una di queste.

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