lunedì 16 giugno 2014

LA SOCIETA' APERTA DI POPPER E I "GUARDIANI" LIBERISTI PER NIENTE PLATONICI E FRUGALI, MA MOLTO MEDIATICI

 
Tra le grandi utopie autoritarie, riemergenti nel corso della Storia, Popper individuò quella della Città Perfetta di Platone.
In essa, Popper, trovò proprio la radice delle varie forme di totalitarismo statale, incentrate sulla convinzione di aver trovato una verità assoluta e finale.

La cosa che può apparire singolare, alla luce delle vicende che si stanno verificando in €uropa - e che, in senso "derivato" e "mediatico", come vedremo, trovano il loro acme in Italia-, è che Platone fosse addirittura accusato di "comunismo", in base alle teorie da lui elaborate sulla conduzione politica della comunità sociale.
La "Res Publica" da lui concepita era, essenzialmente, (come evidenzia Galbraith nella sua "Storia dell'economia"; pagg.26-27), quella di una "entità" economica, cioè come insieme delle diverse occupazioni e professioni necessarie per la vita sociale (in queste includeva senza alcun problema la presenza degli schiavi, ma era un tratto comune a tutti gli uomini della sua "era").

La teoria platonica più censurata, però, era relativa a quella che noi chiameremo oggi "classe dirigente": alla vita civile dovevano infatti presiedere i "guardiani", guide perfette ed impeccabili che - ed è questo il punto che sconvolse, secoli più tardi, i borghesi saliti al potere nell'ubriacatura liberista di matrice teorico-filosofica anglosassone- dovevano condurre una vita di ascetica rinuncia.
A tali guardiani, ma solo ad essi, badate bene!, era preclusa la proprietà individuale ed ogni forma di arricchimento, potendo possedere solo ciò che fosse strettamente necessario per soddisfare i bisogni essenziali.
Ne "La Repubblica"(417 a-b, Laterza, pag 138), Platone giustifica così tale assetto: "Quando però s'acquisteranno personalmente la terra, case e monete, invece di essere guardiani, saranno amministratori e agricoltori; e diventeranno padroni odiosi anzichè alleati degli altri cittadini".
Insomma, alla base della piramide sociale era ammessa la libera iniziativa; ma il potere di vertice, almeno in una forma di equilibrio proposta come soluzione-verità definitiva, doveva appartenere a coloro che testimoniavano un'etica della ricchezza che apparve, ai liberisti difensori (e spesso protagonisti diretti) del capitalismo "classico" (ovverosia "sfrenato", secondo la definizione dello stesso Popper), una forma di comunismo (almeno come concezione della proprietà).

Inutile dire che i pensatori più attenti, trovando ridicola l'idea che un filosofo del V-IV secolo di fama universale, potesse finire, con buona probabilità, sotto l'occhio inquisitorio del Federal Bureau of Investigation ai tempi delle denunce del senatore McCarthy, evidenziarono ciò che, invece, era del tutto evidente (ma per i liberisti, l'esigenza di autodifesa, determinata dalla molto personale ed interessata esigenza di legittimazione delle loro possibilità di accumulo in danno della collettività, è automaticamente un velo che impedisce di scorgere anche la mera realtà logica di un testo).

Persino un conservatore come Alexander Gray (in "The Development of Economic Doctrine", Londra 1948), si preoccupò di precisare che La Repubblica di Platone, al più, predica il comunismo di una elite, non un modello sociale generale ed impositivo
Lungi dal sostenere la rivolta contro i "rapporti di produzione" e di classe, e dall'insinuare, anche solo lontanamente, l'eguaglianza sociale ed economica di tutti gli appartenenti alla "Città", la sua oligarchia, o meglio aristocrazia di "filosofi", frugale e virtuosa, serviva al contrario a conservare per sempre tali rapporti e ad incrementare la prosperità di coloro che erano dediti ai vari traffici e mestieri.

