Questo bellissimo post di Sofia spero che venga letto anche da "non addetti ai lavori"; è sufficientemente semplice da essere compreso da qualunque cittadino e proprio in vista dei suoi propri interessi (gettati nei flutti della convenienza delle oligarchie finanziarie).
Evidenzia, il post, l'ennesima mistificazione della realtà operata dall'ordoliberismo imperante, appoggiato dal luogocomunismo pop dei media, sempre all'opera nella distruzione delle istituzioni democratiche che ostacolino l'affarismo dilagante, nella prospettiva del rafforzamento di creditori e investitori esteri.
Una follia collaborazionista anti-italiana che è è impadronita del pensiero collettivo, da condizionare, e occulta pervicacemente le vere soluzioni. Che in definitiva si guarda bene dall'attuare, nonostante la facciata demagogic delle dichiarazioni pubbliche.
Anche
il tema della giustizia è tra i principali della campagna elettorale per le
Europee.
La
dichiarazione di Antonio Tajani, vicepresidente della
Commissione europea, di qualche tempo fa, secondo cui, in tema di giustizia,
l’Italia è tra gli ultimi Paesi con un danno quantificato (non si sa in base a
quali dati) tra l’1 e il 2% del PIL e, infine, che l’Italia deve fare una
riforma della giustizia per superare l’incertezza e la lentezza perché più la
giustizia è efficiente più il Paese è competitivo (“la giustizia è un motore
dell’economia”), non è certo una novità. Anzi, è la dimostrazione che questo è
un altro cavallo di battaglia da sfoderare all’occorrenza (e quale migliore
occasione dell’ennesima campagna elettorale).
La
Commissione europea, d’altra parte, ha pubblicato recentemente i risultati
della seconda edizione del EU
Justice Scoreboard 2014, graduatoria dei sistemi giudiziari dei
paesi dell’Unione, che ha posto l’Italia all’ultimo posto per numero di cause
civili pendenti per abitante; al penultimo posto per efficienza nella durata
dei processi civili e per il tasso di risoluzione delle controversie civili in
primo grado; leggermente sotto la media europea per spesa statale per la
giustizia per abitante.
Anche
l’OCSE
nel periodo 2012/2013 ha effettuato uno studio
comparato sull'efficienza del sistema della giustizia civile a
cui ha collaborato attivamente anche un
team della Banca d'Italia. Secondo questo studio, inutile dirlo, la maglia
nera spetta all’Italia: «nel 2010, la durata
media stimata di un procedimento civile per il primo grado era di circa 240
giorni nella media dei Paesi dell'Ocse, 107 in Giappone, 564 in Italia; in
secondo grado, a fronte di una media Ocse di 235 giorni, i processi duravano
meno di 114 giorni nel 25% dei Paesi considerati, 1.113 giorni in Italia; in
Cassazione, rispetto alla media Ocse di 314 giorni, i procedimenti nel nostro
Paese duravano 1.118 giorni».
Non
potendo soffermarmi, per questioni di sintesi, sulle modalità e i criteri con
cui vengono elaborate queste statistiche, mi limito all’analisi di alcuni dati
(comunque incompleti e parziali, ma utili per farsi almeno un’idea).
I giudizi avanti i TAR di
tutta Italia sono passati da 99.041
nel 2000 (53.757 nel 2008, 60.654
nel 2012) a 64.492
nel 2013 (quindi con notevole diminuzione).
Non
ho trovato dati sulla durata del processo amministrativo, ma per esperienza
diretta (a Roma) si ottiene una pronuncia cautelare in meno di un mese e una
pronuncia di merito (che, a volte, neppure segue la fase cautelare) nell’arco
di un anno.
I giudizi civili di primo
grado sono passati da 3.058.032
nel 2000 ( 3.356.221 nel 2010) a 3.372.139
nel 2012
Sulla
durata del processo civile di primo grado trovo dati discordanti:
Secondo
il Ministero della Giustizia si è passati da 485
giorni di media del processo civile di primo grado nel 2005 a 470 giorni nel
2011,
ma se si vanno a guardare i dati per materia emerge che ce ne volevano 914 nel
2005 (per la cognizione ordinaria) che sono diventati 1.127 giorni nel 2011.