Se l'accusa di comunismo a Platone era e rimane una ridicola manifestazione di conflitto di interessi, di fronte al minimo accenno che potesse svilire la ricchezza come criterio gerarchico sociale, non di meno Popper, nel suo atteggiamento epistemologico teso ad evidenziare la "falsificabilità" di ogni conquista scientifica proposta come definitiva, criticò Platone proprio su questo piano; cioè, per la sua radicalità utopistica e instauratrice di una società perennemente "chiusa", e, quindi, non "aperta", quale egli predicava nell'ottica di un vero liberale.
Va detto che la società aperta era intesa da Popper come manifestazione non di una democrazia che decretasse la illimitata legittimazione della maggioranza, cioè del risultato elettorale, ma, al contrario, come di una sintesi di regole irrinunciabili che tenessero viva proprio la minoranza e la sua visione politica
La vera democrazia, dunque, si realizza solo nella società aperta, cioè orientata istituzionalmente alla compartecipazione e valorizzazione della minoranza, in modo da preparare la sempre possibile, e vivificatrice, alternanza di diverse concezioni della vita sociale.


Ora il bello (o meglio il "brutto") è che Popper fu apprezzato e portato sugli scudi solo finchè si temeva la minaccia comunista e venivano negate, come compromesso obtorto collo, le verità definitive della teoria neo-classica in economia; negate cioè, si riteneva, in nome del welfare e dell'applicazione delle teorie keynesiane di sostegno pubblico alla domanda aggregata.
Non appena i neo-classici, ridenominatisi in modi nuovi ma su teorie alquanto "visitate" nella loro breve ma ripetitiva tradizione, hanno potuto riaffermare la morsa d'acciaio del liberismo e reclamare la incontestabilità della pretesa scientificità "matematica" del loro modello economico (c.d. marshalliano), - basato sulla fede ipocrita nei "mercati" e sull'agire riequilibratore, del tutto immaginario della legge della domanda e dell'offerta, nonchè della legge di Say-, Popper è stato dimenticato.
Ma dimenticato totalmente, non potendo più servire neppure come monca citazione estrapolata, per controbattere uno strapotere "comunista" di cui, ormai, tutto si può dire fuorchè che sia proprio della maggioranza.
La portata tirannica della maggioranza, comunque ottenuta nella possibile manipolazione della pubblica opinione, è ormai un tema dimenticato. Ed in favore del supremo "bene" della governabilità...da parte di una maggioranza che tale non è, ma che della stessa vena tirannica, basata sullo sbandierato consenso elettorale, si vuole appropriare con ogni mezzo.

Mi ha colpito, allora la vicinanza di questo scritto, trovato in rete con quanto sostenuto in questo blog
Naturalmente esso è riferito alla singolare sorte di Popper e della sua "società aperta", ma in sostanza, anche questo blog si muove sulla stessa linea di resistenza alla tirannia. Sentite:
La società aperta teorizzata da Popper è antitetica rispetto a quella totalitaria: nel solco del liberalismo, il filosofo pensa a un modello nel quale l’individuo conti più dell’astratta somma delle parti su cui si fonda lo stato etico platonico o hegelo-marxista; nella società aperta il mondo ha il diritto di evolversi e le regole che lo governano si possono modificare come l’epidermide asseconda la crescita del corpo.
Le regole, secondo Popper, sono la garanzia della parità di condizioni e nel suo ultimo intervento pubblico – Cattiva maestra televisione – il filosofo prende parola sullo strumento principale della manipolazione del consenso e sui suoi pericoli. Se non c’è libero accesso ai media e se questi sono in mano a persone senza scrupoli e prive di senso di responsabilità in rapporto all’impiego di tali strumenti, la democrazia è in grave pericolo.
Strana sorte quella di Popper, avere difeso la democrazia contro i suoi nemici e poi aver visto i suoi cosiddetti ‘amici’ lottare quasi ovunque per appropriarsi dell’egemonia mediatica, svuotando, di fatto, la società della sua autentica, indispensabile apertura".

18 commenti:

  1. Mi ha sempre lasciato un po' perplesso l'accusa di Popper a Platone
    L'idea che i guardiani non dovessero possedere beni continua a sembrarmi - passatemi il termine - "realistica" e comunque non priva di buon senso: è normale che se uno vuole dilettarsi nell'esercizio del potere pubblico, occorre che rinunci a quello privato, proprio perché l'una cosa non deve sovrapporsi sull'altra.

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    1. Il problema di questo "realismo" è la sua immutabilità/definitività. Nella Storia le società chiuse hanon sempre un punto di rottura esogeno: arriva qualche popolo che si vuole impossessare della tua prosperità, o, anche, qualche "guardiano" che considera troppo antiche certe regole e ritiene di mantenere un potere dello stesso genere (a legittimazione selettiva e aristocratica) ma arricchendosi e, a quel punto, trasmettendo ai figli (più o meno legittimi) ricchezza e posizione.

      Ma questa è la considerazione più ovvia: la cosa sconcertante è che oggi si invoca l'opposizione a...Platone, storpiando l''interpretazione retrospettiva del suo assetto sociale, attribuendolo cioè all'intero socialismo reale e, senza troppi complmenti, a tutto lo Stato=statalismo.
      E l'errore manipolativo - e diciamolo, paranoide- viene per di più compiuto da gente che si prefigge di costituire un'aristocrazia del denaro, oggi capitalismo finanziario, che, senza alcuna preoccupazione, si fa pure paladina della "libertà"...che sottrae agli altri. Perchè la distruzione dello Stato solidaristico e del principio di eguaglianza sostanziale condanna gi individui alla sorte standardizzata di assoggettamento che ESSI ritengono corrispondere al "definitivo" ordine naturale delle cose.
      Il bello è che mandano i loro servetti alle elezioni e le vincono pure. Bravissimi!

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    2. Se c'è un'idea che gronda "storicismo" da tutti i pori è proprio questa visione in cui ci hanno introiettato, dove la "storia è finita", il mondo è globalizzato e la logica del capitalismo finanziario ci renderà tutti più ricchi... La nemesi di Popper.

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  2. Bellissima riflessione.

    Esiste infatti chi vede nell'eterno dualismo che sintetizza il Tutto una tesi platonica contrapposta ad una antitesiaristotelica.

    Una tesi idealista contrapposta ad una antitesi empirista.

    Una tesi "cristiana" e socialista contrapposta ad un'antitesi "liberale" e individualista.

    L' assoluto contro il relativo.

    Il bene "assoluto" contro il male "relativo"? Francamente non ho dubbi da quali delle due parti viva e cresca lo spirito dell'Uomo.

    Popper è evidentemente una vittima del suo tempo, e dei fantasmi che in quegli anni generavano atavico terrore: il totalitarismo.

    L'ingenuità implicita nella concezione di "società aperta" non è però riscontrabile in un altro personaggio in preda ai fantasmi di quel tempo: George Orwell.

    Il concetto di membrana, di né "aperto" né "chiuso", pare a sfuggire (nei fatti) ai più. Sicuramente non pare sfuggire ai mocroeconomisti post-keynesiani, agli antropologi e... ai biologi.

    La nostra Costituzione, nella sua "adattabilità" alla cultura e al contesto storico, prevede una open society?

    Lascio ai contemporanei la (non) ardua sentenza.

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    1. stavo facendo la stessa riflessione sulla membrana
      però in funzione dell'origini possibile della legge della domanda e dell'offerta ; in certe cose detta legge "funziona" , ed in altre no . La natura del "funzionamento" è piuttosto intuitiva , mentre quando fallisce credo che sia imputabile al fatto che anche in natura ciascuna "forza/legge" ha il suo contesto .
      Le forze di van der waals sono fondamentali in un determinato contesto , quelle elettrostatiche in altri , quelle nucleari in altri ancora .
      Ogni forza ha il suo contesto , mentre sti gran figli di trojka spacciano la legge del mercato come l'unica e sola in tutti i contesti . Triste come l'intelligenza umana sia caduta così in basso (meno male che ci siete Voi che tirate su la media)

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    2. Ma lo sai che la risposta è..."dipende".
      Prevede una società aperta ma senza ingenuità: questo è il programma dell'intervento statale secondo il principio dell'eguaglianza sostanziale collegato al fondamento lavoristico. Rawls parla di condizioni di effettiva pari opportunità nel posizionamento sociale d qualunque individuo.