I giudizi penali sono passati da 6.226.472 nel 2000 a 6.809.914
nel 2010.
Anche
la durata media del processo penale di primo grado è oscillata di poco negli
ultimi anni, da 335 giorni nel 2005 a 342 giorni nel 2011.
Da
questi dati, quindi emerge che il processo che funziona meglio è proprio quello
amministrativo, sia per durata che per numero di cause.
Eppure,
sia Prodi, sia Renzi, ritengono che i giudici amministrativi siano addirittura da eliminare, perché ostacolano la
crescita del PIL, impediscono gli investimenti stranieri sul territorio
italiano, la fase cautelare dei TAR blocca gli appalti e il programma dei
lavori dei sindaci, le cause sul pubblico impiego - in vista delle riforme del lavoro e del job
act - devono essere attribuite ai giudici ordinari.
Ora,
per smontare queste incredibili fandonie non ci vuole molto, anche per chi non
è un esperto del settore. E’ piuttosto evidente, infatti, che questi personaggi
il problema della giustizia se lo pongono i termini completamente diversi da
quelli che vogliono far apparire. Attraverso i soliti bombardamenti mediatici,
le statistiche gonfiate, i dati campati in aria, vogliono far percepire la
gravità di una emergenza che in alcuni casi non c’è ed in altri non è quella
che vogliono farci credere.
Il terrorismo psicologico serve solo a far passare
le riforme che sono più congeniali ai loro scopi e non alla reale risoluzione
dei problemi della giustizia.
E lo
scopo è quello di far diventare legale tutta l’attività dell’amministrazione
semplicemente eliminando la possibilità di contestare l’illegalità. Quindi da
un lato si lavora alle riforme costituzionali e normative che snelliscono i
procedimenti di approvazione delle norme ed eliminano i controlli preventivi, e dall’altro si tenta di eliminare le forme di controllo che intervengono nelle fasi successive ad opera della magistratura.
E
tutto questo appare evidente di fonte ai continui attacchi alla magistratura
amministrativa, quando non solo dai dati su riportati, ma anche dall’esperienza
comune è chiaro che è il settore della giustizia che funziona meglio nel nostro
ordinamento.
I
politici che non riescono a trattenere simili farneticazioni, non solo soltanto
in mala fede, ma dimostrano anche di non conoscere nulla del sistema che
dovrebbero garantire e tutelare a vantaggio
dei cittadini che li hanno eletti.
Essi (come ha sostenuto il Presidente
del Consiglio di Stato all’apertura dell’anno giudiziario)
hanno omesso di considerare che le linee portanti del nostro sistema di
giustizia amministrativa sono stabilite direttamente e inderogabilmente dalla Costituzione, a partire
dai criteri di riparto delle giurisdizioni, al doppio grado del giudizio, all’attribuzione al Consiglio di Stato della
funzione di garanzia della giustizia
nell’amministrazione.
Si tratta di un
assetto cui il Costituente pervenne in base al dato fornito dall’esperienza
storica, la quale ha mostrato che la
presenza di un giudice speciale
appropriatamente configurato riesce a conciliare nel modo migliore, da un lato, l’esigenza della tutela
giurisdizionale nei confronti della
pubblica amministrazione e, d’altro lato, il
necessario rispetto del principio di separazione dei poteri. E, ha
chiarito ancora il presidente Giannini, a parte tale aspetto, la tesi estrema
della soppressione della giustizia
amministrativa si porrebbe in contrasto con gli stessi obblighi internazionali
del nostro Paese sanciti dalla sua adesione alla Carta europea dei diritti umani, che tale tutela impone, e violerebbe
perfino uno dei più elementari principi
dello Stato di diritto.
Nè si
vede quale vantaggio potrebbe apportare l’eventuale confluenza del
contenzioso amministrativo nella
giustizia civile visto che la
giurisdizione ordinaria si dibatte ormai da tempo in gravi difficoltà nell’assicurare la ragionevole
durata dei processi. Si perderebbe la peculiarità propria del giudizio amministrativo, il quale implica
un tipo di sindacato sulla esplicazione della funzione pubblica e, in particolare, sulla ragionevolezza,
proporzionalità, parità di trattamento e simili delle scelte compiute
dall’amministrazione, che comporta un approccio molto diverso da quello normalmente usato dal
giudice ordinario nella
risoluzione delle controversie civili.