      Al tempo stesso, ai liberisti, proprio per la ipocrisia in conflitto di interessi evidenziata nel post, questo modello pare comunque una forma di inaccettabile (quasi)totalitarismo statale.
      Insomma, darwinisti ma possibilmente coi soldi di famiglia e meglio ancora se in base alla incontestabilità (penale ma non solo) del "fatto compiuto" circa il processo di accumulo della ricchezza...

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    3. @Stefano

      Quella della "membrana" è una metafora che mi è rimasta scolpita nella testa da un mio timidissimo professore di etica: non conosco la fonte esatta del pensiero.

      In linea con la tua riflessione ti posso confortare del fatto che la metafora biologica era contestualizzata alla dimensione dei sistemi umani, quindi alle scienze sociali: comunità umane viste come cellule dell'organismo sociale.

      Mi passerà anche l'infatuazione per Orwell, ma vorrei invece "controbattere" la tua ultima proposizione con la sua "penna":

      «Ogni forza ha il suo contesto, mentre i membri del Partito interno spacciano la legge del socing come l'unica e sola in tutti i contesti. Deprimente constatare come l'intelligenza dei membri del Partito interno possa contenere la nostra...»

      In 1984 l'intelligenza del pur libero e "sveglio" Winston Smith è, appunto, secondo il volere dell'autore, "contenuta" in quella del "tecnocrate" O'Brian.

      @48

      :-)

      In realtà, più che Popper, trovo (ora) "ingenuo" il liberalismo dei democratici...

      Parto proprio dal presupposto che si evince dai discorsi di Lelio Basso per cui l'individuo trova "identità" non come singolo, ma in virtù dalla sua "rete di relazioni": la libertà individuale perde qualsiasi senso sostanziale, fin tanto che non emerga quella positiva, quella di partecipare, per cui tutte le istituzioni che rappresentano i cittadini si impegnano a "rimuovere qualsiasi ostacolo di ordine economico e sociale" a questa (vera) libertà: la libertà non è, quindi, un dono di nascita, da difendere con la doppieta sotto il letto, ma una lunga dinamica che con sforzi e sacrifici il Popolo (e l'umanità) solidaristicamente persegue.

      Al di là delle asserzioni/provocazioni dell'intervento, ho provato a mettere in relazione la Res Publica di Platone come messa in luce nel post identificandola con quella italiana che (correggimi, sono ancora in "provocation mode on") è non solo anti-liberista, ma anche "anti-liberalista": perché? Perché penso che se i nostri Padri costituenti volessero un "socialismo liberale" avrebbero fondato (come da proposta, appunto, "liberale"), la democrazia sul lavoro e sulla "libertà". (Evitandoci, grazie al cielo, un balzo indietro di due secoli rispetto alla cultura disponibile nel '900).

      La libertà "negativa" è un oggetto che pare creato apposta per il bipensiero: non è un concetto assoluto, per il semplice fatto che la libertà individuale tende a cozzare con quella "del vicino di casa". (L'unica libertà "assoluta" dell'individo è quella del "libero arbitrio", donata dal Padre eterno, non "de iure"...).

      Gli austeri saggi della Repubblica platonica possono essere considerati nelle loro "rigidità", nella loro funzione "censorea" al pari dei nostri 75, che sono (sarebbero, sic!) "eterni" nella loro funzione di governo. Eletti una volta tracciano la strada della comunità nazionale "per sempre". (Insomma, con buona pace dei monarchici...).

      Insomma, una riflessione "generale" piuttosto che un giudizio su Popper che, pur non conoscendo a fondo il pensiero, amo per certe "battaglie"....

      «[...]meglio ancora se in base alla incontestabilità (penale ma non solo) del "fatto compiuto" circa il processo di accumulo della ricchezza...»

      Come non quotarti...

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  3. Quello che pare non emergere dalla Res Publica platonica è un fatto tanto ovvio quanto clamoroso nella sua evidenza: il fine ultimo dell'uomo che auspica allo "stato meramente politico" non è il denaro; che sicuramente è "il mezzo per ogni nostro fine" ma, appunto, non è il fine.

    Il vero fine, come nota brutalmente Orwell, è il POTERE: un potere illimitato, ovvero libero da "lacci e lacciuoli", e da tutti quegli impendimenti che una Costituzione rigidamente socialista e solidarista imporrebbe. (Maledetti autarchici e protezionisti!).

    Quindi, come ha dimostrato empiricamente il collettivismo, un inumano totalitarismo può "schiacciare con uno stivale la faccia dell'Uomo" senza la necessità della "corruzione della ricchezza".

    E come lo spiega magistralmente a livello narrativo Orwell, questo trova conferma per certi versi sia in Kalecky che in Rawls.

    (Diciamo che i neo-aristocratici, a differenza degli stalinisti, hanno capito che potere e ricchezza logorano ancora meno di chi non ha una delle due...)

    Il relativismo (morale) implicito nell'empirismo aristotelico necessita l'innaturale fusione di tesi ed antitesi contro il mitico principio di non contraddizione: il puro doublethinking non è quindi dei "collettivisti", ma proprio dei "liberalisti". (Ma nessuno si è mai chiesto che razza di doublethinking deve avere un piddino che salta senza praticamente fiatare dal collettivismo all'ordoliberismo seguendo il Partito? Sicuramente i "teleschermi" hanno aiutato nel perfezionamento di tal pratica).

    E' la stessa schiavitù ai dogmi della ideologia liberale (e il conseguente bipensiero e la necessitata riscrittura della Storia) che dona la libertà al "liberale". Infatti: "la libertà è schiavitù".

    Tolta l'anima non si hanno più sti maledetti "lacci e lacciuoli"...

    (Marietto Draghi ammette che essere "liberalist" non significa praticare una particolare dottrina scientifica: è un "modo di vivere".

    I prolet possono rimanere "in apnea" e riprodursi, meglio se omologandosi etnicamente e culturalmente.

    Ma se alla teocrazia del Partito sostituisci quella del Mercato, non sono più particolarmente necessari neanche "i membri del Partito esterno", che possono confluire in gran parte coi prolet: d'altronde "l'omologazione" pare essere aristotelica.

    Popper sbalordisce la mia povera logica binaria nel momento in cui imputa l'esecrato "storicismo" a Platone insieme a noti aristotelici come Hegel o Marx...

    Ma tra questo orwelliano "distopismo platonico" e la "quantistica" popperiana lascerei dirimere la logica filosofica all'amico Diego Fusaro.

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    1. Che poi....il "liberalismo dogmatico" dovrebbe essere un ossimoro.
      Strano che i nostri amici libbberali non ci abbiano ancora fatto caso...

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    2. Sullo storicismo di Platone mi è venuta la stessa riflessione.
      Questione terminologica (quasi metonimica): è il ritrovamento degli assoluti che reggano la Storia (sociale) fuori dal suo fluire non più ritenuto insondabile che struttura questa accezione di storicismo. Ma certo, una cosa è una legge della Utopia (platonica e non a caso "statica") altra è l'empirica dialettica portatrice di sintesi nuove di cui, però, si vuole individuare un esito ultimativo.
      Due diversi concetti di "definitività", riqualficati come scientifici in epoca in cui ciò pareva essenziale (post Husserl), ma accomunati, come dici giustamente, dall'ombra del tempo in cui fu fatta questa commistione spuria: l'ombra del totalitarismo (nel 1948, quando fu scritto "La Società Aperta e i suoi nemici" è comprensibile che fosse molto invadente).
      Nell'attuale omologazione però non ci vedrei una fenomenologia aristotelica, perchè mi pare piuttosto il riemegere di una continua ed irrinunciabile tensione del liberismo-capitalismo sfrenato: l'essersi pentiti da subito, all'indomani della Rivoluzione francese, di avere utilizzato le masse proletarie o di "zotici" per scalzare gli aristocratici, ma avendo ben presente che il parlamentarismo che invocavano non poteva essere esteso alla rappresentanza di coloro che avevano usato come strumento.
      In fondo, da allora la tensione si costantemente espressa nel modo in cui limitare i parlamenti democraticamente eletti (a suffraggio più o meno universale).
      Quello che soprende semmai è come siano riusciti bene a farlo in tempi recenti, di massima apparente cultura di massa, grazie a €urope varie e controllo mediatico pop.
      Vale più una Madonna (Ciccone) o un tronista che un Berja di questi tempi...