Peraltro
questi attacchi denigrano le grandi conquiste dei cittadini degli ultimi anni a
cui si è arrivati con molta più lentezza e con molte più difficoltà che nei
settori civile e penale.
Come
non ricordare, ad esempio, che l’istituzione dei TAR risale soltanto al 1971;
la sola legge sul procedimento amministrativo risale al 1990 ed è grazie a
questa legge e alle modifiche in essa successivamente intervenute, che è oggi
possibile imporre all’amministrazione di concludere un procedimento entro
termini determinati o impugnare il silenzio dell’amministrazione avverso le
istanze dei privati. Insomma laddove c’è un diritto del privato nei confronti
della pubblica amministrazione,
dev’esserci un giudice avanti il quale farlo valere. Ed inoltre come non
considerare anche il difficile ruolo di questi giudici che sono chiamati
continuamente a mediar tra interessi contrapposti delicatissimi (da un lato
l’amministrazione quale portavoce di interessi generali ma che molto spesso dàprova di inefficienze ed anche di strapotere; dall’altro i privati che possonoessere sopraffatti dal sistema burocratico e vedere lesi i propri diritti o
semplicemente i propri interessi legittimi, o interessi economici-imprenditoriali).
Insomma
è evidente che il problema non sono i giudici amministrativi, ma la
complessità, vastità e lacunosità delle norme che a monte non hanno sortito gli
effetti che avrebbero dovuto, e l’inefficienza di un sistema organizzativo
dell’apparato pubblico e della burocrazia che finisce per ledere posizioni di diritto soggettivo o
di interesse legittimo che i cittadini chiedono ai giudici amministrativi di
tutelare.
Se
nella fase cautelare il TAR blocca una gara di appalto per eventuali
irregolarità, la colpa non è del TAR, ma di un sistema normativo inadeguato a
prevenire o escludere la turbativa di gara; se tutto il sistema della giustizia
è in affanno e si allungano i tempi di smaltimento dei contenziosi, non si
possono attribuire colpe ai magistrati (che in base ai dati "europei" - CEPEJ, ben più attendibili dele classifiche ad usum livorosorum- producono molte più sentenze degli standard comparati ad essi attribuiti). Invece, da un alto occorrerebbe
risalire alle cause che determinano l’aumento dei contenziosi (ad esempio nel
2013 i concordati preventivi sono aumentati del 103% e i fallimenti del 53,8%
rispetto al 2012 a causa della crisi finanziaria) e dall’altro bisognerebbe
designare maggiori investimenti pubblici in personale e tecnologia per sveltire
i tempi di pronunciamento delle sentenze.
Negli
ultimi anni, invece, abbiamo assistito a politiche che sono andate in senso
assolutamente contrario alla risoluzione dei reali problemi della giustizia.
In
ambito penale, ad esempio, (oltre ai provvedimenti di anni precedenti) è stato
trasformato in legge il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146 (decreto svuotacarceri), che con i provvedimenti su
braccialetto elettronico, liberazione anticipata e pene alternative, ha
certamente avuto l’intento di svuotare le carceri, ma non certo di risolvere i problemi della
giustizia penale.
Come
rilevato dal TAR Trento nell’ordinanza n. 23 del 2014, che ha rimesso gli atti alla Corte di Giustizia
dell'Unione Europea, ai sensi dell'art. 267 del TFUE, i costi sono aumentati in
alcuni casi del 340% (per le cause davanti al giudice amministrativo, tanto
denigrate da Renzi, si va da euro 600 fino a 9.000 euro per i giudizi in
materia di appalti), con grave violazione del diritto di difesa ex art. 24
Cost.
Poiché ce lo ha chiesto l’Europa è’ stato introdotto
l’istituto della mediazione obbligatoria (poi abolito e poi reintrodotto di nuovo) che
oltre a non diminuire il numero dei processi, comporta un costo ulteriore per i
cittadini.
E poi come non menzionare la legge Pinto? Questa
legge (del 24 marzo del 2001 n. 89), dopo la costituzionalizzazione del principio di
ragionevole durata del processo - art.