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  5. A differenza di von Hajek Popper fu un sostenitore del primato dello stato e della politica sull'economia. Non riesco a comprendere perché spesso lo si accomuni allo stesso Hajek
    "Noi possiamo chiederci che cosa vogliamo conseguire e come possiamo conseguirlo. Possiamo, per esempio, attuare un razionale programma politico per la protezione degli economicamente deboli. Possiamo fare leggi atte a limitare lo sfruttamento. Possiamo limitare la giornata lavorativa, ma possiamo fare anche molto di più. Per legge, possiamo assicurare i lavoratori ( o meglio ancora, tutti i cittadini) contro l'invalidità, la disoccupazione, la vecchiaia. In questo modo possiamo rendere impossibili certe forme di sfruttamento come quelle fondate sulla debole posizione economica di un lavoratore che deve accettare qualunque cosa per non morire di fame... [...]
    Il potere politico e il suo controllo è tutto. Al potere economico non si deve permettere di dominare il potere politico; se necessario, esso deve essere combattuto dal potere politico e ricondotto sotto il suo controllo.”
    Dal punto di vista filosofico/epistemologico bisogna tuttavia riconoscere che Popper non mette in discussione l’ordine esistente ma si muove al suo interno. Per quanto mi riguarda, di Popper ho sempre apprezzato il metodo, il falsificazionismo non sarà perfetto, rappresenta però un valido strumento, un argine, contro il dogmatismo.
    Trovo molto interessante la riflessione che scaturisce da questo post. Fatalmente la democrazia rischia di diventare una tirannia, nel nostro caso neppure della maggioranza ( su cui già si potrebbe discutere) ma dei rappresentanti della maggioranza.
    Questo è implicito nel richiamo al condizionamento mediatico, che lo stesso Popper da te citato riconosce e identifica nella tv. Ancor più chiaramente viene esposto da Marcuse nella societa unidimensionale, dove “ Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale… “.
    A cosa serve la libertà di scegliere, quando non vengono forniti gli strumenti per farlo? Marcuse individua molto bene l’inganno, una volta che la classe operaia (un tempo forza anti-sistema) viene inglobata nel sistema attraverso una serie di libertà “concesse” entra in atto la cosiddetta tolleranza repressiva. Con il possesso e il controllo totale dei mezzi d’informazione e di comunicazione, da parte dei dominanti, la libertà di scelta non è più tale e si riduce ad un mero conformismo, peraltro questo controllo giunge a perfezionamento di un condizionamento già in atto.
    " Il criterio della libera scelta non può mai essere un criterio assoluto, ma non è nemmeno del tutto relativo. La libera elezione dei padroni non abolisce ne i padroni ne gli schiavi".

    Se dietro Platone Marx ed Hegel s'intravede l’ombra dei totalitarismi, dietro la società aperta purtroppo fa capolino quella di una democratica non libertà. Possiamo però affermare che le intenzioni di Popper o di Platone Marx ed Hegel fossero queste? Io non mi sentirei di farlo. Non credo che un pensiero portato all’estremo possa dirsi utile, è sicuramente più importante tentare una di sintesi (e questo post ne è un esempio) che riesca a far emergere il meglio di due tesi contrapposte e non l’uso estremo e strumentale che da esse è scaturito in passato (cosa che dovrebbe far riflettere) o potrebbe scaturire in futuro (cosa che dovremmo evitare). Del resto, se nel pensiero di Popper è palese l’influenza di un conflitto mondiale, in quello di Platone pesa, e non poco, la condanna inflitta a Socrate da parte di un governo democratico (nell’accezione storica del IV secolo a. C. ovviamente).


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    1. Carissima,
      siamo e continueremo ad essere degli "ingenui" idealisti in/consapevoli di come si costruiscono le "narrazioni" del pubblico consenso.
      Un pezzo di qua, un pezzo di là, dipingendo "figure" di libri mai letti perchè troppo intenti a raccontare le proprietà terapeutiche dell'oro nelle tasche dei "conquistadores" di Cortes che bruciano le navi perchè c'è un andata - a male - senza un ritorno.