111 Cost.- ha introdotto
nell’ordinamento nazionale un sistema di equa riparazione del danno subito dal
cittadino a causa della irragionevole durata del processo (prima azionabile
solo davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo).
Attraverso un giudizio da esperirsi davanti la Corte di appello, quindi, la parte
di un processo può chiedere il risarcimento del danno patrimoniale e non
patrimoniale subito per effetto della violazione dell’art. 6 § 1
della Convenzione dei diritti dell’uomo, a causa dell’eccessiva durata del
processo.
Tuttavia
lo Stato non ha introdotto strumenti per ridurre l’eccessiva durata dei tempi
del processo, né ha organizzato gli Organi Giudiziari per rendere efficiente ed
effettivo il principio di ragionevole durata del processo, tanto che i
processi ex lege Pinto hanno notevolmente impegnato le Corti
d’Appello, e conseguentemente ulteriormente rallentato i processi!
Il
legislatore (forse proprio perché tra il 1959 e il 2011 l’Italia é stata
condannata 1.155 volte dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per
l’eccessiva durata dei suoi procedimenti giudiziari), è intervenuto più volte a
modificare la legge Pinto, restringendone sempre di più la portata applicativa
e da ultimo è intervenuto con uno strumento inappropriato, e cioè ancora una
volta tramite il decreto legge 22
giugno 2012 n. 83 ( “Misure urgenti per la crescita del Paese”), ed ha riscritto quasi integralmente le
previsioni della legge del 24 marzo 2001 n. 89, in tema di equa riparazione in
caso di violazione del termine ragionevole del processo, intervenendo sia su
norme di carattere sostanziale che su norme di carattere processuale, relative
cioè, rispettivamente, alla spettanza e quantificazione dell’indennizzo e
alle forme che devono essere osservate nel relativo giudizio.
Con quest'ultima riforma è
stata, innanzitutto, eliminata la possibilità di proporre la domanda di
riparazione del danno da irragionevole durata del processo in corso di causa e
l'istanza può essere avanzata soltanto entro sei mesi dal momento in cui la
decisione, che conclude il procedimento, è divenuta definitiva.
La riforma ha, inoltre, previsto che l'indennizzo
per il danno da eccessiva durata del processo debba essere determinato tenendo
conto (oltre che del comportamento delle parti e del giudice, della natura
degli interessi coinvolti e del valore della causa) anche dell'esito del
processo la cui durata si ritiene irragionevole, e ha stabilito, altresì, che
la misura dell'indennizzo non possa in ogni caso essere superiore al valore della
causa o a quello del diritto accertato dal giudice, se quest'ultimo valore è
inferiore rispetto a quello richiesto dalla parte.
Questa disposizione lega, di
fatto, in modo inscindibile la riparazione del danno all'esito del giudizio che
si assume di durata irragionevole. E se
la domanda è rigettata, l'indennizzo non può essere concesso (in totale
contrasto con gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza della Corte
Europea dei Diritti dell'Uomo e della nostra Corte costituzionale, che da tempo
ormai riconoscono il diritto alla riparazione del danno da irragionevole durata
del processo anche alla parte che sia risultata totalmente soccombente nello
stesso).
Da ultimo, infine il Consiglio di Stato ,
sez. IV, ordinanza 17.02.2014 n° 75
(e vedi che Renzi cià ragione che gli sta antipatico) ha rimesso la questione
alla Corte Costituzionale dell’art. 3 comma 7 della legge Pinto laddove
stabilisce che “L'erogazione degli indennizzi agli aventi
diritto avviene nei limiti delle risorse disponibili.”
Sulle motivazioni della remissione alla Corte, il
Consiglio di Stato, ha girato un po’ attorno al problema centrale (che i limiti
delle risorse disponibili sono imposti da esigenze di bilancio imposte
dall’Europa e le esigenze di bilancio finiscono per comprimere la tutela dei
diritti fondamentali costituzionalmente garantiti), in ogni modo ha rimesso
alla Corte Costituzionale perché l’art. 3 comma 7 della legge Pinto si porrebbe in contrasto con
gli impegni di diritto internazionale assunti dallo Stato italiano con
l'adesione alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e,
pertanto, nel caso di specie verrebbe in rilievo il primo comma dell'art. 117
Cost. secondo cui: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle
Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti
dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.
Ovviamente
la questione dovrà essere decisa dalla Corte, la quale, però, indubbiamente, non
potrà che essere condizionata nella propria decisione dalla presenza del
vincolo di bilancio posto dall’art. 81 Cost. di fronte al quale l’incostituzionalità della legge Pinto potrebbe anche non sussistere.
Insomma,
tutti i politici possono continuare a sostenere che la giustizia non funziona,
nonostante i molteplici interventi tesi ad introdurre delle riforme,
semplicemente perché questi interventi hanno continuato ad operare nel modo
sbagliato, come semplici palliativi a fronte di problematiche di enorme gravità
che non dipendono semplicemente da
inefficienze del sistema giudiziario, dalla corruzione, o dalla burocrazia, ma
dalla morsa europea che costringe il nostro paese a ridurre sempre di più i
costi della giustizia rendendo inefficiente il sistema.
E questa inefficienza
del sistema giudiziario a sua volta alimentata dal sistema mediatico, viene
utilizzata da quegli stessi politici per introdurre o proporre riforme che a quella stessa Europa fanno
gioco, perché rendono il nostro paese sottomesso e schiavo. E nonostante Prodifosse convinto che il PIL non aumenta acausa della giustizia che non funziona e a causa del fatto che per questo glistranieri non investono in Italia, in realtà è proprio questo stato di cose che
sta consentendo alle multinazionali estere di comprarsi, pezzetto dopo pezzetto
questo paese.
Un invito particolare: con un pò di buona volontà, leggete il report CEPEJ linkato nel post: VI troverete i più interessanti dati comparativi tra le realtà giudiziarie di tutta Europa, che smentiscono clamorosamente (ma tanto!) i luoghi comuni ventennali in tema di giustizia italiana.
RispondiEliminaUno dei capisaldi dell'autorazzismo che governa un popolo ormai stremato e che reagisce solo al livore automatizzato dai soliti media
da completo profano mi sembra comunque che non possiamo crogiolarci nell'autocompiacimento:
RispondiEliminaper non parlare dell'assurdo per cui ogni volta che si parla di giustizia in Italia si ribalta la prospettiva, l'importante sembra sia tutelare il povero indagato dai complotti dei magistrati e dalle inefficenze della burocrazia e non far valere (celermente) i diritti delle vittime!
1) in questo post non si parla di giustizia penale;
Elimina2) I "complotti dei magistrati" sono un reato e chi li richiama diffama e calunnia se non porta prove all'autorità inquirente;
3) nessun autocompiacimento:bisogna rendersi conto che nella società contemporanea i problemi della giustizia, pur avvertiti giustamente dai cittadini, sono comuni in tutte gli ordinamenti avanzati e l'Italia, quanto a produttività e numero di questioni decisa in relazione al numero dei magistrati, è la prima fra i grandi paesi europei (di gran lunga, come attesta il rapp CEPEJ che non ha nessun motivo di favorire l'Italia, beninteso);
4) focalizzare la soluzione dei problemi è operazione che non è finora mai stata seguita e che oggi, più che mai, trova ostacolo nel dogma religioso dei tagli al bilancio dello Stato (in tutta Europa ma con triste e controproducente accanimento in Italia)
Concordo con 48 su tutto. La Giustizia Amministrativa, poi, dall'entrata in vigore del codice, almeno, ha tempi record, anche, e soprattutto, a Palazzo Spada, che certo non si è giovato, come alcuni TAR, della deflazione del contenzioso. La giustizia civile non si è ancora messa al passo, mentre i capricci del legislatore impediscono di confidare nella certezza delle decisioni (come osservato dal Presidente del T. di Genova). Della Giustizia Penale so troppo poco, anche se azzardo che la durata dei processi sia troppo lunga e che penalizzi in modo intollerabile gli innocenti. Il dibattito è stimolante, in ogni caso.
EliminaIl problema è che costoro hanno improvvidamente legiferato in modo tale da ancorare l'attività amministrativa a criteri e a obblighi che l'amministrazione non rispetta perchè non è in grado di rispettare.