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    2. Credo che il motivo derivi dalla frequentazione degli stessi circoli "liberali" e, soprattutto, dal fatto che pare fossero piuttosto amici.
      Un altro "liberale", suo studente, che vanta (quantomeno a parole...) la sua influenza è il palindromico Soros.
      Insomma, pare che il suo vero punto debole non sia il suo pensiero ma, piuttosto, le sue "frequentazioni"...
      Per qualche arcano motivo, che siano umani o sociopatici, i "liberali" vanno sempre d'accordo.
      Ed è mia opinione che solo una delle due categorie è veramente "tagliata"...

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  6. Baazar,ma eri tu che avevi postato un pezzo sui due minuti di odio ? Perchè dopo averlo letto (e prima di leggere il tuo commento mi ero riletto dopo vent'anni 1984 (beh... prima murakami 1q84).
    il nuovo dizionario della newlingua
    " Tu credi, immagino, che il nostro compito principale consista nell'inventare nuove parole. Neanche per idea! Noi le parole le distruggiamo, a dozzine, a centinaia."

    "«Non capisci che lo scopo principale a cui tende la neolingua è quello di restringere al massimo la sfera d'azione del pensiero? Alla fine renderemo
    lo psicoreato letteralmente impossibile, perché non ci saranno parole con cui poterlo esprimere. Ogni concetto di cui si possa aver bisogno sarà e-spresso da una sola parola, il cui significato sarà stato rigidamente definito, priva di tutti i suoi significati ausiliari, che saranno stati cancellati e dimenticati."

    "A ogni nuovo anno, una diminuzione nel numero delle parole e una contrazione ulteriore della coscienza. Anche ora, ovviamente, non esiste nulla che possa spiegare o scusare lo psicorea-to. Tutto ciò che si richiede è l'autodisciplina, il controllo della realtà, ma alla fine del processo non ci sarà bisogno neanche di questo. La Rivolu-zione trionferà quando la lingua avrà raggiunto la perfezione. La neolingua è il Socing, e il Socing è la neolingua»
    IO POPPER PRORPIO NON LO CONOSCO,MA IL COLLEGAMENTO con le cose che sono spiegate da Luciano l'ho capito.


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    1. Caro piperinik, per capire il senso dei "2 minuti d'odio" è necessario porre in relazione le dinamiche cognitive ed emotive dell'uomo, il concetto di "pressione" su un "gruppo" (che in un contesto sociale viene chiamata "oppressione"), e le strategie di "gestione" del comportamento dei singoli in questo ambiente ad altissimo carico di (di)stress.
      Il motore del comportamento e
      dei processi decisionali è l' emotività, l'energia vitale che, frustrata dal controllo totalitario, deve trovare uno sfogo "controllato": i 2 minuti di livore.
      (Orwell descrive anche le somatizzazioni dell'uomo oppresso, represso e schiacciato dalla "pressione dello stivale")
      Orwell è stato molto pop-izzato e, al suo tempo, a differenza di tutti i "liberali", fu emarginato dalle comunità intellettuali.
      La newspeak non è una semplice invenzione letteraria: egli già aveva prodotto diversi pamphlet sul tema, pamphlet relativi ai suoi di tempi: Orwell comprese che da lì a poco sarebbe nata l'eurss, e ha voluto lasciare un diario dal futuro ai posteri.

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  7. Per esempio(sull'inganno o addirittura l'autoinganno ) io vivo in Sardegna e l'acqua è gestita dall'Abbanoa (metto questo link perchè racconta un po' di storia http://www.airesis.it/groups/movimento-cinque-stelle-in-sardegna/proposals/2093-riorganizzareabbanoa-l-azienda-regionale-sarda-di-gestione-della-risorsa-idrica ) Si c'è scritto spa alla fine,ma quando venne istituita in Sardegna io credevo che fosse in controtendenza al liberismo, verso un gestione pubblica (non ricordo se prima o dopo il referendum sull'acqua): Ora (non so se qualcuno ha visto il servizio alla Gabbia )non esiste che qualcosa che abbia a che fare con la Reppublica Italiana costituzionale si possa permettere di tagliare l'acqua alla gente.

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