EliminaI lestofanti in questione, il cui fine reale è quello di "privatizzare" il diritto pubblico, hanno congegnato e sfornato norme che proclamano di voler imporre standards efficientistici alla pubblica amministrazione e norme che pongono quest'ultima nella materiale impossibilità di rispettarli.
Da un canto, hanno sottratto le minimali risorse necessarie a garantire una efficace e rapida conclusione dei procedimenti amministrativi; dall'altro, hanno imposto tempi di durata massima dei procedimenti parametrandoli ad una capacità organizzativa della P.A. priva di ogni base reale e che dovrebbe esplicarsi attraverso l'interpretazione e l'applicazione di precetti normativi dal significato oscuro o volutamente ambiguo e polivalente, inesorabilmente destinati a generare interpretazioni contrastanti anche in sede giurispreudenziale.
Il giudice amministrativo è insopportabile perchè mette a nudo lo sfacelo giuridico di cui questi ignavi e insipienti sono responsabili.
PERNO & PLINTO
Eliminaovvero quando non si capisce, celer/mente
E’ una fetida guerra, questa, raccontata nei commenti delle vittime del fronte e narrata con la NEOLINGUA dei paladini che uno per volta si sfilano, alla Caporetto delle responsabilità delle oche “padoane”, dalle menzogne raccontate con malafede, coglioneria e interesse.
La Storia già racconta e scrive di loro, agli Altri il disagio inconsapevole tra testimonianze coscienti.
Forse non sarà domani, ma un bel giorno cambierà ..
Certo grandi le Sofie che illuminano Verità con mattone e cemento, perno e plinto affinché tutto questo non abbia più da accadere dopo il PUD€, ovvero il Pensiero Unico.
@Demetrio: è proprio così, il "diritto amministrativo" riscritto, negli ultmi 20 anni (almeno) dai sottopancia di "aziendalisti finanziari", totalmente a digiuno di conoscenze teoriche ed empiriche, ma con in testa il bel luogo comune che i funzionari (che non venivano neanche più assunti) non volessero lavorare e che quindi glielo avrebbero insegnato loro.
EliminaIn più non dimentichiamo che questo, della riscrittura del diritto pubblico da parte di lobbisti di gruppi econ-finanziari privati, non è solo interno, ma specialmente "europeo", laddove logica finanziaria, incongruenza demenziale delle proposizioni normative e interessi economici dissimulati sotto l'etichetta dell'efficienza, sono la fonte prima delle nostre norme interne.
@Poggio: ogni tanto la tua prospettiva storica mi arriva di consolazione. In questa periferia italica della menzogna e dei collaborazionisti, svendutisi per un posto nel barcone della vergogna
EliminaSergyei
RispondiEliminaVien da chiedersi con animo accorato oggi 25 aprile, che cosa sia rimasto delle aspirazioni ideali che furono l'anima della Resistenza?
Demetrio, non tutta la legislazione degli ultimi vent'anni (amm..va).è da buttare. Si pensi alla legge 241/90, in tema di trasparenza dell'azione, e del procedimento, amministrativa (o), nonché il tentativo di deflazionare il contenzioso, con formule altrove (in altri paesi) applicate successo. Concordo, invece, con l'inutile enfasi su efficacia ed efficienza, mentre le strutture non dispongono né degli organici, né della preparazione professionale per applicare le nuove regole, anche a causa della rarefazione della figura del funzionario amministrativo, spesso sacrificato a favore di inutili propensioni tecnicistico e. Grazie comunque.
RispondiEliminaCorradoAugusto, se parli dell'impianto originario della 241, posso essere in linea di massima d'accordo con te; se invece ti riferisci alla legge in questione per come è stata successivamente integrata e modificata, essa, in quanto legge generale sulla attività amministrativa, inesorabilmente incarna e riflette quel disegno di destrutturazione al quale ha fatto cenno Quarantotto.
EliminaSottoscrivo il giudizio di sintesi di Demetrio; la 241 era un'occasione in parte mancata. Poi è via via divenuta una velleitaria registrazione di aspirazioni scollate dalla realtà programmatica e finanziaria dell'amministrazione. Una sorta di superfetazione di facciata che vive più di smentite che di effetti pratici (di cui i cittadini in pratica non si sono molto accorti: e non poteva essere diversamente)
Elimina48 e Demetrio, concordo sul giudizio critico, che denuncia le successive superfetazioni della legge 241. Alcune innovazioni sono positive, ma nel complesso la pretesa di formulare una legge, che custodisca tutti i comportamenti della PA, quasi fosse titolare di un "processo", senza disporre dei mezzi, dei tempi, dei ritmi e delle capacità necessari, è un modo per squalificare la PA, deprivata delle risorse necessarie ad attuare il modello organizzativo ed operativo, che le si voleva imporre.
EliminaCondivido appieno le critiche e le perplessità espresse.
RispondiEliminaSegnalo che in Italia è in atto una vera e propria guerra alla democrazia combattuta impedendo l'accesso alla Giustizia ovvero rendendolo difficoltoso.
Senza pretesa di esaustività segnalo alcuni obbrobri introdotti:
1) Riforma della geografia giudiziaria.
Attraverso la soppressione dei Tribunalini (in realtà sono state chiusi anche enti di medie dimensioni senza alcuna giustificazione - si pensi a Sanremo, Pinerolo, Tolmezzo ecc.) si vorrebbe ottenere un risparmio. In realtà i costi cresceranno poiché i dipendenti (visti come spesa pubblica improduttiva) verranno riassorbiti senza alcun taglio mentre i Comuni dovranno reperire in affitto nuovi spazi dove ricollocare i Tribunali accorpanti divenuti eccessivi per le vecchie sedi storiche (spesso di proprietà). Non solo! Le enormi distanze da coprire comportano un aumento dei costi di trasferimento per gli utenti pubblici (si pensi alle forze dell'ordine che effettuano un arresto e devono tradurre il detenuto prima in carcere e poi davanti al Giudice per la convalida) e privati (ma di questo non frega niente a nessuno).
Nei Tribunali accorpanti poi si vengono a creare nuovi disservizi dovuti all'eccesso di utenti (ed è un ulteriore obbrobrio usare tale termine per indicare i cittadini che ricorrono alla Giustizia).
In merito è utile ricordare che lo Stato nasce proprio per amministrare ai consociati la Giustizia evitando faide e vendette private. In tal senso nel medioevo era il re a girare per i villaggi e le città per dare udienza e rendere giustizia a i torti subiti e non i sudditi ad affrontare lunghi viaggi per poterlo adire.
2) Della mediazione già si è detto. Voglio ricordare la norma che limita davanti al Giudice di Pace le spese al valore della causa. Così facendo la Banca (o il grosso ente privato) troverà sempre un difensore che l'assista contro il cittadino che, non avendo necessità di continuo accesso alla Giustizia, ben difficilmente troverà un avvocato disposto a patrocinarlo per le misere liquidazioni operate. Come conseguenza il cittadino dovrà o subire la pretesa del soggetto forte ovvero affrontare spese legali che difficilmente potrà recuperare in caso di vittoria. Quand'anche avesse ragione, pertanto, il soggetto debole dovrà subire la pretesa di quello forte perché costerebbe di più difendersi.
3) L'obbligo per i pensionati di incassare i ratei con strumenti tracciabili. 'E una norma invero che non dovrebbe interessare la Giustizia, ma come ampiamente annunciato dai primi commentatori sta avendo l'effetto devastante di rendere inoperante i limiti di pignorabilità delle pensioni. Si badi bene che quella del contrasto a evasione e riciclaggio è solo una scusa piuttosto puerile poiché appare francamente impensabile che INPS e casse private si possano rendere colpevoli di tali condotte.
4) Tanti e troppi altri esempi potrei fare.
Insomma è evidente che lo Stato di Diritto costituisce un serio ostacolo per l'affermarsi delle mire più elitarie che quindi decidono di impedire l'effettività della giurisdizione facendo diventare di Diritto lo Stato solo a parole.
Ancora sulla Giustizia amministrativa segnalo il costo eccessivo dei contributi unificati che impediscono al privato di ricorrervi.
RispondiEliminaEd infatti come segnalato nell'articolo i ricorsi sono diminuiti.